41. Fittizia calma
N/A: ho una settimana di rientro a scuola incasinata come lo schifo quindi mi scuso se non risponderò subito ma non posso farci sempre.
Il giorno dopo Roberto era un po' sottotono, ancora scosso e malinconico dalla serata prima. Bruno lo comprese e lo coccolò al suo meglio, nonostante la timidezza in mezzo gli altri, per ricordargli gli fosse vicino. Il piemontese apprezzava, con forti carezze e sporadici baci, attaccato all'altro come un koala. Se qualcuno provava a fare un commento sul loro atteggiamento, il biondo li fulminava all'istante, veleno e promessa di dolore negli occhi se osavano disturbarli. Per fortuna che non aveva perso lo smacco nell'incutere timore, se desiderava, nonostante fosse perdutamente innamorato.
Era quasi ora di pranzo e il suo mogio moroso ma in vena di coccole era appallottolato contro di lui, la testa poggiata sulla sua pancia. Volentieri il trentino gli accarezzava i capelli con una mano, mentre con l'altra scrollava offerte di hotel a Roma per soggiornare una notte. Il castano invece giocava con il bordo della felpa altrui, guardando pigramente la televisione.
Poi arrivò il telegiornale.
La prima notizia fu dal sapore amaro e dalla dolcezza di un pugno nello stomaco. Gli umani avevano agito per i cazzi loro. Il Parlamento aveva delegato al Governo il compito di risolvere le rivolte fatte dai secessionisti. E il premier, quel gran bastardo, promise che già in giornata avrebbero emanato qualche decreto affinché la situazione fosse riportata sotto controllo.
<Ma siamo sicuri sia legale?> domandò Franco, incredulo.
<Non lo so, ma se non fosse che questa TV costa troppo, l'avrei già spaccata quando è comparso il muso di quel maiale del premier.> rispose Francesca, le mani chiuse a pugno.
Roberto mosse le braccia, strinse ad altezza vita il moroso e alzò lo sguardo preoccupato verso di lui. Bruno gli prese le mani, lo incoraggiò tacitamente a sedersi, gli baciò le nocche e commentò mogio: <A quanto pare, ormai è una questione di ore prima che qualche sintomo si presenti.>
<No, no! Non è giusto! Creeranno solo problemi.> protestò il più alto, stringendo le mani a pugno.
<Credo che ormai sia quello che vogliono i politici. Metterci tutti nella merda.> illustrò Giorgio.
<Chi vuole fare un saluto alla propria calma prima di vederla totalmente sparire?> domandò sarcastico il molisano.
<Ah, perché tu hai ancora calma naturalmente dentro di te?> chiese il biondo.
<Il problema con te è che la maggioranza del tempo è difficile leggerti. Vuoi dirmi che non hai un briciolo di calma? Io non la ho, ma questa non è una novità!> replicò la toscana.
<Ho ancora un briciolo di calma, ma non per merito mio.> rispose il trentino, accarezzando con i pollici le mani altrui.
<E ho giusto l'impressione che il calmante inizi per Roberto e finisca per Vargas.> commentò ironico Aleksander.
L'ex austriaco lo ignorò e sorrise ai piccoli baci lasciatogli dal fidanzato sulla fronte in quel momento.
<Ti prometto che ti starò vicino tutto il tempo.> sussurrò il piemontese.
<Se stai male pure te, pensa a te prima.> ribatté Bruno.
<No. Prima tu. Niente discussioni.> fece risoluto il fidanzato <Ci tengo troppo.>
Lasciò le mani altrui, si alzò e andò in cucina, mentre il biondo lo osservava e si concentrava sulla sua camminata, silenziosa e aggraziata. Gli sembrò proprio un re che dopo aver dettato legge se ne andava dalla stanza del trono e si rifugiava nelle proprie camere. Si divertì mentalmente alla propria idea.
<Io mi ubriaco da dopo pranzo, lasciatemi in pace.> avvisò il veneto.
<Nessuno è così scemo da interromperti mentre vuoi avere intimità con tua moglie, detta vino.> ironizzò Maurizio.
<Concordo.> si aggiunse il friulano.
<Mah, io quasi quasi proporrei un'ubriacatura di gruppo, da iniziare questo pomeriggio sul tardi, se non alla sera.> propose Francesca.
<Non ci tengo troppo a far le mie solite esibizioni da ubriaco, non oggi.> ribatté Aleksander.
<Ma sai che, quasi quasi...> le diede corda, invece, il trentino.
<Mi aggrego.> asserì Anna, sporgendosi dalla porta della cucina.
<E viva di alcolismo.> decretò con sarcasmo il molisano.
•~-~•
Era ormai sera inoltrata, anche se fuori il cielo era nero e quasi totalmente privo di stelle. Inoltre il piccolo spicchio di luna calante rimasto non era abbastanza luminoso da rischiarare sufficientemente.
Quasi tutte le regioni erano in casa e si stavano facendo i fatti propri, fra cucina e soggiorno.
Ad un certo punto, la porta d'ingresso venne spalancata con forse un po' troppo vigore e Mario trillò: <Ecco il gelato~!>, agitando una piccola busta.
<Che velocità.> commentò Francesca.
<Infatti potevi pure guidare più piano, nessuno ci correva dietro. Anzi, rischiavamo ci corresse dietro la polizia all'autovelox!> si lamentò Roberto, entrando in casa con una busta più grande.
<Ihhhh, che vuoi che sia.> liquidò la cosa il laziale. I due andarono ad appoggiare le buste in cucina.
<Resistete 10 minuti o vi avventate subito sul gelato, senza neanche sapere i gusti?> domandò retorico il piemontese, già diretto alle scale.
<Cercheremo di evitare i ladri.> promise Angela, tirando fuori alcune scatole con dentro cialde a forma di cono.
<E meno male che aspettate l'autista!> scherzò il discendente diretto di Romulus, salendo le scale.
<Fermi.> ammonì Vincenzo, prendendo per il colletto i due fratelli. Erano già intenzionati a combinare guai, i due furbetti.
<Eddaiiiiiiii> si lamentò Giuseppe.
<Falli venire di qua, vediamo se stanno buoni appena gli spezzo le dita.> minacciò la toscana, che stava bevendo un po' di succo in cucina.
"Sempre dolce la ragazza, mh?" domandò Hans.
Bruno quasi sobbalzò sul posto, sorpreso. Continuò a cazzeggiare con il telefono su Instagram, espressione neutrale e gli rispose: "Buona sera, era da un po' che stavi muto."
"Ero impegnato a sentire le emozioni dei miei cittadini." asserì il secessionista.
"Come se non li sentissi, dato che sono miei cittadini, anche se sconsiderati." sbuffò il biondo, quell'attanagliamento allo stomaco sempre lì da quel pomeriggio inoltrato. Chissà che stavano tramando, quei pazzi.
"E ti stanno lentamente facendo impazzire." notò il sud tirolese.
"Forse prima, ora non più. Sono felicemente fidanzato e fra tre settimane sarà Natale e sto già pianificando come passare insieme almeno mezza giornata da soli e felici. Sto rimanendo saldo alla razionalità." asserì il trentino.
"Mh-h, credici, se pensi che questa bugia nasconderà per sempre il mostro che sei." lo sfidò l'altoatesino. Questi poi sussurrò un nome, a così bassa voce che la regione pensò di esserselo immaginato. Sperò di esserselo immaginato. Il cuore fece un tuffo pericoloso nel petto. Davvero...?
Venne fortunatamente scosso per una spalla e alzò di scatto la testa, incrociando lo sguardo premuroso del fidanzato, in abiti casalinghi.
<Ti va un po' di gelato?> gli propose, la maggioranza degli altri già in cucina a fare una ressa.
Bruno annuì e si alzò troppo in fretta, la visione si riempì di pallini neri e le gambe erano instabili.
<Woa, attento!> esclamò il piemontese. Lo prese per le spalle, lo tenne ritto in piedi, gli diede dei piccoli colpetti sulla guancia e chiese: <Ci sei?>
<Sì, sì... Sarà stata la stanchezza. A stressarmi, mi stanco.> rispose il biondo, la morsa allo stomaco più leggera. Però facevano vagamente male i piedi. Bah.
Il castano lo baciò in fronte, gli accarezzò la guancia e chiese: <Quindi dopo il gelato vuoi andare dritto filato a dormire?>
<No. Non mi potrei mai stancare di te o delle tue coccole.> ribatté subito il biondo. Il suo brazedèl sorrise, lo prese per mano e lo portò in cucina.
Vari minuti dopo, erano tutti in soggiorno, una strana calma invadeva la stanza. C'era rumore solo perché la televisione era accesa su una rete nazionale.
Il potere magico del gelato su 21 personificazioni di regioni era sorprendente. E sì, era superfluo fosse dicembre: il gelato è buono tutto l'anno e ottimo contro un procinto scoppiamento di nervi (forse più dell'alcool).
Il biondo si stava gustando il suo gelato in una ciotolina, anche se già il fidanzato gli aveva chiesto un cucchiaino di gelato al caffè. Chissà perché non avesse richiesto del pistacchio, dato che lo tollerava solo se era di contorno in altri dolci. Invece non aveva chiesto al fidanzato di assaggiare dal suo cono, dato che non aveva voglia né di gelato al cioccolato extra noir, né al tiramisù. Però era contento di vedere il suo moroso, dai gusti in fatto di dolci decisamente zuccherini, allegramente gustarsi il suo cono.
<Ci voleva proprio.> commentò Marie, ormai alla fine del suo gelato alla fragola e fiordilatte, inconsciamente sporca sulla punta del naso.
<Sì e tu sei diventata una renna.> ironizzò Giorgio.
La valdostana si imbronciò e lo guardò male, chiedendo spiegazioni.
<Sei sporca sul naso, genio.> rispose il veneto. La ragazza si pulì, sempre guardandolo male.
<Non iniziare.> ammonì Sofia, placidamente appoggiata alla gemella mentre si gustava il suo cono ancora abbastanza integro.
L'ex repubblica marinara la scimmiottò, ma prontamente una ciabatta gli arrivò addosso, gentilmente offerta da una sorridente toscana.
<E si ricomincia.> sospirò Domenico, a metà del suo gelato nella ciotolina.
<Era destinato a finire il momento di pace.> scrollò le spalle Michele. Avendo rapidamente finito il gelato, si era assicurato di avere le mani pulite e si era messo a fare a Carmela una treccia laterale che partiva dalla radice del capello. Ormai la lucana si fidava a far toccare i capelli al fratello: era bravo a non sfiorare manco per errore il suo ricciolo. Il pugliese chiuse la treccia alla fine con un elastico e determinò: <Finito.>
<Bene, si sente che l'hai fatta stretta.> commentò Carmela.
<Di nulla, eh.> borbottò l'altro meridionale, giocando con il codino finale della propria treccia.
<Comunque tu sembri uno di quei vichinghi pronti alla battaglia dei film, peccato che tu sei molto meno figo.> sghignazzò Aleksander, osservandolo.
<Se vuoi essere ridotto ad una sottiletta, basta chiedere.> minacciò Michele.
<Uhhhh~> scherzò il friulano.
<Che bambini.> decretò Carlo, appena finito il proprio gelato.
<Ed entrambi bambini non lo sono.> notò Mario.
<Questo dimostra che se i vecchi vogliono il mio rispetto, se lo devono guadagnare.> si aggiunse Giorgio.
<Volete creare una faida vecchi contro giovani?> domandò Anna con ironia.
<No, svantaggio numerico.> decretò Bruno.
<Dipende da quando consideriamo uno sia vecchio o giovane.> notò Sofia.
<Beh, facciamo che chi è nato dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente in poi è giovane?> propose Rita.
<Va bene, in fondo si sono persi le civiltà definite antiche.> asserì Francesca.
<Che si fa, per alzata di mano?> scherzò Marie.
<Ma quasi quasi.> rispose Rosa.
<Va bene, ma allora i veri vecchi sono quelli che esistono da quando più o meno é nato Romulus o anche prima!> ribatté Giorgio.
<E gli altri?> chiese Carmela.
<Boh, siamo gli adulti...? Fra vecchi e giovani, ci stanno loro.> suggerì Maurizio.
<I giovincelli alzino la mano.> impartì Francesca.
Chi tranquillo, chi controvoglia, alzarono le mani in cinque: Marie, Franco, Bruno, Giorgio e Mario; andando dal più giovane al più vecchio.
<Eh, più o meno un quarto di quelli in casa.> notò Giuseppe.
<E ora i vecchi, chi nato prima del 753 a.C.!> decretò Rosa.
<O comunque facciamo chi nato nell'ottavo secolo a.C. e prima.> semplificò Carlo.
Questa volta alzarono le mani in sei: Rita, Vincenzo, Roberto, Francesca, Giovanna e Domenico, dal più al meno vecchio.
Il calabrese era stato costretto dalla siciliana, che esplicò: <Teniamo conto di tutto, su.>
<Va bene... anche se a me piace pensare di essere un semplice adulto, eh.> borbottò il calabrese.
<Cinque contro sei, se consideriamo anche Vince', neanche così impari la sfida.> decretò Michele.
<Eh no, conflitto di interessi. I due fidanzatini sarebbero su fronti opposti.> fece notare il friulano, divertito.
<Bene, non si fa nessuna stupida guerriglia fra chi ha più secoli e chi ne ha meno, perfetto.> asserì il piemontese.
<E comunque la saggezza non è necessariamente collegata all'età, più che altro alle esperienze e a come le si affronta.> specificò la valdostana.
<E tu sei saggia?> insinuò la ligure.
<Ho visto ben poco di mondo esterno, però so sicuramente come ingraziarmi la gente e avere atteggiamenti che ispirino l'altro a ritenermi professionale.> rispose Marie.
<Ok, già troppo per me.> asserì Rosa.
Intanto Carlo, trionfante, era riuscito a sottrarre il telecomando al precedente possessore, ossia Giovanna, e cambiò canale, mettendo su uno dei canali più importanti. Stavano dando il notiziario della tarda sera.
<Cazzo, quando l'ha ciulato?!> si stupì Mario.
<Se siete distratti mica è colpa mia.> replicò il lombardo.
<Ora stanno parlando di cani...? Ok, posso sopportare.> decretò Aleksander.
Ovviamente la notizia cambiò e leggendo in basso, Bruno commentò con freddo sarcasmo: <Oh, guarda, un altro tipo di cane! E non sono neanche blasfemo.>
La faccenda era fresca di "tragedia". I suoi simpatici cittadini di Bolzano si erano divertiti a vandalizzare qualche finestra della sede amministrativa della città, oltre alla sede della polizia locale. E in tedesco, con una bomboletta spray, era stato scritto più e più volte la parola "Traditori" sugli edifici citati prima.
Roberto istintivamente lo strinse di più. Il trentino gli accarezzò le mani intrecciate attorno a lui con una sua e commentò: <Buffo che mi abbiano fatto male i piedi prima, dato che fino ad ora ho rischiato il soffocamento varie volte e mi si sono abbrustolite le braccia.>
<Non dirlo!> lo ammonì il piemontese, spaventato. Si fissarono per lunghi istanti, entrambi testardi nelle loro posizioni. E stranamente, faceva paura lo sguardo del castano.
Il trentino distolse lo sguardo ma non si sganciò dalla sua presa, osservando la notizia concludersi al tg.
<Hanno fatto in fretta.> decretò Carmela.
<Sì sì, da me non si perde mai tempo.> ironizzò il biondo.
<Ora stai bene...?> domandò Anna.
<Sì, grazie dell'interesse. C'è più da temere da domani in avanti. Loro hanno acceso la scintilla. Vediamo se ci sarà un pagliericcio sotto.> notò l'ex austriaco.
<Scommetto che anche se lo facessimo notare alle menti brillanti al governo, direbbero vada tutto bene.> aggiunse Angela.
<Vediamo quando faranno danni anche a Roma. Si cagheranno sotto. Quasi ci spero! Almeno smetteranno con le cazzate!> si lamentò il laziale.
<Oh, ciccio, non volerti così male.> notò Francesca.
<Sono resistito da bambino ad un sacco di Roma da parte di fottuti lanzichenecchi... questi saranno dei pivellini, a confronto.> ribatté Mario.
<Sì, ma c'erano lance e spade. Ora potresti creare un'arma di distruzione di massa con un coltello e un drone o una di quelle aspirapolveri autonome.> fece notare Maurizio.
<Se iniziano a depredare case e ad abusare di gente a destra e a manca, mi preoccuperò.> ritorse l'interessato.
<Davvero?> indagò Giorgio. A quei tempi era impegnato a sottrarre territori al papato per fregarsi delle condizioni di Roma.
<Sì... e a pensarci è colpa loro se esiste la parola "frocio" come insulto!> si ricordò Mario.
<Ci sono altre miliardi di varianti, c'è l'imbarazzo della scelta, con tutti i dialetti...> borbottò, inacidito, Bruno. E non aveva neanche tutti i torti ad essere arrabbiato, dato che la nuca fastidiosamente gli pizzicava e chiaramente la voce di Hans gli risuonava ridacchiante per la testa, anche se non diceva altro, nonostante le sue pungolate.
<Credo ci siano più modi per mandare a quel paese, su... credo.> fece Domenico.
<Ma sì, tanto per insultare si può usare tutto! Basta che il significato sua condiviso! Sei un gran tostapane!> esclamò Giuseppe, indicando Michele, che prese a ridacchiare.
<Cosa vi siete fumati?> borbottò Carmela.
<Eh, una volta c'era un servizio da qualche parte su questa cosa e come esempio dicevano che, se avessimo voluto far diventare tostapane un insulto, avremmo potuto!> spiegò il pugliese fra i risolini.
<Oooooooook.> commentò Vincenzo.
<Possiamo rendere milanese un insulto?> propose Giovanna.
<Provaci e giuro che qualsiasi modo di definirti lo faccio diventare peggio che insultare la madre!> minacciò Carlo.
<Povere madri, che male avranno mai fatto?> sospirò Rita.
<Che male hanno fatto i sederi per essere oggetto continuo di insulti e minacce? Nulla! E neanche le madri.> asserì Aleksander.
<Stai comparando i culi alle madri?> domandò la siciliana.
<No! I culi sono decisamente più protagonisti della scena!> ribatté il friulano.
Le ciabatte volanti furono meritate.
•~-~•
Trento era nel caos più puro.
E lui non riusciva a fare nulla per evitare la tragedia che si stava sviluppando. Era accasciato al centro di Piazza del Duomo di Trento, vicino alla riccamente decorata fontana.
Urla e imprecazioni venivano lanciate dappertutto e non sapeva più se erano solo fuori o anche dentro la sua testa. Qualsiasi traccia di controllo era andata perduta. I secessionisti avevano assalito punti strategici della città, dopo aver sottomesso Bolzano... il sindaco e i suoi assistenti erano stati uccisi. Lo aveva sentito. Le sue mani si erano riempite di numerosi tagli ancora sanguinanti. Inoltre vedeva i loro corpi, appesi alla facciata del Duomo sopra l'entrata, come un macabro memento mori per ogni opposizione.
Le gambe gli furono come strappate via. Il doloroso, metaforico, pugnale che aveva già nella schiena prese a bruciare e la lama bollente ripercorse tutta la colonna vertebrale, trafiggendo le carni che incontrava. Urlò dal dolore. Lacrime salate gli bruciavano le guance. L'impotenza gli infuocava le vene, la frustrazione rendeva l'immobilità insopportabile.
Sentì un urlo strozzato e una risata familiari.
Spalancò gli occhi, spaventato, sforzandosi di alzare la testa ed osservare avanti a sé.
Una mano lo prese per il colletto della camicia rovinata e lo costrinse a stare in ginocchio. La voce gli morì in gola. Provò a dimenarsi e scattare in avanti, ma la paura e la rabbia non furono sufficienti.
Poté solo piangere.
Roberto, con un'evidente ferita gocciolante sulla tempia, con le mani dolorosamente legate in ruvide corde che lo stavano facendo sanguinare, a malapena si reggeva sulle malferme gambe. Anch'esse erano legate dolorosamente strette, ma con una piccola corda fra le caviglie che gli permettevano di compiere piccoli passi. Sembrava anche lui sul bilico della coscienza, gli occhi annebbiati, la testa un po' inclinata di lato, la bocca socchiusa. Il petto si alzava e abbassava freneticamente, quasi in spasmi.
Era irrilevante chi lo trattenesse, rispetto al bastardo che era accanto, trionfante e ghignante come mai prima.
Hans. In carne ed ossa, vestito di tutto punto, pronto ad inaugurare una nuova era con la migliore apparenza.
<Oh, finalmente ti abbiamo raggiunto, caro!> ridacchiò, avvicinandosi con il (semi trascinato) prigioniero.
<Ho mantenuto la mia promessa.> asserì l'altoatesino, il sorriso sghembo che risplendeva di follia, come i suoi occhi. Gli prese con forza il mento e si fece guardare negli occhi, le unghie conficcate nella pelle.
<Ho vinto. E ti ruberò tutto.> sussurrò il biondo platino al quasi gemello, che spalancò gli occhi.
Il vittorioso fece un passo indietro e gli lasciò il volto. Si accostò al piemontese, che lo osservò con occhi lucidi. Intanto il sud tirolese prese ad accarezzargli con cura il profilo del volto, per infine toccargli la punta del naso con fare amorevole. Spiegò: <Ah, caro Bruno, non pensavo che l'amore e l'amicizia potessero portare a certe follie, sai? Ha stipulato un contratto di sangue, capisci, di sangue!, pur di impedirmi di ucciderti e per lasciare in pace le altre regioni.>
<Cosa...?> riuscì a sussurrare il trentino con voce roca, sbigottito.
<Io ho promesso quello che ho appena detto, usando un po' di sangue di un dito.> illustrò l'altoatesino, alzando il mignolo, su cui era presente un piccolo taglietto <Lui, con il sangue dalle ferite che puoi vedere pure tu, caro, ha promesso di personalmente sottomettersi a me. Oltre al fatto che i suoi territori pagheranno un indennizzo ai miei.>
Roberto abbassò la testa sconfitto.
Hans gliela risollevò e fece con tono stomachevolmente zuccherino: <Su, hai firmato il contratto, ormai è irrevocabile! Non sei felice? Hai salvato tutti da me. Non sono interessato a te come mio fratello, ma qualcuno con un faccino così non può che dare almeno qualche soddisfazione in giro!>
<Bastardo...!> lo maledì il trentino.
<Stratega, tesoro.> lo corresse il sud tirolese. Si avvicinò al fratello e ordinò all'uomo dietro di lui: <Uccidilo.>
<Cosa?! No!> protestò l'ex sabaudo, disperato.
<Il patto era che io non potessi ucciderlo, non che non potessi delegare il compito a qualcun altro.> ricordò l'altoatesino <Non puoi fare nulla. Ciao ciao, tesoro~.>
Bruno sentì una fredda canna contro la propria tempia. Osservò per l'ultima volta il fidanzato che lo fissava con dolore e pentimento, le lacrime che gli scorrevano sulle guance e dimenandosi con le sue poche forze.
Hans lo salutò con una mano e chiaramente sillabò quel nome.
Uno sparo, che gli trafisse il cranio, mentre il cuore fece un tuffo nel petto.
N/A: boom. Un botto di cose in questo capitolo.
E madonna che allegria che sono questi capitoli, eh?
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