5. Questione di chimica
Stava evitando Yoshikawa.
Non che normalmente fossero grandi amici, ma Harry ce la stava mettendo tutta per non incappare nel ragazzo anche solo per errore.
Per fortuna, in quei due giorni non c'era stato modo di interagire con lui: in classe occupavano i posti agli antipodi, con suo grande sollievo; durante il pranzo Harry, Christopher e Hannah – che assecondavano la sua follia – cercavano il tavolo più defilato della mensa, in modo da non dare nell'occhio.
I tiktok che immortalavano lui e Ren durante la rissa avevano raggiunto numeri da capogiro, diventando virali.
Harry ormai era famoso alla Pumpkin Lake Academy. I suoi compagni lo salutavano ridacchiando, il soprannome nullità si era diffuso di bocca in bocca come un virus. Alcuni gli avevano perfino dato pacche sulle spalle, congratulandosi con lui per il coraggio. Se quel coraggio non gli fosse costato una punizione, ne sarebbe andato fiero.
Era nato anche un disgustoso fanclub. Delle ragazzine del primo e del secondo anno speravano che lui e Ren si mettessero insieme. Come potevano tifare per due ragazzi che si erano presi a cazzotti? Harry lo trovava inspiegabile. Oltre che stomachevole.
Quando pensava alla nuova e indesiderata popolarità, contraeva il viso in una smorfia, come se avesse ingoiato un limone. Lui odiava essere al centro dell'attenzione, soprattutto per i motivi sbagliati.
E Ren era sempre un motivo sbagliato.
Comunque, cercava di evitarlo il più possibile, anche se non poteva farlo per sempre. Quella fottuta punizione gli pendeva sulla testa come una scure. Era peggio della peste nera, del cambiamento climatico, dell'apocalisse... avrebbe potuto continuare l'elenco di sciagure all'infinito.
Harry aggrottò la fronte, mentre, sovrappensiero, disegnava un omino con un cappio al collo sull'ultima pagina del quaderno di chimica. Gli piaceva usare l'ultima pagina dei quaderni per disegnare o scrivere riflessioni sparse, magari appunti sulle sue storie.
L'aula del professor Garret si riempiva man mano che i minuti passavano, ma il posto sul banco accanto al suo rimaneva vuoto. Purtroppo i banchi dell'aula di chimica, come quella di fisica, erano grandi e potevano ospitare due studenti. Lui ci aveva poggiato la borsa nella speranza che nessuno fosse così audace da spostarla o da chiedergli di farlo. Magari la sua espressione perennemente infastidita avrebbe scoraggiato tutti.
Harry premette con forza la matita sul quaderno, per rendere spessa la corda del disegno.
Non voleva ammetterlo a se stesso, ma era turbato. Ren Yoshikawa lo turbava.
Perché non la smetteva di perseguitarlo? Perché non fingeva che lui non esistesse?
Non posso, gli aveva risposto.
E la sua espressione seria lo aveva colpito come un pugno nello stomaco. Quella conversazione aveva assunto un tono più profondo rispetto ai loro soliti battibecchi.
Harry, suo malgrado, non smetteva di pensare al momento in cui Ren lo aveva sbattuto contro l'armadietto.
Serrò la matita tra le dita e disegnò gocce di sangue sulla bocca dell'omino.
Crepa, stronzo.
«Il tizio del disegno deve averti fatto davvero incazzare.»
Harry sollevò la testa e i suoi neuroni smisero di funzionare.
Davanti al suo banco c'era Nate.
Oh mio Dio, sta parlando con me?
Harry aggrottò le sopracciglia, confuso, e si guardò attorno per vedere se ci fosse qualcun altro. Gli occhi di Nate, però, erano posati su di lui.
Oh mio Dio, come si respira?
Nate gli mostrò un gran sorriso, in attesa forse che lui rispondesse. La divisa lo fasciava, evidenziando i muscoli delle spalle e i bicipiti forgiati dall'allenamento. Lui pensò al commento di Chris.
Non vorresti ammirare gli addominali di Nate? E magari qualcos'altro mentre è sotto la doccia?
Sentì le guance andare a fuoco.
Harry perse l'uso della parola. Le labbra si mossero, ma fecero uscire soltanto una serie di balbettii sconnessi.
Si grattò la nuca e la sua bocca tremolò nel contrarsi in un debole sorriso. «Ehm» farfugliò, alla fine.
"Ehm"? Santo cielo, Harry, sei proprio imbecille.
In quell'istante, Ren oltrepassò la soglia e lo sguardo di Harry scivolò su di lui.
Yoshikawa aveva un aspetto insofferente: gli occhi esprimevano soltanto fastidio, mentre il viso algido era inespressivo come al solito. La sua divisa era perfetta, non c'era una sola piega sugli indumenti. Teneva lo zaino appeso a una spalla.
Il corpo di Harry si tese come se fosse di fronte a una minaccia e i suoi neuroni ripresero a mandare impulsi cerebrali alla bocca.
«Sì, in effetti sì» rispose all'affermazione precedente di Nate. «Questo tizio mi ha fatto incazzare davvero molto.»
Nate continuò a sorridere, ma un lampo di confusione gli passò sul viso.
«Posso sedermi qui?» Indicò il posto vuoto accanto al suo con un cenno del capo, già pronto ad appoggiare la borsa a terra.
Il cuore di Harry zoppicò. Lui gli rivolse un sorriso, con il petto gonfio di speranza.
«Cer...»
Un tonfo lo fece trasalire e mozzò la sua risposta.
Ren aveva sbattuto lo zaino sul suo banco.
«Mi siedo io qui» disse, guardando solo Nate.
Il ragazzo esitò qualche istante. «Okay, va bene lo stesso.» Scrutò la classe, poi, quando notò un posto libero all'ultimo banco in fondo, si girò verso di loro. Riservò un ultimo sorriso a Harry e un'occhiata ammonitrice a Ren.
Ren prese tra due dita lo zaino di Harry che occupava la sedia libera e lo gettò sul pavimento con malagrazia. Lo osservò disgustato, quindi si pulì le dita sul blazer come se quello zaino potesse contagiargli una malattia.
«Ehi» sibilò Harry. «Che stai facendo?»
Ren gli dedicò appena uno sguardo di sufficienza. Lo ignorò e spostò la sedia indietro. «Tira fuori il libro, Thompson, perché l'ho dimenticato nell'armadietto.»
«Non sono il tuo schiavo» ribatté lui tra i denti.
Ren si sedette e curvò le labbra all'insù. «Peccato. Sarebbe molto divertente se lo fossi, nullità.» Aprì la cerniera della borsa e, dopo aver tolto un quaderno e l'astuccio, la spostò su un lato del banco.
«Vai al diavolo» lo rimbeccò Harry.
«Solo se posso trascinarti con me.»
Harry sbuffò, mentre il sangue si incendiava nelle vene. Tutti gli sforzi per evitarlo erano stati vani. C'era così tanta irritazione in lui che temeva di poterla vomitare da un momento all'altro. Traboccava come un vaso stracolmo.
Il professor Garret entrò nell'aula. Era un uomo che abusava dell'acqua di colonia, ma si vestiva sempre in modo inappuntabile ed era davvero un ottimo insegnante. Harry lo adorava.
«Buongiorno» li salutò, mentre prendeva posto dietro la cattedra. «Aprite il libro a pagina trecento. Oggi iniziamo un nuovo argomento: le reazioni di ossidoriduzione.»
Harry prese il libro di testo, che tenne gelosamente per sé, e fece scorrere le pagine fino a trovare quella indicata dal professore. Sentiva il peso dello sguardo di Yoshikawa addosso, ma decise di non badarci.
«Mettilo in mezzo» gli intimò Ren in un sussurro pungente.
«No.»
Il compagno gli colpì la gamba con un ginocchio e quel contatto bruciò anche attraverso i pantaloni della divisa. Harry chiuse le gambe di scatto.
A quel punto, Ren afferrò il volume con un gesto secco. Harry – che teneva ai propri libri come se fossero sacre reliquie – dovette lasciare subito la presa.
Fulminò Yoshikawa con uno sguardo omicida. Aveva la guancia posata sul palmo e sfogliava il libro con aria annoiata, mentre Harry valutava i danni.
«Se mi hai rovinato il libro, ti taglio le palle.»
Ren sghignazzò, sprezzante. «Sì, voglio proprio vedere se ci riesci.» Inaspettatamente, sistemò il tomo tra loro due. La pagina trecento era a sinistra, quindi Harry doveva avvicinare la sedia a lui per poter leggere.
Alzò gli occhi al cielo.
«A fine trimestre ci sarà un test» li ragguagliò il professore.
Ren si irrigidì all'improvviso. Abbassò lo sguardo sulla pagina e si rintanò in un silenzio insolito per lui.
Harry si avvicinò al compagno. Il profumo di Ren gli si infilò nelle narici con prepotenza. Tutto, in lui, era prepotente. Perfino l'odore della sua pelle.
Il gomito di Yoshikawa sfiorò inavvertitamente il suo. Lui aprì e chiuse le dita a pugno, tentando di ingoiare lo stesso fastidio di qualche giorno prima.
«Dovrete studiare bene per colmare le lacune. Vi darò l'opportunità di recuperare il voto precedente» continuò il professor Garret.
Harry curvò le labbra in un sorrisetto derisorio. «Oh, no» pigolò in un sussurro. «Ren, hai sentito? Non è che ti serve un tutor?» Ridacchiò. «Le reazioni di ossidoriduzione... mmh, dal nome sembra un argomento davvero molto, molto complicato.»
«Taci o ti strappo la pagina» ringhiò Ren.
«Hai preso una d la scorsa volta, vero?» Harry sfoderò una finta espressione contrita e scosse la testa. Gli posò la mano sulla spalla. «Sono sicuro che, se ti impegni, puoi addirittura prendere una c.»
Ren si scrollò di dosso la mano del ragazzo, poi si voltò verso di lui. Il ghigno sul suo viso non prometteva niente di buono: infatti, prese la pagina tra l'indice e il pollice e la tese. Un rumore sinistro fece inorridire Harry, che sgranò gli occhi.
«Non osare farlo» lo minacciò.
Ren tese la pagina un altro po', sbattendo le palpebre con aria innocente. «Oh, no» gli fece eco. «Sarà davvero difficile prendere una a se ti riduco il libro in poltiglia.»
«Thompson, Yoshikawa, fate silenzio» li rimproverò il professore. Si spostò gli occhiali sul naso e li fissò da sopra le lenti. «Dopo la lezione vorrei parlare con entrambi.»
Il cuore di Harry ebbe un sussulto. Sono di nuovo nei guai?
«È tutta colpa tua, Yoshikawa, come al solito.»
Ren gli sferrò una gomitata, che lui riuscì a schivare spostandosi di lato.
«Sta' zitto, nullità.»
Harry scrisse una parolaccia sul quaderno, proprio vicino all'omino impiccato, e gliela mostrò.
Ren gli lanciò un'occhiata affilata, ma non commentò e rimase in silenzio per il resto della lezione. Prese degli appunti con una grafia precisa e ben leggibile. Di tanto in tanto, sollevava la testa verso il professore con espressione attenta. Mentre la sua mano destra scivolava sul quaderno, i bracciali neri in cuoio e in tessuto si muovevano sul polso sottile.
Anche Harry seguì la lezione e riempì alcuni fogli con appunti ordinati. L'argomento, in effetti, era tosto. Pertanto, scrisse tutti i passaggi da compiere e li segnò con colori diversi per rendere più semplice lo studio a casa. Non ebbe difficoltà a capire, a differenza di Ren, che invece sbuffava spesso.
Quando la lezione terminò, venne sorpreso da un crampo di nervosismo allo stomaco. Guardò di sottecchi il professore.
Chissà cosa vuole.
I loro compagni raccattarono libri e quaderni e, piano piano, abbandonarono l'aula. Nate si fermò al loro banco, guardando alternativamente Ren e Harry. Tamburellò le dita sulla superficie, dopodiché si sistemò lo zaino sulla spalla.
«Ren» chiamò l'amico. «Ti aspetto fuori?»
Yoshikawa tirò la zip della borsa. Scosse la testa. «No, vai pure.»
Era strano sentirlo parlare in modo gentile o perlomeno senza quell'odioso tono arrogante. Quindi era un essere umano anche lui.
Prima di andarsene, Nate fece un cenno a Harry, che ricambiò muovendo le dita con un sorriso ebete sulla faccia.
Guardò Nate finché non lasciò la classe. Sospirò e afferrò lo zaino.
Il professor Garret li attendeva seduto alla cattedra. Leggeva una rivista, forse un giornale scientifico.
Harry lo raggiunse con lo sguardo basso e il cuore che balzava nel torace. Quando Ren lo affiancò, il professore alzò gli occhi dalle pagine.
Chiuse la rivista e si poggiò contro lo schienale della sedia. Intrecciò le dita rugose sopra la copertina dell'ultimo numero di Scientist.
«Bene, ragazzi» esordì lui. «La preside ha informato tutti i vostri professori della situazione.»
Harry strinse forte la cinghia dello zaino, serrando le labbra. Fece del suo meglio per ignorare la presenza di Ren al suo fianco, ma era consapevole di quei pochi e odiosi centimetri che separavano le loro spalle.
Nessuno dei due, comunque, osò fiatare.
Lo sguardo del professor Garret si spostò su Ren. «Ren» disse in tono affettuoso. «Sei un ragazzo così intelligente, quindi proprio non capisco perché nella mia materia tu vada tanto male.»
Harry vide Ren arrossire un po' sulle guance. Di sicuro non gli faceva piacere che l'insegnante lo redarguisse di fronte a lui.
Ben ti sta.
«Sai che per essere ammesso alla Columbia la tua media deve essere impeccabile, non è vero?» La voce del professore era morbida, sembrava sinceramente preoccupata e...
Aspetta, cosa?
Ha detto "Columbia"?
Harry si girò verso il compagno così velocemente che gli venne una vertigine. «Hai fatto domanda alla Columbia?» chiese, prima di poterselo impedire.
Ren gli scoccò una breve occhiata gelida, poi riportò la propria attenzione sull'uomo. «Sì, professore.»
Harry era troppo sconvolto per proferire parola. Possibile che la loro rivalità arrivasse a tal punto? Non era così presuntuoso da credere che nessun altro avesse fatto domanda, ma... proprio Ren Yoshikawa?
Chiuse le dita sulla cinghia finché non sentì le cuciture imprimersi sulla pelle.
«È per questo che tu entri in gioco, Harry.»
Lui guardò il professore con un misto di angoscia e nervosismo aggrappato alle viscere. «Io?» mormorò.
Qualcosa mi dice che sono davvero nei guai.
L'insegnante annuì. «Sì. Io e la preside pensiamo che dobbiate imparare a tollerarvi. La punizione insieme serve anche a questo» spiegò. Fece ruotare i pollici l'uno sull'altro, mentre raccoglieva le parole per continuare il discorso. «Harry, dovresti fare da tutor di chimica a Ren. In condizioni normali ti darebbe crediti extra, ma allo stato attuale farà parte della punizione.»
Harry impallidì, le forze iniziarono a scivolargli dal corpo.
«Assolutamente no» esclamarono lui e Ren all'unisono.
Lo sguardo del professor Garret si assottigliò in risposta a quella reazione.
«Decidete voi» ribatté, calmo. «Volete davvero entrare nell'università dei vostri sogni oppure no?»
Harry chiuse gli occhi. Un grumo di rassegnazione gli si annodò nel petto.
È un incubo.
Maledizione. Maledizione. Maledizione.
Evitare Yoshikawa, eh? Ci stava riuscendo proprio benissimo.
***
Per sfortuna, quello era un venerdì.
Forse nella sua vita passata Harry aveva rotto le scatole a qualche strana divinità esotica, perché proprio non riusciva a capire come mai avesse un karma tanto avverso.
Attraversò il campo di football con ampie falcate furenti, ma non servì a dargli una calmata. Almeno non pioveva, anche se l'aria era freddissima e affettava il volto. Il sole stava sparendo oltre una nuvola solitaria, i suoi ultimi raggi accarezzavano gli spalti.
Dare ripetizioni di chimica a Yoshikawa era fuori discussione. Gli bastava vederlo a scuola tutti i giorni e condividere quella stupida punizione... le lezioni di chimica extra erano eccessive.
La preside Martinez e il professor Garret avevano complottato per allestire uno Squid Game personale?
Si avvicinò agli spogliatoi e, prima di oltrepassare le porte, fece un rapido cenno all'inserviente incaricato di tenerli d'occhio.
Quando entrò, la sua ombra si proiettò sul pavimento polveroso, disegnandosi sul rettangolo di luce dorata.
Harry tirò su con il naso, mentre tentava di riprendere un respiro regolare e cercava Ren con lo sguardo. Notò il carrello per le pulizie vicino alle docce.
Individuò il ragazzo: era seduto sulla stessa panca di quel mercoledì. Aveva la schiena e la nuca contro la parete, le mani nelle tasche e gli occhi rivolti al soffitto.
Harry gli dedicò un'occhiata furente, come se lo avesse appena insultato; Ren, però, aveva la bocca chiusa e non aveva ancora parlato.
Lo insultava anche se respirava, quindi non c'era nessuna differenza.
«Non ti aiuterò in chimica» sentenziò.
Ren fece ruotare il capo e lo trafisse con le sue iridi nocciola. Nonostante la luce del tardo pomeriggio le accendesse di un caldo ambra, continuavano ad apparire freddissime.
«Nessuno te l'ha chiesto, nullità.»
Harry chiuse le dita sul palmo. «La Columbia, eh?» La sua voce era aspra, dura. «Hai fatto domanda anche tu.»
Yoshikawa piegò le ginocchia, posando un tallone sulla panca, poi tirò fuori le mani dalle tasche. Iniziò a giocherellare con una moneta, facendola sparire tra l'indice e il medio con un movimento ipnotico.
Fece spallucce. «E allora?» controbatté. «Non devono scegliere chi prendere tra me e te.» Il suo volto si adombrò subito. «Non ha importanza. Tanto non ci andrò, perché la mia media in chimica è pessima.» Non lo guardò. Fermò di scatto il movimento delle dita. Quando un raggio colpì la moneta, uno scintillio fugace riverberò sulla parete di fronte.
Harry sbatté le palpebre, sorpreso: Ren gli aveva mostrato un brandello di sincerità. Aveva colto rammarico nella sua voce, non se l'era immaginato. Era impossibile dissimulare una cosa del genere.
Ren Yoshikawa ci teneva sul serio ad andare alla Columbia.
«Perché fai così schifo in chimica? Eccelli in tutte le materie.»
Ren piegò la testa di lato e indossò di nuovo la solita maschera. Le labbra accolsero un ghigno insolente.
«Oh, nullità, non ci metteremo a frignare dei nostri sentimenti, se è questo che speri.»
«Come non detto» mormorò Harry. Gli diede la schiena e si diresse verso il carrello. Prese dei guanti, un detergente spray e una spugna.
«Potresti farmi prendere una a?»
A quella domanda, Harry fermò le mani che rovistavano dentro il carrello e fece saettare lo sguardo su di lui. Ren sembrava serio, non c'era traccia di scherno sul suo viso.
«Potrei» ammise Harry, malvolentieri. «Ma non lo farò. Dirò al professor Garret che ti sei rifiutato.»
Non era molto bravo a escogitare piani su due piedi. Anzi, era proprio pessimo.
«E io smentirò, così verremo sospesi e addio Columbia per entrambi.» Il sorriso dell'altro si allargò. «Mi sembra un'ipotesi allettante. Se non posso andarci io, non ci andrai nemmeno tu.»
Harry affilò lo sguardo. Il bisogno di afferrarlo per la collottola e picchiarlo iniziò a formicolare, puntuale, tra le dita.
«Se dovessi aiutarti, e sottolineo se» puntualizzò, «cosa mi darai in cambio?»
Una luce maliziosa riempì gli occhi di Ren. «Non di certo sesso.»
Harry contrasse le labbra in una smorfia. «Ma come cazzo ti viene in mente?»
«Ti piacerebbe, vero, Thompson?» lo sbeffeggiò lui.
«Allora?» Harry lo ignorò, incrociando le braccia al petto. «Io non do niente per niente.»
Ren inarcò un sopracciglio, poi curvò la schiena e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. «Non abbiamo alternative» disse. «Il professor Garret è stato chiaro. Fa parte della punizione, quindi non ti devo proprio un cazzo.»
Harry sfoggiò un sorriso sornione. «Ma io potrei limitarmi a farti avere una b, non una a.» Lo squadrò da sotto in su, sicuro di avere la vittoria in tasca. «Se sono costretto ad aiutarti, ci devo almeno guadagnare qualcosa.» Il fastidio gli pizzicava lo stomaco al pensiero di aiutarlo a recuperare chimica – il suo unico vantaggio contro di lui.
Tuttavia, gli era venuta un'idea potenzialmente buona.
Forse stavolta il suo piano non avrebbe fatto schifo, dopotutto.
Ren sbuffò. «Cosa vuoi, Thompson? Dillo e smettila con queste stronzate.»
Harry picchiettò l'indice sul braccio. «Ti farò avere una stramaledettissima a, e tu sai quanto mi costi» iniziò. «Però soltanto a una condizione.» Ce l'aveva in pugno, lo sentiva.
«Me lo vuoi dire o devo di nuovo sbatterti contro l'armadietto? La mia pazienza non è illimitata.»
«Lascia in pace me e i miei amici.» Con un sorriso esultante, Harry avanzò di qualche passo. «Non bullizzerai più né me né loro. E mi aiuterai a pulire questo schifo ogni mercoledì e venerdì.» Indicò lo spogliatoio con un rapido gesto della mano.
Ren roteò gli occhi al cielo, poi li riportò su di lui. Erano fermi sulla sua figura. «Se non avrò una cazzo di a al prossimo test di chimica, Thompson, io ti rovino.»
Harry sogghignò. «Quindi ci stai, Yoshikawa?»
Il suo compagno rimase del tutto immobile. Sembrava che qualcuno gli avesse lanciato un incantesimo pietrificante.
Trascorsero diversi secondi, scanditi dal battito agitato di Harry. Poteva ingoiare l'orgoglio e accettare un pareggio nella loro sfida scolastica, se significava arrivare al diploma sereno. Era stufo di lui, delle derisioni continue, degli insulti.
In ogni caso, proprio come aveva detto Ren, non avevano scelta. Tanto valeva che ci guadagnassero entrambi.
Harry avrebbe potuto dargli ripetizioni senza impegnarsi più di tanto e adempiere alla punizione. D'altronde, la preside Martinez e il professor Garret non avevano la garanzia che lui fosse capace di fargli recuperare la materia. Il loro era solo un tentativo. Lui poteva infischiarsene del risultato e alzare la sua media da d a b, giusto per far capire al professore di averci provato. L'ammissione di Ren alla Columbia non era affar suo.
Con quel patto, però, era molto meglio: Yoshikawa avrebbe preso una a, non una semplice b, e in cambio lo avrebbe lasciato stare.
Ren si inumidì le labbra con la lingua, distolse lo sguardo da lui e sussurrò un'imprecazione. Poi si girò.
In quel momento, frammenti di luce ambrata danzavano nelle sue iridi. C'era uno scrigno di segreti dentro quegli occhi dal taglio a mandorla.
«Accetto.»
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