60. Brama molesta (2/2)
♫ Selena Gomez - Fetish ♫
Quando i suoi occhi vacillarono, capii di aver vinto quel gioco e un po' me ne compiacqui. Lasciai perdere dirigendomi nella sua stanza senza più alcun intoppo. Superai l'ingresso ricercando l'agognato premio.
Mi portai più avanti afferrando uno dei cuscini adagiati sul piumone e, scrutandomi intorno, mi domandai dove conservasse le lenzuola pulite.
«Dove sono le coperte?» intonai. Dylan si grattò la nuca non curante, facendo cenno con il capo che ci avrebbe pensato lui. Si diresse verso l'armadio con le ante scorrevoli, pressando una delle due così che slittasse nella sua direzione. Afferrò la prima trapunta dal ripiano più alto.
«Questa dovrebbe andare bene» commentò fiducioso.
«Graz-» Dylan retrasse immediatamente le braccia facendomi afferrare il vuoto. Le parole mi morirono sulle labbra.
«Dylan! Non è divertente!» lo rimproverai saltando in avanti. Volevo solo ciò che avevo nascosto dietro alle sue spalle. Il moro fece qualche passo indietro costringendomi a seguirlo fino a che non si ritrovò bloccato contro il muro. Si stava divertendo, potevo udire distintamente la sua risata rimbombare tra quelle quattro pareti.
«Dylan, fai il serio! Lasciami la coperta!» persino sulle punte non riuscivo ad acchiappare più che un angolo del caldo tessuto. Approfittarsi della mia più bassa statura era una mossa meschina!
Notando la mia difficoltà si impegnò affinché le braccia rimanessero ben salde sopra la sua testa, così da rendermi impossibile l'impresa.
«Se riesci a prenderla, è tutta tua. Vuoi che ti chiami qualcuno o pensi di farcela prima che sorga il sole?» Piegai la testa per il nervoso. Mi stava sfidando. Inspirai profondamente per riprendere il controllo sulle mie emozioni, decidendo come sarebbe stato meglio agire.
Mi avvicinai lentamente alzando in alto una mano.
«Per favore, Dylan, saresti così cortese da porgermi la coperta?» domandai a un paio di centimetri con fare civettuolo. Il moro roteò gli occhi, mentre con flemma iniziava ad avvicinare la trapunta alle mie dita. Si era arreso così facilmente?
Appena i miei polpastrelli sfiorarono il tessuto, il suo braccio ritornò a essere teso come una corda di violino. Riprese a ridere divertito come se ci stesse prendendo gusto nel vedermi incapace e indifesa. Era solo un balordo.
Lasciai che il cuscino, che tenevo stretto sotto il braccio, scivolasse sul pavimento e, in una manciata di secondi, mi trovai ad afferrare Dylan per le sue stesse spalle. Lui era contro il muro, non poteva scappare e quella forse era la mia unica possibilità per riuscire a coglierlo alla sprovvista.
Misi in pratica tutto ciò che avevo imparato grazie al cheerleading delle scuole superiori. Non avrei sopportato ancora per molto quel suo sorrisino da "ho vinto io".
Utilizzando il suo ginocchio come perno, feci leva così da darmi il giusto slancio e acchiappare l'agognato premio.
Ce l'avevo fatta. Avevo tra la dita quel morbido pezzo di paradiso.
Ma di ritorno con i piedi al suolo, la felicità sul mio volto sparì di colpo. Dylan mi catturò ancor prima che riuscissi ad allontanarmi. Stretta tra le sue braccia approfittò della mia incapacità di movimento per invertire i nostri ruoli. Premette il suo corpo contro il mio, costringendomi spalle al muro. In un impeto di furia, afferrò la coperta strappandola dalle mie mani e gettandola con disprezzo accanto al cuscino abbandonato.
«C-cosa stai facendo, Dylan? Cosa vuoi fare?» Lui alzò un angolo della bocca in un sorriso bieco, mentre il mio corpo mi avvisava che niente di buono sarebbe derivato da quel momento in poi.
Abbandonò la presa sul mio busto facendo scivolare le sue braccia ai lati della mia figura.
Mi aveva teso una trappola.
Fece leva contro la parete per sorreggersi sui gomiti e sfiorarmi il volto. Sfiorava il mio mento tenuto alto, costringendomi a mirarlo dritto negli occhi. Segnava i confini dei lineamenti con fare disinvolto. Sentivo i miei muscoli irrigidirsi e tendersi allo stesso tempo sotto il suo tocco. Provai a sottrarmi a quel ricatto, ma la sua gabbia non me lo permetteva.
Afferrai la mano con cui stava lambendo la mia palle, stringendola in una presa decisa e abbassandola di colpo. «Perché mi stai facendo questo?» sussurrai con la voce incrinata. Le sue pupille si allargarono impercettibilmente, mentre il suo corpo prendeva il sopravvento ancora una volta. Le dita di quella stessa mano, che avevo provato ad allontanare, si incastrarono alle mie facendone ciò che voleva. Era più forte di me, non c'era alcun dubbio e non potevo far altro che assecondarlo.
«Perché ho provato a spiegartelo più volte a parole, ma sembra che io non sia bravo. Magari in questo modo ti sarà più chiaro...» I suoi occhi bruciavano come mai avevano fatto prima d'ora. Mantenne quello sguardo per tutto il tempo, mentre con costanza assidua avvicinava il suo viso al mio. In pochi istanti avvertii la punta del suo naso segnare i miei zigomi e delinearli fedelmente. Sussultai a quel contatto, perdendo di forza nella presa.
«Io... io non credo che costringermi a tradire Richard ti faccia onore, Dylan. Non-» Strinse con ardore le nocche sottili attorno alle mie. Di riflesso feci altrettanto, guadagnandomi così un suo risolino. Mi sembrava di essere ritornata a quella notte di un paio di mesi prima. Il mio cuore stava colando a picco verso il disastro.
«Shhn, non ti voglio costringere. Non ti obbligherò a fare nulla che tu non voglia, te l'ho già detto così tante volte. Se quello che dici di provare per Richard è vero, allora non aver paura. Dovrai solo ribadirmi che niente di tutto ciò ti faccia effetto. Una sola parola e andrò via: non mi pare tu l'abbia ancora fatto. Ma, se così non fosse...» soffiò al mio orecchio, scostando le numerose ciocche che lo nascondevano.
Schiusi le labbra e spalancai gli occhi nell'istante in cui Dylan catturò il lobo tra i suoi denti. Avvertii la sua lingua passare sulla mia carne rovente.
Si distaccò solo per tastare la mia reazione, scegliendo come nuovo alloggio per la sua bocca la cute del mio collo. Si spostava sapiente con flemma, facendosi strada sulla mia pelle con i suoi baci umidi. Avvertivo il suo passaggio e seguito dei brividi che partivano dalla sede prescelta per il suo gioco perverso e che si irradiavano verso i restanti distretti del mio corpo. Fremevo al solo pensiero che potesse continuare. Deglutii a fatica, ancorandomi a lui in uno slancio.
Dylan interpretò quel gesto come un tacito assenso nel continuare a torturare il mio collo. Avvertivo i suoi denti sulla mia carne e le sue labbra insistere prepotenti e vogliose. Spinse il bacino contro il mio, arpionando il mio corpo alla parete con un movimento secco, ma efficace. Dannatamente efficace.
«Se così non fosse?» sospirai ricordandomi che avrei dovuto rispondergli. Sarebbe stato anche peggio se avessi avuto le sue iridi puntate sulla mia figura senza poter reagire in alcun modo. Dovevo concentrarmi su altro, altrimenti...
Per un momento i suoi baci terminarono lasciando il posto alla dolce brezza prodotta dal soffio della sua voce contro la mia pelle. Piegai la testa di lato come se fosse stato il mio corpo a decidere e non più la mia mente: sembravo desiderare solo che continuasse nonostante sapessi quanto fosse sbagliato; non avevo la ben che minima intenzione di sottrarmici.
«Altrimenti... avrò sempre avuto ragione.» Furono le uniche parole che pronunciò, prima di accanirsi ulteriormente sul mio collo. Infuriò con rinnovata passionalità, abbandonando la posizione e stringendomi a sé dalla vita.
La situazione si stava scaldando e il calore che emanavamo era visibile sulle gote arrossate. I nostri corpi potevano sembrare l'uno la perfetta metà dell'altro, completando e sopprimendo vicendevolmente i vuoti naturali.
Un sospiro fuoriuscì dalle mie labbra di sua sponte, caricando Dylan ancor più di quanto già non fosse. Lo avvertii incurvare il sorriso in uno corrotto da malizia. Sapeva di avermi in pugno. Per testare i miei nervi decise di azzardare ulteriormente. Distaccò le sue fauci, iniziando a disegnare i contorni della mia mascella con la sua lingua. E non sembrava avere voglia di arrestare la sua corsa giunto in prossimità della mia bocca. Era così dannatamente eccitante.
In un impeto di immotivata irrazionalità, affondai una mano tra i suoi ciuffi castani. Sfioravo con le dita la sua cute irsuta, scombinando quella capigliatura solo per imprimere più forza ai suoi movimenti.
Il moro si accanì con molta più foga. Ogni morso, bacio e respiro era paragonabile all'agonia di una lenta tortura, ma ne volevo ancora e ancora. Era la mia punizione divina. Mi morsi il labbro inferiore trattenendolo tra gli incisivi per stemperare la tensione, ricavandone l'esatto opposto.
Dovevo calmarmi.
In un barlume di lucidità, con quella stessa presa sul suo capo, tirai via Dylan lasciando che gli affannati respiri presero il posto dei rumori sordi prodotti dall'incessante scoccare delle sua bocca sulla mia cute.
Ci fissammo spaesati ed eccitati allo stesso tempo. I suoi occhi erano languidi, persi in qualche pensiero, offuscati da tutto ciò che stava accadendo. Sembrava non essersi nemmeno accorto di essersi spinto così in là. Non aveva smesso di sbirciare e scrutare ogni millimetro del mio viso con incertezza come se si stesse torturando su quale zona colpire con il prossimo attacco. Al contrario, le sue mani non erano mai state così salde attorno al mio corpo caldo.
«Vuoi forse farmi credere che questo non è stato niente per te?» mi domandò non aspettandosi una risposta. Non sapevo cosa dirgli arrivati a quel punto. Io semplicemente non...
«E se provassi a baciarti?» ritentò a bruciapelo cogliendomi in scacco. Non vi era più sentore di alcuna malizia nella voce. Era troppo concentrato e rapito dalla sua stessa mente, per riuscire a modulare il suo atteggiamento. Schiusi la bocca a seguito della sua domanda così impertinente. Una scossa attraversò il mio corpo. Perché le sue parole sortivano quell'effetto su di me?
E rimanendo a pochi millimetri di distanza riempì quel vuoto con le sue parole, facendo sì che soffiasse direttamente dove i suoi occhi stavano puntando fin dal principio: le mie labbra.
«Mi avvicinerei a te ricercando i tuoi lineamenti e spostando la tua cascata di capelli. Scrutando il tuo volto, imprimerei con forza il mio pollice contro la tua pelle, scendendo fino a sfiorare la bocca. Ti stringerei a me facendoti avvertire il desiderio che mi smuove. Farei in modo che le nostre mani si cercassero, intrecciandosi e danzando in continuazione come se quello di toccarci fosse lo scopo di tutta una vita. Bramerebbero ogni singolo centimetro del tuo corpo, almeno la metà di quanto non stia facendo io in questo momento. Avvertiresti la tensione accrescere, i muscoli contrarsi e la libido salire in ogni singola cellula. Lo vorresti più di qualsiasi cosa, più ardentemente di tutto. L'attrazione che ci sarebbe tra di noi sarebbe inspiegabile, perché sapresti che non ci sarebbe posto migliore per tacere, se non sulle mie labbra. Ed io impazzisco quando te le mordi come in questo momento...» I suoi occhi persero di intensità solo per un attimo, come se si fosse pian piano reso conto della portata delle sue parole. «Perché sono io che-».
E con la stessa velocità con cui ero finita spalle al muro, Dylan mise distanza tra di noi, sbattendo nervosamente le palpebre.
Scosse la testa in visibilio, spaventato di ciò che la sua bocca aveva appena pronunciato. Scrutandomi non curante della mia reazione, indurì il suo volto. Il mio cuore si era fermato a causa di tale immotivata freddezza.
Mi sentii improvvisamente scoperta, senza più la protezione fornita dal suo corpo e il calore delle sue appendici.
Che avesse finalmente raggiunto il suo scopo? Che l'avessi trovato anche io?
Serrò la mascella, prima di raccogliere da terra la coperta e il cuscino che giacevano ai nostri piedi. «Dormi qui per questa notte. Quello che ha sbagliato sono io e ti chiedo perdono» pronunciò severo dirigendosi verso la porta e mettendo un piede oltre la soglia. Mi lanciò un'ultima occhiata lasciva farfugliando qualcosa che in quell'istante mi fece gelare il sangue nelle vene. «Spero tu sarai felice con Richard.»
Richiuse l'entrata al suo passaggio, lasciando in quella fredda stanza il mio povero cuore graffiato. I suoi artigli avevano deciso di trapassare le crepe e crearne di nuove, pulsanti come non mai.
Mi portai una mano alle labbra rievocando le stesse sensazioni che lui aveva descritto alla perfezione. L'unico ricordo che aleggiava nella mia mente era quello del nostro bacio.
Anelavo degli altri, infiniti.
Ma nonostante ciò, la mia integrità morale mi aveva costretto a non inseguirlo per urlargli contro tutto il mio ardore e la delusione nel vederlo scappare via. Strinsi i pugni accasciandomi al suolo, perché mi resi conto che avrei dovuto fare ciò che Dylan aveva predetto da tempo e che con testardaggine aveva ripetuto fino allo sfinimento.
Fino a lasciarmi senza fiato.
Aveva ragione... aveva sempre avuto ragione.
Avrei chiuso la mia storia con Richard, perché ciò che era appena accaduto tra me e Dylan era stata la cosa... era stata la cosa più bella della mia vita.
E non avrei più fatto finta di nulla.
♣♣♣♣♣
Prima regola del Red Circle: Non si lanciano maledizioni contro la Strega Rossa!
Lo so che lo volete fare.
Eppure so anche che il capitolo vi è piaciuto. Lo leggo benissimo nelle vostre menti tormentate.
Altra cosa da ammettere è che Dylan e Amanda quindi... nah, sarebbe brutto rovinarvi le sorprese. Sappiate solo che i guai sono appena iniziati.
Mi dispiace, ma vi costringerò a stare attaccati allo schermo ancora per un po'. Spero non sia un problema.
Alla prossima, la vostra sempre immune ai sortilegi, Red Witch,
Haineli ♥
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