61. Sogni proibiti

♫ Marshmello & Anne-Marie - F.R.I.E.N.D.S. ♫

Quella notte non riuscii a dormire. Chiudere occhio si era rivelata l'impresa più ardua di tutte: troppo emozionata e spaventata per ciò che avevo vissuto.

Al mattino, nella mia testa vorticava ancora lo scenario della sera precedente. Avevo fantasticato su Dylan, su di me e su cosa sarebbe successo se lui non si fosse fermato. Se non fosse scappato.

Erano domande senza una risposta. Mi torturai le labbra, mentre rinvangavo la possibilità che il moro avesse potuto mal interpretare il mio irrigidimento e il mio silenzio, convincendolo così del fallimento di quel suo estremo esperimento. Uno stupido test che aveva ingarbugliato ancor di più la mia mente aggrovigliata. Stretta in una morsa e con il respiro corto, ero certa che lui non avesse capito proprio nulla.

"Spero che tu sarai felice con Richard." Ma per favore...

L'unico motivo per cui non mi ero lasciata andare tra le sue braccia, era perché avevo bisogno di parlare con Whitemore, ammettendo così una volta per tutte ciò che provavo per davvero.

Fino a quando non fosse stato tutto chiarito, sapevo di non poter arrogarmi il diritto di compiere passi verso Dylan. Richard non si meritava una pugnalata alle spalle e tradire non era assolutamente da me.

«Amy, che stai facendo con la testa nel frigo?» Mi destai dai miei pensieri quando udii la voce roca di Nathan. Ritornai ritta con la schiena, spaesata e smarrita allo stesso tempo. Feci mente locale ricordandomi che avrei dovuto fare colazione, per quello ero giunta sino in cucina: per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Ma nell'aprire l'anta del refrigeratore avevo iniziato a mescolare i pensieri rimanendo in balia di quella freschezza che mi stava lambendo la pelle e allontanando dal caos del mio cuore. Esattamente come avevo fatto nelle ultime sei ore, mi ero impietrita dinanzi l'incapacità di riflettere e trovare soluzioni.

«Dylan!» urlai spaventata svuotando il sacco. Scossi il capo incapace di affrontare lo sguardo del mio amico. Avevo confessato con una semplice parola il fulcro dei miei pensieri e dei miei problemi, nonché l'unica soluzione.

«Cosa c'entra Dylan? È nel frigo? Non sto ancora sognando, vero?» Nathan si passò una mano sul volto arricciando il naso. Tastò il vuoto avanti a sé fino a trovare una sedia capace di accogliere le sue stanche membra. Si sedette gettando all'indietro la testa e richiudendo gli occhi. Non aveva una bella cera.

All'improvviso mi ricordai del vero motivo per cui io mi ero ritrovata invischiata in quella situazione in prima istanza. «Oddio, Nathan! Ma sei sveglio! Come stai?»

Come avevo fatto a dimenticarmi di lui?

Mi avvicinai deglutendo un bolo di saliva e vergogna, richiudendo lo sportello del frigorifero con un colpo secco. Il ronzio prodotto dalla lampadina all'interno dell'elettrodomestico si interruppe, sbloccando così il sottofondo ai miei pensieri.

«Sto una pezza, non ricordo neanche come sono tornato a casa. I miei ultimi pensieri risalgono al pomeriggio scorso. Poi ho il vuoto totale.» Si portò entrambe le mani sugli occhi strofinandole sulla pelle pallida. Stava cercando di svegliarsi.

«Vuoi che ti prenda un'aspirina? Vado a comprarla in farmacia se non ci sono in casa» proposi al ragazzo che stava posando il suo sguardo sul mio vestiario per la prima volta. Sembrò stranirsi di colpo.

«Ma io ora che ci penso... tu che ci fai qui? E quello non è il pigiama di Dylan? Hai dormito da noi?» Sbatté le palpebre più volte. Ero stata colta in flagrante e a rendere quella situazione ancora più imbarazzante c'era lo sguardo smarrito di Nathan. Avevo rubato quegli indumenti da uno dei cassetti, in preda all'agitazione sembrava essere la mossa migliore. Vi era impregnato persino il profumo di Dylan. La mia era stata una mossa azzardata. In fondo, si trattava solo di una grossa maglia bluette dalla silhouette svasata e dai contorni un po' usurati: mi arrivava fin alla radice della gamba. Il vero problema erano le maniche, troppo lunghe, che avevo arrotolato fin sopra i gomiti. Avevo rubato anche uno dei pantaloncini di Dylan, di quelli con la molla che arrivavano oltre la vita, ma che sapevo mi sarebbero scivolati via se non avessi fatto attenzione. Arrossii al solo pensiero che anche il padrone di quel vestiario avesse potuto vedermi e rimproverami. E, come al solito, Nathan nella sua innocenza aveva tratto le conclusioni sbagliate.

«Hai dormito con Dylan?» ripropose vedendomi assorta nei miei pensieri, mentre il rossore tingeva il mio viso fin alla punta delle orecchie. «E Richard? Amanda mi sta scoppiando la testa cosa c'è che mi sono perso? Saresti così gentile da aggiornare un povero giovane-vecchio?» Aprii la bocca senza proferir parola. Da dove iniziare? Non si ricordava davvero nulla?

Nathan s'accasciò con il busto contro il tavolo centrale. La sua guancia era in contatto con il fresco legno, mentre di sottecchi cercava di osservarmi come se fosse del tutto esausto. Le sue dita viaggiavano lente sulla superficie lucente, disegnando cerchi per tutto il perimetro. Era proprio una pezza come aveva confessato. Balzai verso la parte opposta del tavolo, rimanendo sempre a vista del corvino, mentre le mie gambe penzoloni si muovevano scostanti cercando di esacerbare la tensione che stavo provando.

«Sono davvero messo male come mi stai facendo capire con il tuo sguardo? Sono pessimo...» Il mio cuore si strinse per un attimo. Stava biascicando le parole, trascinando le sillabe come se ci mettesse più tempo per elaborare una frase di senso compiuto. Non ero felice di sentirgli parlare in quel modo. Il senso di colpa era un qualcosa che non solo divorava il mio animo, ma anche quello di Nathan. Come io non ero brava a gestirlo, lui poteva essere anche peggio.

E per cosa poi? Si era solo ubriacato, a metà settimana, ma era un qualcosa che facevano ogni giorno decine di migliaia di persone in tutto il globo. Di certo era capito a me, era capito a Emma, a Dylan e a chiunque avesse un'età che superasse i sedici anni.

Mi allungai in avanti così da poter afferrare il suo volto tra le mie mani e costringerlo ad ascoltarmi. «Smettila di pensare queste cose. Sei sempre perfetto con me e con tutti noi. Ma devi ammettere che anche tu hai un lato umano. Ti sei preso una bella sbronza e fine della discussione. Quella pessima sono io.» Era inutile compatirlo. Bisognava che capisse quale fosse la verità senza mezzi termini, prima che nella sua testa passassero pensieri ostici, per quello avevo utilizzato un tono di voce quanto più autoritario possibile.

«Tu? Perché? Cosa hai fatto? Amanda lo sai che puoi parlare con me, non credevo che tu...» mi supplicò con lo sguardo, aveva bisogno di sentirsi importante per qualcuno. Io non desideravo altro, in fondo.

«Non ho tradito nessuno, se è questo che pensi. Cioè... allora... partendo dal principio sono qui perché ieri in un barlume di lucidità sei stato tu a chiedere a Dylan di me. Avevi bisogno di parlarmi, penso, ma quando sono arrivata stavi dormendo e pur di monitorarti sono rimasta a dormire. Dylan mi ha offerto la sua camera da letto ed io ho preso un suo pigiama perché non sapevo cosa indossare per la notte. Lui è stato in quella degli ospiti, quindi non c'è stato niente... dopo che-» Nathan incurvò un sopracciglio incuriosito dalla strana scelta di parole.

«Dopo che cosa? Perché sembra che tu abbia avuto una notte insonne? Persino il tuo colorito è peggiore del mio. Sembri la strega cattiva dell'ovest del musical di Oz che abbiamo fatto alle elementari!» scherzò con fare indagatorio. La mie gambe smisero di ballonzolare. Con uno scatto fulminio mi allontanai da lui mettendo distanza sia con le parole che con gesti convulsivi delle mani.

«Spiegami, ti prego. Sono curioso di ascoltare la tua versione dei fatti. Ovviamente poi chiederò conferma a Dylan.» Nathan iniziò a ridere sotto i baffi. Almeno aveva focalizzato la sua attenzione su altro. Purtroppo per me, riuscii a imbarazzarmi ancora di più. Incrociai le braccia sotto il seno sbuffando nervosa. Mi sentivo come una bambina di quattro anni appena beccata a rubare caramelle. Che poi io non volevo rubare le caramelle, era stato il caramellaio a venire da me e a offrirmele. Un caramellaio stronzo geloso del suo rivale e che mi aveva lasciata senza caramelle alla fine dei conti.

Stavo degenerando. E, come se non bastasse, avevo anche una grande fame. Il mio stomacò brontolò nel silenzio generale.

«È stato lui! È tutta colpa sua! Io volevo solo la coperta che aveva tra la mani, poi però mi ha afferrata e ha iniziato a blaterare roba sul fatto che se fossi stata innamorata di Richard allora lui avrebbe potuto persino baciarmi ed io non avrei provato niente! Credeva che se avessi acconsentito alle sue attenzioni allora lui avrebbe avuto ragione, mentre se lo avessi rifiutato e mandato al diavolo avrei comunque messo una parola fine alla sua stupida teoria, accettando una volta per tutte che io amassi Richard. Ma non solo mi si è avvicinato, ha anche provato a baciarmi, ripetutamente! Guarda qui, mi ha riempito il collo di succhiotti! È stato imbarazzante e lui era così impudente, menefreghista e così... così...» sexy. Sputai il rospo incespicando nelle parole. Mi avvicinai a Nathan tirando un lembo dello scollo così che potesse notare i segni del misfatto.

Nathan sembrò meravigliarsi e, dopo un'attenta analisi di quegli ematomi violacei, parlò. «Tutto qui? Ti ha solo provocato senza nemmeno baciarti sul serio?» Si passò nuovamente una mano sul volto così da riprendersi del tutto. I pettegolezzi gli avevano fatto riacquisire colore.

«Tutto qui?» ripetei sconvolta da tale atteggiamento qualunquistico. «È stato irrispettoso! Ha fatto qualcosa di grave. Io sono fidanzata con Richard, per il momento! Ovviamente gli racconterò tutto!»

Nathan incrociò le braccia davanti a sé appoggiandoci sopra il mento. «Hai detto che avresti potuto mandarlo al diavolo, però, sembra proprio che Dylan non avesse tutti i torti sul fatto che se Richard ti fosse veramente piaciuto, allora non gli avresti permesso di continuare. I segni sulla tua pelle raccontano un'altra storia da quella che vuoi farmi credere. Se poi mi dici che ti ha costretto contro la tua volontà stai certa che lo caccio di casa oggi stesso» concluse Nathan compiaciuto. La rabbia mi colorò il viso all'istante.

«Ma tu non eri quello che faceva di tutto per allontanarmi da lui? Come mai ora sembri contento e beato? Ti piace vedermi soffrire?» lo accusai impunemente. Nathan si fermò rendendosi conto delle mie parole. Mi morsi un labbro, mentre torturavo le mie dita tra di loro.

«E comunque non mi ha imposto nulla... io ho lasciato che continuasse. Beh, perché mi piaceva... non farebbe niente senza il mio consenso, sai» ammisi sottovoce vergognandomi di quella inaspettata confessione.

Nathan sollevò un angolo della bocca vittorioso.

«Devo ammettere che Richard ultimamente non è la mia persona preferita. Non voglio vederti soffrire. Eppure, non lo so, c'è qualcosa dentro di me che mi rende stranamente felice. Sapere che è accaduto qualcosa tra voi due è strano, sì, ma allo stesso tempo non inaspettato. Forse sto solo iniziando ad accettare che non tutto può essere sotto il mio controllo. C'è ancora una domanda a cui non mi hai risposto e per cui sto attendendo.» Nathan si raccolse il mento tra le dita callose. Sembrava che mi stesse psicanalizzando.

«Cioè, cosa? Ti ho raccontato tutto ciò che è avvenuto nell'arco di pochi minuti. Cosa altro dovrei dirti?» Battei il piede destro più volte contro il suolo. Ero nel più assoluto imbarazzo, avrei voluto che quell'interrogatorio finisse il più presto possibile.

«Quindi chi è ti piace di più? Ricard o Dylan?» Gli occhi di ghiaccio di Nathan si illuminarono per un istante, lasciandomi completamente paralizzata dalla vergogna. Nathan scoppiò in una grossa risata notando il broncio che mi si era formato in volto.

«Va bene, non rispondere, l'ho capito da me. Comunque sarà che avrò finalmente raggiunto la consapevolezza che non ci si può imporre di provare dei sentimenti quando non si hanno. Quindi questa notizia non mi sconvolge. Se tu credi che la persona con cui vuoi stare sia Dylan, io non posso far altro che appoggiarti... non mi posso lamentare, se dovessi decidere di seguire il cuore. Purtroppo, non posso assicurarti che sarà così anche dall'altra parte. Ricordati che stiamo pur sempre parlando di Dylan...» Socchiusi gli occhi inspirando profondamente. Dannata Amanda e dannati sentimenti, lo sapevo fin troppo bene.

«Scusami, Nate, io-» Volsi il mio sguardo verso di lui, mentre le mie dita continuavano a combattere quella guerra infinita tra loro. Mi sentivo priva della corazza che ero solita portare, non mi piaceva essere troppo debole o espugnabile. Non volevo crollare. Ma Nathan non era una persona qualunque. Non mi avrebbe mai ferito. Ed io gli volevo un bene che andava oltre qualsiasi limite. Eravamo Amanda e Nathan. Per sempre lo saremmo stati.

«È tutto a posto, baby.» Mi lanciò un occhiolino con disinvoltura prima di alzarsi e dirigersi verso il frigorifero. Lo aprì iniziando a rovistare all'interno. In tutto quel parlare mi era persino passata la fame.

«Tu invece, Nate? Come stai? Quest'ultima cosa che hai detto sul non comandare i propri sentimenti... c'è qualcosa che vorresti che io sappia? Magari era per questo che mi cercavi ieri» indagai. Nathan levò la testa in alto e per un attimo intravidi lo stesso bambino beccato a rubare caramelle che ero stata io qualche minuto prima. Quando provò a parlare, la voce di una terza persona giunse alle nostre orecchie, interrompendo così il nostro momento.

«Buongiorno.» Dylan ci sorpassò con naturalezza e freddezza, ma cosa ben più strana... non mi degnò di un singolo sguardo. Stanziava davanti ai nostri occhi rigidi, perfettamente vestito. Sembrava essere sul punto di uscire, come se fosse sveglio da ore. Probabilmente neanche lui era riuscito a dormire come la sottoscritta.

Lanciò una lunga occhiata all'interno del refrigeratore con l'intento di individuare i prodotti da scartare e ingerire. Un brivido di freddo scosse il mio corpo. Sapevo di avere puntati addosso i fari di Nathan, che impertinenti cercavano indizi sulla nostra avventura. Ogni secondo che passava il suo volto si arricchiva di sfumature e curve. Nathan si fece da parte indugiando più del dovuto nell'analizzare i nostri momenti e interazioni nulle: stava raccogliendo informazioni. Scrollai le spalle non conscia del motivo per il quale Dylan si comportasse con tale innaturalezza. In qualsiasi altra circostanza mi avrebbe almeno salutata.

«Ma non c'è niente da mangiare» si lamentò. Tutti facemmo un passo indietro lasciando che l'anta di metallo potesse richiudersi da sola.

«Ti serve un passaggio per andare in università?» fu l'unica domanda che mi riservò prima di rubare uno dei biscotti dalla busta di cartone alloggiata a fine tavolo. Tra tutte le migliaia di risposte che avrei potuto fornirgli nel caso mi avesse rivolto la parola, non mi venne in mente nulla di sagace. Ricevetti una gomitata da parte di Nathan per ritornare a contatto con la realtà. Il tutto si era svolto sotto lo sguardo vigile e severo di Dylan, anche se non sembrava veramente essere presente.

«No, no, grazie...» farfugliai impacciata.

Dylan indurì le labbra, scuotendo il capo con accezione positiva prima di voltarsi irritato. «I vestiti che indossi mettili nella cesta dei panni sporchi, ci penserò io a fare la lavatrice.» Detto ciò, scomparve dalla nostra vista.

Avvertimmo la porta di ingresso chiudersi con un colpo secco. Il mio cuore stava pompando più sangue di quanto fosse mai stato capace.

«Ma lui è a conoscenza di ciò che è avvenuto tra voi due ieri sera?» domandò Nathan afferrando tra la mani la stessa busta di biscotti giacente sul tavolo. «Non so cosa sia appena successo qui... ma credo tu sappia già come risolvere.» Nathan agguantò anche un cucchiaio dall'apposito ripiano prima di salutarmi con un bacio sulla guancia. Mi aveva confidato di aver trovato il barattolo di burro d'arachidi sul suo comodino e che ne avrebbe approfittato per consumare una colazione non del tutto salutare.

Sarebbe rimasto a casa quella mattina, mentre io dovevo darmi una mossa. C'era troppo in ballo per rimanere ferma in quel momento.

***

Corsi fino al primo piano. La lezione che si sarebbe tenuta, o che stava avvenendo, era quella della Roberts e fare ritardo con lei significava solo essere ricordati come dei maleducati che non avrebbero meritato un posto in quella università.

Per mia fortuna, quando giunsi davanti l'aula, non c'era ancora traccia della megera. Mi appoggiai allo stipite facendo leva con un braccio per prendere un bel respiro.

«Bambolina, ehi, è tutta la mattinata che ti chiamo! Che fine avevi fatto? Volevo ridarti queste, ieri le hai lasciate nella mia auto!» Sobbalzai quando davanti ai miei occhi comparve Richard. Ingoiai la saliva che sapeva di rancido abbozzando un sorriso nei suoi confronti.

La sua presenza in quella circostanza non poteva essere che un segno dei destino. Avrei dovuto approfittarne per parlargli. Ma... Ma...

«Richard! Oddio, grazie. Credevo di averle perse, è un sollievo che ce l'abbia avute tu.» Lasciai che mi passasse quel pezzo di ferraglia così che avessi potuto aggiungerlo alla mia collezione. Quando Richard si avvicinò con l'intento di baciarmi, io voltai il mio sguardo da tutt'altra parte facendo scontrare le sue labbra contro la guancia. Sgattaiolai da quella posizione per potarmi in mezzo al corridoio. «Sai, ieri, il telefono mi è morto. Ecco, io poi non ero più a casa. Cioè c'ero quando mi hai riaccompagnata, ma poi ho avuto un contrattempo e quindi...» ero davvero sul punto di rivelargli tutto? Che avevo dormito a casa di Dylan, nel suo letto che sapeva di menta e muschio verde e che avevo ancora sul mio collo i segni dei suoi voraci baci? A quel pensiero rabbrividii rialzando in alto il colletto della camicia.

«Ma, hai indosso i vestiti di ieri?» domandò lui non facendo terminare il mio discorso. Si guardò intorno prima di afferrarmi per una mano e trascinarmi dalla parte opposta del corridoio così che nessun occhio indiscreto avesse potuto spiarci. Iniziò a tempestarmi di domande alle quali io avevo remora di rispondere. "Dove hai dormito? Perché non rispondi? Che ti succede?"

Abbassai le palpebre così da prendere fiato. Era forse una scenata di gelosia la sua?

«Sono stata a casa di Nathan. Era ubriaco marcio e voleva il mio aiuto. Ho passato la notte lì per assicurarmi che stesse bene. È stato tutto talmente improvvisato che non ho neanche pensato di portarmi un cambio e quindi eccomi con gli stessi indumenti» scimmiottai.

«Hai passato la notte a casa di O'Brien? Ma ti rendi conto, sei forse impazzata?» sputò quelle parole come se avessi appena commesso il reato peggiore del mondo. Il suo tono di voce non aveva nulla di dolce o compassionevole. Rimembrando le parole di Dylan mi resi conto che c'erano dei piccoli dettagli che tutto sommato tornavano nel descrivere l'atteggiamento di Richard. Che avesse ragione anche su quello? Incurvai un sopracciglio indispettita e irritata.

«Perché dovrei esserlo? Nathan è il mio migliore amico e non faccio niente di male nell'andare a trovarlo se lui sta male. Non credevo avesse potuto darti così fastidio, però a quanto pare mi sbagliavo.» Lo squadrai da capo a piedi. Di certo, qualsiasi altra cosa avessi aggiunto avrebbe aiutato a montare la rabbia che stava covando nel suo cuore. Prima di confessargli il mio peccato avrei tanto voluto che fosse più calmo.

«Si dà il caso che con il "tuo migliore amico" abiti anche la persona che più detesto al mondo. Onestamente io mi sono stancato. Ti proibisco assolutamente di passare del tempo con quel parassita che non sia strettamente necessario. Sono stato paziente, ma adesso bassa, stai superando ogni limite!» Rimasi senza parole. Stava davvero dicendo ciò che pensavo?

Quando il mio cervello iniziò a ingranare per poter formulare tutta la verità sotto la forma di un'unica frase a effetto, che includesse il fatto che io non lo amassi veramente e che mai avrei permesso a qualcuno di limitare la mia libertà, mi morsi la lingua.

Non avevo intenzione di ferirlo gratuitamente, anche se lui sembrava di non essere del mio stesso avviso. Io non mi sarei lasciata influenzare dal suo atteggiamento, sarei rimasta me stessa nonostante il mondo mi avesse dato contro.

«Penso sia meglio incontrarci nel pomeriggio per discuterne. Ora ho lezione e non vorrei fare tardi. Ti aspetto a casa mia, credo sia il caso di parlare e chiarire per sempre questa situazione.» Abbassai lo sguardo in quanto non riconoscevo più gli occhi angelici del ragazzo per cui avevo preso una cotta il primo anno di università. Sembrava diverso, autoritario e molto più freddo di quanto avessi mai potuto immaginare.

Paragonarlo a Dylan sembrava essere una cosa naturale. Il moro nei suoi momenti bui era logorato dal senso di colpa. Corroso nell'animo dalla stessa solitudine che si era autoimposto.
Ma quel parallelismo aveva termine ancora prima di iniziare. Quella non era la stessa cosa che stava provando lui. Davanti ai miei occhi avevo un involucro di innaturale rabbia e immotivato odio. Spingerlo a comportarsi in quel modo non vi erano problemi irrisolti alle spalle, ma l'incapacità nel non riuscire a controllare l'unica cosa sfuggita al suo controllo: me.

Richard si passò una mano sul volto annebbiato da tale richiesta.

«Come vuoi... ci vediamo nel pomeriggio, allora.» Si dileguò non appena pronunciate quelle semplici parole. E mi ritrovai stranamente sollevata nell'ammettere che non averlo vicino fosse stato così rasserenante. Inspirai profondamente per stemperare la tensione rilassando i muscoli contratti. Non avrei retto un minuto di più.

Ripresi lucidità della mia situazione infilandomi nell'aula della Roberts prima che la porta venisse richiusa dalla stessa professoressa appena giunta: quella giornata stava andando di male in tragedia. Sarebbe solo potuta peggiorare.

E così fu.

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