11. Occhio non vede, cuore duole comunque
N/A: capitolo extra lungo per la vostra gioia, suppongo.
Diciamo che però farò leggermente smadonnare, perché ovviamente Roberto è davvero furbo solo quando fa comodo a me e non a voi.
Inoltre, con questo posso andare al secondo documento Google che ho riservato a questa storia, perché il documento che stavo usando aveva già raggiunto le 100 pagine e stava diventando lentino.
Sì, 100, avete letto bene. Neanche avessi usato un font grande.
Per vostra informazione ho scritto 5 fogli Google con 100 pagine ciascuno circa e un sesto fino a 40/50 pagine.
Ce n'è di materiale, gente.
E dovete capire quanta cazzo di dedizione c'è dietro questa storia.
Probabilmente se la pubblicassi ci verrebbe fuori un libro degno di essere chiamato tale per il numero di caratteri e pagine!
Ma basta sproloqui miei, andiamo.
Resistette all'impulso di abbandonare tutto e correre via, lontano da lui e da quella casa.
Lui... amava Bruno Vargas.
Come aveva fatto a non accorgersene prima?!
"No no no, sto solo mal interpretando quel che provo! É questa situazione incasinata che mi fa pensare di amarlo! Io gli voglio solo bene come un fratello!" si disse Roberto, provando ad alzarsi e lasciare a qualcun altro il compito di farlo stendere da qualche parte di più comodo.
Mentre provava a muoversi, due (non fece caso a chi, era troppo preso dalla propria mente) lo sollevarono e lo trasportarono in soggiorno, suppose.
Ma il suo pensiero non lo convinse, si confutò subito dopo, ricordandosi come quei sentimenti esistessero già prima di quella situazione. Il malessere di Bruno li aveva solo amplificati.
Strinse a pugno le mani sudate.
Non riusciva ad introdurre ossigeno e le pareti si stavano chiudendo attorno a lui, pronte a crollargli addosso o a inglobarlo. Il pavimento ancora ondeggiava.
Doveva fuggire di lì.
Senza dire nulla, in maglia di Gardaland, felpa sbiadita della Juventus, pantaloni di tuta, ciabatte da nonna e calzini con stampe stupide di H&M, il piemontese uscì dalla porta di casa e praticamente corse dritto spedito fino al muretto che delimitava la casa, scavalcandolo e continuando per la sua direzione, costeggiando la piccola strada battuta dalla loro auto, da quella del vicino e dall'occasionale mezzo del corriere.
Quando si girò indietro, notando la casa fosse nel suo orizzonte e nessuno lo stesse seguendo, si fermò. Con respiro tremolante, si portò una mano ai capelli, passandola in mezzo ad essi ripetutamente per calmarsi.
Stava tremando dalla testa ai piedi.
Gli occhi pizzicavano e, nonostante ora riuscisse a respirare tutta l'aria che desiderasse, ancora quel senso di oppressione non si era levato.
Era la paura.
Quella sua fottuta paura dell'amore.
L'amore possedeva varie forme e lui non aveva veramente conosciuto quel tipo di amore romantico.
Eppure si avvicinava pericolosamente a quello provato per i Savoia e Francia.
A dividere quei tre amori c'era una linea sottile, quasi invisibile.
Ne fu terrorizzato. Aveva lasciato le difese basse e le sue emozioni si erano prese gioco di lui in quel modo, facendolo innamorare.
Gli venne voglia di urlare, in preda alla rabbia, e di distruggere tutto ciò attorno a lui.
Perché? Perché quei sentimenti?! Perché non poteva semplicemente provare fraternità e simpatia per Bruno?
Lui non voleva amare!
Amare significava perdere la propria libertà.
Amare era essere schiavo dell'altro; voler realizzare qualsiasi suo desiderio pur di ricevere lodi o realizzare la felicità altrui, che diventava più importante della propria.
Amare era dolore, perché più casistiche potevano renderti triste, anche indirettamente.
Amare eguagliava a mostrare all'altro tutti i punti per venire ferito.
Amare ti investiva in qualsiasi senso, amplificando le emozioni e sballottandoti di qua e di là, senza meta.
Lui odiava amare.
<Dio, Dio, Dio! Cazzo! Porca puttana!> imprecò Roberto, calciando la terra, sollevando piccole nuvole di polvere che ricaddero inerti a terra.
Batté il tallone ripetutamente dalla frustrazione, gli occhi lucidi per il medesimo motivo. Sfregò la manica della felpa contro il volto, impedendo a qualsiasi lacrimuccia di sfuggirgli.
Riprese a camminare a passo sostenuto, seguendo la strada.
<Perché mi sono innamorato? Non potevo rimanere felice e tranquillo, amico con Bruno, senza questo sentimento di merda in mezzo ai piedi?!> domandò il piemontese, alzando lo sguardo al cielo, sperando in una qualche risposta.
<Io non voglio amarlo. Mi farò male e basta. Amare significa soffrire e pensare ci sia anche una buona motivazione per continuare a farsi uccidere giorno dopo giorno.> affermò, ficcando le mani in tasca, tornando con la memoria ai giorni in cui era un Ducato o un Regno.
Nonostante sapesse avrebbe dovuto odiare tutta la famiglia dei Savoia e Francia... non ce la faceva fino in fondo. Aveva nostalgia di quel tempo in cui si sentiva considerato. Anche se per chi aveva intorno era solo un pupazzetto, mentre loro per lui valevano più della sua vita.
<Amare non è per deboli, né per stupidi. Non si sceglie chi amare, capita e basta. Ma scegliere di continuare ad amare, abbandonarsi all'amore... oh, quello è da masochisti. Masochisti senza speranza.> continuò il discorso, ricordandosi però della relazione di Rita.
<Beh, cioè... nel mio caso è così. Se gli altri non vengono feriti, impossibile, o più semplicemente vogliono ignorare la maggioranza dei dolori, che facciano come vogliono. Io non desidero soffrire. Ho già abbastanza cicatrici.> si difese, sentendosi in dovere di non definire la sorella una masochista.
Avrà avuto le sue ragioni per amare quella regione, ma le ignorava e sicuramente non avrebbe mai potuto comprenderle.
<Nel mio caso poi, cazzo, siamo pure fratelli! Se lo capisse, chissà come reagirebbe! Sarei solo un malato per lui e non lo sopporterei!> suppose Roberto, fermandosi.
La sua mente gli tirò un colpo meschino. Davanti agli occhi immaginò il volto di Bruno contratto nel disprezzo più puro, sibilandogli contro come lo disgustasse con il suo amore malato quanto lui.
Solo così, il cuore accusò un severo colpo e gli occhi pizzicarono fastidiosamente.
Proseguendo di nuovo avanti, evidenziò: <Come sospettavo, fa troppo male. Sono perso, sono destinato a soffrire ancora una volta per un amore. In un modo o nell'altro. O verrò scoperto o... Bruno intuirà qualcosa... e mi userà. Sono sempre stato un bravo pupazzetto.>
Represse ricordi che si arrampicavano sulla sua schiena.
<Anche se pare sempre così bravo, come se non volesse mai ferirmi... So che andrebbe così. Finisce sempre così. Io sono questo! Una minchia di bambola e con l'amore divento solo una bambola più disperata e malleabile!> quasi urlò alla fine.
<L'unica mia possibilità... é evitarlo. Occhio non vede, cuore non duole. Ad un certo punto sarà così. Smetterò di amarlo e potremo tornare ad essere fratelli come all'inizio.> ragionò Roberto.
Sorrise leggermente, sentendosi un genio.
<Sì, sì, ci sta!> si concesse, girando sui tacchi e tornando verso casa, i passi molto più pieni di vita di prima.
<Basterà essere un po' freddo ed evitare il contatto e il dialogo con lui il più possibile. Sono sicuro che in fretta questi orribili sentimenti se ne andranno.> decretò, togliendo le mani dalle tasche e gesticolando leggermente.
<Non se la prenderà, no? Ha anche altri amici e confidenti in casa. Specialmente con la compagnia di Anna dubito sentirà la mia mancanza. Fra me e lei è sicuramente più brava lei, ovviamente.> notò, il tono privato di forza e vitalità.
Perché il suo stomaco si contorceva in quel modo?!
<E Bruno assolutamente dice quelle cose solo per gentilezza, non le può pensare davvero. Non sono così importante per lui, è stupido mettermi su un piedistallo.> aggiunse, incassando la testa fra le spalle. Non era degno della stima altrui, era un dato di fatto e ne era conscio.
Scosse la testa.
No, non era il momento per deprimersi!
Avrebbe dato solo carburante e carte all'amore da usare contro di lui.
<In fretta tutto questo sparirà, lo so. Sarà facile. Non è la prima volta che provo ad uccidere questi sentimenti, anche se non si erano radicati per chissà quanto tempo senza che me ne accorgessi.> asserì, cercando di darsi fiducia.
<Sono passato dal semplice affetto all'amore con lui in un modo tale che non me ne sono accorto. Ora almeno so perché non mi piaceva il titolo "migliore amico". Il mio inconscio già era stato onesto con se stesso, mancava il mio conscio.> onestamente commentò, sorridendo tristemente alla fine.
Era proprio uno stupido con i sentimenti, eh?
<Forza Roberto, amare ci fa stare male. Ci sbarazzeremo di questi sentimenti et voilà, tutto a posto.> si incoraggiò, ormai arrivato nei pressi di casa.
Scavalcò il muretto e andò verso la porta d'ingresso, sicuro del suo piano.
Non era conscio di cosa gli aveva conquistato il cuore e stregato la mente.
Più tardi, Bruno si risvegliò con la testa pesante, ma non più pulsante. Inoltre, i polmoni non parevano pronti a catapultarsi fuori dal suo petto senza passare per il via. Suppose fosse un buon inizio.
Aprì piano gli occhi, lamentandosi in un mugugno per la luce che lo investì fastidiosamente.
<Bruno? Sei sveglio?!> chiese una familiare voce e presto sentì una mano ed un braccio aiutarlo a mettersi seduto. Finalmente la luce smise di accecarlo. Sbatté le palpebre e mise a fuoco l'ambiente, registrando Anna accanto a sé, che lo osservava attentamente.
<Dubito questo sia l'Inferno, quindi sì, sono sveglio.> commentò il trentino, sbadigliando. Per educazione si mise all'istante la mano davanti la bocca.
<Stai male?> domandò la romagnola.
<Sono un po' intontito, ma per il resto sto bene.> affermò il biondo.
<Sicuro?> domandò la ragazza e l'altro annuì.
La porta della cucina si aprì e ne uscirono le regioni del meridione, chi più insonnolito chi meno.
<Oh, sei finalmente sveglio.> notò Giovanna, occhieggiando le due regioni settentrionali in soggiorno. I fratelli volsero lo sguardo e le dovettero dare mentalmente ragione.
<Ehi, stai bene? Prima ci hai fatto venire un colpo!> commentò Giuseppe.
<Cosa ho fatto mentre non ero in controllo?> domandò il biondo, ora spaventato delle azioni compiute in sua assenza da Hans.
<No, non quando c'era quel pazzo in controllo. Quando hai iniziato a tossire e sembravi pronto a morire sul pavimento dell'ingresso di casa.> rispose Carmela.
<Oh... non so cosa sia successo. Ero appena riuscito a riprendermi il controllo del corpo, credo... e mi sono sentito subito soffocare e... tutto il resto.> ammise il trentino.
<Sì, non avevi una bella cera, ma poi al TG hanno detto il perché e la tua reazione l'abbiamo reputata naturale. Mi dispiace.> commentò Michele.
<A quanto pare dei secessionisti hanno fatto una sorta di raid nel centro di Trento, danneggiando alcuni edifici e ferendo dei civili.> riportò Vincenzo, notando la faccia perplessa del biondo.
Questi spalancò gli occhi e fissò le proprie gambe, portandosi le mani alle tempie, percependo il dolore e l'ansia dei suoi cittadini.
<Anche se non è riuscito a fare come voleva, l'ha vinta lui comunque. Sto crollando.> affermò Bruno, sentendosi sull'orlo di crollare. Voleva solo piangere, rintanato in un angolino.
Anna lo abbracciò forte e ribatté: <No, non stai crollando. Questo è solo un brutto periodo che passerà. Potrebbero anche essere degli esaltati che hanno approfittato della situazione, dato che i colpevoli non sono stati ancora identificati.>
<Io non ce la faccio più... ora che so che non posso abbassare la guardia neppure con me stesso! A quanto pare Hans può controllare il mio corpo se arriva nel posto giusto!> asserì il trentino, il tono quasi isterico a malapena contenuto.
<Appunto, se ci arriva. Ora dovrebbe essere di nuovo nella solita zona della tua testa. Sofia ha sciolto quell'incantesimo che aveva fatto.> puntualizzò il calabrese.
<E ti chiede scusa per aver complicato la situazione.> aggiunse la romagnola.
<Non era colpa sua, nessuno poteva sapere sarebbe andata a finire così.> concesse il biondo.
<Beh, ti ha detto culo che quel pazzo ha incrociato Roberto, il quale non è stato cretino.> commentò Carmela.
<So che l'ha incrociato, anche se ero nella mia testa... potevo vedere. Però a quel punto avevo trovato una sorta di uscita da quello spazio e speravo mi potesse portare da qualche parte di buono. Non so cosa è successo dopo.> raccontò Bruno dal proprio punto di vista.
<A quanto pare Roberto aveva notato qualcosa che non andasse ed è riuscito a fargli ammettere cose errate o comunque non da te, avendo così le prove fosse Hans, in qualche modo, e non te.> illustrò Giovanna.
<E poi l'ha sbattuto al muro, sembrava la scena di un poliziesco.> commentò Giuseppe.
<Aspetta... mi ha tirato indietro le braccia o comunque me le ha messe in una posizione strana?> ebbe un'epifania il trentino.
<Sì, perché? Hai sentito dolore da dentro la testa?> indagò Michele.
<Già... stavo cercando di accedere ad una specie di sala e hanno iniziato a farmi male le spalle e le braccia.> raccontò il biondo.
<Ma cosa è successo dentro la tua testa?> chiese, curiosa, Giovanna.
L'ex austriaco riassunse brevemente quando si ritrovò nella sua mente, il piano di Hans, la sua corsa in quello strano spazio nero, lo sfondamento della porta, la sua entrata in quella stanza piena di luce e la riacquisizione del controllo del proprio corpo.
<Ha dell'incredibile, tutto ciò.> commentò Giuseppe, grattandosi distrattamente la nuca.
Bruno chiuse gli occhi, annuendo. Poi chiese: <Che ore sono? Quanto sono rimasto incosciente?>
<Oh, sono quasi le 15:00.> rispose Vincenzo, controllando l'orologio al polso.
Il trentino spalancò gli occhi, sorpreso. Aveva dormito della grossa per qualche ora.
<Hai fame?> chiese Anna.
<Un po'.> ammise il biondo a mezza voce, non guardando la sorella in volto.
<Ehi, non c'è niente da vergognarsi nell'avere fame!> affermò Giuseppe.
<Non voglio essere un peso, appena mi sentirò un po' più in forze mi alzerò e mi cucinerò qualcosa.> ribatté seriamente l'ex austriaco.
<Senti, un peso è tipo lui, caga il cazzo senza alcuna giustificazione.> spiegò Carmela, indicando Michele <Tu sei incasinato, ma né hai scelto tu ciò, né lo usi come scusa. Al contrario, nascondi tutto e rendi molto più difficile farti aiutare!>
<Avete anche i vostri problemi a cui pensare, mica solo i miei.> le andò contro il biondo.
<Accetta dell'aiuto quando te lo danno, Bruno. Non c'è nulla di vergognoso nel realizzare di non essere invincibili.> suggerì la siciliana, il tono calmo come quello di una madre.
Anna lo prese per un braccio e lo aiutò a sollevarsi.
<Quindi ora andiamo in cucina e ti faccio qualcosa da mangiare!> decretò la romagnola, raggiante come sempre.
<Cucinavo da solo-> borbottò Bruno.
<Se ti faccio un po' di polenta ti ammutolisci e mi lasci fare questo favore?> chiese retorica la settentrionale.
Alcuni meridionali, per scherzo e vezzo, fecero alcune facce di disgusto al nominare quel povero piatto a base di mais.
Il trentino li ignorò bonariamente e ribatté: <No, avevo voglia di mangiare polenta questa sera.>
<Capiti a fagiolo, Giorgio voleva cucinarla. Con un po' di fortuna, riesci a fartene fare un po' anche per te.> ricordò Anna, facendo sedere l'amico su una sedia.
<Quindi che vuoi mangiare?> chiese ella.
<Boh, della pasta va bene.> rispose lui.
<Io devo ancora capire come fa a piacervi una cosa insipida come la polenta.> decretò Giuseppe, che nella noia aveva deciso di intascarsi qualche biscotto.
<Non è insipida. Ed è un piatto povero, non può essere questa raffinatezza. Eppure è buono, specialmente se ha come contorno qualcosa. Un po' come i canederli.> notò il biondo.
<Sono una cosa crucca o tutta tua?> domandò Carmela.
<Sia tedesca, sia ceca, sia polacca, sia ungherese... è del Centro e dell'Est Europa. Ne esistono varie versioni. Da me è diffusa quella che ha come base il pane imbevuto di latte, unito con uova, pezzi di formaggio, prezzemolo, farina e speck.> illustrò Bruno.
<Delle polpette povere.> decretò Giovanna.
Il trentino si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito e commentò: <Stessa definizione che mi ha detto Carlo la prima volta che mi ha visto mangiarle e ha chiesto che fossero. Ma i canederli sono buoni, anche se forse l'aspetto non è il più esteticamente piacevole.>
<Tagliatemi la lingua, non posso aver detto la stessa cosa di quello lì.> asserì Giovanna, recitando giusto un po' e scatenando l'ilarità della maggioranza delle regioni in cucina.
Pranzò piacevolmente e dopo Bruno pensava sarebbe andato tutto in discesa.
Almeno nelle relazioni con gli altri. Non parevano avercela con lui né ne erano spaventati. Riconoscevano non fosse colpa sua e che lui non potesse farci niente.
Un fatto sorprendente fu la scusa personale che gli fece Sofia, in privato, quel pomeriggio. Gli scaldò in un certo senso il cuore. L'occhialuta era quasi sempre analitica o cinica, l'unica che poteva un po' allentare la sua rigidità era la gemella. Vederla vulnerabile in quel modo, ammettendo un errore e sentendosi in colpa per i disagi causatogli, gli fece pensare che, infondo, in quella casa ci tenessero anche a lui.
Eppure qualcosa dovette andare storto.
La vita come non poteva rovinargli all'improvviso quello che più custodiva e proteggeva con cura?
La dolorosa rivelazione lo colpì quella sera, in cucina.
Era andato lì perché voleva prendersi una birra e casualità volle che in cucina vi fosse anche Roberto, il quale si stava versando un semplice bicchiere d'acqua.
Il trentino fu contento di vederlo.
Non era venuto in soggiorno tutto il pomeriggio e quindi non aveva ancora avuto occasione di ringraziarlo.
Era per merito suo, alla fine dei conti, se Hans non si era neanche potuto allontanare da casa e provare a creare situazioni spinose. E gli aveva evitato di nascondere per vergogna anche quell'avvenimento (era certo avrebbe agito così, si conosceva).
<Ciao.> salutò Bruno, cercando di intavolare una conversazione.
<Ciao.> rispose Roberto, senza neanche guardarlo in volto, distaccato.
Il più basso fu confuso dal suo gesto. Perché sembrava così freddo e distante? Quando erano soli o quasi, era sempre dolce e mostrava i suoi sentimenti e le sue emozioni.
Così... ricordava la persona che aveva conosciuto all'inizio: cortese e rispettosa, ma un po' distaccata. Si era sciolto in fretta, specialmente per via degli aiuti e del supporto che gli diede durante lo studio della lingua italiana.
Ma il trentino non si lasciò prendere dal panico per così poco. Poteva essere semplicemente stanco e non aveva consciamente registrato chi aveva vicino. Capitava.
Poco, ma capitava.
<Sai, non ti ho più visto da stamattina, non eri neppure a cena con noi.> proseguì il trentino, accennando a tale fatto per capire la causa della reclusione dell'amico. Si preoccupava per lui, era ovvio, e non voleva stesse male.
<Ho avuto da fare questo pomeriggio, avevo varie questioni irrisolte arrivate tutte insieme. Capita. Dato che non volevo impegnarci troppo per dare risposte al mio capo, ho un po' dimenticato e ignorato la fame. Ho mangiato insieme a Rita, quindi ho solo posticipato la cena.> rispose il piemontese, mentendo quasi su tutta la linea.
Non aveva niente da fare di urgente o importante o perfino qualcosa anche di infimo per il proprio capo. Non aveva nulla di arretrato, era diligente, ed era abbastanza raro essere investito da una marea di lavoro senza nessuna situazione particolare.
Semplicemente, si era rinchiuso in camera per evitare l'altro e, per farlo al meglio delle proprie capacità, aveva anche deciso di non cenare insieme agli altri, al suo solito orario.
Preferì aspettare avessero finito, per poi mangiare con Rita e qualcun altro del suo piano. Le aveva rifilato la medesima scusa e, anche se l'aveva guardato dubbiosa, non aveva sollevato questioni e aveva cenato come se nulla fosse.
<Oh, certo, spero che alla fine tu sia riuscito a risolvere tutto senza problemi.> gli augurò il biondo. Il castano annuì, bevendo un po' dell'acqua che si era versato.
Voleva andarsene da lì, non ce la faceva a rimanere. Aveva paura di venire scoperto. E passare tempo con l'altro era off limits. Come poteva disinnamorarsi se parlava con lui e continuava a notare tante piccolezze dell'altro che lo spronavano a sorridere inconsciamente?!
Intanto l'ex austriaco era sempre più confuso e disorientato dall'atteggiamento altrui. Aveva fatto qualcosa mentre era posseduto che aveva ferito l'altro, nonostante sapesse fosse Hans l'artefice? Hans gli aveva detto qualcosa di crudele spacciandola per confidenza o suo segreto?!
La sua mente stava cominciando ad affollarsi di congetture.
<Volevo solo dirti grazie. Sei stato fantastico a capire non fossi io, facendo le domande giuste e osservando attentamente. Forse non sarebbe andato lontano, ma secondo me sì. Senza di te, scommetto avrebbe sicuramente creato qualche disastro.> lo elogiò Bruno, sperando di non diventare bordeaux sulle guance.
Non voleva passare per ruffiano e specialmente non desiderava dire qualcosa di troppo o fraintendibile. Ma era sincero, totalmente.
L'ex sabaudo era stato davvero perspicace e reattivo.
Ogni giorno che passava, supponeva trovasse qualche motivo in più per essere innamorato di una persona così stupenda e che non vedeva il proprio potenziale.
Eppure, ora non capiva cosa fosse successo a questa fantastica persona.
Roberto dovette resistere all'impulso di sorridere come un cretino e si bevve tutto il contenuto del bicchiere, sperando l'acqua spegnesse sul nascere il rossore che sapeva gli avrebbe invaso il volto.
Venuto a patto con i propri sentimenti, gli effetti dei complimenti erano peggiori. Gli scaldavano il cuore ancora di più e gli facevano supporre con più grinta che forse non era così inutile o penoso.
Poggiò il bicchiere con eccessiva violenza sul tavolo, versandosi dell'altra acqua, arrabbiato con se stesso. Come poteva smettere di provare quel sentimento così crudele se non si allontanava appena l'altro iniziava a parlare?!
Perché era così semplice lasciarsi andare?
Quelle parole erano chiare e palese fossero sincere ed erano... bellissime da sentirsi rivolgere da lui.
Dubitava che se gliele avesse dette qualsiasi altro in quella casa avrebbero avuto lo stesso effetto.
Ma non poteva crogiolarsi in quella sensazione.
Si sarebbe piegato all'amore e prima ancora di rendersene conto, sarebbe stato sfruttato per ricevere anche solo una briciola di complimento che lo riempisse d'orgoglio e di valore. Temendo nel mentre un qualsiasi insulto, che sarebbe stato doloroso come mille aghi per tutto il corpo.
No, non poteva permettere gli accadesse di nuovo tutto questo.
<Quindi, davvero, grazie mille.> concluse il trentino, ammirando l'ex sabaudo.
Il piemontese solamente scrollò le spalle e, bicchiere d'acqua alla mano, uscì dalla stanza, in fretta, salendo le scale velocemente, per rifugiarsi nella propria camera.
Era l'unica opzione per preservarsi. Lo faceva per il proprio bene, perché è bene al mondo essere un po' egoisti, Rita glielo aveva ripetuto molte volte quando lui si sacrificava perennemente per i Savoia.
Nonostante ciò, aveva intravisto l'espressione del biondo.
Confusa e oltremodo ferita. Dio, si sarà sentito rifiutato e snobbato, quando davvero aveva apprezzato quelle parole così belle.
Roberto raggiunse camera propria e, appoggiato il bicchiere sul comodino e sedutosi sul letto, si portò le gambe al petto, nascondendo il volto sulle ginocchia. Era uno schifo di persona ed amico.
Prima di tutto, si innamorava (e già quello era sbagliato) di qualcuno che mai avrebbe potuto ricambiarlo, in quanto l'altro uomo pure lui e soprattutto suo fratello. Secondo, si innamorava di qualcuno così fantastico come Bruno che non avrebbe mai voluto ferire nel processo di sradicarsi quelle sensazioni ostiche e troncare le possibili e orribili implicazioni di quel sentimento.
Il trentino era gentile, diligente, riconoscente, umile, talentuoso, responsabile, preciso, divertente... era una persona fantastica e non si meritava di venire ferita perché si sentiva rifiutato da un amico.
"Tanto ha anche Anna e vari altri in casa. Starà bene, sì. Quello che starà male sarò io, come al solito. Ma servirà. In fretta questa voglia di stringerlo per sempre e avere più contatto fisico possibile in un qualsiasi modo con lui se ne andrà. Potrò tornare ad essere suo amico come sempre e scusarmi per il mio comportamento incostante." si disse il castano, sospirando pesantemente contro le proprie gambe.
Si strinse un po' più a palla.
L'immagine del volto ferito di Bruno alla sua fredda reazione gli tornò in testa.
Era una persona orribile.
•~-~•
Una scrollata di spalle.
Un gesto alcune volte involontario, ma molto frequentemente no. Generalmente il significato di quel movimento era solo uno: disinteresse.
Fissò Roberto fare quel gesto e subito dopo sfrecciare via dalla stanza, lontano da lui, come se fosse la persona più sgradita con cui rimanere al mondo.
Ricevere una pugnalata al petto avrebbe fatto decisamente molto meno male.
Il suo volto ferito e confuso tramutò in una smorfia afflitta malamente contenuta. Serrò le labbra in una sottile linea, abbassò lo sguardo ai propri piedi e corrugò le sopracciglia già all'ingiù. Strizzò gli occhi per evitare che essi si inumidissero a tradimento e lo facessero piangere come un idiota in cucina.
Si trattenne dal stringere la presa che aveva sulla bottiglia di vetro in mano. Era in grado di spaccarla con la giusta pressione, ne era conscio. Forse i vetri taglienti sarebbero stati un ottimo deterrente per i suoi pensieri, almeno per qualche istante.
Optò per la scelta più saggia: rifugiarsi in camera, il luogo in cui sarebbe potuto essere più isolato (anche se mai realmente solo).
Con passo decisamente poco felpato, salì le scale di fretta, rischiando più di una volta di scivolare sui gradini o di far cadere la bottiglia che aveva in mano e frantumarla così a metà nella corsa.
Ma nessuno fece caso a lui.
("Sono odioso e a nessuno importa di me.")
Spalancò la porta della propria stanza con disperazione e rabbia, per poi sbatterla dietro di sé con violenza. Se qualcuno se ne lamentò, non lo udì, troppo preso a crollare appoggiato alla porta.
Si lasciò scivolare seduto a terra, gambe piegate e le braccia appoggiate sulle ginocchia. La testa era posata sulle braccia, fissando il pavimento visibile fra le gambe.
Un singhiozzo gli scappò dalle labbra.
Perché doveva far così fottutamente male quel singolo gesto di disinteresse e quasi disprezzo del piemontese?
"Amare ti rende stupido. E tu sei il re dei cretini. Mi pare logico." commentò Hans nella sua testa, finalmente palesandosi dopo l'intero pomeriggio di mutismo.
"Ah, ora ti ci metti anche tu?!" domandò retorico Bruno, la rabbia a fargli stringere le mani a pugno.
"Wow, piano o spaccherai la bottiglia. E sì, ora mi ci metto anche io. Ho girovagato a vuoto abbastanza per oggi." affermò il secessionista.
"Provavi a riprendere il controllo del mio corpo?" indagò il trentino.
"Sai già la mia risposta." notò l'altoatesino "E non sviare il discorso, caro."
"Quale discorso?" chiese il biondo.
"Il discorso riguardo il tuo essere cretino perché ami quell'idiota là." rispose il sudtirolese.
"Non è un idiota!" lo difese la regione, i suoi sentimenti per l'altro ben più forti del recente dolore.
"Lo difendi nonostante ti abbia appena trattato come la merda che ti ritrovi sotto le scarpe? Wow, ho sbagliato prima. Sei l'imperatore dei cretini, non il re." rettificò l'incorporeo.
"E se anche se fosse? Lo amo e non smetterò di farlo per così poco! Quindi sì, chiamami imperatore dei cretini, perché é quello che sono! Sono innamorato." ribatté con sicurezza Bruno.
"Ok, imperatore" il secessionista lo assecondò per un istante "Vagli dietro, facendoti ferire come il cretino che sei."
"É colpa tua, lo so. Non so cosa hai fatto oggi, ma so che c'entra il tuo zampino." decretò il biondo.
"Ti sbagli, io non c'entro nulla. Ha fatto tutto lui. Io ho solo provato ad ingannarlo fingendomi te e poi ammettendo fosse più sveglio di quanto credessi e che ora capivo perché ti stava simpatico." riassunse con tranquillità Hans.
"Sicuro non ci sia altro?" indagò il trentino.
"Beh, potrei o non potrei avere detto qualcosa sulla linea di «Ora inizia il vero spettacolo... dell'orrore!» quando ho percepito che stavi per tornare al controllo e ho dato il via a quei cittadini di andare avanti con il loro piano." ammise con finto tono innocente il sud tirolese.
La regione ebbe l'impulso di darsi una manata in fronte, dato che non poteva tirare un ceffone all'altro.
"E basta?" chiese per sicurezza Bruno.
"E basta." asserì l'altoatesino.
<Allora perché si é comportato così?> chiese a bassa voce il trentino, alzando la testa al soffitto, aspettando una risposta divina di qualsiasi Dio.
"Che cazzo vuoi che ne sappia io? Posso leggere i tuoi pensieri, mica i suoi." commentò Hans.
La regione ruotò gli occhi a quel commento, snobbandolo mentalmente.
Il sud tirolese ignorò i suoi pensieri e proseguì: "Inoltre, hai un'ottima soluzione fra le mani, sfruttala!"
Il trentino per qualche attimo fu perplesso, ma appena si guardò le mani capì si riferì alla bottiglia di birra.
<Ok, ma poi ti arrangi te se divento un po' brillo.> decretò il biondo.
"Mi scoccia ma non mi cambia molto. Devo solo modificare un po' le mie provocazioni, a volte." commentò l'altoatesino.
<Mi tratti come un animale da laboratorio?> domandò un po' stupita la regione.
"Nah, come l'idiota che sei." rispose Hans.
<Onesto, almeno tenendo conto che sei tu.> commentò Bruno.
Successivamente, avvicinò la bottiglia alla bocca e rimosse il tappo di metallo coi denti. Disgustoso? Forse. Utile? Assolutamente sì. Gli apribottiglie erano inutili per lui. E poi era divertente vedere le facce altrui quando lo faceva di fronte a loro.
La risata che gli riservava Roberto quando si apriva una bottiglietta di Crodino con i denti, mentre erano vicini e gli altri non li stavano notando, aveva il potere di rendere il sapore di metallo in bocca decisamente più dolce.
"No, cervello, ti prego, tregua."
Sputò il tappo per terra accanto a sé e si bevve un sorso di birra, gustandosi il sapore della bevanda fresca, sperando di avere la resistenza bassa quella serata. Aveva decisamente voglia di lasciarsi andare e non pensare a Roberto che lo ignorava in quel modo.
"Dubito tu possa controllare gli enzimi del tuo corpo che demoliscono l'alcool, sai?" domandò retorico Hans.
<E tu come sai queste cose?> borbottò Bruno, girando la bottiglia e leggendo l'etichetta con i valori nutrizionali fuor di noia (e sperando di distrarsi).
"Ogni tanto ascolto quando Sofia parla, specialmente quando rimprovera Giorgio per il troppo vino che si beve, quell'alcolista lì. È interessante sapere come funziona un corpo, sai?" spiegò l'altoatesino.
<Va là?> domandò il trentino, difficile capire solamente dal tono se con sincerità o ironia.
"Mi servirà per quando avrò un corpo tutto mio!" affermò il secessionista.
<Ah, ecco. Ora ha tutto più senso.> decretò il biondo.
L'incorporeo non battibeccò indietro, per noia o indisposizione, chissà.
<Ehi, sai che questa bottiglia contiene 150 calorie? Non sono proprio poche.> commentò Bruno, cercando d'intrattenere una conversazione con l'altro.
Solo per capire se stava perdendo la presa sulla realtà man mano che beveva, altrimenti piuttosto che volontariamente parlare con Hans si sarebbe picchiato con la bottiglia.
"Ora lo so. E non farti pare, sei in forma. Spero di avere un fisico simile al tuo quando sarò corporeo, l'unica cosa di te che salvo!" lo complimentò Hans.
<Grazie...?> chiese più che affermò Bruno.
"Ti alleni, quindi hai ottenuto un bel fisico nel corso del tempo." dichiarò il secessionista, in tono da dato-di-fatto.
<Mi alleno per scaricare lo stress, che guarda un po' causi pure tu. Anzi, principalmente tu.> commentò il trentino, bevendosi un altro po' di birra.
Nel mentre il sud tirolese ribatté: "Beh, si può dire che grazie a me hai un fisico di ferro. E almeno non sei un rammollito come la maggioranza della gente in questa casa."
<Parli tu che sei incorporeo.> notò la regione con un sorrisetto.
"Per ora!" l'altoatesino calcò le due parole, che suonarono tanto come una minaccia.
Il biondo lo ignorò totalmente e bevve un altro po', superando di gran lunga la metà della bottiglia.
Fece ondeggiare piano il contenitore e osservò il liquido dorato, apparentemente bruno dall'esterno per via del vetro colorato.
Il suo inconscio, gentile quanto era, gli fece spuntare in mente come un fungo il pensiero che quel colore ricordasse quello dei capelli di Roberto mentre riflettevano il sole.
La scena di prima tornò a fare male.
Si alzò, sentendo per un attimo le gambe traballanti da quanto erano intorpidite per la posizione in cui era rimasto. Infatti sentiva anche il culo quadrato.
Finì la birra in degli ultimi brevi sorsi e poggiò la bottiglia vuota sulla scrivania, buttandosi sul letto e infilandosi alla bell'e meglio sotto le coperte.
"Spero che sia stata solo una coincidenza, che fosse stanco o non so. Sarebbe orribile se fosse arrabbiato con me e non sapessi neanche il perché." pensò Bruno, raggomitolandosi sotto le coperte, ma non per il freddo.
Erano a fine ottobre, sì, ma si trovavano a Roma e lui era abituato agli inverni fra le montagne, quindi... era primavera per lui e il freddo era quasi uno scherzo.
"Si vedrà. Dormi, ubriaco." gli augurò a modo suo Hans.
"Ma se neanche sono brillo." ribatté il trentino.
L'altoatesino non tentò di rimbeccare l'altro e così il biondo poté addormentarsi abbastanza in fretta, sperando che il giorno successivo fosse migliore di quello.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top