24. Il terrore del tocco
N/A: saranno presenti temi delicati quindi se andate avanti è a vostro rischio e pericolo.
Per incazzature, ci sarà l'apposito angolino.
Ma anche nel mezzo del capitolo va bene.
Votate e commentate sempre, anche se mi volete molto male :)
Quando più tardi si svegliò al rumore di voci concitate, Bruno aprì pigramente e infastidito gli occhi. Stava facendo un bellissimo sogno: era con Roberto ed erano nel mezzo di un picnic romantico in piena natura. E stava giusto arrivando alla parte più bella! Qualche secondo in più e il sogno sarebbe diventato decisamente molto più spinto.
Dannazione, la cosa del cioccolato l'aveva proprio mandato su di giri!
Si mise seduto, borbottando lamentoso.
<Bravi scemi, l'avete svegliato!> si complimentò ironicamente una voce femminile.
Il trentino girò la testa e mise a fuoco Francesca, la quale aveva delle buste in mano e stava lanciando occhiatacce ai due con cui era costretta a fare la spesa.
<Beh, doveva comunque svegliarsi! Mica mangiano presto loro?> domandò Giuseppe, andando in cucina ad appoggiare le proprie buste.
<Non è "presto", bensì un orario giusto. Infatti qua qualcuno sta provando a preparare il pranzo.> commentò Carlo dalla cucina.
Il biondo guardò l'orologio che aveva al polso e notò che erano le 12:20 circa. Aveva dormito della grossa, si vedeva che aveva bisogno di dormire. Sbadigliò silenziosamente e si stiracchiò, provando ad alzarsi.
<Se, se, come vuoi tu...> il campano liquidò la conversazione, riponendo gli acquisti dove di dovere.
<Cosa c'è per pranzo?> domandò Bruno, appoggiandosi allo stipite della cucina e strofinando un occhio, cercando di scrollarsi di dosso il sonno.
<Alla buon ora, cerca di non dormire tutto il giorno o la notte non chiuderai occhio. Oltre che ti comporteresti come qualche sprovveduto in questa casa. Preferirei non veder la tua "terronizzazione".> notò il lombardo, ovviamente scatenando la reazione del meridionale in stanza.
<Ehi! Non c'è nulla di male nel godersi la vita e non avere un palo in culo tutto il tempo!> ribatté Giuseppe <Io mi ucciderei piuttosto che polentizzarmi!>
"Beh, io preferirei non italianizzarmi, ma a furia di stare con voi la mia natura austriaca ne risente!" si lamentò Hans.
<Nessuno sta facendo una metamorfosi. Ero solo stanco e ora c'è anche Hans a tenermi sveglio. Io voglio solo sapere cosa mangio a pranzo.> decretò il biondo, massaggiandosi le tempie.
<C'è il risotto, ancora, e stasera c'è la polenta, così nessuno viene ad uccidermi per il passato di verdure di ieri.> rispose Carlo, tornando al pranzo.
<Cosa ha da rompere il cazzo quello che vive a scrocco lì?> domandò Francesca, indicando la testa dell'ex austriaco.
<Solite frecciatine. Dato che quei due parlavano di terronizzarsi e polentizzarsi, lui si lamentava dell'italianizzazione che stava subendo.> rispose il biondo.
<Chi si crede di essere quello lì?> indagò Mario, ovviamente offeso.
"Meglio di tutti voi italiani da quattro soldi, questo poco ma sicuro! E sicuramente non appartengo a questo Paese!" affermò Hans.
"Magari non appartenessi a quest'universo..." commentò Bruno, per riassumere agli altri: <Si crede austriaco e migliore di tutti noi. È abbastanza fastidioso sentirsi insultare ad ogni momento buono.>
<Allora che lo stronzetto si ricordi una cosa: noi siamo qua, viviamo e siamo riconosciuti. Lui è solo un fantasma formaggino che vive nella tua testa e non otterrà mai quel che vuole.> ghignò Francesca, incrociando le braccia al petto.
"Quando sarò reale vedremo chi sarà vittorioso, svitata!" affermò il secessionista.
<Dato che "parla" solo per provocare, possiamo parlare di altro?> propose il biondo.
<La cosa più emozionante oggi è stata la corsa che ho fatto per prendere io gli ultimi pacchi di lievito e fregarlo a tutte le nonnine nella corsia.> rispose Giuseppe.
<Beh, almeno ti sei mosso. Non ne posso più di avere queste bende e di essere così stanco. Mi sento un incrocio tra una mummia e uno zombie.> commentò a mezza voce il trentino, guardando con un po' di astio una mano bendata.
<Stai guarendo, no?> chiese Mario.
<Certo, certo, e probabilmente questo pomeriggio proverò a fare qualcosa per fermarli senza usare il pugno di ferro. Era una buona idea per Felicia-> ma Bruno non finì di parlare.
Carlo lo interruppe e indagò stupito: <Papi ti ha chiamato?>. Nel mentre il campano fece una smorfia al nomignolo del più alto, quasi facendo sorridere il trentino.
Quest'ultimo annuì e spiegò: <Sì, dopo l'incendio ha pensato fosse ora di chiamarmi perché la situazione è critica... neanche lui può far materialmente molto, non rispondono neanche al suo potere. Son belli convinti in quello che vogliono fare.>
<Gli esaltati lo sono sempre... guarda France'!> ironizzò il laziale, chinandosi, evitando miracolosamente un colpo sul coppino.
<E tu hai un solo neurone che gira in quel cervello.> notò la toscana, per poi ruotare gli occhi.
<Qua quando si mangia?> si lamentò una voce, apparendo all'ingresso vicino al biondo.
<Credo fra cinque minuti, Ale.> rispose l'ex austriaco.
<Come fate ad avere fame ora?> borbottò il campano.
<Come fai a svegliarti ogni giorno alle 9:30 circa?> gli rigirò la domanda il friulano.
<Ok, siamo tutti strani, pace!> decretò Mario, andandosene dalla stanza, ma aggiungendo all'ultimo: <Buona quella torta sacher, comunque! L'abbiamo finita all'istante.>
<Grazie, anche se è un peccato sia già finita, dopo tutto il lavoro per farla.> commentò Roberto. Bruno si girò e vide il fidanzato vicino le scale che sorrideva cortese, per poi osservare l'ammasso di gente all'ingresso in cucina con curiosità.
<C'è un ingorgo e io lo stappo, vino consolami tu finchè qualcuno ci mette secoli a fare un fottuto risotto!> decretò Aleksander, andando verso il frigorifero. Carlo alzò gli occhi al soffitto ma si astenne dal commentare.
Il trio della spesa se ne andò con un normalissimo saluto e il piemontese entrò nella stanza, chiedendo al biondo: <Stai bene?>
<Sì, grazie.> rispose il trentino.
<Che peccato si siano già finiti la torta...> commentò a mezza voce il friulano.
<Mi dispiace, ma non credo di riuscirne a fare un'altra per domani. Ma prometto che in questi giorni farò qualcos'altro.> assicurò l'ex sabaudo.
<Yeeeee, diventerò una palla, ma sarò una palla felice!> decretò Aleksander, alzando il bicchiere pieno come in un brindisi, per poi bere.
•~-~•
<Ti sei rinchiuso in camera questo pomeriggio.> commentò Roberto, abbracciando il fidanzato una volta entrato nella sua stanza.
<Eh, ho trattenuto molto tempo il sindaco di Bolzano per spiegargli un tentativo disperato per frenare i secessionisti. E poi ho dovuto pensare a come mettere giù il discorso.> rispose Bruno sospirando, stringendo il più alto. Affondò la faccia contro la sua spalla e inspirò il suo odore, la tensione sulle spalle che già diminuiva.
L'unica nota positiva del pomeriggio?
Finalmente si era potuto togliere le bende e le braccia non dolevano più così tanto.
<Discorso?> chiese il castano, accarezzando i capelli altrui con cura.
<Sì... sarebbe una sorta di discorso con due versioni, una in italiano e una in tedesco, in cui si proverà a convincerli a smettere. Perché mandarli a fanculo e definirli stronzi egoisti e terroristi non è molto diplomatico, a quanto pare.> asserì il trentino.
<Che acidello che sei. Qua qualcuno ha bisogno di un po' di affetto, mh?> domandò retorico il piemontese, dirigendo entrambi nell'abbraccio verso il letto.
Il biondo si lasciò guidare, stendendosi appena ne ebbe l'occasione e trascinandosi dietro il moroso, che si stese accanto a lui.
<Forse...~> rispose l'ex austriaco con tono di sfida.
Il più alto abbozzò un sorriso divertito e ribatté: <Mi dispiace, ma non agirò finché non avrò un sì chiaro e tondo~.>
<Davvero?> chiese Bruno, recitando la parte del triste.
<Non posso permettermi di dare il mio affetto ad un acidello che non lo vuole. È prezioso.> si difese il castano, ridacchiando alla loro piccola scenetta.
Il biondo sorrise davanti a quell'incantevole vista e non resistette ulteriormente.
<Allora il mio é un sì.> affermò e baciò l'altro, approfondendo.
Roberto chiuse gli occhi, si rilassò, avvolse un braccio attorno la vita del fidanzato e avvicinò i loro corpi. Sospirò in modo quasi impercettibile di piacere quando nel bacio si inserirono le lingue.
Solo quando sentì il proprio peso in modo differente, realizzò di essere stato messo sopra al trentino, reggendosi sulle ginocchia e le braccia.
Ma ovviamente il biondo non l'aveva fatto muovere solo per avere un'altra posizione. Assolutamente no.
Quelle mani così abili a suonare uno strumento a fiato, presero a muoversi lungo il suo corpo.
Prima nei soliti posti, fra i capelli, sul volto, sulla vita e sfiorando i fianchi. Poi osò.
Fece passare una mano lentamente sul petto, ancora da sopra i vestiti, e l'altra lascivamente accarezzava il suo fianco e il lato della coscia.
Il cuore batteva forte, ma non nella trepidazione e non si sentiva su di giri.
Tutt'altro!
Certe memorie provarono a risalire in superficie, ma lui le ricacciò indietro.
No, non era come pensava. Era tutto innocente, era solo lui che esagerava-
E poi accadde.
Bruno infilò una mano sotto la maglietta, accarezzandogli lo stomaco e la zona appena sopra ai pantaloni. Contemporaneamente mosse l'altra mano verso la coscia, tastando la carne lì, arrivando con i polpastrelli fino all'interno coscia.
E lì perse la testa.
L'urlo strozzato in gola non si sentì molto solo perché si stavano ancora baciando quando lo emise. Subito dopo si staccò e si allontanò, sedendosi di peso sul letto.
Roberto strizzò gli occhi, appallottolandosi su se stesso, il respiro irregolare e dondolando un po' avanti e indietro.
Erano lì, erano lì, quelle mani, quelle mani non volute. Lo volevano ghermire, erano addosso a lui, gli volevano strappare tutto. E lo toccavano dappertutto, dovunque potessero vagare.
Nelle orecchie risuonavano commenti e risolini, mentre poteva solo sentire le loro mani addosso.
Scoppiò in un pianto isterico.
Bruno fissò con orrore e confusione la scena. Aveva chiaramente esagerato, le mani erano vagate in luoghi off-limits... ma perché quella reazione? Non poteva essere per il semplice fatto che lui lo stava toccando, doveva esserci qualcos'altro sotto.
E anche se non fosse riuscito a capire questa motivazione nascosta, rimanere immobili non era un'opzione. Ogni secondo che passava era una stilettata al suo cuore.
Il trentino si mise seduto, allungò timidamente una mano e l'appoggiò sulla spalla altrui. Questi scattò con la testa alzata, gli occhi spalancati, le pupille così dilatate da lasciare visibile solo un sottile anello dell'iride, la bocca mezza aperta che immetteva freneticamente aria, il terrore dipinto su tutto il volto.
<No no no! No! No!> ripeté Roberto con tono isterico e spaventato insieme, ritraendo la spalla sfiorata.
<Perché siamo in quella stanza, non siamo ad un ballo! Perché? Perché continuate?! Smettetela, vi prego... n-non lì...> parlò poi velocemente, gli occhi persi a fissare qualcosa visibile solo a lui. Tremò e nascose di nuovo il volto, suppliche che uscivano velocemente e sommessamente dalle sue labbra.
<Roberto, non siamo ad un ballo. Sono io, Bruno, il tuo fidanzato. Siamo in camera mia, non in quella stanza.> provò a rassicurarlo il biondo, la voce lenta e calma.
<No! No! Sento le loro mani, sono dappertutto! Mi vogliono strappare tutto di dosso, non so neanche perché non l'hanno fatto ancora!> ribatté il piemontese senza alzare la testa, i tremolii ancora presenti.
L'ex austriaco si sentì investito dall'orrore e dalla rabbia insieme.
Cosa gli era accaduto? Cosa gli avevano fatto? Chi aveva osato ridurlo in quello stato e poi vivere impunito?
Bruno gli prese le mani avvinghiate alle gambe, le strinse nelle proprie per come poté e ne accarezzò il dorso.
<Nessuno ti vuole strappare qualcosa, non c'è nessuno che ti sta toccando, se non io tenendoti per mano.> asserì il biondo.
Roberto alzò di nuovo la testa, le pupille ancora dilatate nel terrore, il corpo tremante e la testa scossa in diniego.
<Io lo sento! Io le sento!> contestò, stringendo le mani a pugno nella presa altrui. Un'ondata di disgusto lo invase al percepire un tocco prolungato e deciso sull'interno coscia.
<Mi stanno toccando e mi dicono di rilassarmi! Come possono non esserci?! Mettono le mani dove non devono, io non le voglio lì!> aggiunse fra i singhiozzi.
Il biondo lo guardò con la morte nel cuore e lo stomaco pesante 10 chili in più. Pensava di aver visto il fidanzato al suo peggio. A quanto pareva, non aveva visto un cazzo.
<Roberto, guardami bene. Guardati. Vedi delle mani addosso a te dove non vuoi? C'è qualcuno che ti parla, oltre me?> lo incalzò il trentino, sperando di aver detto le parole giuste.
Il castano sbatté lentamente le palpebre e abbassò lo sguardo, fissandosi le ginocchia, per poi allungare la testa lateralmente, fissandosi i fianchi. Osservò poi le sue mani unite con il più giovane e alzò lo sguardo agli occhi altrui.
<No... ci sei solo tu. E io.> rispose in un sussurro l'ex sabaudo.
<Esattamente. Brazedèl, torna in te, per favore. Non siamo ad un ballo. Ti prego, guardati intorno.> lo supplicò Bruno.
Roberto fece vagare lo sguardo per la stanza, il respiro che lentamente si regolarizzava. Le pupille tornarono a dimensioni normali, ma gli occhi divennero più lucidi. Nascose il volto fra le mani e pianse, ripetendo fra i singhiozzi le sue scuse.
Il biondo puntellò le ginocchia sul materasso, si sporse e lo abbracciò. Gli accarezzò i capelli e nel mentre tentò di calmarlo, ripetendo cose sulle linee di: <Shhhhh, sfogati pure... shhhhh, è tutto passato.>
Dopo vari minuti finalmente il castano riuscì a calmarsi e strinse il fidanzato, anche se ancora tirava su col naso.
Il trentino fece stendere entrambi, abbracciati e coricati su un fianco, silenziosi. Il più giovane osservò il moroso che teneva gli occhi chiusi, totalmente sveglio ma ancora troppo stremato per sostenere lo sguardo altrui.
<Scusami... non ho chiesto se andasse bene a te.> sussurrò l'ex austriaco.
<Non lo potevi sapere... di questa cosa sa solo Rita... e perché l'ha scoperto lei. Questo è uno dei maggiori motivi per cui temo l'amore. Per colpa sua ho fatto cose... che mi disgustano e mi perseguitano, come questa.> rispose il piemontese. Si irrigidì mentre parlava, una lacrima solitaria che gli scese lungo la guancia, in diagonale.
Il biondo spostò un attimo la mano dai capelli altrui alla guancia, asciugandogli la traccia lasciata dalla lacrima.
<Ne vuoi parlare? Se non te la senti, non ti costringo.> chiese Bruno.
L'ex sabaudo trasse un lungo sospiro, alzò le palpebre e fissò l'altro, gli occhi marroni che parevano contenere così tanta tristezza.
<Va bene, te ne voglio parlare, meriti di sapere, anche per non commettere lo stesso errore. Ma... ti prego, non fermarmi nel raccontare.> asserì Roberto.
<Certo.> consentì subito il biondo.
<Una piccola cosa; non mi chiamavo Roberto al tempo, bensì Jacques François. Quindi mentre parlerò, quando cito quel nome, mi riferisco al sottoscritto.> precisò il castano.
•~-~•
Era sera ed era stato indetto un ballo nella reggia dei Savoia. I preparativi erano quasi finiti e il sabaudo stava sorvegliando gli ultimi ritocchi.
La duchessa, la sua capa, gli si avvicinò e richiamò la sua attenzione.
<Jacques François, ti devo parlare un attimo.> impose la donna.
La regione si girò verso di ella, fece il solito inchino e rispose cortesemente: <Sono a sua totale disposizione.>
<Bene, una cosa veloce. Questa sera sarà presente una contessa della Provenza molto importante e il quale marito ha una certa influenza in Francia. Se riusciamo ad ingraziarcela, potremmo estendere la nostra influenza in un Paese così potente ed essere protetti da esso. È un'occasione unica abbia accettato, quindi non dobbiamo sprecarla. Ti ho presentato nella lettera di invito come cugino della famiglia e uno dei più alti comandanti del nostro esercito e ti ho proposto come un possibile intrattenitore durante questa occasione in cui non ha altre conoscenze, dato che il marito non ci sarà, e tu puoi fare da intermediario. Lei ne era entusiasta, quindi devi essere al meglio di sempre e fare tutto quello che ti dice lei. Chiaro?> spiegò la sua capa.
Jacques annuì all'istante, rispondendo: <Certamente, come desidera.>
La duchessa gli concesse un piccolo sorriso e un complimento: <Bravo, darai valore al nostro Ducato. Ora devo andare.>
<Allora arrivederci, mia signora.> la salutò il sabaudo, inchinandosi ancora e con il cuore pieno d'orgoglio al piccolo gesto.
La sera arrivò in fretta e con essa gli ospiti.
Quando arrivò l'importante contessa della Provenza la sua capa lo fece cercare e portare dalla signora, a cui fece educatamente il bacia mano.
La donna già anziana non diede molto responso, anche se lo stava attentamente osservando, quindi il sabaudo domandò (ovviamente in francese): <Mi concedereste un ballo? Ve ne sarei onorato.>
La contessa finalmente sorrise e annuì, commentando: <Volentieri. Potremmo anche conoscerci meglio nel mentre.>
<Certamente.> affermò il castano, prendendola per mano e portandola fino allo spazio in cui si danzava, preparandosi psicologicamente alla lunga serata.
Ovviamente le chiacchiere della donna erano frivole, come quelle di tutti in quella stanza. Le presentò altri ospiti illustri e, silenziosamente, riuscì a tenere lontano da sé Marie quando si avvicinò. La vide sedersi su una sedia e sospirare, fissando la sala assente.
La serata sembrava infinita, finché la contessa non gli propose: <Prima che lei arrivasse, la duchessa mi ha descritto una stanza vicino a questa sala come un piccolo gioiello e sono curiosa. Potremmo vederla?>
<Se voi desiderate allontanarvi qualche minuto dal ballo, vi mostrerei con piacere quella stanza. Viene utilizzata come luogo in cui i duchi ricevono i parenti e conversano privatamente, piuttosto che discutere nella più formale sala delle riunioni. Personalmente, la trovo più affascinante.> illustrò Jacques.
<Sicuramente sarà così, allora.> notò la contessa, facendosi condurre in quell'altra stanza, rischiarata dalla luce lunare che entrava dalle finestre.
<Purtroppo nella penombra perde molta bellezza.> commentò il sabaudo, già pronto a cercare fiammiferi con cui accendere le candele.
<Oh, anche così si vede che è di gusto raffinato. È possibile sedersi sul divanetto?> domandò la donna.
<Certamente.> rispose lui, conducendola al divanetto e sedendosi anche lui, con un minimo di distanza per rispetto e indole personale.
<È di vostro gradimento?> chiese Jacques cortese.
La contessa si avvicinò all'altro e, mentre appoggiava una mano sulla sua gamba, rispose: <Certo, specialmente in sua compagnia.>
Il cuore della regione schizzò in gola al contatto troppo intimo e veloce, ma non diede segno di disagio. Forse era lui che esagerava, probabilmente era solo una donna propensa al contatto dopo qualche chiacchiera.
<Ne sono onorato.> commentò il ragazzo con la voce più ferma che avesse.
Quell'infida mano prese a salire per la sua coscia, le dita rugose e ingioiellate che arrivarono vicino al suo inguine. Jacques si sentì morire a quel contatto, il cuore che batteva impazzito, lo stomaco pronto a rivoltarsi e il corpo sul punto di tremare.
No, no, stava fraintendendo, non poteva essere come pensava!
La contessa lo guardò dritto negli occhi, un sorriso più largo e decisamente più inquietante di prima sul suo volto. Raccontò: <Tristemente, non capita tutti i giorni di avere come compagno ad un ballo un così ben educato e importante giovane, nel fiore dei suoi anni.>
La mano ruvida tastò e strinse per qualche secondo la morbida carne della coscia in alto e di una parte dell'interno coscia. L'altra mano si arpionò al suo petto, scendendo velocemente e provando ad intrufolarsi sotto la sua camicia.
Jacques era congelato nel terrore.
Cosa stava provando a fare? E perché il suo corpo non reagiva?!
<E mi ricorda quanto ormai quel tempo per me sia passato. Ma forse, con un così bel giovane a riscaldare questa serata, potrei tornare a quei gioiosi tempi. Le va?> suggerì lei.
La sua mano andò totalmente in mezzo alle sue gambe, distante effimeri millimetri dalle sue parti intime. Lì la paura lo risvegliò con una secchiata gelida.
La scostò di peso, scattò in piedi con gli occhi spalancati e corse via, terrorizzato da quello che stava per accadere. Corse lontano dalla sala, uscendo nei giardini per evitare qualsiasi persona. Si fermò solo quando i suoi polmoni non ressero più e si ritrovò fra alti cespugli fioriti e statue di impronta rinascimentale.
Il tocco di quelle mani era ancora addosso a lui e quelle parole gli suonarono nella testa più e più volte.
Quella donna voleva davvero...?
Dallo stress e dal disgusto si chinò e vomitò quel poco che aveva nello stomaco.
Tornò dentro il palazzo solo molte ore più tardi, una volta calmatosi, per metà tragitto usufruendo dei passaggi segreti a lui conosciuti.
La mattina dopo, una volta svegliato e cambiato, l'orrore del giorno prima ancora addosso, la duchessa entrò come una furia nelle sue stanze e lo accusò fra urla.
<Cosa ho fatto, mia signora?> domandò Jacques, non avendo capito le parole dell'altra.
<Ieri sera, con la contessa della Provenza! È famosa per adorare gli amanti molto più giovani di lei e io ti avevo ordinato di fare tutto quello che voleva! Vi rientrava anche questo! Si è venuta a lamentare da noi e potrebbe convincere i francesi a dichiararci guerra! Per fortuna l'ho pregata di non andarsene ed è nella migliore stanza per gli ospiti. Va' da lei e fa tutto quello che ti chiede, Jacques François!> affermò con rabbia la capa.
<Ma, signora, io non posso...> ribatté debolmente il sabaudo.
<Cosa non puoi? Essere l'amante per un'ora neanche di una vecchia contessa? Andiamo, sei un uomo, questo ti dovrebbe venire naturale, anche se capisco non sia una prima bellezza! Inoltre sei disposto ad uccidere per le tue terre, no? Perché non dovresti essere disposto a fare qualcosa di così istintivo in voi uomini? Va' e cerca di sistemare la situazione che hai rovinato!> impose la donna.
La regione abbassò la testa. No, non era vero. Non era istintivo. Non voleva essere toccato e sicuramente non voleva andare oltre! Ma non poteva deludere i suoi capi, non poteva sopportare il loro odio. Inoltre lo doveva fare per il loro bene, li amava e avrebbe fatto di tutto per loro.
Tutto, anche annichilire la sua volontà.
<Vado subito.> acconsentì il sabaudo e si diresse verso le stanze della donna.
Volle temporeggiare, ma la paura per il benessere dei suoi territori e il bisogno di approvazione dai suoi capi lo incoraggiarono a bussare alla porta.
<Chi è?> domandò la voce della contessa.
<Sono Jacques François, contessa. Mi desiderate vedere ora o vi ho disturbate?> rispose il sabaudo, la voce più ferma che poté.
<Oh, entri pure.> rispose la donna, un tono fin troppo allegro.
La regione si fece coraggio ed entrò, osservando la donna seduta sul pregiato letto a baldacchino, la schiena sorretta da una moltitudine di cuscini.
<Vi chiedo perdono, non mi sarei dovuto ritirare al vostro tocco ieri sera.> si scusò il castano, inchinandosi.
<Suppongo che sia inesperto, nevvero? Quella pareva decisamente timidezza di un vergine.> commentò la donna, guardandolo con una strana luce negli occhi.
Jacques abbassò la testa e ammise: <Avete ragione, contessa. Non ho mai avuto delle amanti.>
<Dalla mia esperienza, i così giovani non portano mai molta soddisfazione da qualcosa di più.> borbottò la donna, mettendosi più dritta contro i cuscini.
<Perciò, Jacques, se vuole che io sia sua amica piuttosto che nemica, si sieda qua e lasci fare tutto a me. È un fiore all'occhiello in questa corte, un giovane dalla bellezza insolita. Insomma, uno spreco da lasciar andare senza neanche deliziarmi in parte.> propose l'umana, picchiettando leggermente il posto accanto a lei.
<Promesso?> sussurrò Jacques, la voce morta in gola.
Voleva proseguire quello che aveva fatto la sera prima? Andare oltre? Cosa le passava in mente?
Si sentiva già pronto a vomitare la colazione da poco fatta, la gola secca e il cuore rimbombante nelle orecchie.
<Certamente. Ma scelga in fretta, non sono paziente ora.> minacciò la donna.
Il sabaudo era come accerchiato. Era rivoltante l'idea di quell'umana, ma non poteva condannare le sue terre in quel modo.
E i Savoia l'avrebbero perfino abbandonato, sicuramente! Non poteva perderli!
Con la morte nel petto, si sedette sul letto accanto la contessa, il cui sorriso pareva il ghigno di un cacciatore pronto a ghermire la sua preda.
Chiuse gli occhi e la lasciò fare.
I successivi minuti furono eterni, umilianti, incancellabili e pieni di disgusto. Percepiva le sue dita stringere la pelle morbida della coscia e tracciare parte dell'inguine con un polpastrello. Ma era anche sul suo petto, tastando il ventre nudo con la mano intrufolata sotto i vestiti, poi risalendo, saggiandogli il petto con cura.
Il tutto accompagnato da commenti e viscidi complimenti che solamente incoraggiavano le budella di Jacques a contorcersi.
Ad un certo punto, tutto finì.
<È una vera delizia. Continuerei, anche se ho già provato tutto quello che volevo. Purtroppo, devo partire per la Provenza in giornata.> commentò la contessa, liquidandolo così.
La regione si alzò infermo sulle gambe. La fissò e chiese: <Sono... stato di vostro gradimento?>
<Sì.> affermò la donna, il sorriso inquietante che risplendeva <Posso sicuramente mettere una buona parola sul Ducato di Savoia. Ora può andare.>
<Buona giornata.> "augurò" il sabaudo, inchinandosi e infine uscendo dalla stanza.
Il disgusto e la nausea lo investirono.
Corse verso le proprie stanze, al proprio bagno, dove rigettò fino a trovarsi con la gola bruciante e la vista sfocata. E non riusciva a non smettere di sentire le sue mani addosso e la sua voce nelle sue orecchie.
Se le tappò e iniziò a pregare Dio affinché lo liberasse da quel male, ma senza successo.
Ordinò di farsi preparare un altro bagno e di essere lasciato solo. Passò tutta la mattinata a strofinare il tronco e le cosce, fino a scorticare e rendere rossa la pelle. Ad un certo punto l'acqua divenne pure rosata, risultato del sangue che zampillava dalle zone scorticate. Eppure, ancora non riusciva a togliersi di dosso le sue mani.
E quello fu solo l'inizio.
Da allora la duchessa (e quelle successive) lo fece ritrovare in condizioni simili con altre donne anziane, potenti e con i loro desideri carnali, per cui a quanto pareva lui era abbastanza da soddisfarle.
Con una scusa, loro gli chiedevano di andare nella stanzetta vicino la sala, si sedevano sul divano e Jacques lasciava carta bianca alla donna di turno. Ella lo toccava con più o meno passione, con più o meno cura, dappertutto o in pochi precisi punti.
I commenti si sprecavano, tutti relativi ad un ipotetico rapporto. I più frequenti riguardavano il desiderio di graffiargli la schiena, di tirargli violentemente i capelli per stimolarlo ad andare più veloce, al stringere e mordere la sua morbida pelle e simili pensieri.
E lui subiva in silenzio, sperando ogni volta tutto finisse in fretta e che quella fosse l'ultima occasione.
Ma non era mai l'ultima volta.
Ogni due balli per tre, i suoi capi trovavano una donna che doveva intrattenere in quel modo. E lui era obbligato a seguire i loro ordini. Tutto era fatto in nome del bene superiore, affinché la situazione nei suoi territori fosse ottimale. E anche perché, ogni volta che qualche progetto o diplomazia andava in porto, i capi si complimentassero con lui, anche solo per qualche secondo.
Questo però non gli impediva di odiarsi ogni volta che capitava, osservarsi e trovarsi ripugnante.
Vomitava dopo quegli incontri per il ribrezzo che si provocava e sfregava e sfregava e sfregava la pelle dove veniva toccato per purificarsi e togliersi la sensazione del loro tocco. Ma falliva ogni volta, le loro mani erano sempre lì.
Tutto finì quando Rita lo scoprì una volta sotto il Regno di Sardegna, ma da poco tempo.
L'aveva tenuto d'occhio e seguito, aspettando un po' prima di entrare, per infine essere vinta dalla curiosità. Ella si era raggelata e aveva urlato dall'orrore al vedere il sabaudo ad occhi chiusi, il volto più impassibile di una pietra, mentre si lasciava toccare da quell'umana dovunque ella volesse.
L'afferrò e l'allontanò dal fratello-sposo, sbraitandole contro fosse un mostro. Ci era mancato poco scatenasse la sua magia per farla soffrire tremendamente.
Solo le condizioni di Jacques glielo avevano impedito, preferendo occuparsi di lui e lasciando scappare l'umana, terrorizzata. In qualche modo la pericolosa aura magica dell'isolana aveva scosso anche la marchesa.
Rita se la vide successivamente con i Savoia e fu così convincente e minacciosa che i regnanti non poterono usare la loro solita superbia. La sarda era anziana e potente e forse avrebbe potuto distruggerli con uno schiocco di dita se solo l'avesse voluto abbastanza. Non potevano permettersi di morire, né una ribellione in Sardegna.
E così quegli incontri finirono.
Ma da allora lui ebbe terrore di quella piccola stanza adiacente a quella da ballo.
Gli incubi riguardo quelle sere lo attanagliarono e tornarono a infestare i suoi sogni quasi periodicamente, senza mai essere davvero finiti.
Il disgusto mai se ne andò e solo accrebbe il suo sentirsi una bambola manipolabile dagli altri.
Le cicatrici date dai ricordi erano fresche, la sensazione delle loro mani e le loro parole vivide come quando erano accadute.
La paura del tocco era solo aumenta.
E lui ne era uscito distrutto.
N/A: allora...
Qua c'è l'angolino per gli insulti finale.
I Savoia sono stati dei bastardi su tutta la linea con Roberto.
Quindi, sì, ecco qua uno dei traumi più grandi del povero Roby.
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