30. Cattive - nuove- abitudini

Ed Sheeran - Bad Habits ♫

Erano passate tre settimane da quando avevo, per fortuna, detto addio a Sophia Mormont. La vita era continuata monotona in quel breve lasso di tempo.

Avevo superato gli esami programmati conseguendo dei voti eccellenti, mentre continuavo a seguire le lezioni obbligatorie. Nonostante fossi fiera di me, sapevo che non avrei potuto crogiolarmi nel pensiero che sarebbe sempre tutto bene. La fregatura sarebbe sempre stata dietro l'angolo. Per quello dovevo continuare a dare il massimo in ogni occasione.

Su me stessa e sul mio immediato futuro: dovevo iniziare a progettare il mio futuro. La vita sarebbe cambiata dopo la laurea.

Doveva essere tutto perfetto. Come i pezzi di un puzzle, speravo che tutto combaciasse alla perfezione. Ogni sacrificio, ogni nottata insonne passata a piangere per la paura di non essere abbastanza, ogni sorriso perso e ricambiato, sarebbero stati ripagati una volta che tutti i miei sogni fossero divenuti realtà.

Eppure c'era qualcosa che dannatamente non riuscivo a raggiungere. Avevo i miei amici, la mia famiglia, la carriera agli albori, eppure, avvertivo qualcosa che stonava. Dentro di me.

Tutto troppo bello per poter essere vero.

Adagiati sul mio cuore c'erano il vuoto e la paura dell'ignoto. Temevo di incrinare il fragile equilibrio che avevo contrattato con il mondo, e a cui mi ci aggrappavo con tutta me stessa. Non ero mai stata forte, né tantomeno una combattente: necessitavo costantemente di un'ancora, ma che al tempo stesso fosse anche il mio salvagente.

Avevo Nathan, che a sua volta stravedeva per Margot. I due formavano una coppia stupenda: lei era sempre così luminosa al suo fianco. Due metà della stessa mela. Seppur il nostro legame non era stato intaccato, il tempo che passavamo insieme era sempre meno. Me ne rammaricavo.

Potevo dire lo stesso per Emma. Troppo presa dal misterioso ragazzo che ancora non aveva un nome, ma di cui sapevo l'iniziale. "W". Lo chiamava così quando ne parlavamo. Diceva che era tutto nuovamente basato su un rapporto fisico. Eppure vedevo come sembrava soffrirne. Era pur sempre Emma, la ragazza che conoscevo meglio al mondo: la mia fragile amica che voleva sopperire alle mancanze di vari fidanzati sbagliati credendo che l'unico modo per essere felice fosse quello di riempire lo spazio nella mente, invece che nel cuore. Lei sembrava non capirne la differenza. "È la mia vita" mi rimproverava, quando insistevo troppo. Da allora avevo smesso di parlarne, ma non di preoccuparmi.

Eric, d'altro canto aveva voltato completamente pagina chiedendo il mio aiuto per conquistare Cassidy. In un primo momento ero rimasta senza parole, ma scrutando il suo volto sincero non avevo potuto fare a meno di acconsentire. Avrei ripagato il mio debito.

Cassidy era tornata in università con uno splendido sorriso. Seppur non ci fosse nessuno studio scientifico a riguardo, sapeva benissimo che le ferite del cuore avevano bisogno di tempo per rimarginarsi. Quando passava Dylan per i corridoi si voltava dall'altro lato per evitare di fissarlo: lo voleva evitare a tutti i costi. E, nonostante i suoi occhi luminosi e la risata coinvolgente, riuscivo ancora a vedere le crepe. E quando vuotai il sacco sulla messa in scena attuata da me e Dylan, mi diede prova della sua maturità. "Con lui non ho mia occasione, perché non gli piacevo! Con te sarà diverso, ne sono sicura".

Ma era ben lontana dalla realtà.

Lui non era cambiato per nulla e il nostro rapporto peggiorato.

Non trovavamo pace. Continuavamo a discutere e a scherzare, finendo con l'isolarci quando non ne potevamo più. Forse volevamo solo ignorare tutto ciò che avevamo passato insieme, facendo finta che nulla fosse accaduto.

Avevamo superato da tempo la linea in cui potevamo fingere di non comprendere l'altro. Ed era la peggior maledizione.

Percepivo come la mia presenza gli desse fastidio la maggior parte delle volte che eravamo costretti a stare insieme. Anche se non ne capivo il motivo.

Probabilmente, però, non era vero che non fosse cambiato. Probabilmente era cambiato tutto il resto, ancora una volta, ma ero troppo stanca per assecondare i suoi cambi di umore e il mio orgoglio.

Lo avrei lasciato fare, mentre lentamente affievolivo il mio sorriso.

Più passavano i giorni, più osservavo i miei amici, più i pensieri nella mia testa si affollavano.

Erano state solo tre settimane, come poteva essere possibile che avvertissi quel vuoto cosmico attorno a me? Le persone più care che avevo al mondo erano cambiate. Tutte a causa di unico comune fattore: l'amore.

Chi che lo stava vivendo, come Nathan e Margot.
Chi gli correva dietro, come Eric.
Chi ne stava soffrendo la perdita, come Cassidy.
Chi lo stava affrontando di petto rischiando, come Emma.
Chi lo cercava ancora una volta, come me.

E poi c'era chi come Dylan... Come Dylan, fuggiva.

***

«Da quanto tempo ti piace Cassidy?» domandai a Eric seduto dinanzi. Eravamo nello stesso bar in cui avevo dato spettacolo alla vista di Dylan insieme a Nathan. Quella volta, però, rivolsi le spalle alla porta. Tirai in alto un angolo della bocca ricordandomi di quel pessimo quarto d'ora.

«Ma che domande sono?» rispose lui di getto ignorando la mia curiosità. Sbuffò accomodandosi sulla sedia del locale. Lasciai che un braccio sorreggesse il peso della mia testa affollata, mentre incurvavo le labbra in una smorfia lasciva.

«Parla» lo incitai senza mezzi termini: c'era una distanza di circa un metro tra di noi, eppure, sembrava che gli stessi puntando una pistola alle tempie.

«Certo che sei testarda! Ti ho aiutato con Sophia in cambio di informazioni, quindi dammele e basta!» ribatté non trattenendo un certo scontento.

Piegai la testa di lato incrociando le braccia al petto come per pensarci.

«In verità, non c'è nessuna clausola che mi impedisce di porti delle domande e solo dopo darti ciò che chiedi. Perciò... parla.»

«Fai sul serio?» intonò piatto.

Forse stavo esagerando. Non era il caso di stressarlo solo perché la mia vita amorosa faceva pena. E non solo quella, a dir la verità. Niente di interessante in quelle settimane succedeva ad Amandaland. Parlare con qualcuno ed estorcergli informazioni non era il modo migliore di riempire il tempo, ma sempre meglio del nulla cosmico.

Accennai un "sì" con la testa.

«Da quella sera al falò sulla spiaggia. Quando l'ho riaccompagnata a casa ho capito che mi sarebbe piaciuto rimanere in sua compagnia per chiacchierare un altro po'. Non so come spiegartelo, mi ha smosso qualcosa dentro. E ti parlo di oltre un'attrazione fisica. Quando mi ha sorriso io... volevo solo abbracciarla. Non riesco a togliermela dalla testa. Credo che anche lei-» allungò una mano poiché incapace di spiegare a parole i suoi pensieri.

«So io cosa c'era tra voi due quella sera» ipotizzai credendo che stesse per divagare. Tutto aveva avuto inizio da quella maledetta sera. Quegli occhi cupi e le labbra incurvate nel silenzio della notte. Per un attimo mi persi nei miei pensieri.

«Cosa? Riuscivi a vedere anche tu il nostro feeling?» tirò a indovinare eccitato. Scoppi il capo per diniego.

«No, l'alcool. Era ubriaca, Eric, e lo eri anche tu. Sei sicuro di quel che dici?»

Mi guadagnai un'occhiata torva. Forse stavo davvero diventando acida come Emma.

«Sì. Ne sono sicuro. Ma anche se lei non ricordasse, io sì. So cosa ho vissuto e ogni volta che la guardo è come se... cioè, capisci... io mi sento come un ragazzino stupido. Ne ho parlato con Emma ed è per questo che ho interrotto la nostra relazione. Cioè, o meglio, ho provato a continuare, ma non ce la facevo a non pensare a Cassidy. Non era giusto per entrambi. Anche lei mi ha detto che non poteva continuare così, perciò non posso fare finta di nulla dopo ciò che ho vissuto.»

Tutto tornava.

«Non sei un ragazzino stupido, sei solo innamorato. A quanto pare è stato un colpo di fulmine. Finalmente qualcuno che la pensa come me!» esclamai allargando le braccia vittoriosa.

Lessi dello sconcerto sul volto di Eric. Mi avvicinai appoggiando nuovamente i palmi delle mani sul tavolo lucido. Lui mi imitò, spostando di lato la tazza di caffè che aveva ordinato precedentemente.

«Ho un'idea, ma avrai bisogno di tempo per conquistarla. È molto più intelligente di quel che sembra. Vive in un mondo fatto di arcobaleni e unicorni, ma la sua mente viaggia su codici binari, perciò qualsiasi errore commetterai sarà per lei motivo per chiudere una volta per tutte la porta che ti ha aperto. Cassidy cerca il principe azzurro, perciò dovrai esserlo. Non ci sono scorciatoie. Ma stai bene attento. Ho permesso già una volta che qualcuno che non fosse perfetto per lei la ferisse, non commetterò di nuovo questo errore. Quindi se le tue intenzioni non sono serie, non ti permetterò di farle del male.»

«Perché lei è fragile?» domandò incuriosito.

«Tutti noi siamo fragili. Nessuno è veramente forte quando si tratta di mettere in gioco i propri sentimenti ed esporsi. Siamo estremamente vulnerabili. Per questo ti raccomando di non illuderla, altrimenti dovrai dire addio al bel faccino che hai. Non se lo merita» lo minacciai incurvando un sopracciglio e assottigliando la vista. Lui schioccò la lingua al palato annuendo. Si alzò dalla sedia pronto per pagare il conto, mentre mi guardava dall'alto in basso con ammirazione.

«Quale sarebbe la tua grande idea?» mi chiese e io gli sorrisi.

«Lo saprai a tempo debito, non temere.» Mi alzai a mia volta.

Eric si coprì il viso con una mano. Sembrava davvero esasperato.

«Va bene, va bene. Mi affido a te, Lilian. Ora devo tornare in Accademia.»

Non feci tante cerimonie per il nome con cui mi aveva appena chiamato. Forse un po' me lo meritavo.

E così si dileguò, mentre io avevo a che fare con i libri e quaderni che straripavano dalla mia borsa e che non volevano saperne di essere in ordine. Ero talmente sovrappensiero da non accorgermi di chi avessi intorno. Mi gettai sul malcapitato senza rendermene conto: ciò mi costò una grossa macchia di caffè sul maglioncino rosa.

Spalancai gli occhi incredula.

Alzai lo sguardo truce verso il carnefice.

«Amanda, non l'ho fatto a posta, credimi. Volevo solo offrirti un caffè, perdonami.» Serrai la mascella indiavolata. Provai a sorridere tiratamente coprendo con le braccia il punto incriminato sul mio addome.

«Tranquillo, Richard, è tutto a posto. Grazie per il caffè, fa come se lo avessi accettato. Devo tornare a casa e cambiarmi» risposi sorpassandolo avendo così un attimo per riprendermi. Tra tutte le persone del mondo, proprio lui doveva essere?

Stoppò la mia corsa intercettandomi e discolpandosi. «Senti, mi dispiace, per tutto. Non volevo che succedesse questo, o altro. Amanda vorrei dimostrarti la mia buona fede, lascia che ti aiuti.»

«Sai, si direbbe proprio il contrario. A meno che tu non abbia una lavatrice e uno smacchiatore qui con te, non so come potresti essermi d'aiuto. Hai già fatto abbastanza.» Lo guardai torva. Volevo ferirlo, era vero.

Gli si illuminarono gli occhi di colpo. Puntò l'indice verso l'alto come per dirmi "aspetta un secondo" iniziando poi a cercare qualcosa dentro il suo portafogli. Che avesse intenzione di pagarmi?

Lo fermai: non volevo la sua carità. «Non devi darmi niente, è stato un incidente, ho capito. Devo andare.» Lo superai nuovamente, ma lui non sembrò demordere dal cercare quel qualcosa dal borsellino in pelle.

«Ecco qui!» esclamò mostrandomi fiero una moneta. Incurvai un sopracciglio non capendo quale fosse il suo obiettivo.

«Conosco una lavanderia a gettoni qui vicino, possiamo andare anche adesso.» Osservai il suo sorriso splendente con il pezzo d'ottone perfettamente incastrato tra le sue dita affusolate.

Mi morsi l'interno guancia combattuta. Probabilmente me ne sarei pentita troppo tardi per tornare indietro. Roteai gli occhi al cielo incredula per ciò che avrei detto da lì in seguito.

La solitudine era davvero la più destabilizzante delle debolezze.

«Dove si trova questa lavanderia?»

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