56. Prime volte (2/2)
♫ Post Malone - Hollywood's Bleeding ♫
«Amanda! Eccomi, scusa il ritardo. Era Dylan quello che ho visto?» Richard mi raggiunse dopo aver parcheggiato. Erano le undici passate.
«Sì, era lui, mi ha fatto compagnia. Ecco, è andato a dormire per l'ora tarda» provai a giustificarlo, anche se era palese quale fosse il vero motivo della sua improvvisa scomparsa. Mi alzai dalla seduta facendomi avvolgere le spalle da un suo braccio. Ci incamminammo verso la nostra stanza al primo piano, mentre il biondo si appropinquava lasciandomi una serie di baci sulle labbra.
Non avevano la loro stessa dolcezza.
«Tranquilla, posso immaginare. Tornando a te, spero sia andato tutto bene. Quindi è sicuro il lavoro o devo andare a picchiare qualcuno per non aver mantenuto le proprie promesse?»
«Tutto benissimo, nessun pestaggio! Ha mantenuto la parola» sdrammatizzai. Trassi fuori dalla tasca le chiavi della loggia diciotto. Una volta dentro mi resi conto di come la tappezzeria fosse avvolta dalle ombre, al contrario del corridoio illuminato da una flebile luce. Avvertii il suo borsone cadere al suolo e successivamente le sue mani sul mio corpo.
Fu tutto piuttosto veloce, Richard mi voltò iniziando ad ansimare sul mio collo, stringendomi a sé con fare voglioso. «Vorresti qualcosa da bere per rilassarti un po'?» Non era la prima volta che si lasciava andare a tale passione, ma... non avevo motivi per oppormi a tale sequenza di azioni e per i primi minuti acconsentii tacitamente, mentre ci facevamo strada verso il letto, assaporando le sue labbra con la stessa intensità riposta da lui.
Mi presi qualche secondo per poter analizzare meglio cosa provavo. Quella voglia di continuare a baciarlo era dovuta ai sentimenti o era una mera reazione fisica di due corpi attratti tra di loro? Nella mia mente stavo provando a immaginare me stessa lì, tra le sue braccia, sulle sue labbra e dentro il suo cuore e in realtà quello che ne ricavai fu una scena priva di protagonisti. Non ce la facevo.
«Aspetta...» brontolai distaccandomi appena. Fu quel pensiero a farmi svegliare da quella specie di sogno erotico. Richard continuava a sovrastarmi con il suo corpo, ma il suo contatto non mi era piacevole: idee malsane si impossessarono della mia mente facendomi sentire decisamente a disagio. Non erano i baci pieni di amore che avrei sperato e i respiri sembravano solo grugniti sgradevoli.
Seppur quella notte non sarebbe stata la mia prima volta in assoluto, non volevo che così fosse la nostra, dettata solo dalla situazione e non dai sentimenti. Per quanto avessi voluto che il mio corpo prendesse il sopravvento sulla mia testa, ciò non accadde. Era un mio limite. Sarei riuscita a concedermi solo quando sarebbero andati di pari passo.
«Richard...» sussurrai affannata scuotendolo. Il biondo si fermò solo allora.
«Che c'è, piccola?» riprese a infuriare sul mio collo poco dopo. Lo bloccai afferrandogli il capo tra le mani.
«Non mi sento pronta. Mi dispiace, ma non ci riesco... non mi sento troppo bene e credo sia perché stiamo andando troppo veloce.» Avvertii disappunto nella sua voce e nei suoi gesti.
«Peccato, sarebbe stata la mia miglior occasione.» Si allontanò da me con poca grazia facendo il giro del letto e iniziando a sfilarsi i vestiti per potersi preparare a dormire. Mi sentii improvvisamente una stronza. Mi sentivo colpevole.
A rendere il tutto meno piacevole era anche la consapevolezza e la paura di non voler essere come le altre.
Io non ero come le altre, vero?
Uscivamo da poco più di un mese e mezzo e solo nelle ultime due settimane avevamo deciso di fare coppia fissa. Era troppo poco per me.
«Richard, io-» mi voltai verso di lui sfiorandogli un braccio. Aveva appena alzato un lembo di lenzuolo per potersi accomodare sotto le coperte. Sospirò profondamente prima di catturare il mio mento tra le sue mani.
«Va tutto bene, Amy, non devi spiegarmi nulla. Voglio rispettare i tuoi tempi. Sappi che ti aspetterò e ti dimostrerò che sarà valsa la pena. Non ho fretta. Non sarà oggi o domani, ma sono sicuro accadrà quando saprai fidarti di me al cento percento. Se mai cambierai idea, sarò proprio qui al tuo fianco sia metaforicamente che letteralmente parlando. Svegliami quando vuoi.» Alla fine il suo tono divenne più scherzoso e lo ringraziai mentalmente per essere stato così comprensivo. Mi buttai sulle sue labbra, stringendolo forte a me. Quella era una dimostrazione a tutti gli effetti e alcuni dei miei dubbi erano stati spazzati via in un istante.
I minuti corsero veloci facendomi guadagnare la mia quota di sonno.
Non mi resi effettivamente conto del tempo che passò prima che i miei occhi furono riaperti a causa dei rumori provenienti dalla stanza adiacente.
Avvertii delle urla, stridenti e sofferenti. Grida che erano così familiari.
Sbattei più volte le palpebre per ritornare alla realtà e accedere ai ricordi più recenti della mia memoria. Possibile che fosse Dylan?
E, mentre Richard dormiva beatamente nella sua metà di letto, alzai il busto di scatto mettendomi a tentoni contro la testata del letto. La coperta era scivolata via dal mio corpo e il silenzio regnava nuovamente sovrano in quella notte d'inverno. Per un attimo credetti che fosse tutto frutto della mia immaginazione, ma nuove grida mi diedero ragione.
"Basta. Accidenti, basta!"
Scossi il capo destandomi del tutto.
Era lui... Dylan, ne ero certa. Che avesse avuto un altro incubo che gli avesse risucchiato la felicità?
Mi allungai verso la metà del letto dove giaceva il biondo, volendo un secondo parere su come procedere, ma non volli destarlo quando constatai che stesse beatamente dormendo.
Sgattaiolai via da quel comodo materasso sgranchendomi le gambe, oramai vigile e titubante, per dirigermi con le poche energie accumulate nel piccolo bagno messo a disposizione dalla struttura.
Mi osservai allo specchio distrattamente: non avevo un bell'aspetto per nulla. Il pigiama di pile, a scacchi rossi e grigio, era abbinato a un paio di profonde occhiaie e ai capelli scomposti in una coda senza senso.
Con un piede sulla morbida moquette indugiai qualche attimo. Risi di me stessa, in un'altra condizione mi sarei fiondata da Dylan senza neanche pensarci. Ma lì, in quel momento...
Che lo stessi abbandonato dopo tutto ciò che mi aveva rivelato?
Scossi il capo inalberata con me stessa.
Agguantai il portamonete con l'intento di afferrare un paio di banconote per prendermi un caffè o qualcosa di altrettanto forte. Non volevo rimanere in quella stanza, né potevo spostarmi in quella accanto, pertanto mi diressi verso la hall.
Non c'era nessuno, ma era abbastanza ovvio, chi poteva essere quel pazzo che alle tre di notte potesse aver avuto voglia di una tazza bollente dell'oro nero?
Arrivai nell'angolo bar del motel in pochi minuti. Lo avevo notato appena giunti nel pomeriggio: aveva uno stile anni '80 con una tendina di corda a fare da separé col resto del piano terra. C'erano dei tavolini di alluminio, polverose sedie tappezzate e un paio di divani imbottiti, quelli che sarebbero stati d'incanto nel vecchio salone di nonna Lilian. Le macchinette erano illuminate a malapena, ma le riconobbi grazie al tipico ronzio dell'alimentazione della scritta a neon su di esse. Strinsi gli occhi in due fessure per poter mettere a fuoco le varie descrizioni dei prodotti.
C'erano due dita di polvere su quei distributori. Inserii la cartamoneta dopo averla spiegazzata per bene. Premetti sul pulsante in cui vi era scritto "espresso" diverse volte. Mi strinsi nelle spalle nell'attesa che quell'arnese facesse il suo lavoro. Magari avrei dovuto optare per qualcosa di più leggero e veloce.
«Lilian?» Mi voltai di soprassalto per lo spavento dopo aver udito il mio nome. Con l'affanno ancora nel petto spalancai le palpebre per la sorpresa di ritrovarmi quel ragazzo appoggiato allo schienale di uno dei sofà vintage ad appena un paio di metri da me.
Indossava i pantaloni di un pigiama slargato e una maglietta bianca a maniche corte, mentre tra le mani aveva un bicchiere di plastica che si sarebbe rivelato essere identico al mio. Il suo sguardo era confuso e raggiante allo stesso tempo.
Mi domandai del perché avesse quel ghigno soddisfatto sul volto e cosa ci facesse lì.
«Dylan!» controbattei ad alta voce, mentre il *bip* prodotto della macchinetta annunciava che la preparazione del mio caffè fosse ultimata.
Nessun altro che lui aveva potuto avere la mia stessa idea.
E fu così che in quella notte di inverno, per la prima volta, mi resi conto che avremmo sempre trovato un modo per ritrovarci.
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