4. Meiosi e mitosi
Il giorno era arrivato.
E, come se non bastasse, pioveva a dirotto.
Il cielo era coperto da diversi strati di nuvole, i più superficiali erano viola come lividi. Rapide strisce di luce, seguite dal rombo dei tuoni, fratturavano la coltre di nubi.
L'acquazzone si era abbattuto su Pumpkin Lake poco prima dell'inizio delle lezioni. Le foglie rosse e gialle disseminate sul cortile si amalgamavano al terriccio, creando una poltiglia che si incollava alla suola delle scarpe.
Harry sospirò, mentre prendeva il libro e il quaderno di biologia avanzata. Chiuse l'armadietto e il suono metallico accompagnò il gesto.
Hannah teneva il libro di fisica sottobraccio e guardava l'amico di sottecchi. Christopher, al suo fianco, stava ancora frugando dentro l'armadietto, borbottando imprecazioni.
«Hai sospirato all'incirca sette volte in pochi minuti» considerò l'amica.
Harry fece una smorfia infastidita. «È inquietante che tu li abbia contati.»
Lei fece spallucce. «Perché sei tanto pensieroso?»
«Perché oggi è mercoledì.» Harry si girò, rabbuiandosi nel pronunciare quelle parole.
Quella notte aveva dormito quattro ore, disturbato dal pensiero di dover condividere uno spazio ristretto con Yoshikawa. Quella punizione lo infastidiva, perché era sicuro che Ren gli avrebbe dato noia e perché non sapeva come avrebbe reagito alle sue provocazioni. Da quando lo aveva aggredito in mensa era come se qualcosa si fosse innescato in lui.
Non era più capace di subire in silenzio e la cosa lo spaventava. Un altro passo falso gli poteva costare caro.
Mi costerebbe l'ammissione alla Columbia, per esempio. La preside era stata chiara: niente più errori simili.
I tre ragazzi si incamminarono verso le rispettive aule – Chris e Harry frequentavano insieme il corso di biologia.
«Ah, già, tu e Yoshikawa avete il primo pomeriggio di punizione» si ricordò Chris, affiancandolo. Con lo sguardo basso, controllava di aver preso i libri giusti senza badare a dove stesse mettendo i piedi. Harry lo afferrò per il colletto del blazer e lo tirò di lato per impedirgli di sbattere contro uno del primo anno.
Gli occhi di Hannah si illuminarono di consapevolezza. «Dai, Harry, guarda il lato positivo.»
«Non esiste un lato positivo in questa faccenda, Hannah.»
«Ma certo che sì.» Lei ridacchiò. «Magari potreste beccare i ragazzi della squadra di football...»
Christopher rise. «Non vorresti ammirare gli addominali di Nate? »
«Senza il suo consenso è molestia, Chris» osservò Hannah.
Il sangue affluì sul volto di Harry. «Smettetela» bofonchiò, spingendo il nasello degli occhiali con l'indice. Evitò i loro sguardi.
Il corridoio era pieno di ragazzi. Il parlottare era un brusio leggero, che rendeva impossibile distinguere le singole voci.
Arrivarono di fronte all'aula di biologia. La porta era aperta e i suoi compagni stavano prendendo posto.
Hannah fece loro un cenno con la mano. «Ci vediamo dopo!»
Chris e Harry la salutarono, poi lei si volse e si incamminò verso l'aula di fisica.
«Basta con le allusioni. Concentriamoci sulle cose importanti» disse Harry prima di oltrepassare la soglia della classe.
Chris alzò gli occhi al cielo. «Sì, sì. Yoshikawa, lo so.»
Harry fece per voltarsi e ribattere, ma qualcosa gli colpì forte la spalla facendogli cadere libro e quaderno sul pavimento.
«Maledizione» imprecò Harry a mezza bocca. Si chinò per recuperare il suo prezioso volume di biologia. Teneva moltissimo ai libri di testo: usava una sovraccoperta e quando studiava sottolineava a matita con un righello. Ogni argomento era contrassegnato con un post-it di un colore preciso, a seconda dell'importanza o della difficoltà.
«"Yoshikawa" cosa?»
Mentre afferrava il libro, Harry notò dei mocassini fermi a poca distanza da lui.
Quando si raddrizzò, si scontrò con gli occhi nocciola di Ren.
La sua espressione divertita mandò in frantumi l'autocontrollo di Harry e lui non riuscì a frenare la lingua.
«Dicevo quanto sei coglione.»
«Hai sempre il mio nome nella bocca, eh, Thompson?» lo sfotté Ren con un sorriso che gli tagliava a metà la faccia. «Goditelo, perché avrai solo quello.»
Harry avvampò e strinse la mano libera a pugno. «Brutto stron...»
«Harry» gli sussurrò Chris. «Andiamo a sederci, prima che arrivi la professoressa Smith.»
Lanciò un'occhiataccia a Ren, poi si diresse verso un banco libero, il secondo della fila vicino alla finestra. Chris si sedette dietro di lui.
I suoi compagni stavano ancora chiacchierando e le gocce di pioggia picchiettavano la finestra come piccoli sassi sul vetro.
Harry poggiò la borsa a terra. Fece strisciare la sedia sul pavimento, quando notò Ren che si avvicinava al banco libero di fianco al suo. Ebbe l'istinto di buttarci sopra la borsa o, in alternativa, di dargli un calcio per ribaltarlo e impedirgli di sedersi.
Molto maturo, Harry.
Si accomodò con uno sbuffo esasperato, mentre il suo compagno prendeva posto senza degnarlo di uno sguardo. Harry, invece, lo scrutò di traverso per cogliere ogni suo movimento.
Yoshikawa si chinò verso lo zaino appoggiato ai piedi del banco e lo aprì. Era decorato con le spille dei suoi gruppi rock preferiti, tra cui una band inglese – i Poison Dust – che andava molto in voga in quel periodo. Piaceva parecchio anche a Harry. Forse Ren l'ascoltava per via della nazionalità giapponese del vocalist, ma restò comunque sorpreso di avere qualcosa in comune con lui.
Il ragazzo tirò fuori un blocco per appunti, un astuccio blu scuro e il libro di biologia. Harry si sorprese un'altra volta: anche il suo sembrava immacolato, aveva una sovraccoperta azzurra e alcuni post-it sbucavano dalle pagine voluminose.
Ren posò il gomito sul banco e sostenne la guancia con il palmo. Lo guardò intensamente, il suo volto ospitava apparente fastidio.
«Hai davvero un brutto vizio» esordì.
Harry trasalì, colto di sorpresa. «Cosa?»
«Smettila di fissarmi» sbottò Ren. «Sei disgustoso.»
«Vaffanculo» lo apostrofò Harry, tuttavia arrossì. «Non ti fisso.»
«Te l'ho già detto, io sono eterosessuale.»
Harry digrignò i denti. Afferrò una gomma dall'astuccio e gliela lanciò, ma Ren riuscì a schivarla appena in tempo.
«Preferirei morire, credimi» sibilò con il tono impregnato di acido.
Yoshikawa abbassò il viso sul libro di testo, alzando un sopracciglio. «Non me ne fotte niente.»
La professoressa Smith, una donna piacente sui quarantacinque anni, entrò in classe e chiuse la porta dietro di sé. Indossava un tailleur grigio chiaro e i capelli rossi erano legati in uno chignon sulla nuca.
«Buongiorno, ragazzi.» Poggiò la valigetta sulla cattedra. «Vi ho riportato i test della settimana scorsa.»
Un mormorio si diffuse per tutta l'aula.
Harry drizzò la schiena come se lo avessero frustato. All'improvviso, la Smith catalizzò tutta la sua attenzione. Strinse la matita in pugno. Non era certo di aver svolto bene quel test, durante lo studio aveva avuto qualche difficoltà a memorizzare i concetti e le domande gli erano sembrate un po' più criptiche del solito.
Una b gli avrebbe rovinato la media perfetta. E non poteva proprio permetterselo, non dopo quello che era successo qualche giorno prima.
Gli occhi verde acqua della professoressa sondarono la classe. Non c'era traccia di divertimento, o di qualsiasi altra emozione, sul suo volto. A guardarla meglio forse sembrava un po' irritata.
«Siete stati deludenti» disse lei, aprendo la valigetta e tirando fuori un plico di fogli. Li contò, pronta a distribuirli. «Credevo che la differenza tra la cellula eucariote e quella procariote fosse ormai chiara.»
Harry deglutì. Iniziò a tamburellare il piede sul pavimento. In quel momento scordò perfino il proprio nome.
La professoressa cominciò a distribuire i compiti ai suoi compagni, che mormoravano afflitti. Doveva essere stata una strage.
La donna si avvicinò al suo banco e a quello di Ren.
«Soltanto due persone hanno avuto una a. Significa che non era impossibile e che sarebbe bastato aprire il libro per prendere un buon voto.»
La Smith si fermò di fronte a lui e a Yoshikawa. Le sue labbra dipinte di color vinaccia si piegarono all'insù. Cercò i loro cognomi tra vari fogli, poi ne sfilò due.
Porse il test corretto a Ren, che lo prese.
Harry lo guardò: lui sorrise, soddisfatto, e sistemò il test in modo che il ragazzo potesse ammirare la a scarabocchiata sulla prima pagina.
La professoressa porse il foglio anche a lui. Harry allungò la mano tremante, con il cuore che ballava nel petto, e lo accettò.
Guardò subito il voto, perché lui era sempre stato convinto che "via il dente, via il dolore" fosse un ottimo modo di dire.
Era una a.
Il petto si sgonfiò come un palloncino, il sollievo si mischiò al sangue e il respiro tornò regolare. L'ossigeno riprese a circolare riattivando il cervello.
La media era salva.
Harry sogghignò e sistemò in bella mostra il test, così da sfoggiare il voto.
Quando sollevò il viso, lui e Ren fecero collidere gli sguardi. Erano di nuovo i migliori della classe, insieme.
Possibile che non riuscisse mai, mai, a batterlo?
Un'ondata di irritazione soppiantò il sollievo e la felicità per il bel voto. Sbiadiva e valeva meno, se anche Yoshikawa lo aveva ottenuto. Non era speciale, se qualcun altro raggiungeva lo stesso risultato.
La Smith tornò alla cattedra e appoggiò il fondoschiena al bordo, incrociando le braccia al petto. Li squadrò uno per uno.
«Avete letto il capitolo dodici?»
Un silenzio tombale calò sulla classe. Qualcuno mormorò un timido sì poco convinto, altri ebbero la decenza di stare zitti. Harry non confermò: sapeva a memoria quel capitolo, naturalmente.
«Bene» esordì la Smith, implacabile. «Qualcuno sa dirmi la differenza tra meiosi e mitosi?»
Harry piegò le labbra verso l'alto in un sorriso che tradiva vittoria.
Facile.
Sollevò la mano per rispondere.
Ren gli scoccò una rapida occhiata, poi puntò lo sguardo verso la professoressa.
«La mitosi è il processo di divisione cellulare per le cellule somatiche, mentre la meiosi avviene nelle cellule sessuali» sciorinò in tono annoiato.
Harry abbassò la mano di scatto. Il fastidio gli scottava l'epidermide come acqua bollente.
«Molto bene, Yoshikawa.» La donna annuì. «Sai dirmi la differenza tra i due processi di divisione cellulare?»
Harry, stavolta, non sollevò la mano prima di parlare.
«La mitosi consiste nella divisione del nucleo della cellula madre in due nuclei figli identici, con lo stesso numero di cromosomi» iniziò, tutto d'un fiato per timore che Ren gli rubasse la scena. «La meiosi, invece, porta alla formazione di cellule chiamate gameti, con un numero dimezzato di cromosomi.»
Sentì Christopher soffocare una risata dietro di lui.
Ren fece scattare la testa nella sua direzione e affilò lo sguardo, che Harry sostenne con un ghigno.
Prendi e porta a casa.
La professoressa iniziò a camminare per la classe, ponderando forse la prossima domanda.
«C'è... uhm, qualcosa che avviene durante la meiosi, ma che non succede durante la mitosi.» Si fermò, rivolgendosi alla classe, per poi far scivolare gli occhi su Ren e Harry. «Qual è il nome di questo processo?»
«Crossing-over» si affrettò a rispondere Harry, senza nemmeno rifletterci. Si sentiva in uno di quei quiz televisivi in cui si doveva dare la risposta giusta nel minor tempo possibile.
Ren strinse il libro di testo tra le dita, che divennero bianche. «Si tratta dello scambio di dna fra una coppia di cromosomi omologhi. È un evento di ricombinazione genetica, fondamentale per il processo evolutivo» spiegò. Il suo tono adesso era molto meno annoiato e più battagliero.
Harry gli scagliò un'occhiata velenosa, deciso a stracciarlo. «Avviene durante la Profase I, dopo la formazione della tetrade, che consente lo stretto contatto tra cromatidi non fratelli» continuò.
Dietro di lui, Christopher stava ridendo di gusto. Il suono gli arrivava attutito, probabilmente stava cercando di soffocarlo.
Harry lo ignorò e continuò a sorreggere il peso degli occhi furenti di Ren.
Ormai non era più una scusa per prendere un altro bel voto: era una battaglia in campo, un duello che prevedeva la morte di uno dei due. La sopravvivenza di entrambi non era contemplata, un po' come tra Voldemort e Harry Potter.
Ren si girò del tutto verso di lui, curvò appena il labbro in un sorriso privo di gioia. Nelle sue iridi sfavillava una luce pericolosa. «Durante la formazione della tetrade, i filamenti si rompono e si crea il chiasma.»
Anche Harry si voltò verso di lui. I compagni e la professoressa svanirono. Ren occupava tutto il suo campo visivo e tirava i fili della sua attenzione.
Doveva sconfiggerlo.
«Il chiasma è una giunzione tra regioni di cromatidi non fratelli.»
«Permette lo scambio tra i due cromosomi, formando un cromatidio ricombinante» completò Ren.
Harry fece per controbattere, ma la professoressa batté le mani.
«Okay, ragazzi, basta così.» La Smith ridacchiò. «Siete bravissimi, avete studiato l'argomento alla perfezione. Porterò il vostro voto ad a+.» Si diresse verso la lavagna, dichiarando concluso il dibattito.
Che, di nuovo, era finito in parità.
Harry e Ren continuarono a fissarsi per un po', senza distogliere lo sguardo l'uno dall'altro.
Harry ebbe l'impressione che, se non fosse stato attento, quelle iridi avrebbero potuto risucchiarlo.
***
Era pomeriggio inoltrato, quando Harry si affrettò a camminare verso lo spogliatoio maschile. Gli allenamenti della squadra di football erano terminati da un pezzo, quindi, come da disposizioni, doveva iniziare la sua punizione.
Il cielo era ancora piuttosto cupo, soprattutto adesso che il tramonto stava inghiottendo le ultime luci del giorno.
Harry attraversò il cortile per raggiungere l'ala della scuola dedicata alle attività sportive. La Pumpkin Lake Academy aveva un occhio di riguardo nei confronti degli sport, pertanto quella zona del liceo era molto curata. C'erano un campo di football, uno di calcio e una palestra che ospitava gli allenamenti della squadra di basket. Per arrivare agli spogliatoi, si dovevano superare il campo di football e gli spalti.
I raggi del sole morente erano offuscati da nuvole ancora gravide di pioggia. Alcune gocce picchiettavano le pozzanghere e impastavano le foglie sparse sul terreno: stava per piovere. Di nuovo.
I lampioni illuminavano il corridoio esterno che Harry stava percorrendo. Si strinse nel blazer, perché l'aria di ottobre era particolarmente pungente e lui quel giorno non aveva il giubbotto.
La scuola era deserta, a parte alcuni studenti in biblioteca.
Lui e Yoshikawa sarebbero stati da soli in un'unica stanza.
Sentiva i muscoli della schiena irrigiditi e una scomoda sensazione gli strisciava sottopelle. Avrebbe voluto essere da un'altra parte.
Condividere quel tempo con Ren due volte alla settimana era davvero una pessima, pessima idea. Trovava già difficile tollerarlo in classe, come avrebbe potuto resistere alla voglia di saltargli al collo? Lo irritava perfino quando respirava.
Sospirò, cercando di calmare i nervi tesi.
Si fermò di fronte alle porte aperte degli spogliatoi, sormontate da una tettoia abbastanza larga. A poca distanza dall'ingresso individuò un carrello per le pulizie e un inserviente. Era un giovane uomo con i capelli rasati e indossava un'anonima divisa grigia.
La luce rossa di una sigaretta brillò per un istante, quando l'inserviente ne aspirò una boccata. Fece uscire il fumo da un angolo della bocca, dopodiché spostò lo sguardo verso di lui.
«Buonasera» esordì Harry, raggiungendolo sotto la tettoia.
Lui gli fece un cenno. «Sei uno dei ragazzi della punizione?»
Harry annuì.
L'uomo indicò il carrello. «Avete tutto quello che vi serve» spiegò. «Io starò qua fuori. La preside Martinez mi ha incaricato di controllarvi.»
Il ragazzo diede un rapido sguardo al carrello: c'erano detergenti, canovacci, una scopa e un bastone per lavare il pavimento agganciati a un lato. Per fortuna faceva spesso le pulizie, quando sua madre doveva lavorare. Era abbastanza bravo.
Si accinse a spingere il carrello oltre le porte. Le luci al neon del soffitto erano accese e illuminavano l'ambiente, riflettendosi sugli armadietti chiusi. Le panche in legno erano vuote e c'era un silenzio desolante.
Harry ridusse gli occhi a due fessure. Gli ci volle un secondo per capire.
Si fermò dopo aver superato la soglia e si rivolse all'inserviente.
«Dov'è l'altro studente?»
L'inserviente si strinse nelle spalle. «Non è ancora arrivato» gli rispose. «Se non verrà, sarò costretto a riferirlo alla preside.»
Harry toccò il nasello degli occhiali. Si morse l'interno della guancia, tentando di controllare l'irritazione che gli montava dentro.
È davvero la volta buona che lo ammazzo.
Spostò il carrello dentro la stanza. Lo spogliatoio era un casino, adesso che lo vedeva meglio: cartacce appallottolate giacevano vicino al cesto della spazzatura; c'erano briciole e avanzi di merendine morse a metà; asciugamani sporchi erano riversi un po' per terra e un po' sulle panchine.
Non voleva vedere le condizioni delle docce.
Guardò ancora le porte, che nel frattempo l'inserviente aveva socchiuso.
Estrasse il cellulare dalla tasca: Ren era in ritardo di dieci minuti. Non aveva il suo numero di telefono, ma lo avrebbe costretto a darglielo. Valutò se scrivergli su Instagram per chiedergli dove cazzo fosse finito. Si rigirò lo smartphone tra le mani, mentre l'ansia cominciava a gonfiargli i polmoni.
«Al diavolo» sbottò, infilando il telefono nella tasca dei pantaloni. Si tolse il blazer, lo ripiegò su una delle panche per non sgualcirlo o sporcarlo. Allentò il nodo della cravatta e rimboccò le maniche della camicia fino ai gomiti.
Lo farò io al posto suo e in qualche modo convincerò l'inserviente a tapparsi la bocca.
Quel piano faceva davvero schifo, però al momento non aveva alternative. Non poteva permettere a quel deficiente di combinare ulteriori danni.
Magari lo scopo di Ren era impedirgli di frequentare il college dei suoi sogni. Ma per quale motivo? D'altronde, cosa gliene importava di lui? Era l'ultimo anno alla Pumpkin Lake Academy per entrambi, avrebbero frequentato college diversi.
Harry non sapeva in quali università Ren avesse fatto domanda. In ogni caso, Yoshikawa era brillante tanto quanto lui, non avrebbe avuto problemi a entrare in un college della Ivy League. Quel ragionamento non aveva senso.
Lanciò uno sguardo carico di preoccupazione e rabbia verso le porte socchiuse.
Digrignò i denti, dopodiché rilasciò l'aria con uno sbuffo. Acciuffò un paio di guanti e li indossò. Ebbe un po' di difficoltà, perché era così incazzato che stava tremando.
Cosa faccio, se non viene?
Afferrò un detergente e un canovaccio pulito dal mucchio dentro il carrello.
Proprio in quel momento, un cigolio metallico gli fece girare la testa verso l'ingresso.
La sagoma di Ren era in controluce. I coni luminosi proiettati dai lampioni lasciavano intravedere la pioggia incessante alle sue spalle.
Il ragazzo oltrepassò la soglia e diede un calcio a una delle porte per chiuderla. Lo guardava in silenzio, con un'aria arrogante stampata sulla faccia angelica. Strisce d'acqua gli scivolavano dai capelli bagnati, di un biondo più scuro del solito.
I vestiti zuppi gocciolavano sul pavimento. Tirò su col naso, spostandosi le ciocche all'indietro con le dita. Si tolse la giacca della divisa e la lanciò sulla panca, a poca distanza da quella di Harry, poi si slacciò due bottoni della camicia. Era così bagnata che gli si incollava al torace.
Harry strinse lo strofinaccio nel pugno.
«Sei in ritardo» osservò tagliente.
Ren sfoderò un sorriso privo di divertimento. «Speravo che avessi già iniziato.»
Harry gli scagliò addosso lo strofinaccio, che dopo una breve parabola finì appena vicino alle scarpe di Ren. Azzerò la distanza tra loro con una falcata.
Yoshikawa non si mosse di un passo. Continuò a guardarlo dritto negli occhi e lui tentò di reprimere l'impulso di urlargli contro. Erano così vicini che avrebbe potuto contargli le gocce imbrigliate alle ciglia lunghe. Il suo profumo fresco era reso più intenso dalla pioggia, aveva imbevuto ogni particella d'aria.
Tutto, in quella situazione, disturbava Harry. Quel fastidio si era raggruppato in un nodo tra lo stomaco e le costole. Cercò di ignorarne l'origine.
«Sei un irresponsabile» esplose.
«Non perdi mai l'occasione di starmi addosso» lo rimbeccò Ren. Il suo volto si contrasse in una smorfia. «Spostati.» Fece per dargli una spallata, ma Harry gli artigliò il braccio per trattenerlo.
«No. Devi ascoltarmi...»
A quel punto, Ren si divincolò con uno strattone. I suoi occhi, adesso, erano privi della solita luce ironica e le labbra erano stirate in una linea dritta. Si avvicinò a lui, tanto da solleticare il viso di Harry con il suo respiro.
Lui si immobilizzò.
«Non toccarmi, nullità» gli sibilò Ren. «È un privilegio che concedo a pochi. E tu non sei nella lista.»
Harry fece un passo indietro, perché la sua presenza ingombrante iniziava ad annichilirlo.
«Allora non mi provocare» controbatté, furente. «Smettila di infastidirmi, di parlarmi, di guardarmi. Lasciami in pace, cazzo.»
Yoshikawa non replicò. I suoi occhi, resi affilati dalla forma delle palpebre, divamparono. Le ciocche bionde erano appiccicate ai lati del viso e le gocce formavano percorsi imprecisi sulla sua pelle.
«Non posso.»
«Cosa vuoi dire?»
Ren recuperò la distanza tra loro e Harry arretrò di nuovo.
Avrebbe tanto voluto ignorare il battito impetuoso del cuore. Ma non ci riusciva.
Gli venne in mente un paragone davvero idiota e fuori luogo per quel momento: suo malgrado, era come la capra di Jurassic Park. Legato con una catena nel recinto del predatore, in attesa di essere sbranato.
«Renderti la vita difficile, Thompson, è il mio unico piacere.»
«Sì, ma perché io? Trovati qualcun altro da importunare» insistette Harry. Aveva intravisto qualcosa, uno spiraglio, e aveva intenzione di insinuarsi in quella crepa. Voleva capire, così forse lui avrebbe smesso di tormentarlo.
Un guizzo impercettibile attraversò la mandibola di Ren. «Mi stai rompendo le palle. Se non la smetti, ti prendo a calci.»
«Provaci.» Harry sollevò il mento. «Ho smesso di subire in silenzio.»
«Allora sarà ancora più divertente.»
Harry sospirò, massaggiandosi una tempia con l'indice e il medio. «Senti» iniziò. «Fa' un po' come cazzo vuoi, ma puliamo questo spogliatoio e andiamocene.»
Ren scoppiò a ridere. «Oh, no, nullità.» Si sedette sulla panca, incrociando le gambe e le braccia. «Io non muoverò un muscolo.»
Harry strinse i denti così forte da sentire dolore. «Tu mi aiuterai.»
«Non ci penso proprio.» Ren inarcò un sopracciglio. Tolse l'iPhone dalla tasca, lo sbloccò e abbassò lo sguardo sullo schermo. Si coricò sulla panca, poggiando i piedi e piegando le ginocchia, poi si mise nelle orecchie le cuffie collegate al cellulare.
Harry, a quel punto, si tolse i guanti e li gettò nel carrello. Avanzò deciso verso di lui e, quando gli fu di fronte, gli sfilò le cuffie. Gli scagliò il telefono sul legno senza alcun riguardo.
Ren si alzò di scatto. «Che cazzo fai?» proruppe.
Harry fece spallucce. «Muovi il culo e dammi una mano.»
Ren, però, lo afferrò per il colletto della camicia e gli fece sbattere la schiena contro un armadietto.
Il clangore del metallo infranse il silenzio. Una scossa di dolore costrinse Harry a strizzare gli occhi.
Ren gli premette le gambe con le sue, immobilizzandolo tra l'armadietto e il proprio corpo. Stringeva ancora il colletto della camicia di Harry.
«Non toccare mai più né me né le mie cose. Sono stato abbastanza tollerante, finora» gli sussurrò a un centimetro dalle labbra. «Credi che avermi dato un pugno ti abbia portato al mio livello? Sei una cazzo di nullità.» Gli dedicò una smorfia di disprezzo, dopodiché lasciò la presa. «E adesso pulisci questo porcile.»
Harry rimase appoggiato all'armadietto per qualche secondo. Lo aveva preso alla sprovvista, perciò non riuscì a formulare subito una risposta abbastanza tagliente per rimetterlo al suo posto. A dire il vero, non fu in grado di elaborare pensieri di senso compiuto. Quel nodo di fastidio era cresciuto e adesso gli opprimeva il torace.
Prese dei respiri profondi. Deglutì, frastornato.
Mentre Ren si sedeva di nuovo sulla panca, le porte si aprirono e l'inserviente fece capolino.
«Ho sentito un rumore. Cosa state facendo?»
«Niente, puliamo» rispose Ren prontamente, nascondendo il cellulare nella tasca.
L'uomo fece saettare lo sguardo da lui a Harry. Lo squadrò per un istante, prima di chiedere: «È tutto a posto?»
«Tutto a posto» si limitò a replicare lui.
L'inserviente non sembrò molto convinto, tuttavia svanì dietro la porta lasciandola socchiusa.
Harry si tolse gli occhiali, pulì le lenti con un lembo della camicia, poi se li mise di nuovo.
Evitò di concedere a Ren un'occhiata. Si diresse verso il carrello delle pulizie.
Avrebbe scontato da solo la punizione, poco importava. Gli interessava superare l'anno con il massimo dei voti e garantirsi l'accesso all'università.
Per quel motivo, quando si fermò di fronte al carrello piantò gli occhi in quelli di Ren.
«Puoi andare a farti fottere» gli disse, con il tono vibrante di collera.
Lui gli mostrò il dito medio, ma non rispose e si infilò le cuffie nelle orecchie.
Mentre prendeva l'occorrente per pulire, Harry ricordò a se stesso di avere un unico obiettivo. Nessuno doveva distoglierlo dal bersaglio.
Lui non era la capra di Jurassic Park, era un maledetto Velociraptor.
Non avrebbe permesso a Ren Yoshikawa di sconvolgergli ulteriormente la vita.
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