34. Natale con i tuoi...
♫ Nightcore - Christmas Is Here ♫
A Natale avrei trascorso le feste con la mia famiglia. Era da molto che non ero in compagnia di mamma, papà, Becca, Thomas e il piccolo Trevor. Eppure, in quella fredda serata d'inverno mi ero presa del tempo per me stessa.
I miei abitavano in una villa di periferia. Non era una casa chissà quanto grande, ma era sempre stata molto confortevole. Soprattutto in quel momento, in cui gustavo una deliziosa tazza di cioccolato al latte, seduta sul davanzale della finestra della mia vecchia camera da letto.
Osservavo il vento, giocare a rincorrere le foglie dei pini addobbati nel giardino. La piccola corrente che urtava il vetro per poi tornare indietro. Sentivo il tentennio che la brezza invernale era solito portare. Quanto mi mancavano.
Mi misi comoda sui cuscini. Non era cambiato niente dall'ultima volta che avevo fatto visita ai miei. Le mie cose era lì per qualsiasi evenienza, che fosse una festa o un periodo in cui mi sarebbe andato di tornare a casa. Mia madre si era sempre preoccupata che fosse tutto pronto all'occorrenza. I miei poster, le mie foto e la chitarra che non avevo portato nell'appartamento in centro e che non suonavo più da anni. Il mobiletto di nonna Lilian con tutti i ricordi di quando ero piccina. Sorrisi pensando ai bigliettini che vi erano e che avevo scritto da quando avevo cinque anni.
Era già Natale. Più ci pensavo e più non mi capacitavo. Incrociai le gambe, mentre levavo un dito contro il freddo vetro. Grazie al contrasto di temperature si era depositato un sottile strato di condensa che dava opacità alla lastra trasparente: perfetta tela dei miei disegni più disparati. In quel momento non mi resi conto di cosa stessi effettivamente tracciando i contorni e, prima di potermene accorgere, fui interrotta dallo stridere della porta che venne aperta.
«Ah, sei qui.» Becca fece il suo ingresso in camera. L'avevo salutata qualche minuto prima quando, insieme a Trevor, mi era saltata addosso. Il bimbo per i regali, lei probabilmente per lo stesso motivo. Dovevo tornare in salotto: mi ero isolata per troppo. Poggiai un piede a terra, mentre stringevo a me la tazza con il cioccolato ormai divorato.
«Porto il giocattolo a Trevor e andiamo a mangiare. Mi sono persa nei miei pensieri. Scusami, Becca.» Sorrisi. Lei mi si avvicinò sottraendomi con veemenza la tazza dalle mani. L'appoggiò sul comodino, accanto al davanzale, facendomi cenno di accomodarmi. Ritornai seduta con le gambe penzoloni e le braccia tese ai lati. Quella volta davo le spalle al cortile.
«Hai lasciato la luce spenta, lo facevi sempre da bambina quando non volevi essere trovata» commentò lei sporgendosi in avanti e poggiando i gomiti sul parapetto di legno. Mi voltai per scrutare il suo profilo. Era vero, la stanza era in completa penombra, se non fosse stato per la luce del lampione che dava sulla strada. I suoi occhi ambrati risaltavano ancor di più, come il biondo dei suoi capelli.
«Lo sapevi, quindi?» chiesi curiosa. Lei si risolve a me incurvando un sopracciglio.
«Ogni volta che mamma ti sgridava correvi qui. Volevi renderla orgogliosa di te e ti pesava non essere perfetta ai suoi occhi o a quelli di chiunque altro. E poi ti spiavo per vedere se era tutto sotto controllo» mi confidò ridendo.
«Quindi mi seguivi e neanche lo sapevo?» la interrogai sospingendola un po'. Il sorriso le morì sul volto.
«Sì... e mi dispiace di non aver quasi mai aperto quella porta per aiutarti.»
«Ma Becca, non c'era bisogno... tu per me ci sei sempre stata, sei la mia sorellona e so che mi proteggerai sempre.» Lei mi allungò un braccio per poi piegare la testa di lato. Sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi accarezzò una guancia. Era calda e il suo tocco era così terapeutico. Mi era mancata un casino. Chiusi gli occhi per qualche istante, solo per assaporare meglio quell'atto di amore.
«Se dieci anni fa sarei rimasta a guardarti, oggi scelgo di intervenire. Cosa ti succede?» Sbarrai gli occhi.
«Come? Cosa c'entra quest-» la vidi alzare nuovamente un sopracciglio. Aveva capito in tre secondi che c'era qualcosa che non andava. D'altro canto era vero quello che aveva detto su di me. Era il mio posto preferito per pensare. L'angolo più bello della casa, a mio avviso. Il mio luogo sicuro.
«Okay, c'è un problema» ammisi a denti stretti. Mi guadagnai un suo risolino.
«Sentiamo.» Si girò incrociando le braccia sotto il seno in posizione di ascolto. «C'entra un ragazzo, scommetto» tentò lei.
«Ma... ma... se sai tutto a sto punto rimango in silenzio.» Lei rise di gusto incitandomi a parlare promettendo che non mi avrebbe più interrotta.
«Ho la sensazione di star sbagliando con questo ragazzo. Ho finalmente l'occasione che ho sempre sognato con lui.» Mi guardò torva.
«Dove è il problema, allora?» mi domandò poggiando il mento su una mano e avvicinandosi minacciosa. Mi morsi le labbra.
«Ho paura che essendo ciò che ho sempre desiderato io stia correndo troppo. Sai, c'è qualcosa che mi frena e qualcosa che mi fa andare avanti. È tutto fin troppo perfetto e di certo non voglio essere manipolata perché sono una persona fragile, ti sembro una persona che si lascia convincere a fare cose che non vuole? Dare seconde possibilità è sbagliato, vero? Sono così ingenua? Ti prego Becca, dimmi che non mi sono illusa come faccio ogni dannata volta!» mi ero avvicinata tantissimo a lei e in quel preciso istante mi accorsi che la stavo letteralmente scuotendo per avere risposte. La lasciai tornando con la schiena attaccata alla parete e avvicinando le ginocchia al petto.
«Direi che la questione è più grave di quel che pensavo.»
«Grazie sorellona, eh, così sì che mi sei di aiuto» sbuffai sarcastica.
«No, dico, è grave perché stai mettendo in discussione te stessa e la tenacia che ti ha sempre contraddistinto. Lui come ti sembra e che fa per te? Hai davvero motivi per pensare queste cose?» rimasi un attimo in silenzio.
«Sta facendo tutto nella maniera migliore. Non avrei potuto desiderare di meglio...» Improvvisamente due occhi scuri comparirono nella mia mente e la mia bocca si asciugò delle parole che avrebbe voluto pronunciare.
«Chi è il problema?» mi domandò nuovamente. Non capii. Fissai le sue perle ambrate per dei secondi interminabili. Mi stava scrutando spudoratamente.
«In che senso chi è il problema? Io sono il problema, forse anche lui e la mia voglia di conoscerlo, ma...» Mi tappò la bocca con una mano. Su degli aspetti eravamo del tutto simili.
«Non tu. Dico, quale ragazzo ti preoccupa?» sgranai gli occhi. Lei li levò al cielo, continuando a premere il palmo contro le mie labbra secche. «Il ragazzo con cui stai uscendo o quello che ti ha fatto notare queste cose? Hai paura di soffrire o hai paura di non star vivendo la realtà che vorresti?» Nonostante Becca si allontanò da me, io non riuscii comunque a proferire parola.
«E tu che ne sai?» domandai meravigliata, una volta ripreso l'uso della lingua inglese. Si grattò la nuca.
«Quando fai degli errori non te ne accorgi mai da sola. In generale, tu sei molto convinta, dai tutta te stessa, quindi, visto che hai tutti questi dubbi, è perché qualcuno ti ha fatto notare che stai sbagliando.» Annuì soddisfatta.
«E se fosse stato Nathan?» proposi dando per scontato che avesse capito che non fosse lui.
«Generalmente sei tu a convincere Nathan che vada tutto bene, quindi solo il fatto tu sia ancora in dubbio è perché si tratta di qualcuno che non conosci pienamente e di cui non sai se fidarti o meno. Quanto ci sono andata vicina?» Mi sorrise trionfante, mentre mi massaggiavo le tempie con una mano.
«Sei una dannata strega. E va bene! C'è un altro ragazzo che mi ha fatto notare questa mia propensione nell'assecondare il primo, ma non è che voglia rincorrere un'altra realtà o stupidate simili.» Incrociai le braccia al petto guardando verso la porta. In quel preciso istante entrò Trevor.
«Zia Lilly, nonna dice che devi aiutarla con i piatti. Mamma anche tu.» Il piccolino corse tra le braccia di mia sorella che lo prese al volo alzandolo da terra e stampandogli un bacio sulla nuca scoperta.
«Andiamo, prima che mandi anche papà a chiamarci» scherzò Becca. Scesi dal davanzale con un sol balzo e presi la tazza sul comodino.
Ero ancora intenta a sistemare i cuscini quando Becca mi richiamò. «E comunque sappi che la risposta ai tuoi dilemmi è proprio davanti i tuoi occhi.»
Scossi la testa irritata. «E questo che vorrebbe dire?» Non avevo risposte, ma solo domande. Come poteva essere davanti a me?
Lei mi osservò da sopra le spalle di Trevor, ridendo e facendo cenno di guardare verso la finestra. Poi andò via lasciandomi lì più confusa che mai.
Scrutai gli infissi, identici a qualche minuto prima. Mi avvicinai al vetro, più appannato di quanto non fosse stato i minuti prima. Scrutai, attraverso i segni che avevo precedente tracciato, l'incanto della neve che si stava posando. Non mi era possibile osservare tutto il giardino: avrei dovuto pulire parte della condensa che si era formata, per avere un quadro completo. Non ci pensai due volte appoggiando il palmo della mano sul freddo vetro. Iniziai da destra e in un lampo cancellai parte del mio precedente disegno.
Mi fermai di colpo.
Le dita si bloccarono all'altezza degli occhi che lentamente spostai alla mia sinistra. A poco più di millimetro dal mio indice vi era un tratto verticale e ancora prima un paio di elementi curvi formi.
«Oh, mamma!» quando misi a fuoco scattai indietro e per poco la tazza non cadde a causa della presa poco salda.
Fu allora che mi resi conto che non avevo disegnato proprio un bel niente.
Ci pensai per tutta la serata e oltre. Con Becca non toccai più l'argomento. Semplicemente, quando tornai a casa ripetei le stesse operazioni fatte precedentemente, imprimendole sul vetro della mia stanza. Era impossibile, non potevo essere stata così superficiale o così dannatamente ingenua.
A opera compiuta mi allontanai da quella finestra constatando come, in realtà, fosse tutto vero.
Erano passati un paio di giorni da quando avevo scritto l'ultimo messaggio a Nathan. Non volevo disturbare, nonostante mi mancasse. Avrei dovuto stringere i denti solo fino a Capodanno.
Però, in quella sera di fine dicembre, dopo essere tornata da un'uscita con Emma e Cassidy, chiusi la porta della mia camera rimanendo da sola con la mia mente. Scivolai lentamente verso il basso appoggiata al legno dello stipite, fino a sedermi sul freddo pavimento di parquet.
Rimasi lì per chissà quanto tempo, immobile, osservando la finestra dinanzi ai miei occhi.
Era ancora lì, la mia risposta.
Non c'era stato abbastanza freddo per farla dissolvere, né avevo avuto il coraggio di eliminarla con un panno umido. La vedevo come un riflesso, traslucido, sottile, ma presente. Nonostante l'alcol che avevo ingurgitato con le ragazze, nonostante la testa girasse.
Becca aveva ragione. La mia risposta l'avevo. La risposta a ogni danno e a ogni mio malessere. La risposta alla mia tristezza e alla mia completa inadeguatezza.
La risposta ai miei problemi, così come il problema della mia risposta, era scritta lì, a caratteri cubitali.
E corrispondeva al nome di "DYL".
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