69. Emma (2/2)

Fall Out Boys - Centuries ♫

L'incessante scorrere del tempo non era stato edificante per la mia persona. Avevo solamente continuato a nutrire il buco nero del mio cuore, paradossalmente, del nulla che mi stava tenendo ancora in forza.

Esattamente. Non c'era niente che potesse andarmi bene in quell'istante o in quelli successivi, perciò la solitudine e il silenzio erano state le mie più strette alleate in quelle ore: colonna sonora della mia tristezza interiore.

Non ci pensai due volte a sgattaiolare via da quell'aula una volta che la lezione terminò. Avevo bisogno di aria, spazio, vuoto.

Evitai accuratamente di farmi seguire da Cassidy. Per quanto le volessi bene, desideravo la solitudine. La folla mi mimetizzò quel tanto che bastò per farmi arrivare sino al piano terra dello stabile senza che Dylan mi avesse notato.

Camminai a testa a bassa per qualche decina di metri. Avrei preso un taxi o la metropolitana, ma non sarei rimasta lì un secondo di più.

Con gli occhi puntavo la strada cementata. Il grigio era un colore così piatto eppure ricco di sfumature. Non era bianco, puro come il latte o luminoso come una stella. Però, non era nemmeno nero, espressione dell'oscurità travolgente che inglobava qualsiasi cosa le si fosse parato dinanzi. Quel cemento, quel grigio, era il monito di come anche la cosa più bella e innocente del mondo potesse inondarsi di ombre, di tenebre e mescolarsi a esse.

Perché tutti noi siamo grigi. Siamo delle brave persone che spesso compiono cattive azioni o, al contrario, cattive persone che hanno ancora un cuore a cui aggrapparsi.

Mentre il grigio diveniva sfondo, nel mio campo visivo iniziarono a comparire altri elementi. Dapprima pochi timidi fiori, nati dalle crepe del manto cinereo. Segno che alle volte il grigio poteva essere arricchito di qualche sfumatura diversa. Poi iniziarono a comparire paia di scarpe che calpestavano il mio stesso suolo. Ragazzi, tanti ragazzi che abilmente schivano ed evitavo di osservare negli occhi.

Piano piano mi feci forza.

Iniziai molto lentamente a innalzare gli occhi. Dal suolo verso il cielo. Dovevo sempre puntare alle nuvole e oltre, al sole e anche alle stelle. Ricordarmi di volare quando il peso della vita iniziava a gravare troppo. Pensare che c'era sempre un'altra soluzione ai problemi e che il grigio non sarebbe stato per sempre il mio colore.

Così feci per un po'. Camminai con il naso all'insù fregandomene di tutti quelli che mi fissavano interdetti, della strada sconosciuta che stavo percorrendo e persino dei miei stessi pensieri cupi. Volevo riguadagnarmi la libertà che mi era stata privata. Mi comparve un timido sorriso sul volto: forse potevo non essere più prigioniera di me stessa.

«A-Amanda.» Interruppi immediatamente la mia corsa. Quella voce... quella voce, non poteva essere. Abbassai lo sguardo voltandomi al contempo verso la fonte del suono. Mi fu chiaro ancor prima di averla vista. Il maggiolino rosso alle sue spalle, lucidato come l'ultima volta che ci avevo fatto un giro; la borsa griffata con il marchio di qualche casa di moda dal nome impronunciabile appesa al suo avambraccio; la folta chioma bionda che circondava il viso angelico di una donna con cui avevo condiviso più tempo di quanto avesse mai potuto meritare.

Esattamente. Meritare, non potevo concederle un minuto di più. Non sarebbe stato giusto nei miei confronti.

La scrutai sprezzante solo per qualche attimo. Il suo corpo era sempre quello della biondina stupida, ma qualcosa nel suo sguardo mi diceva che forse non era la stessa persona che mi era stata amica. In effetti, non lo era mai stata, non dovevo sorprendermi nel scovare i suoi occhi più scuri di quanto ricordassi e le sue occhiaie mai così mal coperte dal sottilissimo velo di trucco che si era preparata. Non mi sarei dovuta neanche sorprendere nel ritrovarla tremante nella voce o nei gesti: la sua mano, ferma a mezz'aria per potermi avvicinare a sé, sembrava tanto una tenaglia pronta a strapparmi il cuore una seconda volta.

«Vai via. Non voglio vederti» digrignai a denti stretti. Serrai i pugni. Avevo smesso di puntare al cielo ancora una volta. Era più forte di me, non sarei mai stata totalmente libera dai pesi del mio animo. Probabilmente sarei rimasta vittima di quel pessimo gioco ancora per molto.

Non volevo vederla, non avrei voluto più guardare in quelle pozze blu un solo secondo perché... perché eccoli lì i ricordi. Quelli in cui tutto era più facile, dove non c'erano ragazzi che avrebbero potuto dividerci. Quelli in cui sarebbe bastato scavalcare il cancello di casa mia per farsi perdonare di una qualsiasi marachella. Quelli in cui quegli occhi blu come il mare erano il porto sicuro a cui tanto spesso facevo riferimento quando mi sentivo sola e affranta. Era paradossale constatare come si fosse capovolta la situazione: l'oceano era in tempesta e lo scalo era affondato.

Mi voltai ignorando il fatto che Emma mi stesse continuando a richiamare. Non aveva fatto altro che pronunciare il mio nome per quell'interminabile minuto. In tutti i modi possibili. Di certo sapeva farci, ci aveva messo così tanta enfasi e tremolio in ogni sillaba, che, se fossimo state alla premiazione degli Oscar, gliene avrei concesso uno come migliore attrice nel ruolo dell'amica pentita.

Scossi la testa per ogni volta in cui il mio nome fuoriuscì dalle sue labbra. Non doveva parlarmi, non doveva chiamare il mio nome. Non volevo averci più nulla a che fare.

Chiusi gli occhi tappandomi le orecchie con i palmi delle mani, incamminandomi verso un luogo imprecisato. Tutto sarebbe stato meglio che rimanere lì con lei. Il sogno durò poco, però. Venni afferrata per un polso prima ancor di poter muovere cinque passi.

Me la ritrovai di fronte, rossa in volto per chissà quale sentimento. Imbarazzo e vergogna per ciò che aveva fatto?

«Lasciami andare» telegrafai cercando di mantenere un contegno vocale. Non avrei temuto una sua reazione, non ne avrebbe avuto neanche motivo. Non poteva farmi più niente ormai.

Lei spalancò impercettibilmente le palpebre abbassando il braccio con il mio polso ancorato.

«Ti prego. Devi ascoltarmi, Amanda.» I suoi occhi imploravano per qualcosa che non doveva. Il mio tempo non sarebbe stato più affar suo.

«Non ne ho intenzione. Ci siamo già dette tutto. Puoi andare al diavolo. Lasciami andare!» Emma incrociò le mie iridi piene di ira e odio represso nei suoi confronti. Indurii lo sguardo più che potei. Non avrebbe visto più sorrisi sul mio volto che non fosse su una foto, a debita distanza dalla sottoscritta.

«Non sai tutta la storia. Io voglio spiegarti!» In quell'impeto lasciò finalmente la presa su di me. Sarei dovuta andare via. Correre il più lontano possibile da qualsiasi persona mi avesse fatto del male, ma non ce la facevo. Non dopo che le sue profonde pozze blu si arrossarono di colpo, iniziando a sgorgare lacrime. Magari era un semplice trucchetto, magari era stato tutto architettato per rendermi ancora più ridicola, ma vederla in quello stesso smosse in me qualcosa. Non riuscivo veramente a far finta di niente.

E mi maledissi. Mi maledissi perché non avrei dovuto parlare, non avrei dovuto neanche guardarla perché la ferita era ancora aperta e qualsiasi esposizione non faceva che bruciarla sempre più. Non ce la facevo. Non riuscivo ad andare via e allo stesso tempo avrei desiderato non essere lì. Ecco a cosa Emma mi aveva condannato: a una vita in cui il mio volerle bene sarebbe stata anche la causa del mio dolore.

«Non renderla più difficile di quanto non sia già. Ti prego...» la supplicai con lo sguardo. Io non potevo, ma lei doveva andare via e scomparire. Correre lontano al posto mio.

Scosse il capo gesticolando impacciata. Puntò i suoi occhi verso il cemento freddo, non perché le importasse qualcosa di come il grigio fosse l'unione della purezza e dell'oscurità, ma perché non trovava il coraggio di affrontarmi apertamente. Sapeva benissimo che ciò che aveva fatto era del tutto privo di ogni senso morale.

«Allora... io... da dove parto... senti... potrem-» Emma si bloccò all'improvviso quando nel suo campo visivo entrò qualcun'altro.

Mi voltai quel tanto per poter osservare ciò che le era impresso sulla sua retina. Anche il mio cuore perse un battito.

Dylan.

Era lì. Letteralmente a un passo da me e aveva tutta l'aria di chi volesse dire due parole sulla situazione che stava nascendo. Strabuzzai gli occhi. Mi aveva trovata.

«Tu!» urlò a pochi centimetri da Emma. La bionda fece un passo indietro mostrando un sorriso di circostanza mista a... aveva qualcosa. Lei... quel luccichio nei suoi occhi mi aveva fatto intendere che non era terrore ciò che provava in quell'istante. Lei si stava vergognando di essere al cospetto di Dylan.

Aveva quell'espressione che nasceva spontanea persino sul mio viso quando ero in compagnia di lui, ma che a un occhio estero sarebbe parsa inosservata.

Lei... lei sapeva.

Non ci pensai due volte fidandomi della mia intuizione. Mi buttai in avanti afferrando le braccia del moro così da poterlo far desistere da qualsiasi cosa si fosse prefissato di fare. Percepii la tensione quando le mie dita entrarono in contatto con la sua pelle, seppur ricoperta da un sottile strato di fresco cotone.

Era preoccupato e, dedussi, incazzato nero. Facevano fede il suo sguardo duro e la mascella serrata. Le sue iridi terminarono di scrutare la figura esile di Emma solo quando si resero conto che in qualche modo gli ero d'intralcio.

Iniziò a fissarmi esterrefatto e contradetto. Come se fosse deluso dal fatto che non avessi apprezzato il suo intervento. Lui era lì per me ed io in quel momento stavo difendendo Emma. Potevo sembrare patetica a dir poco.

Abbassai lo sguardo, seguita a ruota dalle sua braccia e il suo tono di voce.

«Cosa ci fa lei qui?» domandò Dylan ignorando la presenza della terza persona. Era davvero preoccupato per me. Nonostante avessi abbandonato la presa su di lui riuscii comunque a rimanergli vicino e a farmi confortare. Anche se desideravo che sul mio viso non trasparisse più di quanto non avessi già mostrato.

Ero fragile, senza di lui.

Ero fragile, con lui.

Cercai di raccogliere le idee. Cosa stavo facendo? Stavo cercando delle risposte.

Poggiai il palmo destro sul petto di Dylan, sorridendogli nel modo più tranquillizzante che potessi. Doveva farlo, era la mia battaglia e l'avrei vinta.

«È venuta per parlarmi, vero, Emma?» tentai senza voltarmi. Avrebbe fatto bene a cogliere la palla al balzo. Sarebbe stata la sua unica possibilità per chiarire la situazione.

Sentii la biondina annuire. Fece qualche passo in avanti trovando il coraggio di proferir parola. «Sì, sono qui per Amanda. Dylan... io... Nathan...»

Dylan si scrollò dalla mia presa spostandosi lateralmente al fine di parlare a tu per tu con Emma. Mi feci da parte giusto per qualche secondo.

«Solo perché Lilian voglia ascoltarti non significa che debba farlo anche io. Tieni le tue parole per lei. Se ciò che le dirai non le avrà fatto cambiare minimamente idea su di te, credo che io e mio cugino non saremmo più un tuo problema. Nel caso non lo avessi capito siamo fermamente convinti che Lilian non si sia meritato tutto questo e che solo un mostro avrebbe potuto spezzarle il cuore. Ci siamo intesi? Perciò vedi di non ferirla una seconda volta.»

La voce roca di Dylan arrivò chiara e forte. Emma fu colpita dalla schiettezza del ragazzo e dalla durezza del suo tono. Non si stava solo preoccupando per me, stava creando anche un futuro in cui sarei stata al sicuro: mi stava difendendo dalla cattiveria del mondo e ai miei occhi Dylan non sarebbe potuto risultare più bello o più eroico. Sarebbe sempre stato l'unica persona da cui avrei voluto essere salvata, perché mai mi sentivo così al sicuro di quando c'era lui. Con me.

Lo strinsi in un abbraccio fregandomene di tutto ciò che fosse sbagliato. Stava diventando davvero dura reprimere i miei sentimenti. Mi mancava. In quegli abbracci non c'era solo un tacito ringraziamento, ma anche il mio stesso cuore.

Avvertii qualcosa smuoversi in lui. Si sciolse dalla tensione serrando il mio corpo tra le sue forti braccia. Una mano scivolò fin tra i miei capelli, mentre l'altra percorreva la schiena come a sollecitarmi del fatto che lui fosse lì veramente e che non me lo stessi sognando.

«Grazie...» sussurrai poco prima di staccarmi da quella presa calda e accogliente. Dylan mi osservò un'ultima volta negli occhi per poi sorridere. Lo stava facendo solo per me. Accennò un segno positivo con il capo lasciandomi andare.

«Per qualsiasi motivo non esitare a chiamarmi se avessi bisogno di me.» Acconsentii.

Dylan rivolse un'ultima occhiata a Emma prima di congedarsi definitivamente. Lo osservai andare via, camminare a testa bassa con un'andatura poco regolare. Calciò un paio di pietre nel percorso e solo quando fu abbastanza lontano feci l'unica domanda di cui era fondamentale che io conoscessi la risposta. Da quella sarebbe dipeso il resto della conversazione.

«Solo per chiarire. Tu sai cosa Richard ha fatto a Dylan, vero?» Il moro in quell'esatto momento voltò l'angolo scomparendo dal mio campo visivo. Ritornai a puntare gli occhi azzurri di Emma con rinnovata decisione. C'era solo una possibile risposta.

Lei annuì. Come avevo supposto, quello che provava nei confronti di Dylan era vergogna per sé stessa.

«Da quanto?»

La bionda sbarrò gli occhi. Fu indecisa per qualche istante.

«Se rispondi a questa domanda sarò disposta ad ascoltarti.» Emma buttò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto prima di pronunciare due sempre parole.

«Da sempre.» Scossi il capo superandola, per poi bloccarmi sul posto. Con la coda dell'occhio osservai quella che era stata per così tanti anni la mia migliore amica.

«Ho promesso di ascoltarti ed io mantengo la parola data. È quindi l'ora di tornare a casa, non credi?» Sorrisi per addolcire il messaggio.

La bionda sbatté le palpebre sollevata, scavando nel fondo della sua borsa griffata alla ricerca delle chiavi del maggiolino.

«Non avrei sperato in niente di meglio.»

♣♣♣♣♣

Cari Cursed, eccoci qui alla fine della seconda fase di questo libro. Che lo stiate notando o meno l'evoluzione dei personaggi è lenta, ma incessante e quindi questo apre una miriade di possibilità.

Sappiate che tutto è ancora da decidere e non esistono finali scontati. Un percorso d'amore alla fine non è solo rose e fiori, o sbaglio?

Ma se c'è una cosa di cui sono sicura, è che i veri sentimenti trionferanno sempre. Perciò non dubitate mai del vostro cuore e fate ciò che vi ispira e verrete ripagati con altrettanta onestà.

A presto, dalla vostra Red Witch,

Haineli

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top