♫ ZAYN, Sia - Dusk Till Dawn ♫
Incrociai le gambe prestandomi all'ascolto, seppur il cuore battesse all'impazzata.
E se ciò che mi avesse poi rivelato fosse tutt'altro che accettabile?
Ricacciai indietro quella sensazione, convinta di aver fatto la scelta giusta. Iniziai a picchiettare le mie unghie l'una contro l'altra, le stavo scheggiando senza accorgermene.
Dylan incurvò un angolo della bocca con fare bieco.
«Era il secondo anno del liceo. Non avevo mai avuto molti amici e non mi interessava neanche esserne circondato. Il mio carattere è sempre stato molto introverso: ero chiuso e insofferente al mondo come lo sono adesso.» Fece una breve pausa inspirando profondamente. «Richard era il mio opposto. Lui era uno dei ragazzi più popolari della scuola, quello bello e simpatico, con cui tutti volevano essere messi in contatto. La situazione non è tanto diversa da come era allora.» Rise beffardo cambiando tono di voce. Riprese il discorso cambiando di posizione. «All'epoca, ero lo sfigato della scuola. Quello che non riusciva a fare amicizia perché troppo impacciato nelle relazione interpersonali. Portavo la maschera del ragazzo che non se ne fregava niente, di quello che voleva fare il duro e devo ammettere che ero proprio una testa di cazzo. Ma un bel giorno, Richard, mi notò. Il capitano della squadra di basket si accorse della mia esistenza: leader indiscusso sul campo e nella vita. Secondo lui avevo tutti i requisiti per poter entrare a far parte del suo circolo, dove erano presenti i migliori giocatori della scuola. Io non me la cavavo per niente male con il lacrosse e venni invitato al loro tavolo durante la pausa pranzo una, due, tre volte... fino a che non divenne un'abitudine. A sedici anni avevo finalmente trovato il posto cui questo ragazzino dagli occhi cupi apparteneva. Richard, a essere onesto, fu l'unico a darmi una vera opportunità per emergere. E io sai cosa ho fatto? Dovrebbe già avertelo rivelato...» ammise sconfitto levando gli occhi verso di me. Quello sguardo arrendevole non gli dava giustizia.
«Non lo so» mentii così da poterlo udire dalla sua viva voce. Sorrise allargando le braccia in modo solenne.
«Mi sono innamorato perdutamente della sua ragazza, Lydia. È stata il mio primo amore... il mio unico amore. Lei prima di tutti aveva capito chi veramente io fossi, mi aveva aiutato a far uscire lati del mio carattere fino ad allora nascosti. Mi leggeva dentro come nessuno mai era stato capace, nemmeno io.»
«Non dovrebbe essere una bella cosa, questa? L'amore che ti cambia per il meglio...» provai a dire spostando il peso del mio corpo in avanti. I suoi occhi lucidi, però, mi bloccarono. C'era qualcosa che non sapevo ancora.
«Il problema non è stato l'amore in sé. Ma il fatto che lei ricambiasse i miei sentimenti! Capisci? Da qui è iniziato tutto. Lei è morta... è morta perché mi amava, perché si fidava di me e io-» iniziò scrutarmi malinconico. Lydia era morta? Richard aveva parlato di un tradimento, ma non di...
«L'hai uccisa? Come? Perché avresti dovuto?» chiesi sconvolta alzandomi di scatto. Avanzai sconcertata, mentre lui abbassava lo sguardo colpevole. Mi portai una mano alla bocca per coprirla.
«Una sera, ci fu una festa. Tradivamo Richard da un po' e non eravamo ancora usciti allo scoperto, ma volevamo finalmente farlo. O meglio, io avrei voluto parlargli e confessargli tutto. Sapevo che lui già sospettasse qualcosa e non mi sembrava giusto continuare in quel modo losco. Perciò, decidemmo di presentarci alla festa mano nella mano. Come avevo ipotizzato Richard perse il controllo: litigammo e per poco non ci prendemmo a pugni. Non lo facemmo solo perché ci separarono all'istante. Ero furioso ed euforico allo stesso tempo e ricordo come stupidamente mi misi a bere esattamente un bicchiere di un qualche tipo di alcolico. Solo uno, ma quello bastò...» Digrignò i denti, sprigionando rancore dai suoi occhi. «Al termine dalla festa ero completamente fatto e fu così che successe. Di ritorno verso casa non riuscii a controllare l'auto. Sbandammo andando fuori strada. Io me la cavai con qualche punto... mentre Lydia morì sul colpo, invece.» Una lacrime scorse sul suo volto, venendo brutalmente cancellata dopo pochi istanti.
«Mi dispiace...» riuscii a proferire, ma il suo dolore non poteva essere colmato con parole così impersonali.
«L'ho uccisa perché non sono stato capace di affrontare Richard. L'ho uccisa perché lei mi amava e io mi sono sentito un mostro per non essere riuscito a proteggerla. Chi prendo in giro... mi sento ancora un mostro. Me la sono cavata solo perché ero minorenne e i genitori di lei non sporsero denuncia. Sono bastati dei lavori socialmente utili a ripagare il debito che avevo con la magistratura. Forse il giudice credeva che vivere con il rimorso di aver ucciso l'amore della tua vita fosse una pena più che equa, ma per me non era abbastanza. Io non ce la facevo più a vivere in quel modo. Volevo dimenticare! Sono scappato via come il codardo che ero: ho lasciato la scuola e ho continuato gli studi dapprima in un istituto privato a San Francisco dove nessuno mi conosceva, ma neanche quello mi aiutò. Li terminai da privatista perché non volevo avere più contatti con il mondo. Non volevo che nessuno mi si avvicinasse. Crescendo, però, ho provato a darmi una seconda possibilità. Sono entrato nella facoltà di economia di Stanford, ma quella realtà era troppo opprimente. Portavo con me gli strascichi di quella esperienza e l'ansia dei miei genitori che non mi lasciavano vivere perché troppo preoccupati per me. Perciò, decisi di rischiare. Mollare le mie radici per provare a spiccare il volo. Un salto nel vuoto, se ci penso bene, per dimostrare che potevo farcela ad agguantare la felicità, anche se solo per pochi attimi. È stato ed è maledettamente difficile, ma non me pento: ho ritrovato Nathan e ho incontrato persone meravigliose durante questo viaggio.»
Annuii intristita, soppesando le sue parole per i secondi a venire. Molte cose avevano finalmente un senso: la lettera scritta e contenuta nel fascicolo di Lynch, la sua strano ossessione per la guida, il non bere mai troppo, il pensare di non meritare l'amore per un episodio accaduto più di sei anni prima. Non voleva affezionarsi più a nessuno per salvare chi era intorno a lui.
Era quello ciò che credeva?
«Dylan... non sei un assassino, lo capisci? Stai completamente sbagliando atteggiamento. Quello che è accaduto è terribile, ma è stato un incidente. Non avresti mai potuto sapere quello che sarebbe successo, non puoi fartene una colpa e non puoi negarti la possibilità di amare ancora e vivere. Non sei una cattiva persona, nonostante sappia del tuo passato, io non ci credo! Lo capisci, vero?»
«Non sarò un assassino, forse, ma non posso cambiare, non posso essere salvato in nessun modo. Sei tu quella che non capisce, perché credi ti trattassi male? Perché pensi sia stato così ostile con te la prima volta che ci siamo incontrati?» mi domandò a bruciapelo con il fuoco che gli ardeva nelle vene.
«Perché c'era Nathan e forse volevi scherzare e ti sei irrigidito! Non lo so Dylan, io non lo so...» iniziai a gesticolare anche io. Dove voleva andare a parare?
Lui rise amaramente poggiando la testa contro il freddo muro.
«Intendo la nostra vera prima volta, non quella che abbiamo fatto credere agli altri. Su, Lilian, so che puoi arrivarci.» Persi un colpo. Nella mia mente le immagini remote che lo raffiguravano spaventato e addolorato comparvero tutte insieme. Incurvò un sopracciglio aspettando la mia reazione poco pacata.
«Tu... tu ricordi la festa sulla spiaggia?» domandai con un filo di voce, allungandomi in avanti. Mi aveva mentito per tutto quel tempo, o meglio, aveva omesso la verità a quale scopo?
«Ricordo tutto di quella sera. Ed è colpa tua se siamo arrivati a questo punto. Quando mi hai guardato la prima volta negli occhi mi sono sentito scrutare fin dentro l'anima. Avevo capito fin dal primo istante che saresti stata un problema. Mi hai mostrato la tua ingenuità, la tua bontà e la tua fragilità senza neanche accorgetene. Quando a quello stupido gioco hai detto di non aver mai ferito qualcuno che amavi è stato come se fossi tornato indietro nel tempo e fossi morto una seconda volta. Mi avevi beccato in flagrante.» Si morse il labbro con rimprovero. «Come aveva fatto una ragazzina a fare centro senza neanche conoscermi? Non lo sapevo e non mi importava. Quello era il mio nuovo inizio, non potevo rovinare tutto di nuovo: così iniziai a bere per dimenticare per la prima volta dopo sei lunghi anni. In te avevo rivisto Lydia. Avevo rivisto la sua voglia di vivere e il suo candore, il suo invogliarmi ad aprirmi e il suo voler indurmi a essere migliore. Non potevo sopportarlo un solo istante di più. E più volevo allontanare i tuoi occhi che mi studiavano e giudicavano, più tu ricomparivi prepotente nei miei pensieri. E quando ti sei materializzata al mio fianco sul bagnasciuga decisi che avrei fatto di tutto per allontanarti. Dovevi rimanere fuori dalla mia vita, dovevi scappare prima che potessi ferirti, come avevo fatto con lei. Così ti ho insultata, denigrata e disprezzata sperando che avessi perso interesse. E in una città con più di tre milioni di persone quante sarebbero state le possibilità di rivederti ancora?» domandò retorico. «Il destino è beffardo: sei la mia punizione divina. Tu, ancora tu e sempre tu! Volevi sapere perché ti trattassi diversamente dalle altre: ora lo sai. Speravo che mi avresti smascherato il primo giorno rifilandomi uno schiaffo per poi scomparire. In quel caso sarebbe stato facile andare avanti: avrei ostentato indifferenza senza mai rivelare i veri motivi che mi avevano portato a offenderti. Fin lì ci sarei anche stato, era quello che volevo: esserti ostile. Ma tu hai fatto finta di niente e allora ho dovuto insistere, ho dovuto trovare cose che ti facessero innervosire, ho dovuto essere antipatico, ho dovuto fare lo stronzo perché è quello che so fare meglio. Ho dovuto perché se tu non avessi provato disprezzo nei miei confronti, io ti avrei fatto soffrire o peggio!»
«Non ti avrei abbandonato neanche se me lo avessi chiesto. Come vedi il tuo piano non sembra essere andato a buon fine... sono ancora qui.» Mentre parlava i suoi occhi non avevano mai smesso di fissarmi insistenti e ardenti. Mi ero avvicinata in modo tale da sincronizzare persino i nostri respiri. Stavamo scoprendo tutte le nostre carte, quindi cosa avevo da perderci? A quel punto era giunto il momento di capirlo fino in fondo.
«Già, il mio piano è fallito perché non ce l'ho fatta ad allontanarti come si deve, perché non volevo veramente farlo. Poi è arrivato Richard nella tua vita e di riflesso nella mia.»
«E ti sembrava il modo migliore per chiudere tutti i ponti con il passato... e con me.» Lui annuì colpevole.
«Sai,» continuò «non credo nell'amore perché non sono più come te. Ho potuto assaporarne il retrogusto amaro ed è stato uno schifo vedere come distrugge tutto ciò che hai di buono dentro quando lo hai perso. Penso che solo gli ingenui possano provarlo: se hai la consapevolezza di cosa significhi amare, allora sai che fa paura. È forse la scelta più coraggiosa che qualcuno possa fare. Io non lo sono e non merito questo lusso, non posso essere ancora una volta il ragazzino ingenuo che ero anni fa, ho sbagliato una volta e non lo farò più.» Distolse lo sguardo retraendo le mani che per un attimo erano andate in collisione con le mie.
Decisi di raccontargli anche la mia di storia. Mi sedetti accanto a lui raccogliendo la giacca di lana che giaceva sul pavimento e gliela porsi in segno di pace.
«Io, invece, credo nell'amore nonostante tutto. Oh, se mi fa paura, ma per un motivo diametralmente opposto al tuo. Io ho paura di soffrire e forse inconsciamente incolpavo te di qualcosa che in realtà riguarda solo me. Perché è meglio trovare un colpevole in carne e ossa che affrontare i fantasmi del tuo passato.» Sentii il suo sguardo posarsi su di me. Al contrario, osservavo gli scaffali impolverati per non far notare quanto quei discorsi mi toccassero nel profondo.
«Chi è stato il pazzo che ti ha tradito?» indagò con estrema perspicacia. «È facile capire quando una donna si sente ferita nell'orgoglio e tu, nonostante la tua testardaggine, non sai nascondere bene questo lato di te.» Lui sorrise mesto, non voleva offendermi, non quella volta.
«Sei più intelligente di quel che vuoi far passare. L'ho sempre saputo» ammisi poggiando la mia testa su una sua spalla. Sembravamo due amici di vecchia data.
«Mi ha tradito dopo tre anni insieme, una cosa comune alla fin dei conti, ma pur sempre dolorosa. Pensavo che nessuno più si meritasse il mio ardore e ancora adesso ho dei dubbi. Ma mi sono detta, perché rovinarmi l'esistenza e lasciare il mio cuore in un angolo, quando dovrebbe essere ricolmo di bontà per qualcuno che lo meriti? Potrò sembrare una bimba in cerca delle fate sulla terra, ma è stato allora che ho capito che anche se l'amore fa così paura, è forse l'unica cosa che ci tieni vivi, la ricerca... E appena l'avremo trovato non ci potrà essere niente di più assolutamente perfetto. E io aspetto. Sto aspettando il mio momento perfetto, il mio giorno perfetto e la mia vita perfetta.»
«E credi che sarà così? Credi veramente che sia come una magia che renderebbe per sempre tutto magnifico?» sussurrò Dylan accogliendomi nell'incavo del suo collo.
«Io penso che sia come una pianta, che cresce rigogliosa: più cresce e più sarà bello, ma mai come l'attimo successivo. Ci vuole impegno, è vero, ma ne vale la pena per vedere i fiori sbocciare. Come era accaduto con Lydia... lei ti ha cambiato, il suo amore è ancora dentro di te e tu non sei più il ragazzino di tanti anni fa. Altrimenti non penseresti queste cose, se non ti avesse profondamente segnato.» Lui si discostò di poco solo per osservarmi meglio.
«C'è speranza anche per te, Dylan, non sei una persona orribile. Sei solo spaventato che possa riaccadere una tragedia del genere. Quello che posso dirti io è che se non vuoi essere un assassino, allora non lasciar morire Lydia nei tuoi pensieri. Non fare in modo che tutto ciò che è intorno a te appassisca, anzi usalo, fai rivivere lei nella tua vita, nei tuoi gesti. Non è morta invano, non lasciare che sia morta, per un incidente, invano. Fa sì che la sua vita e il suo amore per te abbiano un senso: è il gesto più bello e grande che potresti mai farle e lei sarebbe così orgogliosa di te. Hai detto che è stata la prima a capire chi tu fossi veramente e scommetto avrebbe voluto che anche gli altri se ne accorgessero.» Abbassò la il capo rimuginando su ciò che gli avevo appena rivelato. Fu allora che presi il suo volto tra le mani costringendolo a fissarmi.
«Vivi come avresti vissuto con lei, ma soprattutto ama per lei» scandii bene le ultime parole. Le sue pupille si dilatarono per un istante, i suoi occhi scuri saettassero su tutto il mio viso. Capii che avevo smosso qualcosa in lui e mi resi conto che forse non era mai stato così bello come in quel momento: con tutte le sue fragilità e le sue paure che avevano creato crepe troppo profonde per essere nascoste.
Riavvolsi il nastro dei miei ricordi: era così strano essere arrivati a quel punto. Ci eravamo odiati, ma soprattutto ci eravamo accettati.
Non sapevo se ne avessi mai voluto farne a meno. Forse no, non avrei voluto niente di meno di quello, niente di meno di noi.
Le mie mani sfioravano ancora il suo viso e i nostri respiri stavano pian piano accelerando. Se all'inizio di quella giornata non eravamo mai stati così vicini quanto lontani, in quel momento era l'esatto opposto: eravamo così lontani fisicamente quanto vicini emozionalmente.
All'improvviso il rumore della serratura ci fece destare da quella specie di sogno a occhi aperti, la magia si era spezzata e contro ogni aspettativa io me ne rammaricai all'istante. Qualche secondo ancora e forse...
Il professor Lynch fece il suo ingresso nella stanza salvandoci da una notte al freddo. Ci alzammo da terra con un balzo fulmineo ringraziando il professore per averci trovati. Lui all'inizio non capì di cosa stessimo parlando.
«Ero venuto solamente per mettere a posto le mazze da golf. Sono felice di avervi salvato, credo dovremmo sistemare questa serratura!»
«Già, lo crediamo anche noi. Ora, se ci vuole scusare, eravamo chiusi qua dentro da un po', potremmo andare?» chiese impertinente Dylan a metà tra il sollevato e l'irritato, anche io non ne potevo più di quella umida e fredda stanzetta.
«Ma certo ragazzi, andate pure, il vostro turno è finito da un pezzo. Quando il destino decide che deve andare così non ci si può fare niente!»
Destino. Che indecifrabile e inaspettato futuro ci avresti riservato?
Salutammo il professor Lynch per poi dirigerci al parcheggio dell'università. La mia testa scoppiava: erano davvero successe troppe cose in poche ore. Eravamo fianco a fianco, stretta in un cappotto lercio. Il vialetto d'ingresso non era illuminato e la brezza invernale ululava nel vuoto.
«Hai magia nel tuo cuore, quindi?» Mi fermai di colpo quando Dylan aprì bocca. Lui aspettò di essere abbastanza distante prima di continuare. «Con Richard, intendo» la voce tradiva una qualche incertezza, ma mi era difficile affermarlo con sicurezza senza scrutare i suoi occhi.
«Sì, credo di sì...» risposi riprendendo la mia camminata al suo fianco.
Il moro mugugnò sommesso. «Non dovrebbe essere una cosa che senti e basta?» provò a interpretare lui.
«Non è una scienza esatta. Le mani fremono, i respiri accelerano. I pensieri vorticano più veloci che mai, mentre non fai altro che sperare di vederlo ancora. È la sensazione più irrazionale del mondo, ma anche quella più difficile da interpretare se non si è preparati...» commentai levando gli occhi verso la volta celeste. Dylan mi scrutò con la coda dell'occhio.
«Io... io credo ci proverò. Credo di poter dare una seconda possibilità a me stesso e anche a Richard, se per te è così importante.» Mi soffermai sulle sue parole con una certa diffidenza.
«Sei serio?» Dylan scrollò le spalle.
«Sì e non farmene pentire. Però, ti prego, meno ci ho a che fare, più sarò tranquillo. Ti prometto di provarci, non che sarò un santo. Sono sempre insopportabile, ti ricordo.» Gli diedi un buffetto sul braccio.
«Mi basta anche questo.» Gli sorrisi sinceramente per ringraziarlo. Lui ricambiò sollevato per poi voltare lo sguardo e scrutare il buio intorno a noi.
«Sai, mi ha fatto bene parlarti... credo ti doverti delle scuse per tutto quello che ti ho fatto passare e spero che in parte mi sia fatto perdonare per i miei comportamenti.» Provò a discolparsi posando una mano sulla nuca.
«Ha fatto bene anche a me. Finalmente capisco molte cose» confessai ridendo e ripensando ancora una volta a tutti i suoi strani comportamenti, tra cui la riluttanza nel scoprire che avessi letto quella lettera poco prima.
«Tipo?» indagò genuinamente sorpreso.
«Tipo che posso sfotterti a vita sul fatto che non bevi perché reggi l'alcol come una femminuccia!» gli feci una linguaccia. Lui inarcò un sopracciglio con aria di sfida.
«Ero appena adolescente! Scommettiamo che la prossima volta ti mostro quanto in realtà io lo regga?» ci pensai su.
«Fino ad allora non cambio idea sul fatto che sei incapace!» Sembrò essere ferito nell'orgoglio. Misi distanza tra di noi pronta a scappare.
«Un giorno potresti pentirti di queste parole perché potremmo trovarci in una determinata situazione e lì si che ti farò vedere chi è la vera femminuccia, Lilian, e desidererai ardentemente che non sia io!» Non capii immediatamente dove volesse andare a parare. Si leccò il labbro inferiore ridendo per la sua stessa battuta.
«Ma sei un porco!» gridai. Lui di tutto rispetto mi lanciò un occhiolino per poi allontanarsi definitivamente verso la sua auto. Quando girai i tacchi a mia volta per raggiungere il maggiolino di Emma, mi venne da ridere.
Un passo alla volta. Stavamo facendo un passo alla volta e che mi piacesse o meno, quella spensieratezza era indice che il vero Dylan stesse uscendo allo scoperto. E non avrei fatto nulla per cambiarlo.
Forse, però, mi piaceva.
♣♣♣♣♣
Io sono innamorata, non so voi.
Alla prossima, cari Cursed. Dalla vostra Red Witch,
Haineli ♥
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