13. Segno del destino
♫ BTS ft. Nicki Minaj - Idol ♫
Dylan era stato puntuale.
A parte i saluti di cortesia, non ci scambiammo tante parole. Ero più concentrata sui miei capelli che svolazzavano di qua e di là per colpa del finestrino completamente abbassato, piuttosto che commentare il suo pessimo comportamento. Non volevo alimentare il suo ego ripetendogli sempre le stesse cose.
Quando giungemmo a destinazione afferrai il mazzo di chiavi dello studio del signor Lynch dal cruscotto e mi portai avanti verso il terzo piano senza neanche aspettarlo. Quando Dylan mi raggiunse dentro la stanza chiuse la porta alle sue spalle sedendosi al mio fianco, su uno dei divani in pelle che avevamo riportato alla luce.
Lo guardai torva e annoiata, spostandomi di qualche centimetro nello stesso momento in cui il peso di Dylan abbassava il rivestimento del sofà.
«Ci sono tantissimi altri posti» commentai stizzita.
«Ma io voglio stare qui» allungò le braccia dietro la nuca poggiando una gamba sul ginocchio opposto. Stava superando più della metà del cuscino bordeaux, oltre che il limite della mia pazienza. Sbruffai dandomi lo slancio per potermi alzare. Il mio movimento fu interrotto, però, dalla presa salda di Dylan sul mio polso, che come una molla mi fece atterrare nuovamente sul divano con poca grazia.
«Io non voglio rimanere, invece!» strillai. Avevo dentro di me tanta di quella rabbia, come se alla fine il problema fosse solo lui, la colpa di tutto e dovevo manifestarla in qualche modo altrimenti sarei scoppiata. Lui abbassò lo sguardo allentando così la morsa delle sue dita.
Si incupì immediatamente, poiché avevo pronunciato le uniche parole che, forse, non avrei mai dovuto. Resami conto, cercai di ritrovare la calma sospirando e rimettendomi a sedere incrociando le braccia sotto il seno.
«Non volevi andare via?» mi domandò atono, mentre fissava il pavimento di granito.
«Ho cambiato idea» risposi sporgendomi verso il bracciolo e dandogli le spalle. Dentro di me sapevo che erano sentimenti negativi immotivati e ingiusti nei suoi confronti, ma lui non faceva che alimentare il mio fastidio con i suoi modi di fare, i suoi sguardi o le sue parole. Ero combattuta.
«Perché eri nervosa questa mattina?» Dopo qualche minuto di silenzio, nel corso dei quali non avevamo mosso un muscolo, la sua voce proruppe limpida ed esitante più che mai. Non osava guardarmi negli occhi, preferendo concentrarsi sulle sue stesse dita intrecciate. Sporse solamente il busto in avanti appoggiando i gomiti sulle sue gambe.
«Te l'ho detto» ribattei insicura di renderlo partecipe dei miei veri pensieri. Non avrebbe prestato attenzione.
«No, tu mi hai solo dato la colpa di qualcosa che ti fa arrabbiare. Hai evitato di rispondere a quella domanda proprio perché io ero lì presente: io voglio sapere quello che non vuoi dirmi.» Rimasi interdetta. Deglutii. Mi spostai da quel divano, che sembrava più scomodo ogni secondo che passava. Alla fine lui levò i suoi occhi nocciola verso i miei, bruciandomi dentro. Aveva ascoltato davvero.
«Ti interessa saperlo o è solo un modo per passare il tempo?» indagai il vero motivo di quella domanda. Sapevo che mi sarei fidata delle sue parole: ero la perfetta incarnazione dell'ingenuità. Credevo nell'amore, credevo nelle persone e che ci fosse del buono in tutti. E in quel momento capii che probabilmente era stata proprio la mia indole protettiva a indurmi a conversare con lui la prima volta sulla spiaggia e che mi costringeva ogni giorno a cercare un modo per riuscire a "salvare" Dylan da qualsiasi cosa lui celasse nel suo animo.
«Per quanto tu possa essere una santarellina, Lilian, m'interessa sapere se sei nei guai o se hai dei problemi.» A quelle parole arrestai il mio incessante movimento soffermandomi a mirare il suo volto per poter incastrare i suoi occhi, che continuavano a bruciare, con i miei. Sorrisi un po' amaramente. Mi reputava tale anche da sobrio?
«Richard, il ragazzo con cui andavi a scuola insieme...» a quelle parole notai il suo irrigidirsi, «mi ha confessato un po' di cose in questi giorni.»
«Cosa?» domandò prontamente. Per un attimo pensai che un lampo di paura avesse attraversato il suo volto. Si irrigidì.
«Mi ha detto che non sei una brava persona» iniziai. Mosse il capo altrove armeggiando con le sue stesse mani per trovare la calma che lo aveva da sempre contraddistinto. «Ma questo lo avevo già intuito. Credimi se ti dico che per quanto voglia non cambierò idea su ciò che penso di te.» Al suono di quelle parole sembrò rilassarsi tornando a respirare. Mi domandai di cosa avesse paura. Era forse ciò che Richard che avrebbe potuto rivelarmi ad aver mosso il suo interesse per rovinare il nostro appuntamento?
«Mi ha mollata dicendo che cercava solamente qualcuno con cui spassarsela. Ci sono rimasta male come una ragazzina e mi domando se non sia stato per colpa tua, in parte. Perciò sì. Sono arrabbiata con te perché magari adesso potrei essere un po' più felice. Forse si sarebbe reso conto che c'è dell'altro di bello nel mondo e magari non avrebbe passato la serata solo a odiarti, ma si sarebbe concentrato su di me e io adesso...» mi fermai di colpo perché quelle parole erano uscite con rabbia, non volevo continuare, non era giusto.
Tutto ciò che avevo dentro era sgorgato fuori come un fiume in piena. Avevo alzato la voce, avevo iniziato a gesticolare e a puntargli il dito contro. Gli stavo addossando la colpa e inconsciamente le parole ero venute a galla, liberatorie. Ma non potevo continuare, me ne sarei pentita. Così mi ritrassi in una posizione di difesa.
«Mi odi» proferì in un sussurro come se avesse voluto terminare il mio sfogo personale. Rimasi immobile a fissarlo come lui stava facendo con me. «Lo posso capire. Mi dispiace per Richard, mi dispiace per tutto. Sono fatto così, allontano le persone e me lo merito. Scusa per tutto il disagio che ti ho arrecato da quando ci siamo conosciuti. Ma se le mie parole possano ancora valere qualcosa sappi che non ho sabotato il tuo appuntamento per vederti soffrire.»
Dylan si stava... scusando? Sorrisi mentalmente perché improvvisamente la rabbia e il nervosismo che provavo nei suoi confronti si dissolsero. Forse quello che cercavo, il segno del destino o come lo avevo rinominato, era arrivato. Quella volta fui io a fermare la sua corsa bloccandogli il polso.
«Non andare. Aspetta. Resta.» Non ci fu bisogno di aggiungere altre parole, non servivano.
Quando mi fissò per capire le mie motivazioni l'unica cosa che riuscii a fare fu stringere la presa un po' di più. In un modo un po' contorno e malato stavo iniziando ad affezionarmi a lui, alle sue battute e alle sue stranezze. Nonostante fossi perennemente arrabbiata avevo la consapevolezza che nell'esatto momento in cui se ne fosse andato, io avrei avvertito la sua mancanza.
«Vuol dire che mi credi?» domandò confuso, mentre la mia presa veniva meno.
«Vuol dire che credo che tu non abbia bisogno di fuggire via da nessuno. Gli amici dovrebbero essere capaci di sopportarsi a vicenda e a sorreggersi, se necessario. Sapevo fin dal primo momento che sarebbe stato difficile con te, ma non mi arrendo. Non farlo tu. Perciò spiegami... sono qui.» Dylan ruotò il capo massaggiandosi il collo, sollevato e allo stesso tempo impaurito.
«È uno... è uno di quei momenti bui. Mi dispiace. Io non ce la faccio...» Le parole rimasero sospese. C'era qualcosa di non detto che riempiva più vuoti del necessario. Probabilmente era tutto collegato o magari era solo frutto della mia immaginazione, ma quell'oscurità pareva tanto della paura tramutata in solitudine.
«C'è uno sgabuzzino da sistemare, vieni con me?» mi alzai interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Lasciai che i suoi occhi vagassero sulla mia figura, mentre una mia mano si allungava verso di lui. Ero sollevata dal fatto che fosse stato sincero. Non lo avrei costretto a parlare qualora non fosse stato pronto.
Il moro la afferrò dubbioso, incredulo della mia buona fede. Strinsi le mie dita intorno al suo dorso per infondergli coraggio.
Poco dopo fu la sua mano a intrecciarsi con la mia.
***
Quella mattina mi ripetei più volte che ce l'avrei fatta. Senza paura, né emozioni che avrebbero potuto distrarmi. Era diventato il mio mantra.
La sfilata si sarebbe svolta il venerdì sera, giorno successivo. Emma ed Eric avevano lavorato sodo al progetto e io volevo sostenerli il più possibile.
Intravidi Cassidy alle macchinette, intenta a prendere un caffè bollente.
«Verrai alla sfilata di domani, Cassy?» domandai dopo un po' che soffiava sul liquido amarognolo.
«Certo che sì, non aspetto altro. Poi Emma mi ha promesso qualche vestito.» Annuì soddisfatta.
«Sai se verrà anche Dylan? Nathan mi aveva detto di sì, ma forse ha cambiato idea e non ho voluto insistere» indagai con un'improvvisa e immotivata ondata d'interesse. Mi appoggiai al muro aspettando che la mia amica finisse in due lunghi sorsi tutto il caffè per poi gettare il bicchiere nell'apposito raccoglitore.
«Non saprei. Ultimamente è più strano del solito» ammise sovrappensiero. La brunetta notò lo stupore nel mio sguardo. «Sento che c'è qualcosa che non va. Come se fosse più... distante.» Il tono di voce le si era abbassato di qualche ottava, così come il suo sguardo mentre ci incamminavamo al secondo piano per poter seguire la lezione di Lynch.
«Mi sembrava ci fosse qualcosa tra voi.» Gli avevo visti più volte insieme. Possibile che Dylan la stesse prendendo in giro?
«È complicato» sussurrò affrettando il passo. Rimasi interdetta. Che voleva dire "complicato"? Non doveva esistere quella parola in una storia d'amore. Niente era più semplice che amarsi.
«Cassy, ti ha fatto soffrire?» accorsi al suo fianco per cercare di starle dietro. La mia domanda era risultata piuttosto minacciosa.
«In realtà, il contrario. Non ha mai fatto niente. Si è comportato sempre molto bene. Mi sorride e mi chiede come sto, ma tutto qui. Io pensavo di piacergli, ma non ne sono più tanto sicura» ammise la mia dolce amica. Non potei fare a meno di notare una vena di malinconia nel tono della sua voce. La abbracciai d'istinto, come soleva fare una madre nei confronti dei proprio piccoli.
«Cassy, credimi non sei l'unica a soffrire per amore» confessai allentando la presa per poter guardarla negli occhi.
«Che cosa mi sono persa?» chiese sbattendo le sue lunghe ciglia più volte. Era piccolina e indifesa, ma un po' di sano gossip tra ragazze avrebbe solo fatto bene in quel momento.
«Richard mi ha dato il ben servito, mentre tra Eric ed Emma... pare che sia finita tra di loro» risposi scrollando le spalle. Quella notizia sconvolse Cassidy, più di quanto aveva scosso me.
«Co-cosa? Non che non mi dispiaccia per te, ma come è possibile che quei due si siano lasciati?» balbettò. Potevo capirla. Eric ormai era considerato una specie di punto fisso. Io in primis avevo creduto che Emma ne fosse cotta. Era il suo lui, non c'erano stati altri e in tutti quegli anni Cassidy aveva sentito pronunciare solo il suo nome dalle labbra di Emma. Mai nessun altro.
La mia migliore amica mi aveva confidato quel triste risvolto al mattino. Mi aveva confessato che dopo avermi consolato dalle mie pene d'amore i due avevano concordato di prendere le distanze per poter riuscire a costruire qualcosa di solido con altre persone, ma che avevano preferito non dirmelo subito per non farmi sentire colpevole. Non era giusto nei loro confronti essere intrappolati in quella relazione che sapevano entrambi di non poter condurre a un livello superiore. Era arrivato il momento anche per loro di trovare l'amore.
Forse a furia di parlarne io stessa, in qualche modo li avevo influenzati.
«Tecnicamente non stavamo insieme,» puntualizzai «ma sì. È successo, purtroppo.» sospirai impensierita.
«Cosa è successo?» fece capolino tra di noi la testa di Dylan. Per lo spavento balzai di lato.
«Mi hai fatto prendere un colpo» commentai a denti stretti ponendo una mano sul cuore e respirando affannosamente.
«Scusami, Lilian. Fai tanto la dura e poi...» mi canzonò quell'ultimo. Rise spavaldo ponendo un braccio intorno le spalle di Cassidy. Lei sembrò allietarsi. Gli occhi le luccicavano guardandolo trasognante. Ci credeva sul serio.
«Due nostri amici hanno smesso di frequentarsi, anche se non erano fidanzati» commentai in parole semplici.
«Li conosco?» incalzò Dylan infilando la mano libera in tasca e camminando nella nostra stessa direzione. Sentii un risolino di Cassidy.
«Lei è Emma, lui è Eric che in teoria hai già incontrato... ma che a tutti gli effetti ti presenterò domani» risposi, mentre con lo sguardo cercavo tra i ragazzi uno in particolare. Capelli color miele e occhi azzurri, non doveva essere difficile. Mi morsi il labbro più volte aguzzando la vista cercando particolari che potessero ricondurmi a lui in ogni studente. Alla fine lo inquadrai.
«Domani?» ripropose Dylan sorpreso. Confidai nel fatto che Cassidy gli avrebbe spiegato tutto per filo e per segno. Li liquidai per potermi avvicinare a Richard. Non era solo, c'erano anche Stephan, Greg e Steve. Meglio, così li avrei invitati tutti.
«Ragazzi, scusate se vi disturbo» iniziai venendo puntata dagli occhi dei presenti. Greg, il gemello senza occhiali, mi rivolse un occhiolino e un sorriso che avrebbe conquistato qualsiasi ragazza con un QI pari o inferiore ai settanta. Provai a ignorarlo concentrandomi sugli altri tre. Richard si sorprese, come se non si aspettasse che mi presentassi nuovamente al suo cospetto dopo ciò che ci eravamo detti. Forse mi reputava una stupida ragazzina, ma non mi importava in quel momento. Quello più felice e sincero sembrò Stephan.
«Sono qui per invitarvi alla sfilata di domani di cui si sta occupando Emma, mi ha chiesto personalmente di dirvelo» esposi il mio messaggio aspettando una risposta che tardò ad arrivare.
«Sei sicura?» chiese Richard con un cipiglio sul volto. Sembrava divertito.
«Siamo amici, giusto?» domandai con una strana forza che mi smuoveva dentro. Accompagnata da una smorfia.
«La ragazzina sa il fatto suo» lo canzonò Steve mettendo una mano davanti alla bocca per non farsi sentire, tentativo fallito miseramente.
«Finiscila, cretino» lo schernì Stephan dandogli un colpo alla nuca. «Ci saremo.»
Gli comunicai le indicazioni di cui avrebbero avuto bisogno per raggiungerci, prima di fare un passo indietro. Ero finalmente più serena e averlo vicino non mi aveva fatto quasi alcun effetto.
Salutai il gruppo con un cenno della mano varcando la soglia dell'aula di Economia, avvertendo una strana sensazione addosso. Mi sentivo osservata.
Non mi stupii quando incrociai gli occhi scuri di Dylan. Da dove era doveva aver ascoltato tutto: appoggiato al muro con le braccia conserte, un piede che toccava l'intonato bianco su cui faceva leva il peso corporeo e lo sguardo fisso verso la porta.
Mi stupii come il suo volto si fosse aperto in una smorfia insolita.
Era deluso.
Scosse la testa dandosi lo slancio necessario per potersi incamminare in direzione di Cassidy. Si mise a sedere dopo averle lasciato un bacio sulla guancia, facendo sì che i suoi occhi luccicassero per la contentezza.
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