49. Sotto un cielo stellato

YUNGBLUD ft. Charlotte Lawrence - Falling Skies ♫

«Tanti auguri bambolina!» Richard mi accolse tra le sue braccia trascinandomi a sé appena fuori l'aula dove aveva tenuto lezione la Roberts. Mi trattenne così che i suoi baci potessero trovare un degno riparo sulle mie labbra e la mia felicità sbocciare.

«Ehi, che ci fai qui? Non era il tuo giorno libero?» domandai a contatto con la sua pelle, mentre stringevo tra i miei canini un lembo della sua bocca. In quel momento eravamo nel bel mezzo del via vai provocato dagli altri studenti, nessuno ci avrebbe dato troppa attenzione. L'unica cosa, per cui avevo pensiero in quel momento, era stata quella sorpresa che apprezzai immensamente.

«Avevo un impegno importante che non potevo rimandare. Sai, non tutti i giorni si compiono ventidue anni» annunciò inarcando le sopracciglia. Quando provai a parlare una voce precedette le mie dichiarazioni.

«Sono ventuno, Whitemore. Tieni Lilian, hai lasciato questa penna sul banco. E tanti auguri ancora.» Sorrisi imbarazzata verso Dylan, il quale ci aveva sorpreso e colto in flagranza di reato. Posai una mano sul petto del mio ragazzo, che si era irrigidito, per cercare di tranquillizzarlo. Quando quei due entravano l'uno nell'orbita dell'altro avvertivo la pressione incresciosa schiacciarmi tra i due mondi, allo stesso tempo così opposti e altrettanto affascinanti.

«Oh, grazie Dylan... eh sì, sono ventuno. Ma non fa niente, iniziare con un anno d'anticipo non è poi così gran cosa!» sdrammatizzai rivolgendomi a Richard, il quale sembrava essersi innervosito per non aver colto prima quel particolare sulla mia vita. Afferrai la penna che mi aveva presentato Dylan e, rigirandola tra le dita, la osservai meglio. Rimasi di stucco quando notai che fosse quella che lui mi aveva rubato a inizio anno.

Che bisogno c'era di restituirmela in quel momento? Levai gli occhi verso la sua figura per poter chiedergli il perché. Evidentemente voleva solo interromperci e mettere i bastoni tra le ruote a Richard.

«Bene, io vado. Ci vediamo dopo, Lilian! Whitemore» salutò alzando una mano in alto e sporgendo in avanti le labbra con fare disgustato. Si sistemò lo zaino su una sola spalla camminando a passo spedito verso le scale antincendio e scomparendo lentamente dalla mia visuale. Che stronzetto!

«Non sopporto il fatto che tu debba passare quasi tutto il tuo tempo libero con quello lì» affermò rabbioso, Richard. Sorrisi tra me e me. Gelosia? Gli afferrai il volto tra le mani per imprimere il mio calore sulle sue gote.

«Se vuoi oggi pomeriggio posso saltare il tirocinio» proposi. Richard mi baciò la punta del naso riprendendo a sfiorare le mie forme e accarezzandomi i capelli.

«Purtroppo nel pomeriggio sono occupato, ma mi piacerebbe festeggiare portandoti in un ristorante o magari alla festa dell'università, ti andrebbe bene?» Il sangue mi si gelò nelle vene. Abbassai le palpebre inspirando profondamente prima di trovare il coraggio di rispondere.

«Si potrebbe fare, perché no... magari qualcosa di tranquillo» proposi. Osservai da dietro le mie lunghe ciglia i suoi occhi color ghiaccio. L'idea di stare in giro non mi allettava per nulla.

«Allora è deciso. Questa sera passo a prenderti verso le nove.» Ci scambiammo un ultimo bacio per poi imboccare strade separate. Dovevo sbrigarmi e svolgere il tirocinio di Lynch nel tempo più breve prestito, così che avrei potuto avere la calma per preparami al meglio per quell'incontro.

Ma forse, non ne avevo tutte le intenzioni.

***

Era pomeriggio inoltrato e il sole era basso oltre l'orizzonte. Stretta nel mio maglione, e dall'alto del secondo piano della facoltà, osservavo i lampioni accendersi uno dopo l'altro ai lati del viale d'accesso al parcheggio. Non c'erano più studenti che passeggiavano e neanche l'ombra di un professore. Continuavo a perdermi tra i miei pensieri, mentre il mio riflesso veniva a formarsi sul vetro opaco della finestra dello studio. Doveva essere una giornata speciale quella, ma nella mia mente si susseguivano immagini appartenenti ad anni precedenti che avrei voluto totalmente eliminare, donandomi un senso di malinconia e disappunto. Un sapore amaro in confronto alla dolcezza di quegli anni.

«Ehi, Lilian, mi hai sentito?» la voce roca di Dylan mi fece destare. Scossi il capo per diniego.

«No, scusami, puoi ripetere?» mi voltai verso di lui distogliendo l'attenzione dal mio greve umore e ponendola verso il centro della stanza illuminata.

«Ti ho detto che vorrei poterti dare il mio regalo di compleanno.» Rimasi piacevolmente colpita da quella dichiarazione. Sorrisi accomodandomi sul divano centrale sotto il davanzale dove lui stanziava da un po'.

«Pensavo che il tuo regalo fosse l'avermi ridato la penna che mi avevi sequestrato a inizio anno» ironizzai piegando la testa di lato e inarcando un sopracciglio. Dylan d'altro canto fece un'espressione buffa. Si morse le labbra e corrugò la fronte come se ci stesse pensando.

«In realtà sì, quello era il mio primo regalo. Cioè disturbare Richard era un regalo per me. Allora diciamo che dovrei dartene un secondo» concluse gesticolando impacciatamente. Non riuscii a trattenere una risata. Era davvero irrecuperabile. Mi addossai al bracciolo del divano per mettermi più comoda.

«Perfetto, io sono qui. Pronta a riceverlo!» Allungai le braccia in avanti mettendo le mani a coppa. Ero abbastanza convinta che sarebbe venuto fuori con qualche gingillo comprato in un mercatino, magari vedendolo si era ricordato di me. Solo quel pensiero mi scaldò il cuore.

Dylan tentennò avvicinandosi fino quasi a scrutarmi dentro. Strinse un mio polso con benevolenza, abbassando le mani fino a ridurre la distanza che si era imposta tra i nostri corpi.

«In realtà, non è un regalo materiale.» Sospirai imbarazzata da quella affermazione. Il moro si abbassò alla mia altezza mostrandomi uno dei suoi sorrisini più maliziosi. Che stava facendo?

«Dylan, no-» provai a parlare, ma la sua vicinanza mi impediva di formulare frasi di senso compiuto. Sciolsi la presa portando le braccia ai lati del corpo.

«È una cosa che dovevo fare da molto tempo, a dir la verità... penso sia giunta l'ora che io ricambi il favore.» Non capivo. Il mio cervello non era in grado di pensare lucidamente, perché lui...

Si avvicinò ulteriormente scansando il mio viso. Con il braccio afferrò il cappotto posto alle mie spalle balzando sull'attenti.

«Dobbiamo uscire, però. Prendi le tue cose e andiamo via, qui abbiamo finito.» Mi rivolse un sorriso impertinente, mentre le mie membra si risvegliavano da quel momento. Si era preso gioco di me ed io c'ero cascata, mal interpretando i suoi segnali.

Scossi il capo colpevole, eseguendo i suoi comandi alla lettera.

Stupida Lilian, stupida.

Non ci mettemmo molto per uscire e immetterci sulla strada. Dal finestrino osservavo come il paesaggio stava pian piano mutando: i prati prendevano il sopravvento sulle strade cementate, le case erano sempre più rare, come anche il via vai delle autovetture. I colori e i suoni si erano attenuati e parevano così lontani: un ricordo della città che stavamo abbandonando alle nostre spalle. Ne ero sicura. Ma invece di proseguire per la statale, ci immettemmo in una stradina a me sconosciuta.

Un *bip* mi fece ritornare alla realtà. Dylan smanettò quel tanto che bastasse per sbloccare il telefono al fine di leggere il messaggio appena arrivato. Poi ripose l'oggetto elettronico sul cruscotto.

«Chi era?» domandai curiosa. Lui mi guardò in tralice squadrandomi con sufficienza, come se stesse cercando di capire se avessi o meno letto quello che c'era scritto sul display.

«Un amico. È per la festa di questa sera. Mi ha ricordato di essere lì per le otto e mezza. Tu hai da fare o va bene se ritorniamo per quell'ora?» Dylan puntò la strada davanti a sé. Quindi sarebbe andato a quella stupida festa, mentre Richard sarebbe passato da me per le nove. Con molta fatica, forse, ce l'avrei fatta. Magari sarebbe stata la scusa giusta per non uscire e rimanere a casa. Strinsi la mia stessa carne con le dita.

«Tutto bene?» indagò osservandomi con la coda dell'occhio. Feci un cenno del capo perché non poteva andare diversamente.

E nell'insofferenza di quelle emozioni la sua mano ricoprì la mia, facendomi sciogliere. Il suo calore inaspettato stava diventando la mia dipendenza e più me ne beavo più volevo esserne inondata. Fu così che rilassai i miei muscoli e lasciai che le mie dita, per qualche secondo, si incastrassero tra quelle di Dylan. Non seppi ben dire chi dei due avesse preso l'iniziativa, ma di certo in quel momento sembrava quasi che ci fosse una calamita al posto della nostra stessa pelle.

La magia di quel gesto venne interrotta quando Dylan dovette scalare marcia: perdemmo di velocità fino a fermarci del tutto.

«Siamo arrivati» sussurrò sommesso. Mi guardai intorno un po' dubbiosa. Slacciai la cintura scendendo dall'automobile in un baleno, ma non stavo capendo: lì non c'era assolutamente nulla. L'inizio di un sentiero alberato era visibile a un paio di metri più avanti. Inspirai l'aria abbastanza pungente. Non sapeva di smog o di polveri. Era pulita, estremamente pulita! Quello perché eravamo sui colli hollywoodiani.

«Il tuo regalo per caso è rapirmi e uccidermi nel bosco? No, perché nel caso potrei farlo anche io: siamo solo noi due. C'è solo una vettura. È buio e nessuno ci vedrebbe!» sdrammatizzai, mentre la testa mora di Dylan fece capolino da dietro il portabagagli dell'Audi. Aveva fatto il giro mostrandosi con una specie di sacco scuro appallottolato sotto un braccio. Che stesse realmente pensando di farmi fuori?

Assottigliò la vista bagnandosi sapientemente le labbra. Si appoggiò al tettuccio dell'automobile indicandola. «Devo prenderla come una minaccia o una proposta per fare qualcosa... cioè, non so, Richard non ti soddisfa?» Boccheggiai.

Immediatamente acquisii un colorito rossastro. Girai su me stessa dirigendomi verso gli alberi, almeno lì non mi avrebbe importunato e non avrei detto niente di stupido. La mia stessa battuta si era rivolta contro. In quelle situazioni stava diventando sempre più difficile mantenere l'autocontrollo in sua presenza, in virtù del segreto che mi portavo dietro da settimane.

Era una specie di sogno proibito che mi corrodeva dentro.

E, mentre mi allontanavo, alzai una mano per lasciarlo con un bel dito medio. Ero sicura mi stesse osservando e ne ottenni la conferma quando rise. Era sempre il solito pallone gonfiato.

Mi sistemai contro il tronco umido incrociando le braccia sotto il seno. Non c'era un granché da vedere. Le fronde degli alberi rendevano quella zona ancora più scura del previsto. Un piccolo spiraglio di luce era dato dallo skyline della città. Per quanto potesse essere mozzafiato, era qualcosa che vedevo tutti i giorni sul desktop del mio computer. Quando Dylan mi raggiunse capii che quello che sembrava essere un sacco, in realtà, era una coperta. La dispianò sulla distesa verde a pochi metri da dove avevo trovato riparo per poi sdraiarcisi sopra.

«Vieni o no?» gridò senza neanche degnarmi di uno sguardo. Pensai alle varie possibilità che mi si prospettavano davanti. Potevo fidarmi o meno di lui. E oramai avevo troppe volte sbagliato nel non farlo. Decisi di avvicinarmi molto cautamente e una volta arrivata in sua prossimità, lo inquadrai dall'alto con fare sospetto.

«Vuoi davvero dormire qui?» squittii ridendo e osservando quello che credetti fosse il suo volto rilassato. La mia ombra si allungava sul suo corpo non permettendomi di raccogliere informazioni su di lui come avrei voluto. La luna illuminava parte del tuo torace e le sue braccia, ma non il suo viso. Mi misi in ginocchio solamente per ridurre quella distanza siderale e sfiorargli il profilo irsuto della mascella. E quello fu lo sbaglio che gli fece ribaltare la situazione in suo favore.

Dall'essere io a guardare Dylan dall'alto, fu lui a trascinarmi verso il suolo suscitando le mie urla piene di ilarità e stupore. Approfittò della mia debolezza momentanea sovrastandomi completamente con il suo corpo. Era a cavalcioni su di me, mentre studiava i miei movimenti. In una frazione di secondo mi afferrò i polsi tenendoli ben saldi sopra la testa. Ero totalmente in trappola, sia della mia mente, che stava iniziando a fare strani pensieri su come tutto ciò fosse sbagliato, sia del mio cuore, totalmente impazzito e febbricitante. Ero caduta in un agguato da cui non potevo redimermi.

«Quando la smetterai di essere così diffidente nei miei confronti?» soffiò sulle mie labbra. L'unica cosa che la mia vista poté percepire in quel momento, furono i suoi occhi. Nonostante il buio, il riflesso delle sue pupille era lo stesso del mio: ci stavamo scrutando attentamente e con estrema flemma. Che anche lui stesse combattendo contro i suoi demoni interiori?

Deglutii per via della tensione.

«Una volta ti chiesi un favore e tu mi risposi dicendo che avresti voluto che ti portassi a vedere le stelle. Perciò...» Lentamente sciolse la sua presa e spostandosi di peso. Attorniò le mie spalle con un braccio, avvicinando la sua testa fino a sfiorare la mia.

Io non riuscii a credere ai miei occhi per ciò che avevo davanti.
Non solo era possibile tracciare tutte le costellazioni di cui ero a conoscenza, ma c'era tutta la galassia a squarciare il cielo in due. La via lattea nel suo intero splendore. Non poteva esserci luogo più perfetto o attimo più lungo da percepire così intensamente. Magnifico.

Erano anni che desideravo ardentemente bearmi di quella vista e vivere di quelle emozioni. Il mio cuore fu ricolmo di sentimenti indicibili e positivi che identificai con una attenta analisi. Provavo gratitudine per ciò che Dylan aveva fatto; gioia per una visione così surreale; stupore per l'incredibile bellezza che prepotente si mostrava ai miei occhi e che sarebbe stata impressa nella mia mente per sempre; meraviglia nei confronti dello spettacolo della vita.

«Buon compleanno, Lil...» sussurrò Dylan al mio orecchio prima di lasciarmi un delicato bacio tra i capelli arruffati e intrecciati tra le sue dita. Un brivido percosse la mia schiena, mentre una lacrima impertinente solcava il mio viso nello stesso istante. Quindi era quello ciò che la gente poteva definire "il regalo perfetto".

Asciugai la goccia salata con il dorso della mano. Non mi ero mai sentita come in quell'istante. Mi voltai per scorgere Dylan ancora una volta, sorridendogli riconoscente e mostrandogli le mie fossette. Lui ricambiò con altrettanta dolcezza, per poi iniziare a indicare gli astri uno a uno. E così per tutta la serata.

Ero felice e tutto quello lo dovevo, ancora una volta, solo a Dylan.



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