2. Non svegliare il can che dorme

«E quindi ti ha spinto e sei caduto.»

«Sì.»

«E ha rovesciato i tuoi libri a terra. Davanti a tutti.»

Harry sospirò, esasperato, cercando di raddrizzare gli occhiali. La montatura si era graffiata a causa del suo contatto ravvicinato col terreno e pendeva da un lato. Cazzo. Sua madre lo avrebbe ucciso.

Aveva cercato di non pensare a quello che era successo prima di entrare a scuola, ma Hannah non gli dava tregua.

Durante tutta la lezione di letteratura inglese gli aveva fatto una specie di interrogatorio e sembrava determinata a continuare.

«Sì, Hannah. Quante volte ancora dovrò ripetertelo?»

Le lanciò un'occhiata di sottecchi, era seduta sul banco accanto al suo. Christopher non era con loro, perché aveva algebra alla prima ora. Tra poco avrebbero dovuto cambiare aula per seguire il corso di storia. Il parlottare dei suoi compagni di classe era diventato un piacevole brusio di sottofondo.

Ren Yoshikawa aveva assistito alla lezione dall'ultimo banco in fondo alla classe. Una volta terminata, si era alzato in tutta fretta e si era dileguato. Solo quando l'aveva visto svanire oltre l'aula, Harry si era accorto di aver respirato faticosamente per cinquanta lunghissimi minuti.

Percepiva ancora le dita formicolare e l'eco della rabbia che lo aveva incendiato. Il peso dell'umiliazione gli stritolava i polmoni. Quando pensava al sorriso sfacciato di Ren, gli tornava la voglia prepotente di spaccargli la faccia. Soltanto Dio sapeva cosa lo avesse trattenuto. Finora ignorarlo era stato semplice: Ren, dopotutto, si era limitato a prese in giro plateali ma comunque sopportabili.

Preferiva incrociarlo il meno possibile, perché si trovava vicino a un pericoloso punto di rottura. Voleva evitare a tutti i costi di commettere delle sciocchezze che avrebbero potuto pregiudicare l'ammissione al college dei suoi sogni.

La sua migliore amica fece spallucce. «Te lo chiederò tutte le volte che saranno necessarie.» Portò una ciocca castana dietro l'orecchio e allisciò la frangetta, pensierosa. «Okay, ricapitoliamo...»

Harry gemette. Fece sbattere la fronte contro la superficie fredda del banco. «Merda, di nuovo? Cosa non hai capito?» Sospirò e ruotò la testa fino a incrociare gli occhi azzurri di lei. «Yoshikawa è uno stronzo e non è una novità. Fine. Possiamo smettere di parlarne, grazie

Lei, ovviamente, lo ignorò. Hannah aveva una mente analitica, era abituata a catalogare ogni cosa in liste di pro e contro. Sapeva risolvere un complicatissimo test di logica in un minuto esatto e a League Of Legends era la migliore. La missione del giorno era risolvere il rompicapo nominato "Ren Yoshikawa". Harry sospettava che se non ci fosse riuscita non avrebbe dormito serena.

«Beh, ci ha sempre infastidito con nomignoli idioti.» Hannah sbatté le ciglia, poi sollevò gli occhi al soffitto come se stesse riflettendo – analizzando, per l'appunto. «Ma non si è mai spinto a tanto. Cosa gli hai fatto?»

Harry non rispose per un lungo istante.

Era vero. Yoshikawa nutriva una profonda antipatia per loro tre, soprattutto per lui e Hannah, ma non aveva mai osato comportarsi in quel modo. Si limitava a insulti verbali, non era mai stato violento prima d'ora. In ogni caso non c'era nulla che potesse giustificarlo.

Abbozzò un sorriso ironico, mentre si raddrizzava. «Magari gli rodeva perché all'ultimo test di chimica ho preso a+.» Intrecciò le dita e allungò le braccia per stiracchiarsi. «Gli acidi e le basi non hanno più segreti per me.»

Hannah arricciò le labbra in una smorfia. «Gli dai corda» osservò, decisa. «Se la smettessi di essere in competizione con lui, magari lui la smetterebbe di darti il tormento.»

«Mai. Batterlo nei test è la mia soddisfazione personale.»

«Non sembri uno che è stato picchiato in cortile.» Hannah assottigliò le palpebre. «Sei sicuro di non avermi detto una bugia?»

«Prima di tutto» iniziò Harry, «non mi ha picchiato. Mi ha solo spinto.» Solo: quella parola gli bruciò sulla lingua. Ma non voleva dare ulteriore peso alla situazione, quindi minimizzò. «E poi, cosa ci guadagnerei a inventarmi una cosa del genere?»

«Comunque, continua a essere strano.»

Harry sbuffò. «Non me ne frega niente. Piantala di parlare di lui.» Non voleva sentirlo più nominare per almeno una vita intera.

«Va bene, come vuoi tu.» Hannah fece schioccare la lingua sul palato, dopodiché si alzò. Prese il quaderno e lo strinse al petto. Guardò l'orologio. «Andiamo.»

Harry raccattò le proprie cose e insieme uscirono dall'aula ormai semivuota.

Nel corridoio, quadrati di luce erano proiettati dalle varie finestre. Sulla parete sinistra sfilavano le porte delle classi e, poco lontano, si trovavano le macchinette automatiche. Il brusio che si erano lasciati alle spalle aumentò, mentre si dirigevano agli armadietti.

Svoltarono un angolo e si imbatterono negli amici di Ren.

Erano sei ragazzi, tre maschi e tre femmine – una di loro era Paige, la nuova conquista di Ren. All'appello mancava Nate Howard, il migliore amico di Yoshikawa.

In quel gruppo c'erano i più ricchi dell'intera Pumpkin Lake Academy e, naturalmente, i più belli.

Harry ebbe un tuffo al cuore.

Merda.

Se ne vergognò, eppure una scintilla di paura gli si accese tra il petto e lo stomaco. Valutò se scappare via, ma i libri gli servivano. E poi, lui non era un codardo. Non gli importava che Ren lo avesse fatto sentire una nullità di fronte a tutta la scuola.

I suoi occhi si affannarono per cercare quella testa bionda inconfondibile. Lui, però, non c'era.

Il gruppo era fermo a pochi passi dagli armadietti. Un insolito silenzio appesantiva l'aria, spezzato dai borbottii di diversi ragazzi che fissavano un punto particolare. Alcuni ridacchiarono come se avessero visto qualcosa di divertente.

Hannah si fermò, stringendo il quaderno al petto prosperoso. Abbassò lo sguardo, intimorita.

«Ho un brutto presentimento» mormorò lui.

Isaac, il più grosso e il più idiota degli amici di Ren, sollevò la testa e li notò. Fece scivolare lo sguardo verso Hannah e il suo sorriso strafottente si allargò.

«Oh, ecco la nostra grassona e la nostra nullità.»

Harry serrò la mandibola e non osò guardare la sua amica. Sapeva che stava per piangere: Hannah non viveva bene il rapporto con il proprio corpo. Non era filiforme come le cheerleader, non era il tipo di ragazza che ammettevano nel loro "club esclusivo", e non mancavano di farglielo notare.

Non si mette bene.

Resse con sfida gli occhi scuri di Isaac, mentre gli altri suoi amici ridacchiavano.

Harry non ci pensò neppure un secondo: afferrò la mano di Hannah e, con il mento alto e lo sguardo fiero, si fece largo tra la folla. Il cuore nel suo petto batteva forte, temette che gli sarebbe uscito dalla gola.

Non gli importava. Avrebbe preso i libri e avrebbe raggiunto l'aula di storia. Loro non esistevano, per lui. Nonostante gli venisse da vomitare, nonostante stesse sudando tutta l'acqua che aveva in corpo, avrebbe continuato a camminare deciso verso l'obiettivo.

Trascinò Hannah dietro di sé per proteggerla da quegli stronzi. Non badò al coro di insulti sputati tra una risata e l'altra.

Ma non poté ignorare quello che vide sulla vernice argentata del proprio armadietto.

Anche perché, beh, era difficile ignorare le scritte e i disegni rossi che lo decoravano.

Tra gli scarabocchi osceni di genitali maschili, c'erano tutti i nomignoli che il gruppo alle sue spalle gli aveva affibbiato nel corso degli anni.

Nullità era quello che occupava più spazio, scritto in grande; c'erano anche cazzone, sfigato di merda, nerd del cazzo, mammone.

Conosceva bene quella grafia.

Harry sentì la rabbia familiare ribollire nel sangue, fino a offuscargli la vista. Ondate di calore gli si arrampicarono dal collo alla faccia. Serrò il pugno per evitare di scagliarlo contro l'armadietto.

Il battito furioso del cuore sovrastò le risate, le cantilene e i bisbigli divertiti. Si concentrò solo su quello e sul proprio respiro veloce.

«Harry...» sussurrò Hannah al suo fianco. Lui non si voltò verso di lei, perché stava cercando di trovare la calma.

Non era arrabbiato per le scritte, francamente non gliene fregava un cazzo, ma era così stanco... Era esausto di sopportare, di stringere i denti, di fingere che andasse tutto bene.

Doveva comportarsi in modo responsabile: era costretto a badare spesso ai suoi fratelli perché era il maggiore e sua madre era troppo occupata con il lavoro. Non poteva lamentarsi, anche se avrebbe voluto dedicarsi a ciò che amava davvero – come la scrittura; doveva lavorare in un diner ogni giorno, per mettere da parte i soldi necessari a comprarsi un'automobile e aiutare la madre con le spese e le bollette. A scuola, doveva sopportare le angherie dei suoi compagni soltanto perché era diverso dagli altri, perché gli piaceva leggere e giocare ai videogiochi anziché partecipare alle loro feste stupide.

Era esausto, sul serio.

«Ti piace la mia arte, Thompson?»

Harry chiuse gli occhi.

Maledizione.

Sentire quella voce gli scatenò spiacevoli brividi lungo la schiena. Fu come se ogni centimetro del suo corpo fosse stato percorso dall'elettricità.

Perché non lo lasciava in pace? E che accidenti voleva quel giorno? Gli stava dando il tormento senza concedergli una tregua.

Fece dei profondi respiri per ossigenare il cervello. Sperò di essere finito in un incubo, non c'era altra spiegazione per quell'accanimento.

Quando si accertò di non voler commettere un omicidio a sangue freddo, si girò per affrontarlo.

Ren aveva la schiena poggiata al muro vicino alla porta dei bagni. Le labbra erano stirate in una sottile linea severa. I suoi occhi apparivano vuoti e al contempo pieni di troppe emozioni. Harry non riuscì a classificarle.

Il ragazzo aveva le braccia incrociate e le dita serrate attorno ai bicipiti. Nella mano destra, tra il pollice e l'indice, stringeva un pennarello indelebile rosso. Il blazer era sbottonato e la cravatta era perfettamente annodata sulla camicia priva di pieghe.

Per uno sciocco e infantile attimo, Harry pensò alla propria cravatta annodata male. Odiò Ren persino per quel dettaglio così stupido.

Ridusse gli occhi a due fessure, ma non lo degnò nemmeno di una risposta.

Fottiti, avrebbe voluto gridargli. Invece, rimase a fissarlo come quella mattina. Perché non aveva un potere sovrannaturale che gli permettesse di sciogliere quella stramaledetta faccia angelica?

Nello sguardo di Ren si agitò un bagliore insolito. Non sorrideva come prima, al contrario era rigido, impostato. Il suo corpo slanciato sembrava una statua, troppo perfetto per essere reale. Il suo viso, cesellato come una maschera di cera, era privo di crepe. Tuttavia, Harry sospettò che nascondesse qualcosa.

Hannah aveva ragione. Era diverso. Tutto, quel giorno, lo era.

Spezzò bruscamente il contatto visivo. Si voltò e aprì l'armadietto con un gesto secco. Spostò alla rinfusa i libri, afferrò il quaderno e il libro di storia, poi sbatté con furia il metallo. Il clangore sovrastò le risatine e i commenti al vetriolo dei suoi compagni.

Strinse la mano di Hannah e, prima di andarsene, rivolse a Ren un gestaccio.

Lui rimase a guardarlo impassibile, Harry percepiva il peso dei suoi occhi addosso.

Pareva che nulla al mondo fosse in grado di scalfirlo.

Prima o poi, pensò Harry, lo farò io. Lo scalfirò io.

***

Harry non vedeva l'ora di tornare a casa.

Lui, Hannah, Christopher e Rosie erano seduti al loro solito tavolo della mensa, quello più isolato di tutti, vicino alle porte d'ingresso.

Un cicaleccio confuso riecheggiava per tutta la sala. Anche i suoi amici e sua sorella stavano provando a chiacchierare come se fosse una giornata qualunque.

Harry, tuttavia, era così incazzato che aveva deciso di chiudersi in un mutismo contemplativo.

Stava sbocconcellando il proprio pasto di malavoglia – maccheroni al formaggio un po' sconditi – e sfogliava uno dei suoi libri preferiti senza leggerlo davvero. Si trattava di un romanzo sui viaggi nel tempo. La protagonista finiva nella Russia del futuro e si innamorava di una biomacchina di morte al servizio del governo totalitario. Lo aveva letto all'incirca sei volte e riusciva sempre a calmargli i nervi quando era agitato.

Non stavolta, però.

Stavolta temeva che non sarebbe stato sufficiente neppure un miracolo.

Nonostante ci provasse, non riusciva a togliersi dalla testa gli occhi a mandorla di Ren e la sua faccia.

Quel giorno lo stava provocando, era ovvio.

La Columbia. La mia media perfetta. Il curriculum immacolato.

Erano tutto ciò che gli importava. Lui aveva soltanto la scrittura e la sua intelligenza.

Harry strinse la forchetta nel palmo fino a imprimerne la sagoma sulla pelle. Si era imposto di non reagire, di non cedere.

«Cosa facciamo questo weekend?» chiese Chris, parlando a bocca piena.

Hannah storse le labbra in una smorfia disgustata e indicò con un gesto vago la bocca dell'amico. «Per favore, mastica prima di parlare. Stai sputando dappertutto.»

Christopher aprì la bocca e le mostrò il contenuto masticato, per farle un dispetto.

«Dio, sei un bambino.»

Harry sospirò e non commentò. Riportò gli occhi sul foglio davanti a sé e rilesse la stessa riga per la decima volta.

I suoi pensieri saettavano impazziti da una parte all'altra, senza logica, e non ne aveva proprio il controllo. Ripensò a quando Ren l'aveva spinto nel cortile; alla sua aria strafottente dopo avergli vandalizzato l'armadietto; a tutte le volte che aveva dovuto cambiare strada in città, per evitare di incrociarlo ed essere preso in giro pubblicamente.

Sospirò di nuovo, stringendo ancora la forchetta e aggrottando la fronte. Un misto di emozioni si agitava nel suo petto, dominate dalla collera.

Ma, soprattutto, provava l'urgenza di chiudersi in camera e di immergersi nei suoi mondi immaginari. Erano la sua unica salvezza. Nelle pagine di Word poteva dipingere il mondo come preferiva e muovere i personaggi a suo piacimento. Poteva essere chi voleva.

A volte, avrebbe preferito vivere nelle sue storie piuttosto che nella realtà.

«Ah, cazzo...» esclamò Chris. «Ragazzi, state calmi, okay?»

Harry gli lanciò un'occhiata. «Cosa c'è, adesso?»

Il suo migliore amico si mosse a disagio sulla sedia. «Ehm, Yoshikawa sta venendo qui.»

Harry assottigliò lo sguardo, mantenendolo fisso su Chris.

Hannah chinò il viso e si morse il labbro, torturando il cibo sul piatto. Rosie, invece, continuò a mangiare con appetito. Aveva una cuffietta infilata nell'orecchio e ascoltava musica.

«Ignoratelo» intimò Harry. «Qualunque cosa faccia, non rispondetegli. Si scoccerà di non essere al centro della Terra.»

Abbassò lo sguardo sul libro e sfogliò la pagina. Cercò con tutto se stesso di leggere, di figurarsi le scene del romanzo.

Individuò Ren all'angolo del proprio campo visivo e la concentrazione sfumò come nebbia a mezzogiorno.

«Buon pomeriggio, ragazzi.» La sua voce, roca e bassa, ruppe quel silenzio nervoso.

Nessuno gli rispose.

Ren, tuttavia, raggiunse la sedia di Rosie. A quel punto, Harry fece scattare la testa verso l'alto.

Il ragazzo curvò le labbra e non staccò lo sguardo da lui, mentre cingeva le spalle di sua sorella con un braccio e si sporgeva verso di lei. Era così vicino a Rosie che il suo respiro le scompigliava un ciuffo.

Lei impallidì, si irrigidì sulla sedia, poi avvampò fino alle orecchie. Parve smettere di respirare.

Ren continuò a fissare Harry con un'espressione serafica. «Thompson» lo apostrofò. «Perché non mi hai mai presentato la tua sorellina?»

Harry serrò le labbra, si morse l'interno della guancia finché il gusto metallico del sangue gli riempì il palato. La collera e il dispiacere lo agguantarono, mordendogli le viscere.

Pezzo di merda.

Christopher non riuscì a mantenere la calma e si voltò verso di lui. «Yoshikawa, che cazzo hai oggi, eh?» ringhiò. «Perché non te ne vai a 'fanculo con i tuoi amici?»

Ren lo guardò appena, dopodiché fece saettare gli occhi in quelli di Harry. Si conficcarono nei suoi e Harry non fu in grado di vedere nient'altro.

«Mi diverto di più con voi» rispose, pacato. Sfiorò con l'indice e il pollice una ciocca bionda di Rosie. «Mi hai nascosto una ragazza così carina, Thompson. Mi chiedo perché.»

Rosie boccheggiò e lanciò al fratello un'occhiata supplice.

Non reagire.

Non reagire.

Non reagire...

«È un po' piccola per me, però chissà, magari tra un anno o due sarà anche più esperta...»

«Stai esagerando» pigolò Hannah.

Okay.

Adesso basta.

Harry chiuse di scatto il libro e il tonfo risuonò definitivo.

Fu come se un'entità estranea avesse schiacciato un interruttore: la sua mente smise di ragionare, di contenersi. I fili legati alla razionalità si recisero. La voce della coscienza smise di tenere le redini del suo comportamento. Si sentì libero, privo di inibizioni.

Fece strisciare la sedia all'indietro e si alzò. Si tolse gli occhiali, che ripose con cura sopra la copertina del romanzo, quindi sollevò la testa e guardò la faccia sbiadita e opaca del suo personale tormento.

Era sicuro di avere un'espressione gelida e impenetrabile.

Quando aggirò il tavolo, gli sembrò di non essere più se stesso.

Arrivò a un passo da Ren.

Venne inondato dal suo profumo particolare, fresco ed estivo. Ora che erano vicini riusciva a scorgere i suoi lineamenti, prima sfocati a causa della miopia. Nelle iridi di Ren notò stupore e anche qualcos'altro, che però non colse appieno.

«Mi hai rotto il cazzo» gli disse senza un tono particolare.

Gli afferrò i lembi della giacca con entrambe le mani. Lo strattonò con forza, liberando Rosie dalla sua presenza.

Chiuse la mano destra, sollevò il braccio, dopodiché gli sferrò un pugno sullo zigomo. Un dolore acuto gli serpeggiò dal polso alla spalla.

Ren non si lasciò sfuggire neppure un gemito di dolore, quando cadde al suolo.

Le nocche di Harry pulsavano, il cuore pompava adrenalina e la rabbia sfrigolava dappertutto rendendolo elettrico.

«Porca puttana!» urlo Christopher.

«Harry!» esclamò Hannah.

Lui fissava con gli occhi intrisi di odio quella figura che, adesso, si stava sedendo sul pavimento.

Ren Yoshikawa si portò una mano sul labbro sporco di sangue.

Harry giurò di aver visto l'ombra di un sorriso soddisfatto su quelle labbra.

E lo incendiò come se qualcuno avesse arso una foresta con un lanciafiamme.

Digrignò i denti, si liberò dal buonsenso e si avventò su Ren. Gettò le ginocchia a terra, sedendosi a cavalcioni su di lui, e lo afferrò per la collottola.

Portò il suo viso a pochissima distanza dal proprio. Le pupille di Ren si dilatarono, inghiottendo il nocciola delle iridi.

«Perché cazzo stai ridendo?» ringhiò.

«Ti dà fastidio, Thompson?» mormorò lui, carezzevole, e il suo respiro si infranse sulla bocca schiusa di Harry. «Se ti dà fastidio, sorriderò ancora di più.»

«Porca troia, te lo cancello dalla faccia.» Harry venne pervaso dalla repulsione, lo spintonò e gli diede un pugno che gli spaccò ancora di più il labbro.

Altre urla concitate si unirono a quelle dei suoi amici, ma a lui non importava assolutamente nulla.

Si era reso conto soltanto in quel momento di quanto avesse desiderato stare sopra Ren Yoshikawa e prenderlo a cazzotti.

L'euforia gli risvegliò ogni cellula sopita. Era una sensazione inebriante, non si era mai sentito tanto appagato in vita sua. Avrebbe voluto gridare per la soddisfazione.

Diversi compagni iniziarono a incitarli esultanti, le ragazze strillavano sconvolte.

«Harry, basta» esclamò Hannah. «Se vi vedessero i professori, oddio...» la sentì gemere.

Ma a Harry non interessava: le parole dell'amica non ebbero alcun effetto su di lui. Voleva continuare a sfogarsi. Aveva trascorso quattro anni a reprimere quell'impulso, quel bisogno.

Vaffanculo i professori.

Vaffanculo la Pumpkin Lake Academy.

Vaffanculo il curriculum immacolato.

Fece per scagliargli un altro pugno, ma Ren gli agguantò il polso con uno scatto. Le sue dita erano forti e calde. Il ragazzo curvò il viso verso di lui, mentre si leccava un rivolo di sangue con la punta della lingua.

Harry sporse la schiena all'indietro per allontanarsi.

«So che per te questi sono preliminari» disse Ren. «Ma io sono etero.»

Harry si sentì travolgere dalla nausea. Si divincolò per liberarsi dalla sua presa. «Fottiti, Yoshikawa. Non ti scoperei nemmeno se fossi l'ultimo maschio del mondo.»

«Harry, cazzo, sta arrivando il professor Giles!» urlò Christopher.

Harry e Ren si voltarono verso la porta a due ante.

Il professore di fisica, un uomo sulla cinquantina vestito con un completo elegante, entrò nella mensa con un portamento fiero e un'espressione decisamente molto contrariata.

Solo in quel momento Harry si rese conto di quello che aveva combinato.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top