52. 538 miglia d'odio

♫ Valorant - Die For You ♫

Avevo chiuso occhio giusto un paio di ore, prima che la sveglia mi riconducesse alla realtà: erano le cinque della mattina e il mio cervello stentava a funzionare. Avevo a disposizione ancora una manciata di minuti per preparare un borsone abbastanza capiente da contenere il necessario per un paio di giorni fuori città.

Mi buttai a peso morto sul divano in attesa che i miei cavalieri si facessero vivi, rimuginando su quel viaggio improbabile. Si sarebbe sicuramente rilevato unico nel suo genere trascorrere in loro compagnia quella esperienza. Non così positiva. Mi spettava un arduo compito: essere l'ago della bilancia tra i due pesi massimi della categoria. Sperai di essere tarata alla perfezione.

Massaggiandomi le tempie e arricciando il naso avevo ricreato nella mia mente una serie di scenari. Probabilmente saremmo finiti fuori strada durante un battibecco tra Dylan e Richard, oppure ci avrebbero cacciato dall'hotel dopo una violenta rissa tra i due. C'era anche la possibilità che si sarebbero dati fuoco a vicenda!

«Sei seria? Darsi fuoco a vicenda?» mi interrogò Emma comparendo all'improvviso da dietro il divano e grattandosi la nuca tra uno sbadiglio e un altro. Aveva i capelli arruffati sul volto e una palpebra più cadente dell'altra. Che avessi parlato ad alta voce per tutto quel tempo e non me ne fossi accorta?

«Credo potrebbe accadere, in qualche modo strano, ma è sicuramente possibile. Ci sono almeno altri sei scenari che ho immaginato in cui tutto potrebbe finire nel peggiore dei modi» ammisi rizzandomi sulla schiena e incrociando le braccia sotto il seno. Soffiai su un ciuffo di capelli che mi era finito davanti agli occhi.

«Non penso sarebbero così idioti...» Emma si avvicinò appoggiando la sua testa sulla mia spalla, «Anche se forse Dylan con una mazza da baseball , mentre prende a botte Richard non lo vedrei male» aggiunse la bionda parecchio assonnata.

«O un lanciafiamme! Vedi? Teoria possibile!» la rimbeccai. Lei corrugò la fronte confusa, allungandosi sul divano per stiracchiare i muscolo intorpiditi.

«Quando partite?» domandò socchiudendo gli occhi.

«In teoria, tra pochi minuti... ti ho svegliata mentre facevo i preparativi?» La bionda si lasciò cullare dal suono della mia voce ritrovando un sonno apparente sul limitar del bracciolo. Non volevo disturbarla ulteriormente.

In quel preciso istante un messaggio mi richiamò all'ordine: era il mio segnale. Raccolsi il necessario lasciandole un bacio sulla fronte.

«Buon viaggio...» farfugliò con la bocca impastata. Sorrisi per la sua dolcezza. Ultimamente mi sembrava così stanca e stremata, magari qualche giorno senza di me le avrebbe giovato. Nathan si sarebbe sicuramente preso cura di lei come sempre: non avrei dovuto temere nulla.

L'automobile di Richard era parcheggiata di fronte il palazzo con lui che aspettava appoggiato al fianco della sua Mercedes. Nonostante fosse un orario improponibile, appariva sempre così fresco e perfetto: un po' mi faceva invidia. Sorrise venendomi incontro occupandosi immediatamente del mio piccolo trolley. Strinse le sua dita intorno la mia mano avvicinandosi per baciarmi appassionatamente. Trattenni le sue labbra qualche secondo tra le mie.

«Buongiorno» sussurrò languido prima di avventarsi nuovamente su di me. Stretta a lui da una presa all'altezza del bacino, iniziò a seguire le curve le mie corpo per incitarmi all'avvicinamento. Tutti segnali di quanto desiderasse essere in mia compagnia. Seguii i suoi movimenti senza arretrare, ma anzi, ne approfittai per intensificare quel nostro contatto fintanto che ne avrei avuto la possibilità. Dal punto di vista fisico non avevamo mai incontrato problemi. Richard era molto bravo a fare il primo passo e a mettermi a mio agio, facendomi sciogliere di conseguenza.

«Vi prego, affittatevi una stanza!» Dal tono della voce roca di Dylan capii quanto poco pudiche fossero le nostre azioni. Mi distaccai da Richard solo per inquadrare il bruno ovunque egli fosse: in piedi, dall'altro lato della strada, disgustato e con un cipiglio sul volto. Indossava un paio di occhiali da sole, che si levò solo dopo aver chiesto il permesso di posizionare il suo bagaglio a mano nel portabagagli. La chioma ribelle mi faceva intuire la scarsa qualità del suo sonno. Il biondo mi cinse le spalle con un braccio prima di parlare.

«È quello che avrei tanto desiderato fare, ma sai, qualcuno ha deciso di imbucarsi all'ultimo e ho dovuto improvvisare vendendo i biglietti dell'aereo e cancellando le prenotazioni per la notte.» Alzai lo sguardo verso Richard. Aveva organizzato tutto quello per me e per il mio compleanno? Mi nacque un sorriso spontaneo.

«Felice di aver contribuito!» Dylan si sistemò gli occhiali sulla punta del naso prima di scomparire sui sedili posteriori della vettura.

«Credo sia meglio partire» concordai riavendo l'attenzione di Richard. Stranamente Dylan aveva lasciato libero la seggiola anteriore accanto al guidatore.

Partimmo con destinazione Stanford.

Il programma era molto semplice. Giunti in città ci saremmo fiondati nella sede principale della compagnia O'Brien per firmare il contratto. Mentre Richard avrebbe preso parte a un colloquio di lavoro a San Francisco. Dopo aver passato una notte in un motel, saremmo ripartiti il giorno seguente. Dunque avremmo colto due piccioni con una fava.

Sbirciai verso i sedili posteriori: Dylan manteneva gli occhiali nonostante fosse ancora buio. Il moro si destò all'improvviso quando Richard prese una buca.

«Che succede?» domandò allarmato levando le spessi lenti e mostrando le sclere arrossate e le spesse occhiaie. Immediatamente capii il motivo del suo camuffamento.

«Niente, tranquillo. Torna pure a dormire» proposi spostando l'attenzione verso la strada. Non avevo ben capito se avessimo dovuto percorrere la statale o una parallela: non mi ero mai avventurata così lontano in un viaggio on the road. Sul ciglio della strada scorsi un singolo cartello riportante la nostra meta. "Stanford: 538 miglia" e lo ripetei ad alta voce. Tra ciottoli, venti sabbiosi e distese isolate sarebbe stato un lungo viaggio.

Richard visionava lo specchietto retrovisore più spesso di quanto fosse necessario. Ogni volta alla sua carnagione si aggiungeva una sfumatura rossastra: sfondo di un'espressione accigliata.

«Togli quei maledetti piedi dai miei sedili in pelle, O'Brien» Intimò al bruno che aveva trovato conforto in posizione fetale. Era troppo alto per potersi distendere completamente.

«Non rompere, i miei piedi sono puliti. Li ho lavati, sai? Vuoi sentire?» chiese intimando una sua possibile alzata dell'arto fino alle narici di Richard, il quale si stava spazientendo.

«Ti faccio scendere in corsa se non fai come ti dico. Non mi interessa del nostro patto, ti farò rimpiangere di essere nato» pronunciò affilato.

«Avete stretto un accordo?» mi stranii perché avrei voluto saperne di più.

«Nathan ci ha costretto a un patto come dei bravi bambini. Temeva che ti avremmo stressato troppo, così ci siamo ripromessi di far finta di essere amici di vecchia data che si vogliono un gran bene.» Dylan parlò con aria assonnata gesticolando in mezzo all'abitacolo. Conoscendo Nathan non era impossibile una cosa del genere. Ringraziai mentalmente il mio amico che pensava veramente a tutto.

Calò un imbarazzante silenzio tra di noi. Risposi semplicemente con un "fantastico". Significava che ci sarebbe stata meno tensione e per un paio di giorni sarebbero stati quasi amichevoli: era decisamente quello che volevo.

Richard ritornò a osservare la strada che stava iniziando a essere illuminata dalla flebile luce dell'alba. Sprazzi aranciati e rosei si diradavano da un punto indefinito dell'orizzonte per colpire tutto ciò che ci circondava. Lunghe ombre tracciate dai monti facevano compagnia al nostro viaggio.

Dylan si rimise composto assecondando i voleri del padrone della carrozzeria. Decise di sistemarsi centralmente tirando in su il cappuccio della sua felpa slavata. Infilò le mani nella tasca anteriore sorridendo spavaldo.

«Or dunque farò come desidera, mio caro amico. Le devo questo delizioso passaggio in tale mezzo motorizzato e mi scuso per il comportamento disdicevole che ho avuto pocanzi nei suoi riguardi. La prego, continui pure a guidare senza alcuna remora di una mia indisposizione. Queste saranno le 538 miglia più belle della mia vita.» Dylan si stava facendo beffa di Richard in tutti i modi possibili. Trattenni una risata. Sapeva essere davvero impertinente delle volte.

Il biondo sospirò rumorosamente concedendosi dei lunghi secondi per massaggiarsi il collo irrigidito.

«Io ci rinuncio... ti farò vedere...» commentò, infine, scrollando di dosso la tensione. Mi voltai per carpire la reazione di Dylan. Sembrava alquanto soddisfatto.

Nella mia mente balenò il pensiero che quelle sarebbero state 538 miglia di puro odio.

***

Ero lentamente caduta in un sonno profondo, quando una voce roca mi destò. Sbattei le palpebre freneticamente prima di riuscire a mettere a fuoco il mio interlocutore. Dylan stanziava di fronte, sorreggendo un grosso bicchiere color panna e sventolandomi sotto il naso un sacchetto di carta. Non colsi subito il suo intento, scuotendo la testa e cercando di riprendere l'utilizzo dei sensi.

Mi guardai intorno notando che di Richard non ci fosse traccia. Ero certa ci fossimo fermati in una qualche stazione di servizio poiché ero riuscita a intravedere, dietro le spalle di Dylan, delle pompe di benzina e un casolare.

«Dove...?» domandai stiracchiandomi e uscendo dall'abitacolo beandomi dei caldi raggi solari. Una leggera brezza mi costrinse a rivedere il mio concetto di calore. Sfregai le mani sulla pelle nuda per riscaldarmi. Dylan, notando il mio leggero tremolio e la pelle d'oca, posizionò la busta di carta tra le labbra per potersi agilmente sfilare la felpa. Poi riprese il controllo del sacchetto per poter parlare.

«Tieni qui, Richard è dentro. Abbiamo fatto il pieno ed è andato a pagare. Io ho pensato di fare colazione» mi comunicò scuotendo il sacchetto. Ringraziai tacitamente afferrando tra le mani quell'indumento caldo e confortevole. Le narici mi si riempirono dell'odore di Dylan: fresco, pungente e avvolgente.

«Gr-grazie... ma non so, non credo che sia appropriato» balbettai mostrando le fossette.

«Dici che ti farebbe ancora freddo? Credevo saresti stata meglio» si preoccupò grattandosi la nuca.

Come appena ricordatosi di qualcosa, appoggiò ciò che aveva in mano sulla tettoia della vettura per poter aprire il portello posteriore. Mi affrettai a raggiungerlo per bloccarlo, quando intercettai le sue intenzioni.

«Dylan, non si tratta della felpa... ecco, in questa situazione io non credo sia il caso di accettare. Mi crea imbarazzo.» Feci spallucce nell'esatto momento in cui la sua testa si levò dal portabagagli. Richiuse il portellone squadrandomi disorientato.

«Imbarazzata? Tu con me? Da quando?» si premunì di chiedere allargando le braccia.

«Io... io sono spesso imbarazzata, con te. Non so se ricordi... ma tipo quando siamo rimastati chiusi nell'ufficio di Lynch lo ero!» dissi a mia discolpa e senza remore. Quella sua domanda mi fece riflettere. Da quant'era che mi trattenevo in sua presenza?

«Non eri imbarazzata quella volta. Eri frustrata, nervosa, mi odiavi e certamente mantenevi il silenzio per paura che potessi incazzarmi ancora di più. Neanche quando faccio pessime battute ti imbarazzi! E ne faccio tantissime, credimi!» riferì come se tutte quelle emozioni fossero state perfettamente leggibili sul mio volto. Scosse la testa incredulo riafferrando il bicchiere pieno e il sacchetto di carta ancora intonso.

«Non lo so, io...» non sapevo cosa dire. Quella felpa sarebbe stata la mia corazza contro il freddo e ci stavo rinunciando così facilmente.

«Stai per dirmi che è per causa di Richard? Non vuoi farlo stare male? Credi che lo abbia fatto solo per farlo innervosire?» Mi umidificai le labbra. Piegai la testa di lato aprendo la bocca senza emettere alcun fiato. Lui scoccò la lingua sul palato incredulo.

«E va bene, lo ammetto... delle volte tendo a voler dimostrare qualcosa, ma sai che non gioco con te in questo modo. Potrei dare fastidio a Richard, ma ho promesso di evitare di farlo. Okay, probabilmente sono assai lontano dall'evitarlo, ma almeno ci sto provando. Mi dispiace che tu abbia questa considerazione di me. La felpa tienila. Hai la pelle d'oca.» Annuii con un cenno del capo posizionandola solamente sulle spalle.

«Ho avuto la carina idea di comprarti qualcosa da mettere sotto i denti. Se per te anche questo è troppo e ti imbarazza, puoi rifiutare senza problemi. Ho ancora fame» scherzò porgendomi ciò che aveva in mano da così tanto tempo. Afferrai il regalo annusando direttamente il profumino proveniente dal sacchetto di carta. Cioccolato. Che languorino.

«Grazie... non dovrei sentirmi così» quasi bisbigliai. Mi sentivo stranamente colpevole. La deprivazione del sonno poteva avere quegli effetti collaterali?

«Non dico che tu non debba sentirti così... solo che non sopporto l'idea che debba cambiare il tuo modo di essere per qualcun altro. Mi pare te lo abbia detto tante e troppe volte che non c'è motivo di accontentare sempre tutti se prima non rendi felice te stessa. Che si tratti di Richard o di chicchessia vorrei solo che tu non ti pentissi delle tue scelte e che fossi te stessa. Oggi hai trovato me e volevo solo offrirti una giacca per coprirti, domani potresti trovare il tuo datore di lavoro che magari ti inviterà a una cena e tu per non far soffrire il povero Richard non andresti perdendo un'opportunità. E questo solo perché hai scelto di farti del male. È un esempio stupido lo so, ma è per farti afferrare il concetto. Non sempre le cose che sembrano essere le più giuste per gli alti, sono le scelte giuste per noi. Ricordalo.» Si inumidì le labbra scostandosi da dove era.

Il discorso di Dylan, per quanto spicciolo, non faceva una piega. Chiusi gli occhi e inspirai. La cosa più strana di tutte era che lui fosse diventato così saggio all'improvviso: era sicuramente più sveglio di me a quell'ora.

Quando sbarrai le palpebre mi ritrovai a incrociare lo sguardo del moro.

«Sarai tu il mio capo un giorno, vero?» lo interrogai alzando un angolo della bocca, ben conscia della risposta. Come avevo immaginato, Dylan scrollò le spalle sorridente.

«Quasi sicuramente» asserì fiero e beffardo.

«Non verrò mai a cena con te!» gridai scostandomi da lui e dall'automobile.

«Vedo che hai afferrato al volo! Era questo ciò che intendevo: ragionare con la tua testa!» sentii Dylan alle mie spalle.

Allungai il passo verso la struttura semi fatiscente e rustica dietro le pompe di benzina. L'odore pungente del gasolio tempestava l'aria. Per qualcuno sarebbe stato persino afrodisiaco. Io, invece, non sarei rimasta lì fuori a lungo. Volevo portarmi all'interno della tavola calda per gustare il cornetto prelibato. Sorrisi ricordandomi che l'ultima volta che ne avevo mangiato uno era stato lo stesso giorno in cui Dylan si era presentato ufficialmente. Anche in quella occasione era stato lui a offrirmelo.

Eravamo sempre lì: al punto di partenza.

Entrai nel locale climatizzato quando il tintinnio della campanella annunciò l'apertura della porta. Salutai Richard con un cenno della mano, mentre era in fila alla cassa, indicandogli un posto a sedere. Un secondo tintinnio si avvertii pochi istanti più avanti ed ero certa di sapere chi fosse. Mi diressi nel retro del locale, scegliendo un tavolo sotto la grande vetrata che dava sull'oceano in lontananza. La costa ci aveva fatto compagnia nell'ultimo tratto di strada. Dylan si sedette al mio fianco con un sorriso raggiante e stranamente ero contenta che quel discorsetto non fosse finito in tragedia.

Mentre addentavo quel pezzo di paradiso, mi resi conto come gli avvenimenti che si stavano susseguendo fossero del tutto assimilabili a quelli avvenuti in un non troppo lontano pomeriggio di inizio ottobre. E da allora le cose non fecero che migliorare.


Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top