36. Tutta colpa del jet lag
♫ Avicii - Wake me Up ♫
Quando poggiamo i piedi a terra era pieno giorno in quel di Parigi. Erano state le dieci ore più lunghe della mia vita, eppure c'era ancora il sole! Al contrario, a Los Angeles la notte regnava sovrana sopra la città.
Ero tremendamente stanca e insoddisfatta. Non ero riuscita a riposare neanche un po' a causa di due mocciosi urlanti. Se non fosse stato per Nathan, il quale mi aveva gentilmente offerto le sue cuffie insonorizzate, avrei fatto una strage.
«Quindi è il sette o il sei gennaio?» domandò Cassidy confusa tanto quanto me.
«Decisamente il sette. Sta scritto lì» indicò Eric, pronto a mostrare il tabellone con tutte le indicazioni della giornata. Dodici gradi Celsius. Ipotizzai fosse una temperatura accettabile. Non adoravo i luoghi eccessivamente freddi.
«Sai già in che albergo soggiorneremo?» domandai a Nathan, intento a digitare sul suo smartphone qualcosa.
«Ecco qua. Ci verranno a prendere due taxi per portarci a Palais Royal. Qualcuno di voi parla francese?»
Matt si fece avanti, mettendo a nostra disposizione le sue conoscenze acquisite durante gli anni del liceo.
Riuscimmo ad arrivare senza problemi a destinazione. Ci eravamo divisi in due gruppi: in mia compagnia ci sarebbero stati Emma, Matt e, purtroppo, Dylan. Mi sentivo tanto la quarta in comodo. Eravamo arrivati in città con l'idea di stare tutti insieme, ma sembrava che avessero deciso di escludermi facendo un gioco crudele a coppie.
Emma osservava il bel moretto con occhi diversi da quando aveva mostrato la padronanza della lingua straniera.
Alla divisione delle camere non mi feci fregare: non avrei dormito con qualcuno che non mi aggradasse. Afferrai dapprima Cassidy e poi la chiave della stanza 169.
«A noi va benissimo questa» esclamai trascinando via la mia amica senza che potesse ribattere. Non l'avrei lasciata in balia di Eric già dalla prima sera. Nathan mi scrutò sconvolto prima di continuare distribuire le restanti tessere magnetiche. Lui sarebbe stato con Margot, Emma con Eric e Dylan con Matt.
Ci fu dello scontento, ma avrei rimediato più avanti.
Le prime ventiquattrore passarono velocissime. Probabilmente perché avevo dormito per tutto il tempo. Quando mi svegliai mi resi conto di aver saltato la colazione e che, se non mi fossi data una mossa, avrei perso anche il pranzo.
Mi lavai e sistemai alla ben meglio. La stanza presentava un grosso letto matrimoniale, un televisore con accesso ai canali satellitari, il bagno comprensivo di vasca e una cabina armadio. Ma di Cassidy non c'era l'ombra: probabilmente era uscita molto prima di me per visitare la città. Fu solo quando arrivai sull'uscio che mi resi conto che dalla mia finestra era possibile osservare la torre Eiffel in tutto il suo splendore.
Mi abbandonai allo stipite per osservare quella meraviglia fino a quando non sentii delle voci, dietro di me, che mi costrinsero a chiudere la camera di colpo per lo spavento.
«Vieni con noi a pranzo?» Eric mi domandò sorridente, con accanto Dylan.
«Sì, stavo giusto andando.» Mi fece strada con un cenno della mano. Lo superai avviandomi verso la zona adibita con gli ascensori: ce ne erano cinque. Mi fermai davanti a quello che secondo me avrebbe fatto prima e per fortuna, i miei istinti di ragno, non sbagliarono.
«Dov'è il ristorante?» domandai osservando davanti a me la cascata di numeri che mi si presentò davanti gli occhi.
«Piano terra, dopo la reception» rispose atono Dylan superando la mia figura e premendo lo "0". Stavamo facendo progressi, almeno rispondeva a domande non dirette. L'ascensore fece delle fermate ai piani intermedi riempiendosi di gente che parlava lingue di tutto il mondo. Ero molto affascinata e curiosa. L'evento della settimana della moda aveva radunato visitatori provenienti da ogni dove.
Quando giungemmo a destinazione Margot, Cassidy, Emma, Matt e Nathan erano già seduti ai tavoli.
«Bonjour amis, prendre un siège.» Emma ci accolse con un sorriso a trentadue denti. Ero fuori fase, ma presi comunque posto accanto a lei. Dylan si era seduto a capotavola, mentre di fronte a me c'era Eric: scelta strategica dettata dal fatto che Cassidy era proprio alla sua destra.
«Ma che stai farneticando?» biascicai alla bionda che era fin troppo contenta per i miei gusti. Indossava un basco e masticava un pezzo di baguette.
«Matt mi ha insegnato un po' di francese, vero chéri?» Quell'ultimo sorrise compiaciuto. Non volli sapere oltre: sgranai gli occhi afferrando anche io un po' di pane. Non era niente male.
«Cosa avete fatto alla fine, Cassy?» Eric stava chiedendo informazioni alla brunetta. Lei guardò dapprima Emma per poi scoppiare a ridere. «Un giro per la città che tra l'altro è davvero incredibile: così piena di vita, di colori e di amore. Siamo persino andati a fare shopping.» Annuì soddisfatta.
«Ecco perché continui a girare con quello strano capello!» Nathan sfotté Emma sfiorando con l'indice il basco, il quale perse la sua forma pomposa. Dopo aver ricevuto un'occhiataccia dalla bionda, e una gomitata da Margot, si allontanò silenzioso.
«Matt ci ha fatto da guida e ci siamo divertiti un sacco. A proposito, ho trovato i vestiti perfetti per domani sera e ho un paio di pass per la serata. Se qualcuno ha voglia di assistere potrà essere uno dei nostri ospiti per la sfilata.» Emma si schiarì la voce.
Matt arricciò il naso. «A me non va, sono abbastanza stanco. Il giro di stamattina mi ha spezzato.»
«Io e Margot avevamo progettato di andare a mangiare in centro in un ristorante carino, mi dispiace Emma, ma ci saranno altre serate?» chiese Nathan.
«Verremo assolutamente a una sfilata, promesso!» gli fece eco Margot. Erano così carini insieme, ma allo stesso tempo stavo iniziando a pensare le peggio cose. Io non stavo vivendo la mia di storia d'amore: era un incubo crudele. Magari andare alla sfilata mi avrebbe distratto.
«Per me va bene» annunciammo in coro io e Dylan. Mi voltai per scrutarlo sconcertata. Le mie pupille saettarono da Emma verso Eric: non potevo essermi incastrata da sola. «Sempre se Cassidy non voglia, altrimenti le cedo il posto volentieri» aggiunsi con una nota disperata nella voce. Lasciai il pezzo di pane sul tavolo.
«No, grazie! Terrò compagnia a Matt. Faremo una maratona di film d'amore, ci stai?» domandò al suo vicino il quale scosse il capo in segno di approvazione. Eric divenne paonazzo in volto. Avevo rovinato tutto. Il biondo mi aveva avvertito di aver riservato un biglietto per Cassidy e io avevo appena mandato in fumo un possibile appuntamento, anzi, l'avevo spinta tra le braccia di un altro. Quanto ero imbecille?
Riacciuffai il tozzo di pane continuando a mangiucchiare in attesa che le portate arrivassero al tavolo. Non proferii più parola per paura di combinare altri guai.
***
Doveva essere necessariamente tutto uno scherzo. Come mi era saltato di assistere a una sfilata, quando in realtà non capivo assolutamente niente di moda? Avevamo dei posti fantastici in seconda fila, eppure mi sentivo fuori posto. Mi morsi un labbro sistemando meglio il tubino rosso che Emma mi aveva prestato.
«Spiegami ancora perché sta usando un sacco della spazzatura come borsa» chiesi a Emma alla mia destra. Il sorriso e gli occhi luminosi che aveva le si spensero. Voltò il capo per incenerirmi con lo sguardo.
«Quel sacco della spazzatura si dà il caso costi più della mia auto. Sorridi e applaudi, Amanda, fai come me, vedi? Non farmi pentire di averti lasciato venire» sibilò a denti stretti. La imitai quasi subito osservando attentamente chi era seduto dalla parte opposta alla mia. Sembravano tutti così emozionati e felici dalla visione di quegli abiti griffati, tranne Dylan, il quale stava intrattenendo una conversazione con la ragazza al suo fianco. Bruna, occhi azzurri e sicuramente francese. Assottigliai la vista: doveva essere una modella. Saettai lo sguardo dal suo girovita al mio. Fu allora che decisi di coprirmi con le braccia per evitare paragoni non voluti.
Era mezzanotte passata quando abbandonammo il padiglione. Mi ritrovai in mezzo un via vai pazzesco di persone: mi strinsi nella giacca nell'attesa che Eric ed Emma terminassero il loro giro di conoscenze e presentazioni. Lo trovavo estremamente ridicolo: la pubblicità, la fama o i favori, non erano mai state cose che mi interessavano. Non potevi conoscere una persona solo stringendole la mano e la gente di un certo spessore non avrebbe mai ricordato il tuo nome il giorno dopo.
«Hai una faccia contrariata» commentò Dylan posizionandosi di lato. Non me ne ero accorta. Gli diedi le spalle senza replicare. Erano le prime parole che mi rivolgeva direttamente dopo tanto tempo.
«È la mia solita faccia. Tu, al contrario, sembri esserti divertito parecchio» risposi infastidita.
«Certo! Me lo ha confessato anche-» Lo interruppi prima che potesse continuare.
«La francesina che era al tuo fianco?» pronunciai pentendomene. Dylan inarcò un sopracciglio sorpreso. Mi morsi la lingua: era il caso di rimanere in silenzio. Perché mai aveva iniziato quella ridicola discussione se lui stesso non voleva più avermi tra i piedi?
«E tu che ne sai che fosse francese? Gelosa, Peterson?» era provocatorio. Si stava semplicemente prendendo gioco di me. Come sempre.
Non poteva farmi sparire dalla sua vita, pertanto, mi avrebbe fatto pesare ogni secondo in sua compagnia.
«Certo che no. Mi dà solo fastidio il tuo atteggiamento da... da bullo di quartiere!» in quell'istante non mi venne paragone migliore. Grugnii irritata.
«Bullo da quartiere? Semmai il bello del quartiere» commentò lui.
«Pensala come vuoi, non mi interessa.» Tornai nuovamente a dargli le spalle. Mi stava irritando.
«Si chiama Lola ed è nata a Marsilia. Fa la modella» aggiunse lui poco dopo. Metabolizzai i dati.
«Ripeto, non mi interessa.» Mi squillò il cellullare: avevo appena ricevuto un messaggio.
«E a me non interessa che a te non interessa!» mi fece il verso. Lo squadrai da capo a piedi: era proprio un bambino.
Dopo aver afferrato il telefono lessi il contenuto del messaggio.
da: Richard.
Volevo solo dirti che mi manchi, bambolina. Buongiorno.
Mi morsi il labbro. Mancava anche a me. Gli avrei scritto più tardi. Riposi il telefono nella tasca della giacca, e nel fare quel movimento notai come Dylan si fosse avvicinato.
«Vuoi sapere chi è?» domandai retorica con falso buonismo.
«Non mi interessa!» rispose lui facendo un passo indietro.
«Bene! Perché neanche a me interessa che a te non interessa! E per la cronaca, non te lo avrei neanche detto!»
«Bene! Siamo a posto così!» gridò lui di rimando. Serrai le labbra. Ero pronta a litigarci. Lui si era visibilmente innervosito, tanto da massaggiarsi la nuca.
«Ragazzi, possiamo andare. Che cosa succede?» Emma fece capolino facendomi perdere il punto della mia rabbia. Annuii facendo due passi nella sua direzione.
«Ho solo un po' di mal di testa. Sarà tutta colpa del jet lag.»
«Tu non vieni?» domandò Eric a Dylan, qualche metro più dietro. Mi voltai per capire il motivo per il quale fosse rimasto impalato come uno stoccafisso.
«No, rimango a fare un giro. Conosco la strada. Ci vediamo domani.» Dylan fece un cenno con la mano per salutarci. Poi la ripose in tasca camminando nella direzione opposta alla nostra.
Durante il tragitto di ritorno in hotel, mi interrogai sul perché si fosse così infervorito. I guai, però, non erano ancora finiti. Con Emma ed Eric al seguito constatai come la mia camera fosse stata occupata abusivamente da Cassidy e Matt, i quali non erano arrivati neanche a metà della loro maratona.
«Tutto a un tratto ho voglia di film romantici. Ragazze, non è un problema se per oggi vi lascio la mia camera?» chiese Eric retorico cogliendo al volo l'opportunità di rimanere in compagnia della sua amata.
Accettai ben volentieri l'offerta di alloggiare nella 167 per quella notte.
Eric, Cassidy e Matt insieme... ci sarebbe stato da ridere.
Mi sdraiai sul nuovo materasso rimanendo qualche minuto a pensare se fosse tutto a posto. Dovevo assolutamente smetterla, perché alla fine della fiera a me di lui non doveva importare niente per davvero.
O forse sì.
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