39. Last Night

Katy Perry - Last Friday Night

Ero salita sul secondo taxi insieme a Eric, Nathan e Margot, mentre gli altri componenti della banda si erano fiondati dentro il primo più di un quarto d'ora fa.

Nathan era ancora annebbiato dall'alcool tant'è che, appena poggiatosi allo schienale, il ragazzo sembrò prendere subito sonno. Aveva solo un estremo bisogno di riposare. In realtà, tutti ne avevamo.

«Ehi, Amy» sussurrò Eric a lato. Mi sporsi per ascoltare ciò che aveva da dirmi. «Ti ricordi che mi devi un favore?» Levai gli occhi al cielo.

«Te ne ho fatti cento di questi favori» lo ammonii assottigliando la vista. Lui mi squadrò torvo. «Okay, forse te ne dovrei uno per aver rubato il biglietto di Cassidy la scorsa sera.» Si rilassò.

«Cosa vuoi questa volta?» chiesi appoggiando la testa pesante sul palmo della mano.

«È molto semplice... devi lasciarmi la stanza.» Non ancora una volta.

«Vuoi passare la notte con Cassidy?» urlai. Mi tappai la bocca con un mano scrutando i due altri passeggeri. Né Nathan, né Margot sembravano essere capaci di intendere e di volere. Mi avvicinai a lui ripetendo con un filo di voce quella stessa domanda. «Vuoi passare la notte con Cassidy?» riprovai.

«Sì, Amanda, vorrei passare l'ultima notte a Parigi con lei. Tranquilla, non farò niente che lei non voglia. Se tornerò con la coda tra le gambe e il segno di una cinquina in faccia me la sarò cercata. Il rischio è tutto mio. Tu starai con Emma quindi non dovrebbe essere un problema, vero?» Sospirai. In effetti, se a Cassidy non fosse andato a genio averlo come ospite nel suo letto niente le avrebbe impedito di prenderlo a calci e di urlare al maniaco.

«Va bene. Ma sappi che se sento anche solo un fiato ti vengo a tirare per orecchie io stessa. Dammi la tua copia delle chiavi, ma non ti lascio le mie. Voglio essere libera di fare irruzione quando voglio per controllarti!» Mi passò così la sua tessera magnetica senza fare ulteriori richieste. Era deciso quindi: stanza 167 ancora una volta.

Arrivammo in hotel poco dopo. Ero più stanca del solito: quella settimana di follie stava iniziando a farsi sentire, così che quando varcai la porta della stanza di Emma pensai solo a mettermi sotto le coperte. La sua figura in penombra la distinguevo a malapena, ma per evitare di svegliarla non accesi neanche un lumino. Mi spogliai dei miei abiti, non prima di aver impostato la sveglia per la mattina seguente.

Quando poggiai la testa sul cuscino presi sonno quasi immediatamente.

***

Ero nel vicolo dove avevo incontrato Nathan, ma di lui non vi era più traccia. Il sole splendeva alto nel cielo rendendomi difficile riuscire a mantenere gli occhi aperti. Non ricordavo come vi fossi giunta e cosa ero andata a fare.

All'improvviso, una voce mi richiamò. Mi voltai più volte su me stessa alla ricerca del mio interlocutore, fino a scontrarmi con i suoi occhi. A pochi metri di distanza, accanto al muro di mattoni grezzi, c'era Dylan.

«Lilian» ripeté ancora una volta scandendo bene le consonanti e costringendomi a dedicargli tutte le mie attenzioni. «Credi che mi importi qualcosa di te? Credi davvero di essere così speciale?» insinuò camminando nella mia direzione lento, ma inesorabile. La sua figura era contro luce. Non riuscivo a mantenere il contatto visivo, ma allo stesso tempo non credevo di essere in grado di reggere il suo sguardo. Sbattei più volte le palpebre concentrandomi solo sulle sue parole velenose che pronunciava con dovizia. Ogni suono penetrava in profondità fin dentro la mia testa, mentre la distanza che ci separava diminuiva a vista d'occhio.

Mi accasciai a lato, sfiorando i mattoni con la schiena. Facevo fatica a respirare: mi mancava l'aria e più provavo a combattere per riprendere il controllo del corpo, più mi ritrovavo incapace e inerme. Il petto si gonfiava veloce, mentre scivolavo verso il basso. Una stretta invisibile stava facendo presa sul collo.

Dylan mi guardava con sufficienza senza neanche provare ad aiutarmi. Ma, anzi, continuando a infierire crudele.

«Tu non sei niente. Tu non vali niente. E io non sopporto più i tuoi capricci. Anzi, che dico, io non sopporto più te. Pensi davvero che tu mi abbia cambiato la vita?» si fermò a pochi millimetri dal mio volto oscurando per la prima volta la luce siderale che mi stava perforando le cornee. Un lampo passò sui suoi occhi vispi e truci. Racchiuse il mio mento tra il pollice e l'indice costringendomi a osservarlo: lacrime copiose iniziarono a scendere e a scavare le mie gote.

Alzò un angolo della bocca mentre con pressione crescente imprimeva le sue dita sulla mia carne livida. «TU MI HAI ROVINATO» urlò strattonandomi.

Mi liberai dalla sua presa abbassando le palpebre di colpo e poggiando le mani sopra le mie orecchie. Non volevo più ascoltare ciò che aveva da dirmi: mi stava facendo del male.

Avvertii il mondo crollare intorno a noi. I mattoni iniziarono a cedere sotto il peso della verità, mentre i raggi solari continuavano a sciogliere i miei pensieri e la felicità residua.

Dylan indietreggiava verso l'oscurità e i suoi contorni divenivano sempre meno netti. Stava sparendo con quel mondo fatto di dolore e lacrime.

Dentro di me sapevo che non lo avrei più rivisto. Così iniziai a sussurrare il suo nome tra un singhiozzo e un altro per farlo smettere. Ma sempre più passi ci separavano e a lui sembrava andare bene così. Stava svanendo nonostante gli urlassi di non lasciarmi lì da sola.

Ma oramai aveva deciso così.

Avrei dovuto raggiungerlo e fermarlo: non poteva scomparire.

Il suo corpo si perse nell'immensità di luce fino a divenire indistinguibile.

Era sparito e io non sapevo come fare per ritornare da lui... fino a che il sole si spense e l'oscurità iniziò a regnare il mondo.

***

Spalancai gli occhi di colpo sentendo il mio nome per l'ultima volta.

Lilian.

«Dylan» sussurrai smarrita e tremante. Avvertivo il cuore battere più veloce, mentre il mio respiro affannoso chiedeva sempre più aria. La fronte era imperlata di sudore così come la cute sulle mie mani. Vacillavo in preda alla paura, mentre i miei occhi mettevano a fuoco la figura che mi sovrastava e che mi fissava di rimando.

A pochi centimetri da me c'era proprio lui: Dylan.

Notai lo stupore e lo sconcerto nel suo sguardo, frammisto a preoccupazione: un quadro così asintotico rispetto a ciò che avevo vissuto nel mio sogno. Scorsi i suoi lineamenti fino a seguire la linea del suo corpo, che si apprestava a combaciare con il mio.

Parte delle lenzuola erano state spostate via della notte e a separarci c'era solo qualche centimetro d'aria. Quando mi resi conto della situazione in cui vigevamo, tirai un urlo di imbarazzo, costringendo Dylan a saltare all'indietro dopo avergli dato per errore una testata. Afferrai un lembo delle coperte per tirarle su e coprirmi alla ben meglio.

«Che ci fai qui?» domandai imbarazzata stringendomi e attanagliando la mia stessa pelle con le unghia. Lui era scalzo ai piedi del letto. Aveva i capelli arruffati e gli occhi socchiusi. L'osservai stiracchiarsi e massaggiarsi la zona della fronte che avevo colpito. Indossava solo dei semplici pantaloncini. Sembrava essersi appena svegliato.

«Ma sei impazzita! Ma che diavolo fai? Oh, mio Dio, io ci rinuncio.» Lo sentii proferire facendo il giro del letto per ributtarsi sotto le coperte. Gli bloccai una mano prima che potesse fare qualsiasi azione che mi avrebbe costretto a essere ancora più in imbarazzo.

«Non alzare il lenzuolo!» lo intimai.

«Preferisci che rimanga qui, in queste condizioni?» domandò indicando il suo pezzo unico. Deglutii nervosa facendogli spazio. «Non sbirciare, per favore» sussurrai timidamente.

«Non so se essere offeso o felice dalla tua reazione. Nessuna aveva mai urlato nel vedermi quasi nudo. Non fraintendermi: urlano, ma quello dopo» ammiccò incrociando le mani dietro la testa e fissando un punto imprecisato dinanzi a noi.

«Che ci fai qui?» riproposi sperando in una risposta che non mi facesse desiderare di non essere mai nata.

«Ho dormito qui.»

«Non è vero. C'era Emma, no?» indagai incerta.

«Era talmente ubriaca e stretta a Matt che ha deciso deliberatamente di seguirlo in camera mia. Si è gettato nel nostro letto e dato che non volevo stare per terra ho preso la sua tessera. Ero convinto avrei discusso con Eric, non certo con te.»

«E poi?» incalzai arrossendo sempre più per la situazione imbarazzante.

«Cosa?» domandò.

«Perché sei ancora qui? Potevi andare via vedendomi!» lui fece spallucce.

«Perché mai avrei dovuto? Siamo due adulti. Abbiamo solo dormito nello stesso letto: non c'è bisogno di agitarsi tanto. E poi è stato il tuo stupido cellulare a svegliarmi, ti è arrivato un messaggio da Richard» controbatté schifato rabbuiandosi quasi subito. La sottile vena scherzosa della sua voce scomparve lasciando posto al Dylan freddo e distaccato che si era dimostrato in quei giorni.

Mi voltai quel tanto per recuperare il telefono con una mano. «Ma come ti permetti di toccare le mie cose!» sbraitai tremante. Ingoiai la saliva che aveva tutto il sapore di veleno, mentre ancora ripensavo a quell'incubo così vivido. Dylan non era scomparso, non ancora.

«Era sul comodino e non la smetteva di suonare e tu dormivi come un sasso. Ho provato a spegnerlo e ci sono riuscito. Credevo ti fossi svegliata anche tu visto che a un certo punto hai praticamente urlato il mio nome, quindi figurati se mi faccio gli affari tuoi.»

«Era... era solo un incubo» gli confidai a bassa voce.

«Avevo immaginato... meno male che non fossi sola, allora.» Annuii osservando i miei piedi coperti dal sottile tessuto. Era calato il gelo.

«Non mi chiedi che cosa ci faccio io nella stanza?» domandai voltandomi verso di lui, il quale aveva deciso di stendersi su un lato dandomi le spalle. Da quella posizione riuscivo a studiare i lineamenti creati dalle sue scapole e dalla colonna vertebrale.

«Non mi interessa, so solo che ho fatto quel che dovevo. Se vuoi, puoi andare. Rimango voltato fino a che non avrai lasciato la stanza. Non sbircio, promesso. Così la smetti di sentirti in imbarazzo per qualcosa di assolutamente normale. Puoi prendere la coperta.»

Non me lo feci ripetere due volte. Raccolsi gli abiti della sera precedente tenendo ben salde le lenzuola all'altezza del petto. Il tessuto scivolò via dal corpo di Dylan mostrando il suo dorso e le sue gambe. Quando fui dinanzi la porta mi voltai un'ultima volta: era ancora di spalle, come promesso.

«Dylan...» sussurrai. Lui alzò impercettibilmente il mento attizzando le orecchie pronte per l'ascolto. «Grazie.»

Non volli udire risposta, così uscii richiudendo l'imposta dietro di me. Alla fine, colei che era fuggita ero stata io.

Ritornata nella mia stanza con il cuore in gola e il fiato spezzato, non vi trovai nessuno. Il letto era sfatto e la finestra era stata lasciata aperta. Non c'era segno dei miei amici. Abbandonai il lenzuolo facendolo cadere ai miei piedi. Afferrai il cellulare che avevo tenuto stretto tra le dita per scorrere tra i messaggi ricevuti.

Da Richard:

Bambolina ti auguro buon viaggio. Purtroppo non riesco a passare a salutarti, ma ti prometto che ci vedremo domani in università. Ti aspetto e non vedo l'ora di abbracciarti.

Incurvai gli angoli della bocca verso il basso. Ci ero rimasta male anche se forse non lo avrei mai ammesso ad alta voce.

***

Era stato un viaggio molto stancante. Avevamo dormito poco o nulla e quello che desideravo era solo infilarmi nel letto, nonostante fossero a malapena le quattro del pomeriggio a Los Angeles.

Non c'era stato nessun caloroso bentornato nonostante ci avessi sperato fino all'ultimo. Allo stesso modo si era spenta la voce di Emma nella mia testa.

«Amy, mi stai ascoltando?» mi riprese la bionda quando capì che in realtà avevo annuito a vuoto per venti minuti.

«Paghiamo il tassista e poi parliamo» aggiunse allungando un paio di banconote. L'ascesa fino al secondo piano fu più dura del previsto con tutte quelle valigie.

«Possibile che tu ti sia portata l'intero guardaroba?» domandai retorica ricevendo un'occhiataccia da parte della mia coinquilina.

«È il minimo indispensabile per sopravvivere e considera che mi devi pure aiutare a disfarle: ho un abito che devo assolutamente trovare entro stasera.»

«Che te ne devi fare di un vestito proprio oggi?» domandai aprendo la porta d'ingresso per continuare il mio lavoro da facchina non retribuito.

«Ho un appuntamento.» Era solare come non mai.

«Con Matt?» tirai a indovinare trascinando la seconda valigia, mentre Emma contava se ci fossero tutti i suoi averi. Perché dovevo fare io tutta la fatica?

«No, non con lui. L'altro.» Gongolava sprizzante sotto il mio sguardo accusatorio: durante quella settimana aveva fatto di tutto per avere dell'intimità con l'ala sinistra dell'UCLA.

«Davvero? Sai... credevo che la vostra relazione fosse naufragata, perché con Matt...» provai a spiegarmi.

«Devo ammettere di avere un po' esagerato! Matt è un bravo ragazzo, ma io non faccio per lui. Mi ha rifiutato in tutti i modi possibili. Non dico che sia corretto, ma ho bisogno di avere qualcuno al mio fianco che mi desideri. E lui lo fa.»

Scossi il capo in disaccordo. «Em... non penso che sia-» La ragazza mi interruppe con un semplice gesto della mano.

«Lo so, lo so bene cosa vorresti dirmi. Ti ho consolata così tante volte che capisco perfettamente quando un ragazzo non è perfetto. Lui non lo sarà, ma è ciò di cui ho bisogno ora.»

Scrollò le spalle abbassando lo sguardo. Un po' potevo capirla. Cercare la propria metà era un lavoro difficile. Io facevo persino fatica a capire cosa frullasse nella testa di Richard.

«Ma basta parlare di me. Tu piuttosto, non voglio vederti più con quel sorriso triste per colpa di un ragazzo! Stai tranquilla mia piccola dolce Amy, il destino è imprevedibile, ma sono certa che quando troverai l'amore della tua vita lo saprai con assoluta certezza.» Socchiusi gli occhi abbandonandomi al suo candore.

Era certamente una frase fatta, ma mi fece sentire da subito meglio.

Iniziai a rimuginarci sopra senza contegno. Magari avrei perso troppi anni alla ricerca di qualcuno di perfetto che non esisteva. Forse non pensandoci il mio principe azzurro sarebbe comparso all'improvviso.

Ma se l'avessi sempre avuto davanti gli occhi e fossi stata troppo occupata per accorgermene?

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