44. Beneficenza
♫ Blackbear - Hot girl bummer ♫
Mi chiusi in camera fino a quando Dylan non si dileguò da casa mia. Ogni briciolo di dignità aveva abbandonando il mio corpo.
Nonostante avessi sentito distintamente chiedere mie notizie, preferii barricarmi dietro una porta di truciolato e una gradevole scusa: "devo studiare per l'esame".
E così feci, ma con scarsi risultati. Quel giovedì passò tra documenti di annuari passati e conti finiti in chissà quali banche europee, mentre cercavo con tutta me stessa di memorizzare i codici alfanumerici corrispondenti alle funzioni finanziarie che sarebbero state trattate nel compito ormai prossimo.
Quando il nuovo sole sorse, la mia testa era altrove e, senza neanche accorgermene, mi imbattei in Stephan con gli occhi stremati da un sonno inesistente.
«Ehi, Amanda, tutto bene?» mi domandò lui con premura. Sul suo viso traspariva preoccupazione. Deglutii sorridendo tiratamente. Ero in università e a momenti neanche ricordavo come ci fossi arrivata.
La forza dell'abitudine, pensai.
«Tutto alla grande» mentii, «Richard segue la lezione di Lynch?» domandai guardandomi intorno. In quegli ultimi giorni non ci eravamo scambiati neanche troppi messaggi. Lo stavo evitando: il senso di colpa mi perseguitava.
«No, in realtà no. Neanche i gemelli ci saranno. Se vuoi puoi unirti a me» mi offrì gentilmente. Pensai che alla fine era la cosa migliore. Non volevo rimanere sola con i miei pensieri, a dir il vero.
«Sarebbe perfetto» risposi sollevata. Fu a quel punto che avvertii un braccio cingermi le spalle.
Mi voltai per inquadrare il malfattore.
«Mi unisco anche io!» si intromise Dylan dopo aver salutato Stephan, il quale non sembrò per nulla in disaccordo. Mi scostai di colpo arrossendo nell'immediato. Non poteva fare quello che voleva!
«Ma si può sapere che ti salta in mente?» tuonai spingendolo via. Mi sistemai i capelli provando a ritrovare la calma e a nascondere l'imbarazzo.
«Mi sto solo unendo al gruppo. Non mi pare sia vietato!» Dylan fece spallucce trovando un appoggio saldo in Stephan. La mia domanda, però, riguardava la sua troppa invadenza.
Avrei tanto voluto chiedergli che idea strana si fosse fatto su di noi. Lui non doveva farlo, non poteva farlo! O forse sì dopo quello che era successo? Stavo andando in paranoia.
Mi scoppiava la testa.
«Più siamo, meglio è» rispose Stephan eccitato scambiandosi un cinque con la bella addormentata.
Credevo che tra tutti almeno Stephan fosse immune al rocambolesco Dylan. Provai a rilassarmi pensando che sarebbero state solo un paio di ore insieme, in fondo.
Dovevo affrontare la situazione per evitare ulteriore imbarazzo. Magari più tardi.
Un alterco in mezzo ai corridoi avrebbe attirato troppi sguardi indiscreti e non volevo che giungessero certe voci sul mio conto a chiunque fosse nei paraggi. Voltai i tacchi senza aspettare che i due mi seguissero. Raggiunsi l'aula al terzo piano e, prima ancora di riuscire ad aprire la porta, Dylan si gettò in avanti sostituendomi.
«Dopo di lei» mi fece eco. Stephan ne approfittò per fare una battuta sulla galanteria che non era poi così morta. Mi sembrò un déjà-vu. Lo ringraziai con stizza. Non volendo dargli ulteriore soddisfazione.
Scesi i gradini portandomi verso la quinta fila. Dylan mi superò anticipando le mie mosse, ancora una volta, costringendomi a stanziare in mezzo ai due giovani, senza possibilità di fuga. Sbuffai esterrefatta per quel comportamento, era oltre i limiti umanamente accettabili.
Seduta iniziai spasmodicamente a sistemare oggetti inutili sul banco in metallo. Trassi fuori dal mio zaino un primo foglio, seguito da un blocco di appunti. Una calcolatrice, un pennarello rosso per le percentuali, una matita e una gomma per correggere gli errori. Inoltre, sarebbe stata utile una la bottiglietta d'acqua naturale e il thermos contenente il caffè che mi sarebbe servito per rimanere sveglia durante le lezioni. L'aprii sorseggiando la linfa amarognola con avidità.
«Piano, piano, che bisogno c'è di tutta questa caffeina?» mi rimproverò Dylan togliendomi dalle mani il teaser. Rimasi sconvolta. Quel semplice contatto con le mie dita aveva fatto sì che mi irrigidissi all'istante.
«Credo stia male veramente, mi sembra esausta. Sarà per questo che avrà due occhiaie enormi e una cera da fantasma» analizzò Stephan come se non fossi presente. Mi voltai incenerendolo con lo sguardo: non mi sarei mai aspettata una sua coalizione con il nemico, così di punto in bianco.
«Ah, quindi ieri stavi male? Perché non ti sei fatta viva?» ritornò a chiedermi Dylan incurvando un sopracciglio. Gli strappai il container di caffè dalle mani riponendolo in borsa. Doveva smetterla di controllarmi!
«Non sono riuscita a dormire per niente, perciò ho approfittato della mattinata per riprendermi e per studiare. L'ultima cosa che volevo era sorbirmi i tuoi discorsi.»
«Bugiarda, secondo me non ti sei ripresa per nulla: hai il viso di un panda!» mi canzonò con sufficienza il brunetto. Socchiusi gli occhi in due fessure.
«E se anche fosse? Cosa ti cambia saperlo? È stata una notte da dimenticare! Non pensare che tu abbia un qualche potere su di me!» misi il broncio incrociando le braccia sotto il seno. Avevo parlato più del previsto, mi morsi la lingua per la gaffe.
«Perché dovrei pensarlo?» ribatté con un sorriso sincero. Assottigliai lo sguardo. Dylan che non coglieva al volo la possibilità per una battuta? Che non sapesse a cosa (non) mi stessi riferendo?
«Era uno scherzo, non sembri davvero un panda. Ieri volevo che ti facessi viva perché non ricordo esattamente cosa ho combinato prima di andare quasi in coma etilico. Magari mi avresti illuminato, non vorrei che avessi fatto qualcosa che avesse urtato la tua sensibilità. E poi avrei voluto salutarti e ringraziarti per l'ospitalità. Ovviamente sarebbe stato meglio se mi avessi anche offerto il pranzo, ma questa è un'altra storia. Conoscendo le tue condizioni mi sarei potuto rendere utile in qualche modo. Neanche Emma sapeva effettivamente che ti fosse successo.»
«Pensi sempre ai tuoi interessi.» Sbuffai ignorando totalmente le sue buone intenzioni.
«Se si parla di cibo mi sembra il minimo!» Alzai un angolo della bocca sollevata. Era pur sempre divertente. Che non sapesse cosa avesse combinato? Era caduto in un sonno profondo subito dopo quella... cosa.
«Emma come sta, a proposito? È da molto che non la sento, dovremmo uscire insieme qualche volta.» Si intromise Stephan. Lo ringraziai mentalmente per aver deviato l'attenzione su altro.
«Sta bene, è sempre impegnata tra l'Accademia e il suo nuovo ragazzo. Probabilmente lei ed Eric allestiranno un'altra sfilata, chi lo sa. Dipende dai vari concorsi e appalti che riescono ad aggiudicarsi. Dopo Parigi hanno ottenuto un sacco di popolarità!» Avevano talento e li avrei supportati in ogni loro scelta lavorativa. Finalmente i frutti del loro lavoro stavano maturando.
«Ricordatevi di zio Stephan che ha creduto in loro fin dal primo minuto.»
In quell'istante la porta dell'aula venne aperta, mostrando il professor Lynch in tutta la sua goffaggine. All'anziano caddero dei fogli protocollo che furono prontamente raccolti da un paio di ragazzi in prima fila. Il professore sembrava spaesato: si sistemò meglio gli occhiali sulla punta del naso andando poi alla ricerca di qualcosa o qualcuno nell'aula. Il suo viso mutò in una serie di espressioni, si lisciò i baffi incitando la classe al silenzio.
«Tra poco ci comunica che siamo tutti promossi al suo esame» tirò a indovinare Stephan. Alzai le spalle, quella sì che sarebbe stata una bella notizia. Lynch spalancò gli occhi una volta che entrammo nel suo campo visivo. Ci puntò e, prima che fosse anche solo possibile aprire bocca, ci ricordò dell'appuntamento di quel pomeriggio nel suo studio. Saremmo stati essenziali e fondamentali. Sue testuali parole.
Sul volto di Dylan comparve un sorriso a trentadue denti. Ciò significava solo che avrei speso altro tempo in sua compagnia. Non sapevo se ce l'avrei fatta continuando a fare finta di nulla. E, mentre stringevo tra le dita il soffice tessuto della mia camicetta, osservai per un tempo indefinito le sue labbra aprirsi in diverse parole a me inudite.
«Mi hai capito, Lilian?» mi domandò scuotendomi. Stavo rasentando il ridicolo.
«No, scusami... puoi ripetere?» chiesi piegando la testa.
«Passo a prenderti io, come ai vecchi tempi.» Peccato che nulla sarebbe stato più come prima.
***
Dylan era stato puntuale come un orologio svizzero.
Durante il tragitto in auto mi ripetei più volte di sorridere, ritrovandomi più volte ad annuire come un ebete senza apparente motivo.
«Colpa della caffeina» mi giustificai quando Dylan mi chiese quale fosse il mio problema. Mi portai nervosamente la mano alla labbra per rosicchiare un'unghia. Anche quello smalto sarebbe stato scheggiato entro la fine della giornata. Mi guadagnai un'altra occhiata inquisitrice.
«Se è per la velocità, sto andando solo a ottanta!» Sbraitò. Con una singola affermazione aveva appena notificato due errori. Il primo riguardava il limite di velocità che in città era di cinquanta. Il secondo era stato presumere che il mio nervosismo fosse colpa del suo stile di guida.
«Penso che dovremmo...» non potevo pronunciare "parlare", sarebbe risultato troppo impegnativo, «far chiarezza sulla serata di mercoledì. Sai, credo di non ricordare neanche io cosa sia successo. L'alcol ha fatto il suo corso. Magari sono stata male per questo, tu cosa puoi dirmi a riguardo?» Dylan fece spallucce ignaro del vero motivo della mia domanda. Inserì l'ultima marcia per poi fermarsi con l'auto in mezzo al parcheggio. Eravamo arrivati.
Si voltò dopo essersi sfilato la cintura, guardandomi dritto negli occhi. Piegò le labbra in una smorfia. «L'ultimo ricordo che ho riguarda me che bacio il pavimento di casa tua. In realtà, non so dirti neanche come io ci sia finito sul parquet. Sarò caduto visto che mi sono svegliato con questo.» Si passò una mano tra i capelli spostandoli e facendomi notare un piccolo rilievo sulla cute. Un bernoccolo di piccole dimensioni era nascosto in bella vista. «Posso dirti con certezza che ricordo di aver fatto un sogno davvero eccitante, se vuoi posso darti i dettagli.»
Scossi il capo imbarazzata. Credeva davvero di aver sognato? O meglio, da quel bacio era derivato poi un film a luci rosse nella sua testa?
«Inoltre, ho battuto il mio record: venti bicchieri, Peterson! Credo di averti dimostrato di non essere una femminuccia come tu stessa avevi affermato.» Mi lanciò un occhiolino prima di scendere dall'auto. Rimasi inebetita per i secondi successivi credendo fortemente che avesse confuso realtà e fantasia.
La portiera mi venne aperta da Dylan. «Lilian, dobbiamo andare. Su, scendi.» Il moro rise quando notò il mio spaesamento.
Arrivammo nello studio del professor Lynch quando era già alle prese con alcune scartoffie. Pensai che fosse meglio avere la supervisione di un adulto: con Dylan non sapevo cosa effettivamente aspettarmi.
L'anziano ci accolse con un grosso sorriso.
«Ora che siete arrivati posso spiegarvi quale sarà il vostro compito per questa settimana! Beneficenza!» Assottigliai la vista guardando sbigottita dapprima il professore e poi Dylan, che sembrava essere confuso almeno tanto quanto me.
«Beneficenza?» ripetei sottintendendo che non avevo la minima idea di cosa significasse.
«Oh, sì, signorina Peterson. Allestiremo una serata di beneficenza in università. Ci saranno tutti i pezzi grossi che contano nel campo dell'economia. I ricavati dell'incontro verranno inviati a un organizzazione no-profit con l'intento di costruzione di scuole in Africa.» L'idea mi parve fantastica. Feci un passo in avanti per comunicare la mia aderenza al progetto, ma Dylan mi precedette.
«Continuo a non capire cosa c'entriamo noi e perché saremmo così fondamentali.» Il moro si grattò la nuca cercando di fare i conti con quelle poche informazioni. Dylan riusciva sempre a cogliere quella sottile differenza tra bello e grazioso, tra udire e ascoltare. A volte mi stupivo della sua estrema perspicacia. Altre, mi stupivo di me stessa per non essermene resa conto prima. Non gli sfuggiva quasi nulla e aveva una memoria da elefante... eppure, in quell'occasione si era dimostrata alquanto fallacia.
«Oh, beh, voi sarete il premio in palio dell'asta che verrà organizzata! Sarete l'evento principe» esordì il professore. Rimasi sbigottita congelandomi sul posto.
«Ci vuole vendere?» urlai. Fare beneficenza era un conto, ma a quel punto si stava sfociando nello schiavismo. Si sarebbe violato il primo emendamento.
«Non mi fraintenda, signorina, si metterà all'asta solo qualche ora del vostro tempo. Alla riunione generale di dipartimento avevamo pensato che sarebbe stato perfetto se lei si fosse offerta come accompagnatrice per una cena o un pranzo. Mentre per lei, signor O'Brien, avevamo considerato l'idea di utilizzare la sua prestanza fisica per svolgere alcuni lavori pesanti. Sa, ci sono un sacco di ricche signore che pagherebbero un sacco di soldi per avere un portaborse come lei al loro fianco.» Dylan era disgustato.
«Mai!» gridò.
«Ci sto!» rispondemmo nello stesso momento.
«Ma andiamo, a te va di lusso! Troverai un riccone che sbaverà tutto il tempo elencando le aziende di cui è proprietario per provare ad avere un dopo cena con te.» Mi voltai quel tanto per intimargli, con lo sguardo, di non dire più niente davanti il grande capo. Si morse la lingua capendo al volo di aver parlato a sproposito.
«E va bene. Ci sono dentro anche io, allora» rispose a denti stretti tornando a guardare Lynch negli occhi. Offendere lui o la sua iniziativa non sarebbe stata una mossa saggia. L'anziano signore sorrise per la gioia.
«Ovviamente anche altri studenti verranno messi all'asta. La cerimonia si terrà il prossimo venerdì nella sala ricevimenti dell'UCLA. Sono così felice che potremmo aiutare quei bambini.» E lo ero anche io.
Dopo aver accuratamente incurvato entrambi i baffi canuti verso l'alto, il professore si diresse verso la porta dello studio. Ci diede le ultime direttive da seguire prima di dileguarsi.
«Lì c'è una lista con tutti gli invitati, inviate dei promemoria, mi raccomando. Buona giornata, ci vediamo lunedì.» Lynch richiuse la porta alle sue spalle.
Afferrai la lista come prima cosa, mentre Dylan si distendeva sul divano: quello sotto al davanzale era il suo preferito.
«Non ti è andata così male» commentai sfogliando la lista con su impressi tutti i nomi dei partecipanti all'evento. Bagnai il pollice con le labbra per avere più presa sulla carta. Feci attenzione a non tagliarmi. Scorsi qualcuno di famigliare: tutti imprenditori famosi e attivi nel sociale.
«Ma stai scherzando? Non vado in giro con mia madre a fare shopping figurati se riuscirò a sopportare qualche antipatica donna in stile Sophia. Maledizione!» Il suo lamento era in parte giustificato. Non si poteva veramente rifiutare quella opportunità.
«Almeno potrai magiare bene se riuscirai a convincerle a pranzare in centro» provai a risollevargli il morale. Mi lanciò un'occhiataccia che ottenne solo l'effetto di farmi ridere. Stavo acquisendo sicurezza: dovevo smetterla di preoccuparmi di ciò che avrebbe fatto Dylan.
Tutto ciò di cui avevo bisogno era comprendere ciò io desiderassi davvero. Inoltre, sapere che c'era qualcosa che mettesse a disagio anche lui, mi faceva sentire meno in imbarazzo. Abbandonai i fogli di carta sedendomi sulla poltrona al suo fianco.
«Vedi il lato positivo...» iniziai. Lui, che intanto si era coperto gli occhi con un braccio, lo scostò quel tanto che bastasse per inquadrarmi.
«I tuoi non saranno presenti, perciò Sophia non potrà comprarti» conclusi azzardando l'ipotesi peggiore. Sentii la sua risata sommossa riempire la stanza. Si era alzato con il busto solo per rispondermi.
«Anche se...» retrasse la mano roteando le iridi al cielo. «Lascia perdere, va bene così.» Si rituffò a peso morto sul sofà.
Schiusi le labbra pensando a una domanda da porgli perché non ero sicura che fosse genuinamente soddisfatto da quella notizia. Qualcosa dentro di me mi diceva che si celasse un secondo significato dietro quelle parole, ma non volli indagare oltre. Richiusi la bocca senza emettere alcun suono, ritornando a sistemare i fascicoli sulla scrivania.
Dylan e i suoi misteri non dovevano riguardare più del dovuto la mia vita, altrimenti mi ci sarei trovata incastrata.
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