29. Aspettative
♫ Makayla Phillips - Migth+u ♫
Cosa stavo combinando?
Sorridere e annuire, continua a sorridere e ad annuire, Amanda.
Un accenno poco convinto era tutto ciò che riuscii a fare. Doveva essere la ventesima coppia che mi avevano presentato, ma la mia testa non voleva saperne di rimanere concentrata su quello che stavo combinando e al suo perché.
Non mi sentivo più me stessa: avevo spento la parte razionale del mio cervello immedesimandomi in tutt'altra persona. Quella di un mondo parallelo che desiderava essere veramente la ragazza di Dylan, quella che era corsa nel bagno perché ferita dalla notizia di essere presa in giro, da lui... non avevo avuto un solo secondo di dubbio giorni prima: avevo difeso a spada tratta quell'assurda idea nei confronti di Nathan, ma la verità era che mi stavo spingendo fin troppo oltre.
Ero una perfetta statuina che sorrideva e annuiva. Una perfetta statuina vuota che aveva voltato le spalle ai propri valori e non ne poteva più. Desideravo che finisse tutto il più velocemente possibile, per poi prendere le distanze da quel mondo. Dal suo mondo.
Strinsi le labbra in una linea dura e socchiusi gli occhi. Sospirai rumorosamente posando le mani sulle orecchie, non volevo più ascoltare il flusso dei miei pensieri che rimbombavano feroci.
All'improvviso una presa tanto decisa, quanto titubante, avvolse i miei polsi costringendomi a spalancare gli occhi. Le pupille saettarono sul viso del mio interlocutore. Schiusi le labbra spaventata in cerca di una giustificazione.
Cosa stavo combinando?
Deglutii sbattendo le palpebre più volte. Non dovevo essere un bello spettacolo. Probabilmente stavo soffrendo d'isteria selettiva. Osservai dapprima le sue labbra, poi i suoi occhi così profondi che mi fecero sussultare: era preoccupato. Spostai trepidante lo sguardo verso la sala, la folla, chi era intorno a noi. Nessuno che ci stesse guardando. Chissà da quando ero intrappolata in quello stato.
«Cosa succede? Ti senti bene?»la voce roca di Dylan mi fece sussultare. Era veramente preoccupato. Annuii. Solo allora la sua presa si dissolse e, senza mai staccarmi le pupille di dosso, pose le sue mani sul mio viso. Mi accarezzò una guancia sorridendo colpevole.
«Non riesci a fingere senza stare male, vero?»domandò come se mi stesse leggendo dentro.
Ero divenuta così prevedibile o forse era lui che stava iniziando a conoscermi più di quanto credessi?
Provai a ribattere, ma fui interrotta dalla voce del signor Lynch che ci beccò in flagranti un'ulteriore volta. Arrossii mettendo quanta più distanza possibile tra il mio corpo e quello di Dylan: le sue mani rimasero a mezz'aria. Quando si accorse che sfioravano il vuoto le abbassò sbattendo le palpebre come se non credesse neanche lui a quello che aveva appena fatto. Si voltò verso il professore facendo un cenno ai suoi genitori che si erano affrettati ad avvicinarsi.
Eravamo nella sala ricevimenti delle "O'Brien Corp.". Per mia fortuna, i genitori di Nathan erano ancora oltreoceano.
Però, non ero sola. Con me c'era Dylan, Nathan e persino Margot. Tutti sorridevano e sembravano essere felici per l'accordo appena stipulato con l'università. Una partnership che avrebbe avuto luogo per i prossimi tre anni. Avrebbe portato grossi introiti alle industrie e prestigio al campus, un equo patto.
«Salve signor Lynch, è un piacere vederla»lo accolsi sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Con la coda dell'occhio notai Dylan avvicinarsi cingendomi la vita con un braccio. Non si sarebbe arreso così facilmente.
Abbassai lo sguardo verso le sue nocche. Più tentavo di dimenarmi, più la sua stretta si faceva intensa. Sembrava essere il suo modo per dirmi che lui non mi avrebbe lasciata sola e probabilmente era l'unica cosa capace di farmi mantenere un contatto con la realtà in quel momento. Era così naturale.
Possibile che fosse tutta finzione?
«Allora è vero quel che ho sentito dire!»esclamò il professore. Ritornai a fissare dinanzi a me, curiosa. I signori O'Brien si fecero avanti sorridendo e accennando a quanto detto dall'anziano signore.
«Cosa, esattamente?»domandò Dylan allungando il suo collo, permettendomi di osservare ogni piccolo neo e i tratti della sua mascella.
«Che siete fidanzati! Signora O'Brien-»rispose Lynch.
«Mi chiami Lyanna, la prego»lo interruppe la donna con fare civettuolo.
«Certo, Lyanna. Questi due giovanotti sono proprio innamorati, non c'è che dire. Voci di corridoio riportano persino di una romantica dedica che suo figlio abbia decantato davanti a tutto il campus.»
«Eh?»sussurrai, ma nessuno, a parte Dylan, sembrò avermi udito. Tastai la sua reazione. Lynch stava parlando di noi e aveva detto che gli avevamo dato l'impressione di essere una coppia. Sarebbe stata una cosa fantastica, se non fosse tutta una grossa bugia architettata dal manichino al mio fianco. Lo guardai severa.
Dylan recepì il messaggio. Ci stavamo spingendo troppo in là. Avremmo dovuto terminare presto qualsiasi cosa fosse ciò che stavamo mettendo in scena.
«Lanny!»
Ci mancava solo Sophia a rendermi ancora più nervosa. Mi costrinsi a sorridere quando intercettai il suo sguardo puntato verso Dylan. Afferrai la mano di Lannyfacendogli imprimere ancora più forza contro il mio fianco. Lui sembrò non accorgersene neanche che lo fece per istinto. Il professor Lynch e i genitori di Dylan si allontanarono, continuando a sparlare di noi e di chissà quali altre teorie poco realistiche.
La mia attenzione era tutta per Sophia.
«Oh ciao, Matilde, non mi ero accorta di te.»Amanda respira.
«Tranquilla, neanche noi ci eravamo accorti della tua presenza qui in sala»controbattei, mentre il mio finto ragazzo ritornò sul pianeta Terra accorgendosi di dover scappare, se non voleva essere vittima del serpente velenoso. Era impossibile non notarla in quel vestito così pomposo, scollato e pieno di brillanti, eppure, non le avrei dato quella soddisfazione. Sembrò essere ferita nell'orgoglio, abbastanza da indurire lo sguardo.
«Che scherzosa, la mia Lilian! Scusaci, Sophia, ma siamo davvero occupati. Magari ci vediamo dopo»sviò l'attenzione Dylan, che osservando oltre le spalle della ragazza si illuminò di colpo.
«Margot, cara!» larichiamò. Era strano vederlo così gentile e sentirlo parlare in una maniera raffinata. La mia amica, che non era molto distante da noi, ci salutò domandando se ci fosse qualche problema. Osservò dapprima il mio volto imbalsamato in un sorriso e poi la nostra interlocutrice.
«Tu sei Sophia Mormont!»esordì. «Mi chiamo Margot e non sai quanto ti ammiro! I tuoi gioielli, gli abiti, il make-up, lo stille e oddio, questo è per caso Versace?»Margot sembrava veramente entusiasta dell'incontro. Se non fosse stato che le avevo esplicitamente richiesto di aiutarci in caso ce ne fosse stato bisogno. Mi sentivo molto "agente 007", ma senza licenza di uccidere, purtroppo.
Lei stava recitando alla perfezione, o forse non recitava affatto. Aveva avuto la stessa reazione di Emma nel constatare che, la presente Sophia, fosse una delle più famose influencerdel momento.
«Oh, ma sei adorabile! Non è adorabile, vero, Lanny?Ti chiami Margot, vero? Hai un fisico mozzafiato! Scommetto che sei una modella!»Il suo nome lo ricordava, che strano.
«Certo, Sophia... certo»fece eco lui accennando un sorriso. Mi stupii di come fosse bastato così poco per distrarla.
«Bene, visto che sei in ottime mani, noi andrem-»
«Ma no, sciocchino, dobbiamo andare dalla stampa, sono tutti interessati nel sapere come mai non ti sei presentato con me a questo evento.»Lei ci si parò davanti arrestando la corsa di Dylan sfiorando il suo petto con il palmo della mano. Aveva smaltato nuovamente anche le unghie. Nere, come la sua anima. Tamburellò sulla camicia di seta.
«Mi lasci qui da sola?»piagnucolò con fare poco innocente. Serviva un miracolo.
«Eric!»esclamò Margot all'improvviso. Mi destai nella direzione in cui puntavano gli occhi della moretta tutto pepe. «Eric!»urlai a mia volta.
Dylan fece lo stesso. «Eric, grazie a Dio!Non sono mai stato così felice di vederti»sospirò.
La bionda ossigenata si voltò incuriosita. «Eric è quel biondino con lo sguardo sexy?»indagò sporgendo le labbra in avanti e accennando una qualche approvazione con il capo.
«Esattamente. Colui che ci sta raggiungendo»incalzò Dylan.
«Madame, milady. Lei deve essere la signorina Mormont.»Afferrò la mano di Sophia baciandone il dorso come un vero galantuomo d'altri tempi. Per la prima volta, in quei giorni, la bionda slavata sembrò imbarazzarsi: guardò altrove sorridendo come un ebete.
«Chiamami pure Sophia.» Rise compiaciuta.
«Certo, Sophia. Le posso offrire da bere?»domandò in maniera molto sensuale. Lei lanciò un'ultima occhiata nella nostra direzione fulminando con lo sguardo Dylan, come se le fosse venuta in mente una brillante idea. «Oh, sì, certo. Ne sarei onorata.»
Sophia non indugiò oltre e, poggiando le sue delicate dita sull'avambraccio di Eric, si dissolse con lui nella folla. Dylan riprese finalmente a respirare. Si toccò incredulo il volto.
«Lo sai che vorrebbe farti ingelosire, vero?» gli feci notare evitando di mirarlo.
«Non mi interessa! Siamo salvi! Sei un genio!»boccheggiò trionfante rivolgendomi uno dei sorrisi più belli che gli avessi mai visto fare, mentre mi afferrava per farmi volteggiare in aria.
***
«È così brutto salutarti di già, tesoro mio.»
Eravamo all'entrata dei gate da pochi minuti.
Lyanna teneva stretta tra le sue braccia un Dylan in imbarazzo, conscia del fatto che sarebbero passati altri mesi prima di una nuova riunione familiare. Stessa pensata l'aveva fatta la piccola serpe, che durante il tragitto dall'hotel all'aeroporto non aveva staccato neanche per un attimo le sue mani da Lanny.
Una voce metallica annunciò l'ultima chiamata del volo diretto a Stanford. E così nell'arco di pochi secondi le nostre tre nuove conoscenze scomparvero dietro i panelli di metallo. A ripensarci era stato un saluto strappalacrime: Lyanna aveva pianto, persino David si era commosso. I suoi occhi come quelli della moglie erano lucidissimi.
Al contrario, Sophia, non conosceva il significato della parola "contegno". David l'aveva dovuta trascinata a forza oltre il metal detector, altrimenti non si sarebbe mossa dall'auto. Non aveva fatto altro che urlare il nome di Dylan a gran voce ricordandogli quanto l'amasse.
Feci un saluto con la mano quando mi resi conto che oramai sarebbe stata solo un brutto ricordo. «A mai più, piccola strega»sibilai a denti stretti. Ero felice.
«Non ti facevo così rancorosa»mi canzonò Dylan una volta riversati in strada. Aveva preso a spalleggiarmi per passare il tempo.
«Vadoa ritirare la macchina e a pagare il ticket del parcheggio. Voi aspettatemi qui»ci informò Nathan. L'avremmo atteso su una delle numerose panchine all'esterno dello stabile. A fare da sfondo a quella domenica mattina c'era il rumore ipnotico della porta scorrevole. Ogni qual volta una persona entrava, ce n'era una pronta a uscire e così altre decine in un via vai continuo e mai monotono. In quel paio di minuti avevo contato solo ben tre secondi di silenzio assoluto. Quando per la prima volta riuscii a contare fino a quattro, la voce di Dylan monopolizzò la mia attenzione.
«Quindi è andata bene.»Lo guardai stranita dopo aver sospirato quelle parole.
«Sì... se credi che essermi fatta una nemica molto potente è essere andati molto bene, allora lo siamo.»scrollai le spalle ridendo come un'ebete. Mi portai una mano sul viso per coprirmi.
«Tranquilla, hai un alleato abbastanza competente anche dalla tua.»Levai gli occhi verso i suoi. Il signorino non faceva altro che annuire mirando l'orizzonte.
«Chi, tu?»scoppiai in una fragorosa risata. «Non offenderti, ma non mi pare che tu riuscissi a tenerle testa. Sono stata l'unica che lo abbia fatto, Lanny»incrociai le braccia al petto godendomi l'espressione avvilita di Dylan.
«Può anche darsi, ma ciò che conta è che ce l'abbiamo fatta! A proposito, devo farti i miei complimenti. Sei stata grande.»Sbattei le palpebre più volte mentre notavo come l'attenzione di Dylan venne riservata alla mia figura. Le mie guance si tinsero di rosso.
«Gr-grazie»balbettai.
«Non dirmi cheti imbarazza persino ricevere complimenti? E io che pensavo fossi una specie di supereroina pronta a decantare le regole della moralità e del buonsenso. Quello è davvero eccitante.»Mi voltai di scatto provando a parlare, ma le parole non volevano sapere di uscire. Perché continuava a mettermi in imbarazzo?
«Scherzo, Lilian, calmati! Era una battuta.»Mi mise una mano sulla spalla avvicinandosi per controllare che non rischiassi un attacco d'asma. Annuii. «Volevo solo dirti che sei stata davvero brava, in tutto. Dal tenere testa a Sophia, al sembrare così pura...»per un attimo smise di parlare. I suoi occhi si scontrarono con i miei facendo fermare il tempo intorno a noi. «Mia madre ci ha persino fatto gli auguri. Non so come avrei fatto senza di te... davvero, grazie.»Sorrisi imbarazzata per poi mirare verso le mie scarpe.
«Ti stai rammollendo, O'Brien. A questo punto mi sarei aspettata una tua qualche frase acida su come non dovessi farmi illusioni e che saresti stato tu a lasciare me nella nostra finta relazione. Perdi colpi o avere Sophia vicino ti ha fatto capire che dovresti essere più dolce e meno stronzo?»scherzai su. Credevo davvero avrebbe detto una cattiveria prima o poi. Era fatto così: ogni qual volta ci capivamo, lui poi mandava tutto all'aria. Era proprio quello che mi costringeva a reputarlo solo per il ragazzo scostante e arrogante che era.
Con la coda dell'occhio notai come la mia frase gli fece cambiare radicalmente espressione. Si grattò la nuca allontanandosi da me, mentre io mi esponevo pronta a ricevere qualsiasi colpo. Era solo questione di tempo.
«Hai ragione! È finita Peterson, non farti strane idee, sono un vero playboy, non posso permettermi il lusso di avere una fidanzata, la mia reputazione ne risentirebbe.»Lo sapevo.
«Dovevi pensarci prima di chiedermi la mano davanti a metà corpo studentesco, mi sa che te la sei bruciata, la tua reputazione»ribattei inacidita. Lui boccheggiò. A distanza di giorni si era finalmente reso conto della stronzata colossale che aveva fatto.
Saremmo ritornati alla normalità. Forse.
Nathan giunse davanti l'ingresso alla guida dell'Audi. Mi alzai con un balzo richiamando sull'attenti Dylan, ancora incredulo del mio avere ragione.
«Solo per la cronaca. Sto avanti io»urlai correndo verso l'auto con dentro il mio migliore amico. Almeno quella volta, avrei vinto io.
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