67. Reticenza (Dylan V)
♫ Isabella LaRosa - I'm yours ♫
«Lilian sono innamorato di te!» scalzai il pietrisco secco con fare arrendevole.
«Non va bene... è fin troppo diretto.» Ripresi fiato inspirando profondamente. «Riproviamo. Ciao, Lilian non è che avresti un secondo di tempo da dedicarmi?» Mi morsi il labbro pieno di livore. Non andava bene per nulla, per diamine. Non volevo mica venderle il mio patetico sentimento. Dovevo essere più sincero, più onesto, più... okay. «Lilian, oh Lilian, so che ti sei da poco lasciata con la persona più infima del mondo e che la tua migliore amica in realtà si è dimostrata una stronza, ma che ne diresti di metterti con me che ti amo alla follia? Che merda. Qualcuno mi fermi, vi prego, non posso di certo presentarmi così dopo tutto quello che è successo!» Appoggiai la fronte sul legno della spessa porta blindata di casa. Avevo la mano serrata in un pugno: accompagnava il mio patetico discorso, battendo a ritmo delle parole.
Che patetico. Ero rimasto totalmente pietrificato da quando avevo imboccato il vialetto d'acceso. Ogni passo avrebbe significato avere a che fare con Lilian. Ciò implicava che avrei dovuto parlarle, ma non volevo, accidenti! Ero un adulto con seri problemi a trovare il coraggio per cose futili come le dichiarazioni! Eppure, approcciarmi, non era mai stato un problema con nessuna.
Oddio, ero spacciato. Non ce l'avrei mai fatta ad affrontarla.
Scalciai spazientito nello stesso istante in cui venni richiamato. Mi volsi di colpo per la paura che qualcuno avesse udito i miei discorsi.
«Dylan, vacci piano. Che fai qui fuori? Perché non entri? Stai aspettando di far cedere questo gioiellino a furia di calci e pugni?» Nathan mi sorrise stranito, superandomi e inserendo la chiave nella toppa. Mi fece cenno di seguirlo. A quel punto ero costretto: non potevo più temporeggiare. Mi costrinsi a muovermi. Quella era casa mia e sarei potuto essere lì anche senza incontrare Lilian. Certo. Avrei potuto evitare contatti se solo mi fossi tenuto alla larga dal piano superiore e dalle aree comuni, almeno fino che non avessi tirato fuori un buon piano dal cilindro.
Nathan trascinò due buste della spesa fin dentro la cucina. Mi decisi a dargli una mano, sistemando quello che era dentro i sacchi, solo dopo qualche minuto.
«Che ti prende?» domandò Nathan osservandomi di sottecchi, mentre passava ogni alimento sul tavolino della cucina.
«Niente, perché?» interrogai il mio interlocutore cogliendolo alla sprovvista. Acciuffai il barattolo di fagioli in scatola riponendolo al suo giusto posto. Forse. Non ne ero completamente sicuro, a dir la verità.
«Tu che mi aiuti nelle faccende domestiche è irreale... cioè, oddio, io ti chiedo di aiutarmi, ma usi scuse come "sto per portare il gatto fuori a fare i bisogni" anche se sai benissimo che non abbiamo un gatto. Aspetti persino due ore prima di rientrare in casa così da non dover contribuire e poter stare comodo sul divano a osservare qualche partita di football delle leghe straniere. Non so. Tutto bene?» Il bruno smise di sistemare per concentrare la sua attenzione su di me.
Sbruffai. Ci aveva azzeccato in pieno, ma non gli avrei rivelato nulla. «È tutto a posto-» bugia «avevo solo voglia di aiutarti visto che fai così tanto per me.» Anche se in realtà ero lì per non pensare a Lilian.
Nathan sorrise dolcemente, allargando le braccia per stringermi in un caloroso abbraccio fraterno. Ricambiai all'istante. Dovevo essere sembrato davvero convincente.
«Sono felice che tu stia facendo questo per me. Sapevo che il giorno in cui saresti divenuto una persona più matura sarebbe arrivato. Ti voglio bene Dylan, non te l'ho mai detto forse, ma sei come un fratello per me ed io volevo ringraziarti di tutto. Davvero, cugino, sei il miglior coinquilino che mi sia mai capitato e non ti cambierei per nulla al mondo.» Strabuzzai gli occhi per quella improvvisa dichiarazione d'affetto. Feci fatica a trattenere una lacrima di commozione.
«Sai, vero, che sono l'unico coinquilino che tu abbia mai avuto in tutta la tua vita?» gli feci notare retorico per sdrammatizzare. Di certo nelle sue parole voleva comunicarmi molto più che un semplice ringraziamento. Forse si sentiva trascurato o pensava che lui avesse trascurato me. Ciò non era assolutamente vero, bastava pensare a quello che stava facendo per Lilian e la sua premura nei suoi confronti. Mannaggia alla mia mente, c'era ancora lei tra i miei pensieri. Quel "passatempo" non stava funzionando.
«Certo, lo so, stai zitto e apprezza il complimento» rispose Nathan afferrandomi per le spalle e scuotendomi divertito. Il piccoletto dagli occhi di ghiaccio sorrise irriverente: che gran bastardo. Gli volevo troppo bene.
«Per questo, dato che sei il miglior coinquilino del mondo, domani sera terrai tu compagnia a Lilian. Io devo vedermi con Margot. Ho questioni impellenti, diciamo...» Nathan mutò espressione nell'esatto momento in cui i miei occhi fuoriuscirono dalle proprie orbite. Io ero esterrefatto, lui sembrava malinconico.
Tossii all'improvviso allontanandomi di qualche passo. Quelle belle parole erano solo una tattica per ingraziarmi? Continuai a tossire fino a che non mi venne in mente qualcosa. Stava passando troppo tempo, se non mi fossi deciso avrei rischiato una crisi respiratoria. Alla fine feci la cosa più matura che potessi fare: dire la verità.
«Non posso!» sbroccai allargando le braccia e portandomi verso l'androne. Davo le spalle al soggiorno, sperando con tutto me stesso di potermela dare subito a gambe. Non potevo rimanere lì un secondo di più.
«Perché? Cosa succede? Stai male? Questa tosse mi preoccupa...» Nathan si avvicinò nuovamente scrutandomi come se fossi la rana da dissezionare nei laboratori di scienze naturali. Scacciai quell'insana idea dalla mia testa afferrando Nathan prima che potesse compiere qualsiasi azione. Lo colsi di sorpresa.
«Ho-ho una serata, non posso di certo... pff... cioè, anche io ho i miei impegni!» Nathan si colpì la fronte con le dita sbarrando gli occhi. Rimasi allibito. Che stava facendo? L'autoflagellazione era eccessiva, se avesse voluto farmi sentire in colpa bastava che mi mostrasse i suoi occhioni per un altro paio di secondi. L'aria da cane bastonato funzionava fin troppo bene.
«Quanto sono stupido! Certo che non puoi!» Nathan fece spazio muovendosi verso il tavolo dove erano poggiati i recipienti e il cibo appena comprato. Gesticolava imbarazzato, mentre la sua voce si disperdeva nell'aria. Almeno fino a quando non pronunciò "Amanda starà con te!".
Scossi il capo imponendomi di dargli retta.
«Cosa?» ripetei trafelato. Nathan sorrise di sbieco roteando gli occhi al cielo dopo aver afferrato il barattolo dello zucchero. Si portò verso la dispensa provando a inserire il blocco bianco nel poco spazio rimasto. Si morse un labbro nel farlo.
«Poco fa mi ha contattato Cassidy mettendomi al corrente della vostra idea di far svagare Amanda con questa festa e credo sia perfetto. Perciò è ovvio che non puoi stare qui, devi già essere con lei... lì! Ma cosa ci fa questo barattolo di fagioli tra le spezie?» Nathan tirò fuori quello che era stato il mio contributo nelle faccende domestiche riponendolo nella mensola sotto il marmo del lavabo. Portò la sua testa fin dentro la gabbia di legno.
«A che festa dovrei prendere parte?» Balzai di lato quando mi resi conto che Lilian era apparsa in cucina, guadagnandomi un'occhiataccia da parte sua per quel mio gesto infantile. Sorrise amaramente incurvando le sopracciglia.
«Sapevo di non essere un bello spettacolo, però spaventarti fino a questo punto...» Abbassò lo sguardo, mentre io mi maledicevo per essere stato così stupido. Non solo era un bello spettacolo, ma era stupenda persino con quella strana luce negli occhi e la testa pieni di pensieri. Per me sarebbe stata sempre...
«Ouch!» mi distrassi ancor prima di potermi discolpare. Avrei davvero avuto il coraggio di iniziare quella conversazione in una cucina, mentre Nathan era inginocchiato per terra cercando di sistemare le latte?
Abbassai le palpebre innervosito. Certo che no.
Nathan aveva preso una bella botta: nel tentativo di rialzarsi aveva urtato la testa contro lo stipite superiore del mobiletto.
«Oh, Nathan, ma che ci fai lì? Ti do una mano, vieni. Dove hai battuto? Dovevi stare più attento.» Lilian mi superò di corsa andando in contro al vero principe della magione. Incastrai un pugno nel palmo, mentre mi umidificavo le labbra con la lingua. Me la sarei strappata presto a morsi se non avessi avuto il coraggio di parlarle. Probabilmente mi sarei anche preso a schiaffi da solo.
Nathan uscì fuori con una mano poggiata contro la nuca, massaggiandosi la zona lesa con espressivo dolore. Lilian si accovacciò accanto a lui, sorridendogli per tranquillizzarlo.
Il tutto per uno stupido barattolo di fagioli in scatola. Lilian si preoccupò di visionare correttamente e approfonditamente la zona, allungando le sue mani così che le sue dita potessero affondare nella capigliatura di Nathan. Con i pollici faceva presa sulle sue ciocche, spingendole lontane e sbirciando il cuoio capelluto. I miei pensieri, però, erano rivolti a quelle stesse mani che avrei tanto voluto avere tra i miei ciuffi ribelli. Quelli che lei stessa qualche sera prima aveva avidamente tirato affinché la stuzzicassi ancora un po'. Continuando a sfiorarla, baciarla e a...
«Dylan mi hai sentito?» m'interruppe spazientita non ricevendo risposta alcuna. Stavo impazzendo.
Lilian mosse il capo lateralmente e i capelli le scivolarono su una spalla, scoprendo un lembo di pelle tra le scapole. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente.
Contegno. Ci voleva un minimo di contegno.
«Il ghiaccio Dylan, subito... o rimarrà un bernoccolo» impose autoritaria. Mi voltai di scatto ritornando alla realtà pronto per servire e onorare. Agguantai dal freezer tre cubetti di ghiaccio dall'apposito scomparto, ponendoli al centro di un canovaccio e creando un bel pacchetto. Lo passai a Lilian, osservandola il meno possibile e provando a comportarmi normalmente.
«Grazie, credevo avessi dovuto farmelo spedire direttamente dal polo nord» sputò sarcastica schioccando la lingua al palato. Alzai un angolo della bocca divertito, di certo conoscevo un modo per farla tacere e utilizzare quell'organo nel modo più confacente possibile al mio stile.
«Dai, Amy, lascialo stare. Aveva una brutta tosse, credo non stia bene. Ci sarebbe una festa domani sera, avevamo pensato potesse farti bene prendere un po' di aria, invece che stare chiusa in casa tutto il giorno. Ma se Dylan non se la sente credo sia meglio lasciar perdere.» Nathan razionalizzò tutta la faccenda in quelle poche frasi.
Lilian si distaccò da lui titubante, lanciandomi un'occhiata lasciva. Sorrise come se stesse bene veramente, come se il mondo non le fosse caduto a dosso da un momento all'altro. Notai come le sue labbra stessero per pronunciare qualcosa, probabilmente l'ennesima scusa per rimanere in quelle quattro mura e non affrontare la realtà, ma io non glielo avrei permesso.
Doveva stare meglio, al diavolo il mio orgoglio, c'era lei prima di tutto.
«Io sto benissimo, Nathan! Sei sempre il solito esagerato. Quindi sono super disponibile. E poi si sa, senza di me non c'è nessuna festa. Perciò non accetto un no come risposta, noi due ci divertiremo da morire.» Tirai gli angoli della bocca verso l'alto, aspettando il responso finale. Lilian mi fissò per quelli che furono secondi interminabili, mentre mi complimentavo con me stesso per aver dimostrato di essere sfrontato e arrogante come al solito. Quando Lilian non parlò, rincarai la dose con un occhiolino. Avrebbe funzionato. Sotto pressione agiva d'impulso. Arrossì di colpo abbassando lo sguardo verso il "ferito".
«Va bene, va bene. Avrei solo bisogno di passare da casa per prendere un paio di vestiti adatti. Qui ho con me solo pigiami» si giustificò. Approfittai del momento morto per potermela svignare.
«Certo, nessun problema. Ti aspetto in auto, mi metto in contatto con Josh. Tu, Nathan, verrai più tardi a casa o ti vedremo direttamente domani?» Domandai appoggiandomi con un braccio allo stipite della porta. Lo facevo di proposito: i miei muscoli in tensione dovevano essere un incentivo per Lilian. Mostrare la mercanzia era una tattica ben calibrata considerato che presto saremmo stati da soli in auto. Saremmo stati da soli, oddio. Che cosa avrei dovuto dirle? In cosa mi ero cacciato? Ero forse stupido?
Balzai sul posto allontanandomi dalla porta con fare impetuoso, che per poco non mi costò un rocambolesco viaggio di sola andata per il pavimento. Non aspettai neanche una risposta prima di urlare qualcosa di incomprensibile come "a dopo, okay, sì, certo" e correre verso l'uscita.
Recuperai le chiavi dell'automobile dalla tasca dei miei pantaloni fiondandomi all'interno dell'Audi. Afferrai il manubrio con entrambe le mani frizionandole contro il cuoio.
Io... non ero ancora pronto.
***
Ormai eravamo nel suo appartamento da un'oretta buona. Mi aveva chiesto se fosse stato un problema se lei si fosse fatta una doccia. Ovviamente non lo era. O meglio, non lo sarebbe stato se io fossi stato invitato a farla con lei.
Mi presi il volto tra le mani. I gomiti puntavano le mie cosce e così mi sorreggevo il capo. Impaziente, ma allo stesso tempo titubante. Mi sentivo un bambino che avrebbe voluto fare mille cose, ma che in realtà non ne aveva il coraggio. Era giusto ciò che stavo provando? Era necessario che lo provassi e che portassi Lilian a esserne a conoscenza? Dovevo farlo o no? Che cosa aspettare?
Mi massaggiai le tempie. Mi stava scoppiando la testa.
«Io sono pronta, possiamo tornare a casa.» Lilian si palesò al mio cospetto vestita da una semplice maglietta a righe e con un abito da sera appeso al suo avambraccio. Sicuramente le avrebbe fasciato completamente la figura delineando la sua silhouette alla perfezione.
Smisi di mangiarla con gli occhi quando Lilian aprì la porta d'ingresso per permetterci di andare via. Che avrei dovuto fare? Attraversare quello spicchio di realtà così da tornare nel caotico presente o afferrarla e lasciare che fosse quell'appartamento il custode della nostra serata? Mi alzai dal divano formulando una ipotetica richiesta.
«Io... Lilian devo dirti una cosa.» Lei si discostò dalla porta quel tanto per mostrarmi il suo disappunto dipinto in volto. Sorrisi tiratamente.
«Che succede, Dylan? Qualcosa non va? Hai cambiato idea sull'andare alla festa?» mi domandò preoccupata.
«No... cioè sì, ho una cosa da confessarti e poi starà a te decidere se andare o meno.» La mora incrociò le braccia sotto il seno rassegnata.
«Se riguarda il mio averti trattato male, scusami. Ho bisogno dei miei tempi e dei miei spazi per affrontare questo difficile momento anche se so di essere una stronza colossale. Spero mi passi il più presto possibile. Perciò ti chiedo scusa... potremmo fare presto e tornare a casa? Ho bisogno di tranquillità. Domani sarò pronta per parlare e per buttarmi in mezzo alla folla nella disperata ricerca di sovrastare i miei pensieri.»
Ero basito, ma aveva pienamente ragione.
«Certo, come preferisci. Nessun problema, scuse accettate. Dopo di lei.» Sorrisi tiratamente, mentre spalancavo la porta d'ingresso per permettere a Lilian di passare come un perfetto gentiluomo. C'era qualcosa di dannatamente strano in lei e non si trattava solo del dolore dovuto alla perdita di due persone che lei credeva leali.
Decisi dunque che per quella sera non avrei forzato le cose. Bastò quel semplice pensiero a farmi desistere nel mio moto irrequieto, ritornando così il Dylan giocoso e irriverente di sempre.
Avrei dovuto rimandare il mio nervosismo alla notte successiva e, se fosse stato destino, sarei riuscito finalmente a dichiararmi.
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