107. Memories
N.B. E' l'ultimo capitolo del libro, ma non disperate, ci sarà un epilogo. Vi auguro buona lettura e grazie a tutti di essere stati con me fino a questo punto! ♥
♫ Phoenix ♫
Era passato un mese da quando il processo di Richard si era concluso sentenziandone la galera a vita. Le prove schiaccianti e le testimonianze erano state centrali e inconfutabili. Nessuna giuria avrebbe potuto ammettere il contrario. Era durato per ben due settimane, talmente tanti erano i capi d'imputazione, facendo di fatto scatenare l'opinione pubblica. Era pur sempre il figlio di una delle famiglie più altolocate dello Stato e nessuno di noi si era risparmiato per avere una giusta sentenza.
Seguendo l'esempio di Emma e di Witney, altre dodici ragazze si erano fatte avanti. Anime a cui era stata fatta giustizia e che avrebbero potuto convivere in pace, ma troppe erano ancora coloro rimaste nell'ombra per la paura di portare a galla spiacevoli ricordi.
Venni convocata anch'io al banco dei testimoni e, dopo aver giurato sulla Bibbia che avrei pronunciato la verità e nient'altro che la verità, raccontai gli orrori che mi avevano portato a essere la sua ultima vittima. Ma a poco serviva parlare, i segni violacei premevano ancora sulla mia carne quasi quanto le sue mani avevano fatto.
Seguirono Dylan e Kobe nei giorni successivi. E nonostante la difesa provò a far ricadere parte delle colpe su loro due, il video amatoriale sciolse qualsiasi dubbio sul reale coinvolgimento di Richard nell'omicidio di Lydia Martins.
Kobe non sarebbe stato perseguito dalla giustizia così come neanche i due gemelli Steve e Greg, i quali testimoniarono contro Richard pur di non trascorrere tre anni in prigione per favoreggiamento. Sarebbero tornati alle loro vite in università con l'anno accademico successivo come se nulla fosse, lasciandosi quegli avvenimenti alle spalle.
Centrale fu anche il coinvolgimento di Stephan, il primo ad aver avuto il coraggio di fare la cosa giusta e senza il quale niente di tutto ciò sarebbe stato possibile.
E così si era ufficialmente concluso il capitolo più triste e logorante delle nostre vite: tredici voti a favore e zero contro per ogni singolo capo d'imputazione.
I fratelli Bensor dopo il processo decisero di far ritorno a Stanford. Kobe aveva trovato il coraggio di affrontare i genitori di Dylan, i quali avevano consigliato un cambio di sede. Witney aveva ottenuto una borsa di studio per continuare a studiare legge, mentre a George era stato offerto un ruolo da stagista con Sophia come suo capo ad interim.
Al seguito del matrimonio di Hyna, la ragazza che mi aveva provocata così tante volte aveva compreso di aver utilizzato tutte le sue energie per seguire delle fantasie più che i suoi veri sogni. Perciò aveva chiesto un periodo di aspettativa che sarebbe iniziato a ridosso delle vacanze estive. Avrebbe viaggiato per l'Europa alla ricerca di risposte. Magari si sarebbe innamorata, magari avrebbe reso la vita impossibile a qualcun altro. A quel punto spettava solo a lei decidere.
Ma la parte più difficile di tutte era stato affrontare i miei genitori. Non avevo confidato loro una singola cosa, venendo a conoscenza del processo tramite i media. Non avrei voluto farli spaventare, eppure, mi pentii di non essere riuscita ad alzare la cornetta il giorno dopo l'aggressione. Avrebbe fatto meno male sentirli piangere. Di una cosa, però, erano a conoscenza e ne erano felici: non avevo affrontato tutto quel dolore da sola.
Becca dopo avermi rimproverata non fece altro che punzecchiarmi con argute battute, ribadendo quanto lei avesse sempre avuto ragione per tutto quel tempo su me e Dylan. Non potei che darle ragione, lei ci aveva visto più lungo di tutti ed io l'avevo ignorata additandola a pazza... perché avevo paura. Al contrario, Trevor, sembrava non averne di niente: mi aveva raccontato Becca che si era dichiarato a una bambina del suo corso di matematica donandole metà del suo panino, chissà se sarebbe scattata la scintilla o se sarebbero diventati migliori amici come era stato per me e Nathan.
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi ospitava a casa sua da un tempo indefinito. Non sapevo più neanche dire da quanti giorni vivessi sotto il suo stesso tetto a contatto con il corpo di Dylan. Stesso discorso poteva essere fatto per Emma: non ci avevano mai lasciate.
E anche quel giorno eravamo stati insieme. Per poter fare ammenda alle piccole sbavature che avevano sbiadito la nostra vita, ma non i nostri sentimenti.
Avevamo il mondo in una mano, consci del fatto di avere tutto il tempo a nostra disposizione e una grande passione da reclamare. Niente sarebbe stato più bello, niente sarebbe valso più la pena se non di vivere, con lui, ogni istante che mi fosse stato possibile immaginare.
Dylan non faceva che scrutarmi con quei suoi occhi pieni di amore e felicità, facendomi imbarazzare puntualmente per tale sincerità di sentimenti.
«Ehi, sveglia» mi sussurrò quando dopo pranzo tra le sue braccia mi ero appisolata. Non avevo più incubi e avevo così ritrovato il piacere di dormire a qualsiasi ora del giorno. Le sue dita affusolate segnavano i tratti del mio volto stanco.
«Che succede, Dyl?» domandai strabuzzando gli occhi. Il moro si allungò per lasciarmi un casto bacio sulla punta del naso. Strizzai le palpebre per l'atto romantico. Mi faceva sentire come se fossi l'unica per lui. E lui era l'unico per me.
«Ho una sorpresa lasciata in sospeso, ricordi?» fece eco alle mie parole.
***
Dylan non si stava risparmiando. Esprimeva tutto ciò che il suo cuore bramava senza alcuna remora ed io non potei che esserne felice. Finalmente si era aperto lasciandosi invadere dai più puri sentimenti, non lo avrei bloccato neanche se ne avessi avuto potere. Perché era certo, Dyl era inarrestabile.
Non perdeva tempo nello stringermi, baciarmi e coccolarmi.
E quella sera volle fare lo stesso, viziarmi e vedermi sorridere felice.
"Mi hai cambiato la vita, adesso è il mio turno", ma non capiva che lo aveva già fatto. Venivo rapita ogni qualvolta mi guardava, innamorandomi di lui più di quante volte fosse umanamente concepibile.
Mi aprì la portiera per permettermi di salire a bordo della sua amata Jeep. Accettai la cortesia lasciandogli un bacio a fior di labbra quando si sedette al posto del conducente.
«Non credevo avrei avuto l'onore di viaggiare nella tua auto senza che ti venisse un attacco di panico» scherzai. Lui si mostrò del tutto sorpreso e preoccupato.
«Vuoi dire che non ti fa piacere essere qui?» mi domandò.
«Assolutamente no, io adoro essere qui. Anzi che dico, amo essere qui con te.» Lo confortai. Il moro scosse il capo decisamente più tranquillo. Mi afferrò la mano per poi lasciarci un piccolo bacio e ritornare con l'attenzione completamente alla guida.
«Lil... mi devi scusare. Io, in realtà, non lo so che sto facendo e ho paura di star sbagliando tutto. Credimi io sto cercando di fare il possibile per farti stare bene, non voglio che per causa mia tu possa scappare. Ti prego dimmelo se c'è qualcosa che non va perché sei la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita e non sopporterei l'idea di perderti poiché non sono stato capace di trattarti bene.» Il mio cuore si riempì di tanto amore e dolcezza che a parole era inspiegabile. Lui era così puro.
«Tu... tu sei sempre stato così stupido, Dyl...» commentai sorridendo e aggettandomi verso la sua direzione. Rimasi a fissarlo da dietro le mie lunghe ciglia per un po' notando come il suo sorriso si aprì in una smorfia di terrore.
«Stupido? Oddio, perché?! Che ho fatto? Non dovevo parlare, lo sapevo. Mannaggia alla mia boccaccia. Sto rovinando tutto. Okay, sto zitto.» Con il gesto del buttare via la chiave, si tappò la bocca. Aveva tutta l'aria di chi avrebbe fatto sul serio, ma non aveva capito a cosa mi riferissi.
«Sei stupido perché non lo capisci. Non capisci proprio quanto io ti ami. E forse lo sono stata ancor di più io per non aver compreso prima i miei sentimenti. Avevo paura, sai? Paura che tutti i nostri baci rubati fossero solo delle armi che avresti usato per spezzarmi il cuore. Credevo che non sarei mai stata ciò che avresti voluto.» Abbassai lo sguardo verso le mie braccia intrecciate tra loro. Sapevo che essere onesta con lui.
«Sono stato stupido. È vero. Credevo di sapere già tutto, ma in realtà non conoscevo proprio un bel niente. Pensavo che saresti stata meglio senza di me. Però non riuscivo a starti lontana. Avevo bisogno di te nella mia vita. Desideravo vederti felice tanto quanto tu rendevi felice me» mi confessò il moro con uno sguardo nostalgico. «Sei una forza della natura e hai un cuore immenso. Mi pento amaramente per tutte le volte che ti ho fatto soffrire, piangere e per tutte le volte che non sarò abbastanza. Sappi solo che capirò... semmai un giorno dovessi smettere di amarmi o se tu volessi la tua libertà, io lo saprei che sarà per il tuo stesso bene. Che io...» si morse un labbro malinconico. «che io non sia l'uomo giusto per te. Te ne ho fatte passare così tante. Ho usato scorciatoie, ti ho più volte allontanato, urlato cose orribili, mentito e fatto piangere. Sappi che sarò felice anche sapendoti tra le braccia di qualcun altro che saprà farlo sicuramente meglio di me.»
«Dylan...» sussurrai. Mi guadagnai un suo sospiro, sembrava più tranquillo dopo avermi rivelato quel suo pensiero.
«Ci tenevo solo a fartelo presente. Questo, però, non significa che io non mi batterò per il tuo cuore. Ti dimostrò ogni giorno che stare al tuo fianco è la cosa più bella mi sia mai capitata.» Afferrò la mia mano stringendola tra le sue dita affusolate. Era una promessa.
«Sei proprio stupido...» ripetei con uno sguardo più trasognate. Il moro mi lanciò un'occhiata inquisitoria «per non capire che sei tu che mi rendi la donna più felice del mondo solo esistendo.»
Mi guadagnai un suo sorriso splendido accompagnato da una risata cristallina.
«Voglio baciarti» annunciò nel silenzio annuendo all'aria.
Incrociai le gambe posandomi l'indice sulla bocca rosea. «Capisco» commentai melliflua sapendo di stuzzicarlo. Si voltò verso di me beccandomi nell'atto di mordermi un labbro.
Dylan inchiodò sul posto slacciandosi la cintura. «Siamo arrivati!» annunciò poco prima di gettarsi su di me con l'unico scopo di farmi preda. I suoi occhi brillavano nonostante le tenebre penetrassero da ogni dove nell'abitacolo. Era la mia luce e lo sarebbe sempre stata.
Premette la sua bocca sulla mia trascinando un lembo di pelle in ogni atto. «Non scapperò più, Lil...» sussurrò a un millimetro dalle mie labbra. «Perché io ti amo. È una promessa.»
Le nostre lingue entrarono in collisione scatenando una reazione a catena fatta di passione e sentimento. Le farfalle nello stomaco avevano deciso di banchettare dentro di me, mentre i sussurri e i respiri permettevano alla mia pelle di avere imprecise vibrazioni. Era tutto così dannatamente perfetto.
«Allora siamo in due, Dyl» pronunciai affannata e famelica di averne ancora. Il moro ricambiò con più foga di prima per poi avventarsi sul mio collo a ritmo dei battiti accelerati dei nostri cuori.
«Solo per essere chiari...» tentai affannata di parlare, «la tua sorpresa, per caso, era rapirmi e uccidermi nel bosco? No, perché nel caso potrei farlo anche io. In fondo siamo noi due. C'è solo un'automobile. È buio e nessuno ci vede» scherzai maliziosamente ricordando una nostra precedente conversazione, dopo essermi guardata attorno e capito dove fossimo diretti.
Le luci della volta celeste illuminavo i nostri occhi e c'era solo un posto in cui il mio cuore reclamava tali ricordi: ci trovavamo sulle colline di Hollywood per mirare le stelle, come era accaduto il giorno del mio compleanno.
Gli morsi il lobo di un orecchio per ringraziarlo tacitamente.
«È una proposta? Vedo che qui qualcuno ha proprio voglia di giocare con il fuoco.» E fu proprio la fiamma che gli si accese negli occhi che si abbatté passionale su di me, mentre la tempesta infuriava nel nostro animo.
Cinsi le mie braccia attorno al suo capo catturando le sue labbra tra le mie una volta e un'altra ancora: non sarebbe mai stato abbastanza.
E quello era solo l'inizio della nostra storia d'amore.
«Dyl... ma perché odori di fragole e bruciato?»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top