21. Rabbia repressa e Barcellona
♫ 5 Seconds of Summer - Old me ♫
Nonostante le immagini di Margot e Nathan rimasero impresse sulla mia retina per un tempo indefinito, la serata era trascorsa spensierata. Mi ero la lasciata andare, trovando il divertimento tra un ballo in compagnia e i drink a basso costo.
Stavamo celebrando la festa pagana che più di tutte permetteva di farci evolvere. In meglio, in peggio, con maschere e corsetti. Il trentuno di ottobre ognuno si sentiva più libero di dare sfogo al vero sé.
Eppure, tra tutti, colui che credevo avrebbe ceduto per primo alla tentazione del cambiamento, si era dimostrato essere restio a esso. Dylan permaneva nel suo stato di quiete circondato dall'alone di menefreghismo e infantilità che caratterizzava il suo normale vivere.
«Ragazze,» sentenziò Dylan «Vi accompagnerò io a casa. Nessuna di voi è in grado di guidare.» Si passò la lingua sulle labbra scuotendo il capo. «Andiamocene da qui per lasciare un po' di intimità a quei due» terminò puntando Margot e Nathan stretti in baci appassionati.
Sembrava tutto così surreale. Ero io l'adulta capace e diligente, non lui! Quando si erano invertiti i nostri ruoli? Era serio e fin troppo maturo. Eravamo sicuri fosse proprio lui?
Nathan si destò solo quando il freddo pungente di Los Angeles gli lambì il volto. Afferrò Margot per la vita, dispensando paroline dolci su come ci avrebbe pensato lui alla bella mora. Sul suo viso non vi era più traccia della magnifica maschera disegnata con il cerone bianco e, dopo pochi attimi, si rigettò sulle labbra di lei con rinnovata foga.
«Sentito gente? Aggrappatevi tutte saldamente a zio Dylan, mentre ci dirigiamo all'esterno, se non volete volare per terra!» scherzò allargando le braccia sostenendo Emma e reggendo Cassidy.
«Io non sono u-ubriaca!» protestò la bionda singhiozzando. Si reggeva a stento, mentre le gambe traballanti provavano a trovare il loro precario equilibrio.
«Certo, hai ragione, ma rimani lo stesso attaccata a me. Lilian, invece, tu aspettami qui» mi ordinò. Feci il saluto militare per poi ruotare il capo con un secco colpo: la stanza si era capovolta?
Quando Dylan tornò, mi allungò una mano come appiglio.
«Sto benissimo, non ho bisogno di te» ero stizzita. Me l'ero cavata in svariate occasioni con le mie sole forze. Eppure, dopo un paio di passi, iniziai a barcollare pericolosamente all'indietro. Caddi tra le braccia di Dylan, il quale non aveva smesso di starmi alle calcagna, nonostante gli avessi espressamente detto il contrario. Mi sorresse tenendo ben salde le sue mani intorno la mia vita. Il ragazzo se la rise sotto i baffi.
«Forza Peterson, ci sei quasi» mi incitò. Gli afferrai la mano come per allontanarlo, ma la cedevolezza delle mie gambe mi fecero subito cambiare idea. Mi ritrovai mio malgrado a poggiare il capo sul suo petto, arresa a quel crudele destino.
«Non farti strane idee...» pronunciai con tono poco sobrio. Potevo avvertire i suoi muscoli tendersi e accompagnarmi a ogni passo. L'incessante battito del suo cuore scandiva la vicinanza assoluta dei nostri corpi.
«Non sono io colui che non deve farsele, non credi?» rispose lui accennando un sorriso fastidioso. Levai lo sguardo afferrandogli il volto con una mano e premendo le mie dita contro le sue guance.
«Non sono abbastanza, per te? Sono così terribile come persona?» chiesi retoricamente, arrabbiata. In quel momento lo avevo preso come un affronto personale. Da quella posizione le sue labbra erano più che in bella vista e rimasi imbambolata a fissare la linea dura della sua mandibola. Dylan si dimenò dalla mia presa per poter interloquire.
Non ricercavo nulla da quello scontro, se non sfogare il mio malcontento. Tutti coloro che mi circondavano sembravano essere felici delle proprie scelte amorose e di vita, mentre... io?
«E poi sarei io quello molesto!» esordì Dylan scuotendo il capo.
Lo rimbeccai dandogli un pugnetto all'altezza dello stomaco.
«Lilian, non fraintendermi. Ne abbiamo già parlato. Sto semplicemente rispettando il tuo volere. Sei una delle persone migliori che io abbia mai incontrato. Sei pura, intelligente, innocente e a volte un po' troppo ingenua. Ti ho promesso di non fare alcun passo senza che tu lo volessi. E ora come ora non sei abbastanza lucida da prendere decisioni. Prova a parlarmene da sobria e vedrai come non mi tiro indietro! Da ubriaca sei ancora più petulante» fece eco a miei dilemmi, mentre mi accomodavo nel maggiolino. Richiusa la portiera mi appoggiai con la fronte sul freddo vetro del finestrino anteriore, abbassai le palpebre perché le luci erano troppo intense.
«Mi scoppia la testa» ammisi trascinando le vocali più del voluto. Volevo ritornare a casa.
«È normale, dopo tutti quei drink. Ci vai giù pesantino, non lo avrei mai detto. Una vera e propria sorpresa» mi derise il moro alla guida dell'automobile di Emma.
Il percorso durò una ventina di minuti. Accompagnammo prima Cassidy. Successivamente, Dylan parcheggiò di fronte al portone del nostro appartamento. Avevo ripreso parte delle mie facoltà mentali durante quel breve tragitto, merito delle bottigliette d'acqua nel cruscotto e dell'aria fresca del mattino. Le prime luci dell'alba erano già ben visibili oltre lo skyline di Los Angeles: il mondo sembrava essersi tinto d'oro.
Scendemmo dalla vettura e, con molta calma, raggiungemmo la porta di casa grazie all'aiuto di Dylan. Dopo essersi assicurato che fosse tutto in ordine, mi sganciò il mazzo di chiavi del maggiolino, mentre cercavo di aprire la porta di casa. Emma si fiondò in camera sua, strisciando contro il muro, non appena era stato possibile.
«Grazie, Dyl» sussurrai non accorgendomi del nomignolo che gli avevo appena affibbiato. Me ne sarei vergognata in seguito. Arrossii quando lui ancora sul pianerottolo mi sorrise grato.
«Di nulla, è stato un piacere. Buonanotte, Lil» rispose a tono sfoggiando uno splendido sorriso. Osservai le chiavi dell'automobile nella mia mano prima di richiudere la porta d'ingresso, bloccandomi.
«Aspetta!» urlai. Il ragazzo si congelò sul posto con sguardo preoccupato.
«Che succede? Va tutto bene?» chiese, gentilmente, risalendo la scalinata e scrutando i miei occhi. Probabilmente era l'alcool a parlare ancora.
«Resta a dormire qui. Fuori fa freddo e sei a piedi, ci metterai una vita e non voglio che tu stia male» proposi scostandomi di lato per farlo passare, mi morsi l'interno guancia.
«Sei sicura?» chiese inducendo più del dovuto sulla mia figura.
«Non te lo ripeterò una seconda volta» scherzai voltandogli le spalle e dirigendomi a tentoni verso la mia camera. Mi afferrò per la vita prima che potessi cadere ancora una volta, salvandomi dalla mia mal destrezza. Lo avvertii ridere.
«Grazie» sussurrai cauta facendomi accompagnare fin sulla soglia della camera. Afferrai la maniglia per sostenermi, mentre gli indicavo dove avrebbe potuto trovare una coperta e un cuscino.
«Se hai bisogno di aiuto potrei anche fare altro,» tentò uscendo dalla stanza con in mano il necessario per sopravvivere alla nottata. «Potrei aiutarti a sbottonare quel vestito» continuò sornione. Roteai gli occhi al cielo. Neanche tutti i drink del mondo mi avrebbero convinto ad abbassare così tanto la guardia con lui.
«Buonanotte, Dyl» pronunciai severamente richiudendogli la porta in faccia. Mi buttai sul letto senza badare all'enorme arco che avrebbe dormito con me, cullandomi della melodia delle risate che aveva riempito la casa.
***
Mi svegliai che il sole era alto oltre l'orizzonte. La testa martellava e, quando scorsi la mia figura allo specchio, per poco non urlai. Trucco sbavato, capelli rovinati e annodati erano alcune delle tante cose che non andavano per nulla bene. Il pizzo era stropicciato e strappato, mente l'arco si era spezzato in due sotto il mio peso. Avevo necessariamente bisogno di una doccia e di una buona scusa da profilare a Emma. Acciuffai la biancheria di ricambio, buttandomi verso il bagno.
Fu in quel momento, sulla soglia, che mi ricordai di Dylan. Sporsi la testa oltre la porta solo per scorgere la sua presenza. Della mia coinquilina non c'era traccia, né rumore, mentre un paio di calze grigie spuntavano ai piedi del divanetto centrale. Un rantolo mi fece intuire che lui stesse ancora dormendo: era il mio segnale di "via libera". In bagno chiusi la porta a chiave dietro di me per evitare incidenti.
Mi lavai sotto il getto dell'acqua calda. Era proprio ciò di cui avevo bisogno per riprendermi. Ma, mentre ero intenta a ricomporre i tasselli della serata precedente, venni interrotta da delle urla. Maschili e molto vivide.
Chiusi il getto d'acqua e gocciolante afferrai un accappatoio avvolgendomelo intorno. Corsi in salotto non curante dei capelli bagnati che grondanti formavano una scia al mio passaggio. Pensai subito che fosse accaduto qualcosa di grave.
Eppure, Dylan stava ancora dormendo. Disteso e disperato teneva i pugni serrati al petto, mentre una smorfia di dolore gli adornava il volto. Riprese a urlare, come e più di prima, pronunciando uno dei suoni più grevi e strazianti che avessi mai udito nella mia breve vita.
Non sapevo che fare. Provai a destarlo, smuovendolo, sperando di aver fatto la scelta giusta. Ma quando aprì gli occhi, capii che forse non lo era stata. Dylan respirava affannosamente e di scatto si alzò con il busto. Non sembrava più il ragazzo di qualche ora prima: era spaventato, triste e sofferente.
«Che succede? Dylan come ti senti? Ti ho svegliato, mi dispiace... io-» cercai di giustificarmi. Mi ero inginocchiata lasciando così che gocce copiose cadessero verso il basso, lambendo non solo il mio volto ma anche le sue mani che avevo stretto nella speranza di tranquillizzarlo.
Si accorse solo allora della mia presenza. Come se il mio tocco gli desse fastidio, più che riparo. Retrassi le dita rimanendo per terra a contatto con il freddo legno. Dylan mi squadrò da capo a piedi, dapprima molto confuso, montando di rabbia con il passar dei secondi.
Abbassò le palpebre riprendendo a respirare molto più lentamente, cercando di incamerare quanto più ossigeno possibile con ogni atto. Quando riaprì gli occhi, notai come le iridi nocciola vennero sostituite da un velo di oscurità. Leggevo il vuoto dentro di esse.
Mi bloccai a mezz'aria incapace di promuovere i miei buoni propositi. In quello stato non sapevo di cosa fosse capace.
Mi squadrò per una seconda volta, accigliato. Non c'era più sentore di paura: aveva la consapevolezza di essere ritornato alla realtà, molto più oscura e terribile di qualsiasi incubo.
Afferrò le sue Adidas a strisce verdi, indossandole senza fiatare.
«Devo andare, grazie per l'ospitalità» telegrafò dirigendosi verso la porta con ampie falcate.
«Aspetta, lascia almeno che ti accompagni, mi metto dei vestiti e...» proposi afferrandogli un polso. Scattò sul posto facendomi balzare all'indietro. Sembrò notare come il suo atteggiamento mi stava inquietando, così raddolcì il suo volto. Non voleva farmi quell'effetto.
«Scusami, ma preferisco camminare un po'. Grazie per l'ospitalità» concluse sparendo dietro la porta e chiudendola con un sordido suono. Rimasi ferma lì, inebetita. Mi spostai verso la finestra del salotto giusto in tempo per intravedere Dylan camminare a passo svelto in direzione di casa sua. Aveva i pugni serrati e l'irrequietezza nell'andatura.
Dylan era rabbioso e dilaniato. Solo a causa di un sogno.
***
«Quindi mi stai dicendo che li hai beccati in bagno? Amico, questa cosa è esilarante!» stavo giusto raccontando a Matt della mia esperienza traumatizzante. Avevo menzionato, ovviamente, lo psicologo nel pacchetto "Nathan e Margot al Rito Lab". Anche se avevo omesso tutto ciò che era accaduto con Dylan.
«Non potevo sapere che sarebbe arrivata e che ci avrebbe colti in flagrante, è stato un incidente!» si giustificò scrollando le spalle. Eravamo in classe da una decina di minuti e chiacchieravamo in attesa di Wilde. Tutto era partito da una semplice domanda di cortesia. "Come stai?" mi aveva chiesto Matt. In quel momento, con Nathan affianco, potevo raccontare solo una cosa. Non riuscii a frenare la lingua e, come un fiume in piena, sputai il rospo.
«Non m'interessa, avresti potuto aspettare di riaccompagnarla a casa!» risposi puntandogli il dito contro al petto. Lui si coprì il viso con le mani.
«Abbiamo finito di mettermi in ridicolo? Ti ricordo che dovrebbe essere una bella cosa che il tuo amico sia stato ricambiato, non credi?» propose con tono sommesso.
«Proprio perché sei mio amico, come minimo, ho il diritto di sfotterti a vita con questo aneddoto» conclusi.
«Felice di essere stato il primo a cui tu lo abbia raccontato e ricordami di non fare mai brutte figure in tua presenza» controbatté Matt seduto alla mia sinistra.
«Va bene! Perfetto, ora per favore parliamo di altro!» Nathan era ormai stanco di quel discorso. Qualsiasi altro ragazzo avrebbe spiattellato ai quattro venti le proprie imprese per il semplice gusto di mostrarsi più mascolino. Ma lui no. Era timido e forse ero stata un po' cattiva nei suoi confronti.
«Tipo della vacanza che mi devi?» Matt tirò in ballo la scommessa spiegazzando un foglietto davanti ai nostri occhi.
«Oh, la nostra vacanza, ricordi?» Nathan annuì disperato. Acciuffò il biglietto che l'amico gli porse, iniziando a vagare con lo sguardo tra le righe.
«Che cosa è?» domandai incuriosita.
«La lista delle località che vorrei visitare» rispose Matt compiaciuto.
«Io voglio andare a Barcellona!» Puntai l'indice sulla scritta corrispondente.
«E io che pensavo volessi partire per qualche meta romantica. Parigi era il tuo sogno da bambina» si prese gioco di me il più vecchio tra i due.
«Con chi dovrei andarci nella meta romantica dato che sono single? Vada per l'Europa più caliente. Poi non dimenticarti che sono una grande fan di Dalì.»
«Il suo ragionamento non fa una piega. In ogni caso, a me andrebbe bene qualsiasi destinazione» concordò Matt. Ci scambiammo un bel cinque d'intesa.
Lasciai che i due ragazzi discutessero a riguardo. Per un momento, credetti che fosse tutto quanto perfetto.
♣♣♣♣♣
Ciao a tutti cari Cursed! Come state? Spero bene! Le vicende dei nostri amici si fanno sempre più complicate e piccoli pezzi del puzzle vengono aggiunti capitolo dopo capitolo. Dylan, Dylan, cosa ci combini! E Amanda, tutto questo coraggio lo trova solo da ubriaca?!
Come vi immaginate la vacanza dei nostri ragazzi? In qualche resort sulle coste del Mediterraneo o nella splendida e romantica Paris? Voi cosa scegliereste?
Un bacio, dalla vostra Red Witch,
Haineli ♥
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top