65. Conflitti (Dylan III)

♫ Mike Shinoda - Whatching As I Fall ♫

Non era possibile.

Dio, quanto ero imbecille! Avevo avuto ancora una volta l'opportunità di baciarla e non l'avevo colta!

Spinsi sull'acceleratore, mentre strani pensieri su me e Lilian affollavano la mia mente.

Ma perché diamine ci stavo rimuginando ancora, poi?

Una cosa era certa: quella ragazza mi aveva scombussolando il cervello, mandandolo in pappa come fosse fatto di gelatina. Mai avrei potuto tener così tanto a un bacio mancato o al fiato che trattenevo pur di non rovinare i nostri momenti.

"Dylan, stai perdendo colpi" continuavo a ripetermi, quando all'improvviso scattò il rosso.

Inchiodai all'improvviso trovandomi impreparato e concedendo un pugno contro il volante. Dopo di che, buttai fuori l'aria.

Che cosa mi stava accadendo? Ero irrequieto, suscettibile e avevo i nervi a fior di pelle. Attorniai le mani attorno al manubrio facendole passare sul cuoio caldo fino a quasi farmi venire l'orticaria, il tutto sotto la - non più tanto attenta - vista dei miei occhi stanchi e arrossati a causa di un'altra notte insonne. Mi sarebbe servito molto caffè.

Stavo impazzendo, era l'unica possibilità. Ma pazzo di cosa, esattamente?

*Biiip*

Levai lo sguardo spaventato dapprima verso lo specchietto retrovisore e poi verso il semaforo: la luce verde era illuminata.

C'era solo una cosa da fare: scalare marcia e alzare il dito medio così che fosse ben in mostra al guidatore della Seat alle mie spalle.

Che andasse al diavolo.

Avevo bisogno di un momento! Mi ero perso a rimembrare tutte le volte in cui le mie labbra avevano provato ad approcciarsi a quelle di Lilian, ma senza successo... tranne quella volta.

Sghignazzai al ricordo di come avessi finto un'amnesia tempo addietro, quando a casa sua... e cavolo, quel bacio era stato fantastico. Pieno di passione, di tensione... e lei era stupenda.

Nonostante avessi voluto continuare per ore, mi fermai per evitare le conseguenze di quel gesto efferato.

Ecco svelato il vero motivo del finto svenimento improvviso. Dovevo far finta di nulla, come se nulla fosse accaduto.

In un certo senso, avevo ingannato Lilian e me ne vergognavo, eppure, lo avrei rifatto altre mille volte se mi avesse riportato a quello stesso punto.

Entrai nel cortile della UCLA passando per il cancello principale. Zittii i pensieri solo per pochi istanti: il tempo di individuare un posto auto.

Era impossibile non cedere il passo ai ricordi: due giorni addietro era successo qualcosa di davvero surreale! Una vera e propria svolta, per così dire... e da allora non avevo smesso di considerarmi uno stupido e patetico codardo.

L'avevo bloccata al muro, bellissima con la bocca schiusa, la voglia di non fermarsi nei suoi occhi e il respiro intermittente che mi solleticava la pelle. L'avevo abbracciata, mi aveva catturato e attirato a sé! E poi... poi avrei voluto continuare a infuriare sul suo collo e sfiorarle il corpo in ogni suo centimetro fino a farle desiderare solamente quello nella vita. Come l'ossigeno, come l'acqua dopo la calura, avrei voluto essere la fonte da cui si sarebbe abbeverata. Eppure...

Avevo fatto male i conti.

La cosa divertente in tutto ciò era che, invece di farmi desiderare, avevo ottenuto l'effetto opposto: ero io quello che bramava le sue attenzioni! Ero io quello che aveva capito che un bacio sarebbe stata la mia rovina.

"Io" sarei stato completamente in un suo pugno, incapace di scappare via o tornare indietro. Ero divenuto un suo prigioniero.

Abbandonai i pedali una volta che l'automobile fu nel suo spot, portandomi le mani al volto e gettando la testa all'indietro.

«Dylan sei un coglione!» mi lamentai nell'abitacolo. Lo ero sul serio, caduto nella mia stessa trappola.

In quel momento toccò ai ricordi più recenti passare per l'anticamera del mio cervello. Quelli che parlavano di una Lilian distrutta e di un Dylan che avrebbe voluto evitare ciò fin dal principio. Una ragazza fragile a cui era stata privata la felicità nonostante la ricercasse. E tutto per colpa di un biondino testa di cazzo che alla fine si era rivelato per quello che era. Solamente un traditore e un senza palle. Eppure, io l'avevo messa in guardia fin dall'inizio.

Se solo mi avesse ascoltato...

Colpii il manubrio con il piatto della mano ancora una volta.

Se solo mi avesse ascoltato non avrei dovuto fronteggiare quegli occhi ricolmi di lacrime amare e il cuore carico di ferite. Non sarei andato da lei... e non sarei scappato dopo il suo ennesimo rifiuto. Perché dovevo ammetterlo, mi aveva respinto ed io ero lo stupido che non faceva altro che pensare a lei.

Perché? Perché avvertivo quel bisogno fin dentro le viscere, ma facevo fatica ad accettarlo?

«Basta, Dylan. Stai degenerando. Ammettilo su, ammettilo e tutto andrà per il meglio. Forza, Dylan, non essere un codardo!» allontanai le mani dal volto decidendo che fosse arrivato il tempo di scendere dal veicolo.

Continuai a ripetere quelle parole come un mantra nei due minuti successivi. Dovevo fare in fretta: con la Roberts non si scherzava in fatto di ritardi. Avevo già testato i limiti del mio fascino con quella megera.

Levai lo sguardo dal suolo per mirare la struttura centenaria. Nonostante le mie labbra continuavano a pronunciare quelle parole, non c'era una vera e propria ondata di forza e coraggio in me.

Esattamente cosa avrei dovuto ammettere?

Un bel respiro e lo avrei fatto.

Mi fermai sul posto notando alcune matricole osservarmi di sottecchi, ridacchiando tra loro. Quando si accorsero di essere state colte in flagranza di reato, se la diedero a gambe. Incassai un pugno nella mano inconsciamente.

«Sì, certo, ridete pure! Come se non aveste mai visto un ragazzo parlare da solo a causa di un conflitto interiore!» Allargai le braccia grugnendo famelico. Che bambocci, che andassero al diavolo anche loro.

Mi sentivo fin troppo carico dell'energia sbagliata. Scrollai le spalle evitando come la peste qualsiasi essere umano, riuscendo finalmente a essere in procinto della mia destinazione.

O almeno, il piano sarebbe stato quello se non lo avessi visto.

Eccolo lì, il bellimbusto dalla faccia come il culo. Sorridente e smagliante nei suoi jeans strappati, manco fosse il più povero dello Zimbabwe, ma lo stesso tempo aderenti, come Fonzies di Happy Days. Ma chi si credeva di essere quel traditore fallito?

Mi rimboccai le maniche decidendo di affrontarlo di mia sponte. Inquadrai velocemente i presenti e cosa ci fosse intorno a noi, nel mentre che le mie gambe bruciavano la distanza effimera di circa venti metri.

Nessun oggetto contundente nei paraggi. Stanziavano solo qualche ragazzina dei primi anni e decisamente nessun professore. Chi, invece, era presente erano i due cloni senza cervello.

Come si chiamavano? Ah, sì. Scemo e più scemo.

Ad accompagnarli c'era anche Stephan. Era davvero un peccato che quel ragazzo fosse in loro compagnia, il suo candore umano stonava in mezzo quel covo di serpenti a sonagli. Ma se ti ritrovi ad avere Jonny Stecchino come migliore amico, vuol dire che qualcosa di male lo avrai fatto... o subìto.

«Ehi, Whitemore!» richiamai l'attenzione l'attimo prima di caricare un pugno. Quando il biondino si voltò, per capire chi lo avesse interrotto, era oramai troppo tardi. Il mio braccio carico come una molla scattò nella sua direzione centrando il bersaglio in pieno naso e producendo un *crack* udibile per tutta la hall.

Oh, sì! Quello era il suono della vittoria, oltre che di un setto nasale deviato.

In pochi attimo si scatenò il panico. I cloni acciuffarono il corpo di Richard catapultato all'indietro per il contraccolpo. Aveva lo sguardo più inorridito che gli avessi mai visto fare.

Con il dorso della mano si asciugò il sangue che stava iniziando a colare sul pavimento dopo averne assaggiato il sapore e imbrattato parte della sua camicia hawaiana. Le ragazzine degli altri corsi gridarono impaurite, mentre Stephan iniziava a spintonarmi e a intimarmi di stare quanto più alla larga possibile. Portandomi indietro, lontano da lui, con la paura che potessi colpire di nuovo il suo amico.

«Ma che problemi hai?» urlò Stephan minaccioso nella mia direzione corrugando la fronte e ricercando il conflitto. Il mio obiettivo era sempre più distante ed io non avevo la benché minima voglia di perdere tempo con un suo tirapiedi. Perché no. Non era ancora finita, era soltanto il primo atto di una resa dei conti che sarebbe dovuta avvenire da anni e se fosse stato necessario avrei passato altri mille pugni oltre la sua guardia. Gliela avrei fatta pagare per tutto e con qualsiasi mezzo necessario.

Non risposi. Al contrario, come una bestia famelica provata dall'odore del sangue della sua preda, mi avventai su Stephan sperando di travolgerlo. Il mio piano fallì quando due braccia possenti mi tennero ancorato sul posto.

Ma che stava accadendo? Chi era il bestione alle mie spalle? Scalciai per liberarmi, ma niente. Era una montagna.

All'improvviso, Cassidy entrò nel mio campo visivo calmando Stephan e gli animi di Scemo e più Scemo che gridavano alla rissa come se fosse il loro show preferito. Perché dovevano mettersi in mezzo?

«Siete adulti tutti quanti, cosa sta succedendo qui?» strillò la ragazza parandosi avanti così da impedirmi la visuale su Richard. Se lei era lì, voleva significare solo che... alzando lo sguardo notai Josh. Era lui l'armadio, ovviamente.

«Pff, ma ti ha mai detto nessuno che è illegale avere così tanti muscoli?» sentenziai stizzito nei suoi confronti. Josh trattenne una risata imprimendo ancor più forza contro le mie braccia.

«Ti lascio andare se prometti di non fare del male a nessuno» mi ammonì con lo sguardo.

«Non farò a botte con nessuno, certo... non finché mi terrai legato come un cane. Io a quello gli spacco la faccia, invece!» gridai montando nuova rabbia. Ero fuori di me, non avevo quasi più il controllo. Non solo il mio cuore aveva i battiti aumentati, ma la vista si era annebbiata, la pressione era alle stelle e persino la mia salivazione era in incremento. Me ne dava prova un rivolo che ne uscì dall'angolo esterno.

Forse ero veramente un animale da tenere legato.

«Okay, rimaniamo così ancora un po'» convenne la montagna andando contro il mio volere primordiale.

«Cerchiamo di finire entro le dieci, ho un'altra rissa programmata per quell'ora!» sbottai nervoso. Mi guadagnai un'occhiataccia da parte dei presenti più vicini a me. Non riuscivo neanche più a riconoscermi. Avevo perso qualsiasi freno inibitore: non ero più il Dylan solitario e dal cuore pieno di rabbia repressa, avevo lasciato che i miei sentimenti prendessero il sopravvento tramutandomi nell'ombra di ciò che ero. Uno stupido incapace di baciare una ragazza che si trovava a due millimetri di distanza, che non stava mai zitto e che non riusciva neanche a tirare pugni come si doveva!

Stupido Dylan, stupido!

«Ma qual è il tuo problema?» domandò retoricamente la brunetta con gli occhi spenti da rassegnazione. Scosse il capo intristita. Di problemi ne avevo fin troppi.

«Li vuoi in ordine alfabetico o di gravità?» Finalmente riuscii a scostarmi dal bestione con uno strattone. Mi massaggiai i polsi e gli avambracci per un tempo interminabile, era un gesto che mi stava lentamente calmando. Finché non avrei visto quella brutta faccia di Whitemore, potevo essere considerato in libertà vigilata. Cassidy e Stephan mi coprivano perfettamente la visuale sul coglione come fossero un solido muro di mattoni.

«Dylan, seriamente, cosa ti è preso? Lo sai che potresti essere espulso?» digrignò i denti Cassidy avvicinandosi a me così che nessuno potesse udirci. Posò una mano sulla mia per farmi rinvenire. Alzai lo sguardo verso i suoi occhi azzurri: i muscoli del suo viso erano in tensione come anche quelli del suo collo, mentre mi fissava come un cucciolo smarrito. Era in pensiero per me e quello che successe fu... niente. Non mi suscitò niente l'averla così vicino.

Che fosse quella la differenza tra qualsiasi ragazza e Lilian?

Mi persi per qualche altro attimo: fino a che Cassidy non forzò il suo volto affinché sembrasse più minacciosa per indurmi a parlare.

Quale fosse stata la vera causa che mi aveva portato a compiere quel gesto avventato?

Non avrebbe retto la balla del "non mi sta per niente simpatico", in fondo si potevano contare sulle dita di una mano le persone che reputavo passabili di giudizio. Quindi perché mentire o temporeggiare? Quello che avrei dovuto fare sarebbe stato solo ammettere la verità: il motore che oramai muoveva la mia coscienza era solo uno.

«Per Lilian. L'ho fatto per lei e lo farei altre mille volte» sbraitai furente, mentre serravo la mascella pronto per un'ulteriore battuta arguta da rivolgere alla platea inconscia. Arrotai i denti soppesando ogni lettera che avevo pronunciato con la giusta enfasi. Il suo nome era importante, tanto quanto la sua persona.

Tutti avrebbero saputo che non avrei mai permesso a nessuno di prendersi gioco delle sue fragilità. Ero lì per lei e sarebbe stato forse per sempre così.

♣♣♣♣♣

Cari Cursed, chi ha goduto del pugno di Dylan?

E niente, penso che possa bastare! Altre info e maledizioni sono da compilare nel modulo apposito! Leggo tutte le lamentele, parola della vostra Red Witch preferita,

 Haineli

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top