96. Taciti inviti

Linkin Park (Tommee Profitt Version) - In the End ♫

Un rumore sordo mi destò all'improvviso. Mi voltai di scatto con una mano all'altezza del petto, mentre con l'altra stringevo la matita rossa che avevo utilizzato per analizzare i grafici.

«Emma ma sei impazzita!» la sgridai vedendola al centro della camera da letto. Abbassai gli occhi notando un mare di fogli sfusi ai suoi piedi. Individuai in quel marasma di carte la fonte del rumore: erano i grafici e i numeri che appartenevano ai libri contabili dell'azienda di cui facevo parte. Aveva volontariamente fatto cadere la risma per farmi venire un colpo! Ma quelli non erano semplici fogli, erano i miei fogli.

«Perché lo hai fatto?!» strillai spazientita buttandomi con le ginocchia al suolo. Afferrai ogni singolo elemento prima che la bionda avesse potuto combinare altri disastri. Non mi potevo permettere distrazioni e quello scherzetto mi sarebbe costato l'intera nottata di lavoro. Era tutto da rifare, accidenti!

«Mmh, capisco. Quindi sei davvero così disperata?» Emma pareva una fredda assassina direttamente espatriata dalla Russia sovietica degli anni Cinquanta. Possibile che non fosse neanche un briciolo compassionevole nei confronti del mio sudato lavoro? Mi bloccai per poter gelare con lo sguardo la bionda che picchiettava il suo indice destro contro il mento. Non parve funzionare. Non mi stava considerando e con quella frase non aveva risposto alla mia isterica domanda.

«Scusami tanto se non voglio che il mio lavoro venga buttato nel cesso!» Da quando ero diventata così scurrile?

«Decisamente disperata» borbottò dopo qualche istante. «Bene, allora è deciso!» Emma si abbassò alla mia altezza per afferrare dalle mie mani i fascicoli che lei stessa aveva disperso per la stanza come se fossero coriandoli. Con nonchalance li posizionò sulla scrivania a canto la matita rossa. Mi fece segno di accomodarmi sul letto. Obbedii senza troppe storie. Ero davvero stanca e desideravano una spiegazione a tutto ciò.

Emma si sistemò al mio fianco sdraiandosi sulle lenzuola profumate. La guardai torva prima di imitarla. Mi sistemai anch'io, con il capo che sfiorava il suo e gli occhi puntati verso il soffitto azzurro. Per quegli attimi di silenzio mi beai di un po' di tranquillità e recuperai l'affanno. Anche il mio dorso parve ringraziarmi, dopo la curvatura cui era stato costretto per tutta la giornata.

«Cosa è deciso, Em? Vuoi torturarmi psicologicamente? Non avrei le forze per resisterti, al momento» confessai tra un sospiro e l'altro. La mia amica rise stridula tranquillizzandomi subito dopo.

«Nessun controllo mentale, stavo solamente constatando quanto tu fossi assolutamente esaurita, non prendertela a male, ma è così.» Non potevo darle torto. «Sono giorni che non appena torni dal lavoro non fai altro che rimanere chiusa qui dentro. Neanche mangi. Sembra quasi tu stia scappando dai tuoi problemi o dalla realtà e non mi piace. Era necessaria una pausa, non credi anche tu?» Ci pensai un attimo e sospirai.

«Una pausa, in effetti, può farmi bene...» ammisi con un filo di voce.

«Per questo usciremo! Ho deciso che per oggi hai terminato il tuo lavoro. Ti conviene buttare nei panni da lavare quel pigiama che è al limite delle radiazioni compatibili con la vita e sistemarti quei capelli per l'amor del cielo. La coda va bene un giorno, al massimo due, ma qui stiamo superando la decenza casalinga.» Scattai ritta sulla schiena per inchiodare Emma sul posto.

«Io non ho acconsentito a nulla! E poi io... io non ho ancora terminato il lavoro. Ecco, ho bisogno perché... forse oggi» gesticolai malamente, ma le argomentazioni che ne trassi fuori erano alquanto banali e scadenti. A dire il vero non ne avevo proprio. Volevo non pensare, se fossi uscita avrei perso l'unica cosa che mi teneva ancorata alla realtà!

Emma si riequilibrò utilizzando i gomiti come perno. «Hai mezz'ora di tempo, ho già organizzato tutto e non puoi tirarti indietro. Non accetto un ma come risposta.» Incrociai gli occhi per visualizzare nitidamente il dito che mi aveva poggiato sulle labbra. Era incredibilmente seria. Quando capì che non avrei controbattuto si ritenne vittoriosa. Scattò sull'attenti battendo le mani freneticamente. «Ci divertiremo un sacco, ne sono sicura! Che bello, una serata in discoteca! Non ne facevamo da un sacco ed io...» Emma mi ignorò mentre a passo felpato si dirigeva verso la porta d'ingresso della camera. Io ero seduta e scioccata dalla sua energia. Avrei sperato in qualcosa di più tranquillo.

Sulla soglia Emma si rigirò per rivolgermi la sua battuta finale. «Ad ogni modo, lo faccio perché ti voglio bene» decretò con tono deciso. Annuii convinta, lo sapevo bene.

«Ci saranno anche i ragazzi, renditi presentabile, mi raccomando» urlò la bionda dall'altro capo dell'appartamento bruciando anche l'ultimo briciolo di speranza che il mio corpo aveva immagazzinato. Non ero più tanto certa che quella sarebbe stata una serata di pieno divertimento.

***

L'uscita in discoteca si era rivelata una festa di Josh, al "Rito Club", lo stesso locale di Halloween a cui avevamo partecipato tempo addietro. Quello spiegava la celerità con la quale era riuscita a procurarsi i biglietti. Appena dentro il locale notai Matt, l'organizzatore, il goffo George e tutti quelli che potevano essere definiti come la cerchia ristretta di amici. L'unico di cui non vi era neanche l'ombra era proprio lui. Dylan.

«Quando vi siete messi d'accordo per uscire?» domandai a Stephan, il quale pareva essere il più serio tra tutti nella calca. Mi rifilò una lunga occhiata annuendo a tempo di musica. Sarei stata forse troppo impudente a chiedere se effettivamente lui ci sarebbe stato?

«Da quando tu ci hai detto che non volevi farlo.» Sorrise sornione e felice di avermi lì con loro. Le luci non mi permettevano di avere una perfetta visione del mondo intorno a me, ma riuscii a intravedere il luccichio persino negli occhi di Cassidy al mio fianco. Come volevasi dimostrare, avevano organizzato il tutto solo per buttarmi fuori di casa.

Afferrai il cocktail che avevo ordinato. Era ormai passata un'ora buona da quando eravamo lì. Emma aveva avuto modo di scatenarsi sulla pista, mentre io non avevo fatto altro che rimanere in disparte. Quasi come se non mi sentissi a mio agio. Capitava sempre più spesso. Avevo preferito rimanere a debita distanza dalla folla e sistemarmi al piano superiore dove avrei potuto rimanere in compagnia dei miei amici senza dover fare a spallate con gli sconosciuti che avrebbero invaso il mio spazio vitale.

In pochi minuti ci eravamo ritrovati attorno ai tavoli. Non ero l'unica a pensarla negativamente sulle discoteche. Ero in compagnia del duo comico, di Eric e George. Della bella bionda e del mio migliore amico si erano perse le tracce da tempo. Ero pronta a mettere la mano sul fuoco che la stessa sorte sarebbe presto toccata anche alla coppia di piccioncini al mio fianco, che sul divanetto sembravano più agitati che mai.

Ricevetti per sbaglio una gomitata da parte di Cassidy, la quale aveva alzato il braccio per poter raccogliere lateralmente i suoi lunghi capelli e permettere così a Eric di poterle stuzzicare il collo. Fu allora che riposi sul tavolino di vetro la mia consumazione, cercando di evitare con estrema delicatezza di versare il suo contenuto su di me. Decisi di spostarmi verso Stephan. Il ragazzo pareva perso nei suoi pensieri, non curante di ciò che stesse accadendo. Fissava con una certa insistenza il centro della sala, seppur non si potesse scorgere molto.

Provai a fare il punto della situazione intercettando gli sguardi di tutti coloro che erano presenti. Margot e Matt erano dispersi nella folla, ma comunque ben riconoscibili grazie al vestiario di lei: si poteva notare il luccichio della gonna dorata della mora, ma oltre quello niente di più. I due erano troppo impegnati in qualche ballo stravagante per potersi accorgere di chiunque altro gli stesse fissando. In quelle settimane si erano avvicinati parecchio.

Erano due persone spigliate, ingenue e allo stesso tempo eterni sognatori. Avevano una parola buona per chiunque ed io facevo il tifo per loro.

Per quanto concernesse, invece, Josh, mi era impossibile individuarlo senza un attento sguardo. Si era allontanato per poter accogliere gli altri suoi numerosi invitati. Era l'organizzatore della festa e si sarebbe comportato da cavaliere vigile ogni volta. Gli piaceva. Anche se, probabilmente, il vero motivo della sua assenza era la bella e bionda Nicole. Il mio sospetto fu confermato quando intravidi il sorriso aprirsi sul volto di lei quando il quarterback le si avvicinò al bancone.

E mentre le nuove coppie sembravano sbocciare come fiori, il benessere che mi aveva trasmesso il sorriso di Nicole venne smorzato quando incrociai gli occhi Dylan, a un paio di metri da loro.

Era lì.

Da quando?

Sbattei le palpebre ripetutamente, non stavo sognando e mi stava tenendo d'occhio a sua volta. Provai a dissimulare facendo finta di nulla, ma la curiosità era troppa e la mia voglia di scrutarlo anche maggiore. Ritornai a fissare di gran lena lo stesso punto che precedentemente avevo inquadrato. Dylan era ancora lì, statuario. Immobile in quel continuo riflettersi delle luci stroboscopiche sul suo volto e nei suoi occhi. Le sue labbra sembravano così ferme e sicure nonostante le deflessioni dei vari raggi colorati. Il nostro incrocio di sguardi non era del tutto casuale, mi stava cercando ed io mi ero fatta trovare senza neanche troppi problemi. Mi sarei semplicemente accontentata di quello.

Quella magia venne spezzata quando Dylan si mosse per poter sorseggiare il cocktail che aveva tra le mani afferrando la cannuccia con due dita, ma senza mai distogliere lo sguardo verso la mia direzione.
E quando mi convinsi che non potesse esserci altro, lui fece un cenno del capo: mi aveva riservato un posto accanto a lui.

Deglutii la poca saliva che ero riuscita a produrre in quegli istanti.

Era un invito?

Certo che sì. Non ero stupida. Avrebbe voluto avermi accanto a lui, in una discoteca, sotto l'effetto dei fiumi di alcool. Non erano già troppi i problemi che stavamo affrontando? E se fosse successo qualcosa che avrebbe incasinato ancor di più le nostre vite? Non sapevo quanto, in realtà, avrei potuto resistergli.

Dal nostro ultimo incontro in ascensore non avevamo fatto altro che rubare momenti, infiniti nella loro lunghezza, in cui semplicemente ci scrutavamo e aspettavamo. Ogni scusa era buona per osservare al di là della scrivania o per afferrare una penna direttamente dalle sue mani o per sorridere dopo l'ennesimo incrocio nei corridoi.

Avevamo costruito intorno a noi una fortezza di carte, tanto impenetrabile quanto fallacia.
E presto l'avremmo spazzata via. Me ne rendevo conto.

I nostri sguardi erano carichi di tensione e di attenzione reciproca. La percepivo e me ne beavo. Lo avrei sempre fatto poiché quei piccoli attimi mi davano speranza. Flebile, ma così tangibile.

Avere quel tipo di contatto era diventato necessario, ne ero quasi dipendente.

Ma era giusto continuare a cercarsi per poi scappare verso nuove avventure? Ripetere il ciclo all'infinito? Era proprio in quei momenti che sentivo di non meritare quei piccoli attimi felicità. Erano frutto di una mia illusione: una dolce parodia di ciò che avrebbe potuto essere la vita reale, che di realtà ne aveva solo l'odore.

Un odore aspro come quello del bicchiere di vetro che avevo sotto il naso.

Continuai a fissare il protagonista dei miei pensieri con meno intensità, perdendo la luce tipica che caratterizzava i miei occhi. Persino Dylan si risvegliò da quello strano incontro dandomi le spalle e appoggiandosi al balcone.

In attesa.

«Mi piace molto il tuo giacchetto di pelle, te l'ha prestato Emma, vero?» Stephan mi fece concentrare su di lui. Scossi il capo per diniego.

«In realtà, me l'ha regalo Becca per il mio compleanno, credevo lo avresti notato!» rimbeccai il biondo, il quale alzò gli occhi al cielo.

«Probabilmente me lo sarò perso, ero talmente ubriaco! Ricordo di aver parlato con te durante la serata, poi di essere caduto tra le braccia di Matt e Josh. Il resto è storia» mi rinfrescò la memoria con un sorriso d'intesa sul volto.

«Oh! Eccolo lì, Kobe! Fratellino! Siamo qui!» George si sbracciò come un pellicano sul pelo dell'acqua per farsi notare. Spingendosi all'indietro rovesciò la bibita alcolica di Cassidy direttamente sulle sue scarpe preferite.

Mi rivelai contenta per l'essermi spostata in precedenza.

«George! Ma io ti... queste scarpe costano un centinaio di dollari, sono esclusive!» Il ragazzo mi fece tenerezza per come si scusò. Era mortificato e imbarazzato. Lo stesso sembrava Kobe appena giunto. La mora inveì per qualche istante prima di trascinare con sé Eric per chiudersi nei bagni. Il biondo non obiettò minimamente. "È meglio lavare via l'alcol prima che macchi il tessuto" aveva rivelato scomparendo tra la folla.

«Non li vedremo prima della fine della serata...» commentò maliziosamente Stephan a ritmo di musica. Quanta verità in quelle parole.

Approfittai dell'attimo di confusione per lanciare un'occhiata furtiva verso il bancone. Dylan era ancora lì, di spalle, ricoperto dalla sua giacca scura. Il profilo risaltava a causa dei giochi di luci, mentre fissava malinconico il vuoto. Quel vuoto che apparteneva alla seduta che mi aveva riservato e che sperava avrei occupato.

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