La confraternita dei tacchi a spillo

Rebecca Calder.
Su google sarebbe stato il nome di una persona scomparsa come tante altre, la voce perfetta per ricercare articoli di giornali e dichiarazioni di chissà quale politico sulla pericolosità delle zone di periferia.
Sui database di qualsiasi quotidiano avrebbero cercato informazioni su di lei nei pezzi precedenti e nelle parole dei familiari o degli amici, ma ciò che intendevo fare io era qualcosa di completamente diverso.
Volevo entrare nella sua vita, conoscerla, scoprire chi fosse prima di capire il perché non fosse più dove doveva essere.
Così avevo scelto un motore di ricerca molto più efficace e adatto, uno stratagemma che solo una ragazza della mia età sarebbe riuscita a concepire.
@becca_ era il suo nickname nel social network più in voga di tutti, Instagram, e fu proprio grazie a quel suo profilo che appresi tutte le informazioni necessarie per cominciare.
Rebecca aveva ventuno anni ed era iscritta alla facoltà di Legge, seppur con scarsi risultati accademici.
Di una bellezza strabiliante, quella ragazza era un'autentica Barbie dai capelli biondi e le gambe chilometriche, ma aveva anche uno sguardo vispo e sveglio che avevo visto su poche persone con quell'aspetto così apparentemente giulivo.
I suoi genitori erano due avvocati delle star, ecco perché aveva avuto la possibilità di conoscere tutti quei vip che sfoggiava nelle sue foto, eppure non c'era neppure uno scatto che la ritraesse in compagnia di un qualsiasi membro della sua famiglia.
Brutto rapporto con i genitori, questo va annotato mi dissi quindi, trascrivendo subito quella constatazione sulle note del cellulare.
Un'altra informazione che mi sarebbe stata molto utile, mio malgrado, era la sua appartenenza ad una confraternita- le Kappa Alpha Kappa - il cui capo, Elizabeth Watson, sembrava essere per Becca qualcosa di simile ad una migliore amica.
La vita di quella ragazza era insomma un tipico cliché da film americano a cui, ovviamente, si sommava un fidanzato perfetto e dal fisico scolpito: William.
Nulla di particolarmente interessante insomma.
Continuai perciò a scorrere le sue foto, analizzando mentalmente ogni dettaglio ed elaborando il modo migliore per introdurmi nella vita di quelle persone.
Ma fu l'ultimo scatto l'unico a colpirmi davvero.
C'era lei seduta su una poltroncina in braccio ad un ragazzo che non era ancora comparso, William in piedi accanto a loro che li guardava mentre tutti e tre sembravano sbellicarsi dalle risate.
E sotto, come descrizione della foto, l'ashtag #mymen

*

Arrivai al Lincoln College il diciassette di Marzo, esattamente una settimana dopo averne parlato con i miei genitori e due mesi dopo la scomparsa di Rebecca.
Essere ammessa era stato un gioco da ragazzi: mio padre era infatti un vecchio amico del preside Winchester e così, complice il mio perfetto curriculum scolastico e una lamentela sul fatto che non avessi deciso prima di iscrivermi al college, ero stata accettata senza alcuno sforzo.
Papà, da bravo incantatore di menti qual era, aveva perfino fatto il modo che il mio vero cognome fosse tenuto segreto, così da non destare sospetti in chiunque avessi cercato di conoscere.
Savannah è diversa da questi ragazzi, aveva infatti detto a Winchester, non proviene da una famiglia dell'alta società e non voglio che venga giudicata per questo.
E così da Savannah Hamilton ero diventata Savannah Kasimi, una studentessa di origini egiziane la quale sfoggiava, non a caso, un taglio degli occhi orientale e un colorito quasi mulatto.
Era stato tutto molto facile, ma adesso veniva il bello.
Mentre attraversavo l'ingresso stavo infatti già pianificando la prossima mossa che, mio malgrado, consisteva nell'entrare a far parte della confraternita di Becca, l'unico modo per capire davvero chi fosse.
La villetta a schiera che ospitava le Kappa Alpha Kappa si trovava non troppo distante dalla struttura principale della Licoln, un enorme edificio di mattoncini rossi circondato da un'immensa distesa di verde e dall'azzurro guizzante di una fontana centrale.
La statua del presidente americano si ergeva proprio all'ingresso del complesso di aule, mentre la mensa era ubicate alle spalle di esso, vicina agli impianti sportivi e ad altri sconfinati prati.
Subito dopo questo nucleo pulsante si trovavano invece le stradine che conducevano agli alloggi degli studenti: quella destra portava alle ville delle confraternite, quella sinistra invece ad un complesso residenziale simile ad un enorme hotel super moderno.
Così mi avviai sulla destra, contenendo a stento la mia repulsione verso quel tipo di divisione sociale.
L'esistenza stessa delle confraternite era infatti un insulto all'uguaglianza, il modo migliore per unire le persone più popolari e chiuderle nel loro limitatissimo mondo fatto di festini e discriminazioni.
E se Rebecca apparteneva davvero a quel gruppo, allora la mia già scarsa simpatia verso di lei andava soltanto a scemare.
Le Kappa Alpha Kappa infatti, come avevo immaginato, si rivelarono abitare in una villetta color rosa antico sulla quale troneggiava un'insegna la quale, oltre al loro nome, sfoggiava anche una scintillante corona di lustrini. 
Bussai quindi alla porta riluttante, ritrovandomi subito di fronte ad una ragazza che sembrava la  brutta copia della Calder, con i capelli di un biondo slavato e la statura contenuta.
<< Tu saresti? >>
E, a quanto pareva, contenuta anche la gentilezza.
Mi schiarii la voce con un finto colpo di tosse, scontandomi i capelli dal viso e ostentando un falsissimo atteggiamento imbarazzato.
<< Mi chiamo Savannah Kasimi >> le sorrisi, vera come una banconota del monopoli << vorrei parlare con Elizabeth Watson >>
La ragazza annuì, totalmente priva di un pensiero autonomo, e mi lasciò lì sull'uscio per andare a chiamare il suo capo.
Ebbi quindi l'occasione di orientarmi con lo sguardo nell'abitazione: da dov'ero potevo scorgere un immenso salone ammobiliato con un paio di divani ed un televisore al plasma, ambiente aperto dal quale si aveva poi accesso ad una porta chiusa che doveva essere la cucina e alla scala in marmo che sicuramente portava alle camere da letto.
Niente di troppo appariscente a dire il vero, se non fosse stato per quel tema roseo ripetuto ovunque e per il marmo pesante di scale e colonne.
<< Chi mi cerca? >>
Elizabeth Watson scese le suddette scale scortata da un paio di sé in miniatura, il pigiama di seta lilla il quale rivelava il sonno che il trucco sul suo viso provava invece a nascondere.
Come Rebecca, anche lei era eccessivamente perfetta e, come due migliori amiche che si rispettino, sembravano una l'opposto dell'altra.
Al contrario infatti di ciò che mi sarei aspettata - se non avessi visto le sue foto su Instagram, ovviamente - Elizabeth era una delle poche ragazze della confraternita a non essere bionda, ma non per questo sembrava meno una Barbie.
Aveva lunghi capelli castani, mossi al punto giusto da sembrare appena lavorati da un parrucchiere, gli occhi color nocciola e il fisico di una modella di Victoria's Secret.
A descriverla così non sarebbe sembrata nulla di speciale forse, ma tutto in lei sembrava perfettamente in armonia, a partire dal piccolo naso all'insù e a finire con le sopracciglia delineate alla perfezione, passando ovviamente per la mascella morbida e la pelle immacolata.
<< Mi chiamo Savannah Kasimi >> ripetei quindi per la seconda volta in quella giornata, concentrata al massimo per non sbagliare il mio nuovo cognome.
<< Elizabeth Watson >> rispose lei, contenuta in un'elegante freddezza, allungando poi la mano a stringere la mia << Come posso esserti utile? >>
Aveva l'aria spocchiosa e tirata che ci si sarebbe aspettati da una come lei, il tutto corredato dalle facce annoiate delle ragazze attorno a lei.
<< Vorrei diventare una Kappa >> ammisi quindi, tentando di ostentare quanto più entusiasmo riuscissi << Insomma, sono appena arrivata e voglio inserirmi al meglio nell'ambiente scolastico >>
Elizabeth alzò gli occhi al cielo, probabilmente abituata a quel genere di richieste.
<< L'iniziazione per la confraternita è ad Ottobre >> ripetè quindi meccanicamente, privandomi già di un po' della sua attenzione.
<< Lo so, ma...>>
Dovevo inventarmi qualcosa e dovevo farlo in fretta.
Elizabeth non mi avrebbe mai accettata se mi avesse vista semplicemente come una delle tante: avevo bisogno di convincerla, di conquistare la sua ammirazione.
<< Ma? >> schioccò la tipa che mi aveva aperto la porta poco prima, comparendo nuovamente sulla scena.
<< Ma so che avete da poco perso una consorella >> risposi quindi, la voce leggermente intristita << E credo di poter essere una degna sostituta >>
Elizabeth quasi ridacchiò con scherno.
<< E cosa ti fa pensare di essere all'altezza di Becca? >>
Al pronunciare il suo nome, la stanza sembrò quasi sussultare.
Le ragazze intorno ad Elizabeth mi guardavano come si fissa un'estranea, come se avessi fatto chissà cosa per invadere il loro territorio e adesso stessi sfidando la loro capo branco.
Ma io non dovevo farle sentire minacciate: dovevo far sì che si fidassero di me, dovevo abbassarmi ad essere una delle iniziate che adoravano tormentare di scherzi e poi sfoggiare in pubblico come la loro nuova conquista.
<< Mettimi alla prova >> le risposi dunque << Sono pronta a tutto >>
Sembrò pensarci su, una lunga ciocca di capelli avvolta attorno al dito.
Non si voltò mai verso le altre: era chiaro che il vero potere decisionale apparteneva solo e soltanto a lei.
<< Mi piace la tua determinazione >> mormorò poi mentre qualcuna delle bionde annuiva convinta << Ma ti avverto che la tua prova non sarà facile >>
<< La supererò comunque >>
Sorrise, vagamente divertita ma forse anche interessata, e poi mi squadrò da capo a piedi, forse con l'intento di constatare se potessi essere eventualmente degna della sua approvazione.
Ma sapevo che non avrebbe trovato nulla di imperfetto nel mio aspetto, ero una bella ragazza: i capelli corti e neri perfettamente lisci, gli occhi verdi dal taglio allungato, le labbra piene e un invidiabile fisico magro ma anche con le giuste curve.
<< Stasera andremo ad una festa >> annunciò infatti subito dopo quella breve ispezione << Tu verrai con noi e, al momento opportuno, dovrai riuscire a baciare un ragazzo: si chiama Ethan Holder >>
Qualcuna tra le ragazze lanciò un urletto divertito mentre, tra gli squittii generali, qualcun'altra ridacchiò.
Udii perfino un disilluso non ce la farà mai mentre io mi chiedevo chi diamine fosse questo ragazzo e perché mai baciarlo avrebbe dovuto rappresentare una prova così difficile.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top