53. Un piccolo segreto custodito
Hansel andava avanti, la mente che meccanicamente attaccava, schivava e uccideva. Al posto del cuore aveva solo un buco nel petto, il quale lentamente si riempiva del sangue di chi era vittima della sua spada o fucile.
Invisibile ai nemici grazie la magia, corse fra i proiettili sparati non a lui, ma ai soldati napoleonici che stava aiutando. Arrivò in fretta fra le linee nemiche, estrasse la spada, la lama sibilante contro la sua fodera, mentre la magia svaniva.
I soldati asburgici ebbero appena il tempo di farsi prendere dal panico, gridando in tedesco «Come è possibile che un francese sia arrivato qua?» «Dov'è?», che caddero come mosche.
(Ero stato così spietato?)
La lama affilata si avventò su colli, petti e pance di uomini, lasciandosi dietro spettacoli macabri di sangue e budella. Sparò a quelli che provarono a scappare ma, avendoli solo feriti alle gambe, si avvicinò a completare il lavoro, conficcando le pallottole nei loro cuori.
Quel piccolo battaglione era caduto.
(Un altro bagno di sangue.
È il terzo?
O il quarto?)
Più avanti c'era una resistenza formata da cittadini. Il giorno dopo sarebbe dovuto saltare sul primo carro e andare a Bolzano e aiutare lì. Ricordava a memoria le parole del suo nuovo capo.
«Non importa se cittadino o soldato, sono tuoi nemici, uccidili se vuoi pace.»
Pace.
L'aveva sempre associato alla felicità.
Perché, per raggiungerla, doveva strappare tutte quelle vite e consegnarle alla Morte? Non c'era modo migliore? Era l'unico modo per vendicarsi di quell'Impero che odiava?
(Non è il modo giusto! Smettila, smettila!)
Ignorò quei pensieri.
Pulì la lama sui pantaloni di un soldato e l'affilò con un piccolo strumento che si portava sempre dietro. Se non spezzava un capello con un sospiro, non era abbastanza buona. Ad ogni colpo perdeva un po' di questa bravura. Era necessario rifinirla ancora e ancora.
E per qualche istante, poteva far finta di non star uccidendo gente che voleva liberarsi da una recente nuova oppressione.
Napoleone, simbolo della libertà? Gli sembrava più simbolo della beffa. Per chi conquistava, non c'era spazio per la libertà.
Eppure lui lo stava aiutando.
"Odio di più gli austriaci." si ripeté Hansel.
Avanzò verso il gruppo di suoi cittadini.
(Perché non ti fermi?! Perché non mi sono fermato?!)
Bruno non poteva che osservare, imponente, disperandosi, non potendo cambiare il percorso della storia. Quel vecchio sé, Hansel, durante la ribellione dei suoi cittadini per le pesanti leggi napoleoniche, aveva aiutato i francesi e represso quella ribellione.
Avrebbe voluto non guardare, ma gli occhi rimanevano aperti, come quelli di un avido spettatore che segue il suo programma preferito. Era costretto a rivivere quel periodo d'Inferno, uno dei momenti in cui si era vergognato di sé, se non il peggiore.
Ed era solo all'inizio di quella tortura, di quel ricordo che sempre tentava di scacciare via quando tornava a galla.
Perché, perché lo stava rivivendo?
Per redimersi, aveva bisogno di soffrire così tanto, ancora una volta? Non bastano i rimorsi che si trascinava dietro?
No, a quanto pareva no. Doveva sopportare il sangue caldo sul volto e sui vestiti, le urla e le suppliche dei nemici, la lama che trapassava le carni, il fucile che rimbombava nell'aria, quel lago rosso che si espandeva sempre di più, il dolore al petto che aumentava ad ogni morte di un suo cittadino.
Perché si era voluto autodistruggere? Il suo orgoglio e il suo desiderio di vendetta verso gli austriaci erano stati così grandi?
Sì, assolutamente sì.
Meritava di vivere ancora e ancora quell'orrore, quel piccolo genocidio che aveva portato avanti.
Arrivò dove i suoi cittadini si barricavano.
Percepiva, nel petto, la loro tenacia, le loro paure e speranze.
(Così poco... e le stroncherò)
Hansel sparò ad uno troppo sciocco, il quale non si era nascosto totalmente, strappandogli la vita.
Meno uno.
Conosceva la città, lui era quella città. Raggirò la barricata, incontrando piccole resistenze che furono lacerate dalla sua lama messa a nuovo. Con la spada gocciolante sangue nel fodero, arrivò alle spalle dei suoi cittadini. Sparò vari colpi, uccidendo persone che neanche si erano potute accorgere del suo attacco. Gli altri umani si mossero in un parapiglia, spaventati.
(Come formiche quando distruggi il formicaio.
Le sto per schiacciare. O Dio, se esisti davvero non posso essere perdonato!)
Sparò ad altri, che caddero. Alcuni morti sul colpo, altri agonizzanti. Urla, pianti, suppliche, tutto colpiva le sue orecchie che rimasero sorde.
Altri colpi.
Estrasse la lama, qualche goccia ancora fresca che volò via dalla lama. Si avventò sui rimasti, decapitando con teatralità l'ultimo. La sua casacca si macchiò in vari punti di sangue, rendendola di un macabro maculato ancora più accentuato.
Lasciò cadere la testa dell'umano e si scostò.
Andò a pulire la lama su un cadavere poco sporco e affilò la lama.
Il suono metallico di questa che si scontrava con il piccolo strumento era tranquillante. Cadenzato, ritmato. Come il battito di un cuore.
(Ho ancora un cuore?)
•~-~•
Quelle creature, nonostante sembrassero dei manichini decadenti, erano veloci.
Molto veloci. E discretamente resistenti, ben più di semplici umani.
Roberto finalmente riuscì a troncare la testa di uno di quei mostri, che ricadde a terra inerte e scomparve. O almeno per qualche secondo, perché vide spuntare un corpo poco più indietro.
Schivò l'artigliata di un'altra creatura che aveva provato ad assalirlo e lo infilzò con il suo fioretto. Il colpo lo attraversò, ma quell'essere non si fermò.
<Sono eterni!> sbottò, arretrando ancora e chinandosi, evitando un'oscura bolla uscita dalla bocca di quel mostro. Non aveva certamente voglia di scoprire quali fossero gli effetti.
La creatura venne spedita lontano con rapidità fulminea. Rita, accanto a lui con il suo bastone alla mano, notò: <Per ora possiamo solo temporeggiare ma cercare di avvicinarci!>
Un lampo davanti a loro li colse di sorpresa, e non solo loro.
Giorgio e Sofia erano riusciti a teletrasportarsi con successo e avevano lanciato un incantesimo ciascuno sul nemico.
Hans schivò rapidamente e suonò il flauto: del fumo lo avvolse, lasciando dietro di sé solo una giovane aquila che prese a volare in alto, fin dove la prima cupola magica permetteva. Ben presto, le aquile si moltiplicarono, tutte identiche, e si mossero ognuna per la sua traiettoria.
<E porca Madonna!> maledisse Giorgio, lanciando una carta a qualche creatura che si stava avvicinando. Le bloccò in un'acqua putrida e viscosa e ne approfittò per allontanarsi, trascinandosi dietro l'emiliana che altrimenti sarebbe rimasta ferma.
<Miche', coprimi!> impartì Giovanna, tirando un colpo al mostro più vicino a sé con il calcio della sua lupara, dato che era scarica.
<Ricevuto!> affermò Michele, girando su se stesso. Con il suo martello schizzò lontano varie creature, creando uno spiazzo più libero per la siciliana.
Ella andò al centro del piccolo spazio, conscia della capacità del pugliese con quell'arma così sproporzionata rispetto lui. Calmò il respiro e prese la mira, il fucile ricaricato. Sparò e ogni colpo andò a segno. Era celere, appena i bossoli cadevano a terra, lei aveva ricaricato i nuovi proiettili e presa la mira.
<Ormai sei fottuto, stronzetto.> sussurrò, quando mancavano solo due aquile. Sparò ed essere sparirono in due nuvolette di fumo, come tutte le altre.
<Come?!> esclamò Giovanna <Non può essere scappato o volato via da un'altra parte, l'avrei visto!>
<Era ancora lì, porca puttana! Però tu mi hai dovuto spostare!> lamentò Sofia, sbattendo un piede a terra. Una colonna di terra si alzò sotto alcuni mostri, che ricaddero a terra con violenza appena la colonna scomparve.
<Ah, davvero?> domandò Giorgio, poggiandosi una carta sul petto. Risplendendo di magia, lanciò tre carte contemporaneamente e sbaragliò diverse "file" di nemici. Per fortuna non c'era nessun'altra regione nella traiettoria.
<Sì, ma ora si è spostato e faccio fatica a sentirlo! Questi mostri possiedono un pezzetto della sua aura, che si amplifica dato che sono tutti insieme. È come se lo sentissi dappertutto!> si esasperò Sofia.
<Calmati, Sofi, o altrimenti perdi la testa!> si preoccupò Anna, lanciando un coltellino dritto in fronte un mostro. Richiamò a sé l'arma, ma purtroppo la ferita che aveva inflitto non era abbastanza.
Una frusta si legò al collo della creatura, la quale venne attraversata da una scarica elettrica che lo abbrustolì e uccise definitivamente.
<Pensa anche a te!> notò Francesca, che era riuscita a farsi strada per arrivare dalla sorella, notando la sua difficoltà a tenere a bada gli avversari.
<Grazie!> fece la romagnola, girandosi in tempo. Fece lo sgambetto ad un mostro e gli piantò il coltello nel petto, uccidendolo. La sua cenere volò poco lontano e si ricompose.
<Dobbiamo trovarlo!> decretò Angela <Ma ha ragione Sofia, ha usato un buon trucchetto per non farsi trovare!>
<Uno di voi buoni con la magia dovrebbe mettersi lì a setacciare tutti i nemici e capire dove si trova! Probabilmente sarà ai lati della battaglia mentre se la ride sotto i baffi.> commentò Maurizio, conficcando la punta della lancia in un corpo. Alzò la creatura ancora impalata e la scaraventò addosso ad altri suoi simili.
<Ho un'idea!> esclamò Mario, parando una di quelle bolle nere con il suo scudo da legionario romano.
<Non fare stronzate!> lo rimbeccò la toscana.
Afferrò un mostro con la sua frusta, si tenne più salda al terreno e lo tirò verso di sé. Anna lo trafisse con un coltello e la creatura si dissolse.
Intanto il laziale chinò la testa, si premette contro lo scudo e corse incontro i mostri, i quali o lo evitarono o finirono sbalzati lontano dal suo scudo, brillante di una leggera luce rossastra. Arrivò davanti l'umbra e spiegò con il fiatone: <La mia lupa! Può rintracciare qualcuno se le viene dato qualcosa di suo! Prova a mostrarle l'aura di quello lì!>
Angela attirò a sé un mostro e lo spezzò in due, creò in fretta una bolla d'aria, apparentemente vuota, e ordinò: <Creala, non so quanto riuscirò a tenere l'aura qua dentro!>
Mario annuì e batté le mani a terra, evocando: <Roma invicta!>
Subito comparve la sua fedele lupa, molto più grossa di un normale lupo, dal pelo nero e lucido, gli occhi luminosi vigili e attenti. Come se già sapesse che fare, si avvicinò all'umbra. Ella le spedì vicino la bolla, che si ruppe. L'animale aveva percepito la traccia e prese a correre fra tutte le creature, annusandole velocemente, cercando di captare dove l'odore fosse più forte.
<Vai così lupacchiotta mia!> la incitò il laziale, che riprese a combattere contro le creature, nonostante lo sforzo di due magie di seguito gli pesassero sulle spalle.
<Attento!> Carlo sgridò il friulano, il quale si era sbilanciato quasi addosso a lui.
Questi si ributtò in avanti, decapitò un essere con la sua ascia e ribatté: <Scusami se per sbaglio stavo inciampando su un sasso, eh!>
<Cerca di far di meglio, se non vuoi ferirti!> il lombardo spronò a modo suo l'altro.
Si stupirono quando videro la lupa schivare tutti i mostri e fiondarsi nella loro direzione. Girò attorno a loro due, attenta a non essere d'intralcio, mentre le due regioni continuavano a difendersi. Poi l'animale si girò in una direzione, digrignò i denti e si fiondò su un punto poco lontano dai due. Affondò gli artigli sull'aria, questa sfrigolò e l'incantesimo si ruppe, rivelando un Hans scioccato.
<Stupito cane!> urlò e suonò melodie frenetiche, creando una barriera di fuoco fra sé e la lupa, che si bruciò una piccola porzione di pelo. Uggiolò e si allontanò, conscia di non poter attraversare quel muro.
<Porco Dio e la Madonna, qualche secondo di troppo e ci avrebbe sicuramente fatti secchi!> si stupì Aleksander, facendo un salto sul posto.
<Proviamo a colpirlo ora che sappiamo dov'è!> lo esortò invece il lombardo.
Un fulmine piombò a ciel sereno appena oltre il muro di fuoco a protezione.
Hans, per salvarsi la pelle, dovette evocare uno scudo e rinunciare al muro di fuoco.
La lupa, ancora più furibonda dall'attacco subito, provò a saltargli addosso ancora una volta, i suoi artigli intrisi di magia che scalfivano quella semplice cupola protettiva.
L'altoatesino preferì scomparire e teletrasportarsi al di fuori della marmaglia, ai bordi più esterni del proprio esercito, la rabbia furente.
Stava andando tutto così bene, ma quegli stronzi-!
"Calmati, calmati. Tanto quell'idiota è vittima dei suoi ricordi, non riprenderà il controllo di questo corpo. Devo avere pazienza. Ho aspettato oltre 70 anni, posso ancora aspettare qualche ora." pensò Hans.
Ricreò la barriera, riparandosi da altri incantesimi lanciati, mentre tutti provavano a raggiungerlo. Sogghignò crudele.
Se non poteva avere chi desiderava, un bel modo per rimediare era privare gli altri di ciò che avevano. Non era la stessa gioia, ma era un ottimo accontentino temporaneo.
Doveva solo trovare il momento adatto.
D'altronde, era comodo avere un flauto magico che costudiva un piccolo segreto.
Schivò di lato in tempo, altrimenti quello sciroccato con troppe erre per essere legale l'avrebbe investito. Maledetti lui e il cane da quattro soldi.
<Vieni qua, stronzo, e ridacci Bruno!> esclamò Mario, provando a colpire la sua cupola con lo scudo, illuminato di magia.
Ma questa volta l'altoatesino aveva creato un incanto più potente e fu divertente osservare il laziale venire sbalzato via e ruzzolare malamente a terra, alla mercé delle sue creature che si stavano avvicinando. Storse il naso quando una frusta si avvolse attorno il collo di un suo oggettino e una scarica elettrica lo incenerì.
Sempre così uniti, quegli idioti.
Avrebbe fatto in modo che ciò fosse la loro debolezza.
<Non ci affronti, stronzetto?> domandò Rosa, atterrando dopo essersi lanciata dalla testa di un nemico, le lame delle due piccole falci luccicanti nella fredda luce invernale.
<20 contro 1 mi sembra impari.> replicò il sud tirolese.
<Uno mica tanto, ti sei fatto l'esercito di zombie immortali!> sbuffò Giuseppe, assestando un bel colpo all'ennesima creatura.
Erano in una situazione rischiosa, non potevano permettersi nessun danno. Nel migliore dei casi, il loro potere rigenerativo li avrebbe rimessi in sesto in un baleno, nel peggiore il loro potere era momentaneamente sparito. Alcune volte capitava, in combattimenti con i loro simili.
Peccato che scoprivi se dovevi preoccuparti o meno quando già era troppo tardi.
<Cosa hai fatto a Bruno?> indagò Roberto con rabbia, ma principalmente spavento, finalmente arrivato vicino, insieme a Rita e Franco.
Hans sbuffò e ritorse: <Sembri un disco rotto, sai parlare solo di lui. Ma dato che ti preme così tanto, è rinchiuso qua dentro> e batté l'indice sulla tempia <A rivivere un capitolo un po' sanguinolento di sé. È bastato architettare quel teatrino per farlo uscire di senno, con l'aiuto di un altro po' di magia.>
<Bastardo.> ringhiò il piemontese.
Rita non perse tempo.
Sbatté il bastone a terra, le gemme incastonate si illuminarono, e un enorme fascio d'energia esplose dalla punta della sua arma, andando a scontrarsi con la barriera.
L'aria divenne elettrica e uno sfrigolio si diffuse nell'aria. Dove prima vi era il secessionista, non vi era più nulla.
<É lì!> strillo Franco, girandosi in tempo, indicandolo. Per fortuna la sua magia incontrollata fece capolino al momento giusto e salvò se stesso e le altre due regioni accanto a lui da una pioggia di proiettili di ghiaccio.
Alcuni incantesimi vennero scagliati e l'altoatesino fu costretto a usare i suoi fantocci come scudo, vagamente acciaccato. La magia decisamente stancava troppo.
Doveva fare in fretta.
Non poteva sconfiggerli tutti, non era abbastanza potente per farlo.
Però...
Se avesse portato quella parte del piano a termine, se ne sarebbe potuto andare in grande stile. Chissà, forse poteva persino sradicarlo o iniziare una reazione a catena che avrebbe condotto a ciò, in modo definitivo. Tanto gli bastava poco tempo per avere un corpo tutto suo e rispedire Bruno nella realtà con tale bella sorpresa.
Con le forze rinnovate, ghignò folle e tornò in azione, in quel continuo gioco del gatto e topo.
•~-~•
Era il giorno dopo, in un altro posto, ma il sangue che lo macchiava era dello stesso colore del giorno prima. Poteva cambiare scena, ma il crimine era sempre quello.
Quanto avrebbe voluto chiudere gli occhi quando aveva sgozzato quel poco più bambino davanti al padre e al fratello maggiore, ma i suoi occhi erano rimasti aperti. Allora non aveva provato goduria o dispiacere; solo la soddisfazione che avresti nel completare un prefissato compito.
Quanto avrebbe voluto piangere e pregare il perdono dei familiari, ma prima che potesse invocare qualcosa, erano già morti.
Non ne poteva più.
Uccise anche il resto degli umani, veloce e letale come un fulmine. No, non come una saetta. Bensì come una malattia che diffondeva il suo morbo in fretta e collezionava sofferenza e anime lontano dalla Terra.
Hansel riaffilò la lama e avanzò furtivo. Trovò due guardie austriache. Caddero come mosche, senza neanche comprendere chi li avesse uccisi.
Ecco, provava più soddisfazione nell'uccidere loro.
I suoi nemici, i suoi oppressori.
Questo non cancellava gli altri crimini.
Proseguì per la sua strada, gli stivali che scricchiolavano delicatamente la ghiaia sotto le suole. Arrivò ad un avamposto, formato principalmente da comuni cittadini e qualche gendarme.
Estrasse il fucile, certo fosse già carico e mirò a colui che gli parve più sveglio. Ed ennesimi rivoli cremisi scorsero fra i ciottoli, annaffiando l'erbetta macchiata di quel vivido colore.
Bruno voleva piangere.
Basta sangue.
Basta urla.
Basta morti.
Basta, basta.
Non poteva più sopportare quell'incubo.
Peccato non fosse l'immaginazione di una sera. Era una sua memoria, tatuata nella sua mente, nel suo cuore e sulla sua pelle, come due cicatrici laterali sul tronco.
Non aveva avuto il coraggio di raccontarne la storia al moroso. Come l'avrebbe visto, se non come un mostro? Il mostro che lui era, perché poteva spingere Hansel in fondo in qualsiasi modo desiderasse, ma era sempre dentro di lui.
Lui era Hansel.
Lo dimostravano i suoi pensieri violenti, i suoi sogni di vendetta e dolore per coloro che ferivano chi amava o se stesso. Il lupo poteva perdere il pelo, ma non il vizio.
Un dolore lancinante lo colpì alla spalla.
Erano arrivati i rinforzi, principalmente guardie armate di fucili. E il più veloce di loro gli aveva sparato.
Sollevò dei cadaveri e li usò come temporaneo scudo, caricando il suo fucile, pronto ad uccidere i primi che lo avrebbero approcciato. Una pallottola sulla spalla non sarebbe bastato per abbatterlo, specialmente se da parte di un stupido umano.
La testa gli girò qualche istante, ma strinse le mani e rimase saldo alla realtà. Non poteva morire, non in quel momento, non quando stava andando così bene.
La scarica di proiettili fu breve e susseguita da un'altra. Si davano il cambio. Furbi, ma non abbastanza. C'era sempre un minimo di pausa fra una pioggia di colpi e l'altra. E lui non avrebbe dormito.
Quando si interruppero un attimo, schizzò verso una casa vicina e si arrampicò sulle piccole verande, arrivando in cima alla bassa casa. Sparò senza mirare, riuscendo a beccare qualche piede o gamba. Bastarono quei colpi per mandarli nel parapiglia. Ebbe tempo di ricaricare, prese la mira e sparò, uccidendo ogni suo bersaglio.
Scese dalla casupola e avanzò fra i cadaveri, gli occhi spalancati nel terrore un'ultima volta.
<Deboli.> sussurrò Hansel con disprezzo.
Udì voci e l'odore dei suoi cittadini lo colse, in mezzo al tanfo di sangue e morte e polvere da sparo.
Altre morti in arrivo.
Bruno voleva piangere.
Perché, perché, perché doveva sopportare tutto ciò?
E poi gli venne in mente, finalmente sgombra di quell'infida magia di cui non era a conoscenza l'avesse posseduto.
Hans.
Era lì a causa di Hans. L'aveva abbindolato e lui come un pollo vi era caduto in pieno!
Il terrore lo colse, ma non per la strage che si stava compiendo davanti ai suoi occhi. Hans l'aveva raggirato e rinchiuso in un suo ricordo così traumatico (chissà come), approfittando della sua debolezza. E lui era fuori, a compiere quali inimmaginabili danni, proprio quel giorno, proprio mentre c'era la riunione con i secessionisti.
No, no, no! Doveva uscire e tornare in controllo del proprio corpo!
Lo desiderò con volontà e irruenza, ma nulla accadde. Gridò silenziosamente e internamente dalla rabbia e frustrazione; doveva uscire! Eppure sembrava intrappolato, condannato a sentire urla e suppliche nelle orecchie e sangue su pelle e vesti.
Fosse stato chiuso in una gabbia, avrebbe afferrato le sbarre e le avrebbe scosse fino a fargli male le braccia e i palmi, finché non avesse avuto l'odore di metallo sulle dita per ore.
Ma cosa poteva compiere nella disperazione, se la cella era se stesso?
N/A: eeeee tutto sta andando allo scatafascio!
Ed ecco finalmente quello che ha fatto Hansel: ha ucciso a destra e a manca, sostenendo Napoleone durante una rivolta anti-napoleonica, solo per andare contro di austriaci. Così facendo, ha ucciso tanti suoi cittadini. Bruno era un ragazzino molto calmo e pacifista :D
E chissà chissà che cosa vuole fare Hans con questo segreto segretoso nascosto nel flauto di Bruno.
E vi ricordo caldamente, oltre aver averlo detto nel testo, che le regioni ora possono rischiare di morire. Vi voglio così tanto bene <3
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