104. Lilian (Dylan X)

♫ Dove Cameron – We Belong ♫

Stavo contando che ci fosse tutto e che non avessi dimenticato nulla.

Avevo preso i thermos con il caffè e il latte al cioccolato. Avevo tirato fuori la vecchia polaroid di Nathan per scattare qualche istantanea come l'ultima volta. Avevo portato un rullino di ricambio e le batterie per le torce. Anche le coperte erano a loro posto, ovvero, nel portabagagli della mia Jeep pronte per poter essere utilizzate al primo soffio di brezza.

Avevo anche finito di preparare i tramezzini e i panini al salame che tanto le piacevano. Ero persino riuscito a cucinare la sua torta preferita alle fragole senza fare alcun disastro! Ero un uomo dalle mille risorse, era certo.

Avevo seguito per tutta la settimana precedente un tutorial su internet, ma solo quel pomeriggio ero riuscito nell'impresa evitando di tagliarmi un dito e non bruciando finalmente la base di sfoglia. Avevo dovuto buttare almeno tre chili di frutta e altrettanti di farina, ma alla fine il risultato era... era passabile. Sperai nel buon sapore più che nel buon aspetto. Perché quelle fragole erano gialle?

Probabilmente a Lilian sarebbe piaciuta lo stesso: lei era una ragazza che non giudicava il libro dalla copertina, altrimenti non si sarebbe mai potuta innamorare di uno come me. Preferiva di gran lunga occupare il suo tempo risolvendo rompicapi indecifrabili, che passare la vita accettando passivamente tutto ciò che le capitava. Avrebbe sbattuto la testa contro un muro tutte le volte necessarie affinché anche il suo più piccolo dubbio si fosse sciolto e tutto avesse acquisito un nuovo senso. Lei credeva nelle persone e nei sentimenti puri e che ci fosse sempre una ragione, anche quando sembrava impossibile trovarla. E non si sarebbe mai arresa.

Avrebbe apprezzato lo sforzo, forse.

Lei era così... testarda e mai banale, fragile, eppure, inarrestabile. Lei era l'inaspettato in una vita di ordinarietà. Per quello non potevo permettermi di deluderla. Desideravo solo che tutto fosse perfetto per lei, perché era quello che si meritava più di ogni altra cosa. Il meglio che avrei potuto tirare fuori, anzi - che dico - il meglio che lei era riuscita a tirarmi fuori.

Mi stavo addolcendo. «Mi sto trasformando in mia madre...» mi resi conto constatando che presto avrei iniziato a parlare come lei.

Ancora mi pareva di sentire le sue urla al telefono. Avevo raccolto tutto il coraggio che avevo per ammetterle il più grande dei miei peccati: la bugia che si era trasformata in verità. E, dopo che le parole che vorticavano nella mia mente divennero udibili, riuscii finalmente a sentirmi più leggero.

Le avevo promesso che avrei raccontato la verità anche se sarebbe stato difficile.

"Perché non me lo hai detto subito e perché hai dovuto mentirmi? Non ti fidi di me che sono tua madre? Sai che voglio solo il tuo bene?" mi aveva rimproverato. Un po' incupito avevo chiuso gli occhi ammettendo ciò che forse era l'origine della mia triste storia: "non volevo che ti preoccupassi per me, mamma".

E, nonostante la sua voce trasudasse amara consapevolezza, non potei fare a meno di figurare tutte le paure e le paranoie che le avevo risparmiato. Il suo unico figlio solo al mondo in un mare di malinconia non doveva essere un'immagine troppo rassicurante.

La buona notizia era che mi aveva addossato tutta la colpa indicandomi come l'unico responsabile e ritenendo Lilian una specie di salvatrice di anime. Che poi non era poi così lontano dalla realtà.

"I tuoi occhi brillavano. Una madre lo sa quando un figlio è innamorato." Alzai un angolo della bocca colpevole. Avevo quindi sempre avuto quello sguardo da ebete?

Sorrisi inavvertitamente ripercorrendo nella mia testa le ultime due settimane insieme. Erano state magiche e di certo le più belle della mia vita. Non c'era paragone con niente di simile.

Perché, nonostante avessimo dovuto scalare le montagne e fare a pugni con noi stessi, sapevo che eravamo connessi, in ogni istante. Eravamo due anime che si appartenevano fin dall'alba dei tempi e non importava quali e quanti ostacoli avessimo dovuto affrontare, saremmo sempre giunti ognuno tra le braccia dell'altro.

Ovunque c'era lei, io avrei vissuto. E per tutte le volte che ci saremmo persi, io l'avrei ritrovata.

Scossi il capo per redimermi da quei pensieri sdolcinati. Avrei dovuto portare a terminare la missione seguendo l'autodisciplina che mi ero imposto. L'avevo abbandonata alla tavola calda credendo di essere in un ritardo epocale, eppure, dopo un paio di ore ero lì, inerme, avendo tutto sotto controllo.

«Sei proprio un portento, O'Brien» mi congratulai con me stesso elargendo occhiolini alla folla fantasma che mi acclamava come vincitore assoluto.

Ogni cosa era al suo posto, mancavano solo i cestini di vimini che avevo dimenticato al piano inferiore.

Saltellando e fischiettando mi diressi in cucina convinto di trovare ciò che mi sarebbe servito. Nella mia testa, però, un'altra idea si fece spazio: che avrei dovuto fare con i sacchi a pelo?

Ne avrei dovuti portare uno o due? In uno non ci saremmo entrati, ma in due lei sarebbe stata distante ed io volevo che rimanesse quanto più possibile accanto a me. Magari con una scusa avrei potuto convincerla ad avvicinarsi.

I miei neuroni inviarono pensieri perversi al mio intero sistema. Scacciai le immagini peccaminose prima di deconcentrarmi del tutto. Avrei portato due sacchi a pelo e quando sarebbe stato il momento avrei deciso cosa farne.

Afferrai tutto il materiale raccolto riponendolo su vassoi separati dentro le ceste.

Ero sicuro che la serata le sarebbe piaciuta da impazzire: quello doveva essere il pic-nic al chiaro di luna più bello della sua vita.

Non mi restava che una cosa da fare: sorprenderla come meglio avrei potuto.

Mentre ero alle prese con la sistemazione artistica del cibo, mi resi conto che qualcuno entrò in casa. Non ci diedi troppo peso, anche perché chiuso in cucina l'unica cosa a cui pensavo era a come rendere il mio lavoro perfetto per lei.

***

Arrotolai la tovaglia a quadri come avevo visto fare nei video per creare un perfetto, o quasi, fiocco. A quel punto potevo asserire di aver finalmente terminato i preparativi.

Le avrei scritto un messaggio senza troppi dettagli, dicendole di tenersi pronta. A me sarebbe bastato poco meno di un'oretta. Avevo proprio bisogno di fare una doccia veloce: sapevo di cannella, fragole e bruciato.

Afferrai la cesta per i manici fischiettando allegramente. Con un colpo di anca aprii la porta verso la sala. Ero assorto nei miei pensieri: cosa le avrei dovuto scrivere?

Mi appoggiai contro lo schienale del sofà mentre stringevo tra le dita le fibre leggere di vimini, utilizzando l'altra mano per scorrere sul tastierino del telefono.

«"Cara Lilian, ti aspetto alle..." no, non va bene: è troppo formale. Fammi pensare... "amore, saresti bellissima anche con un sacco indosso, ma cambiati i vestiti di stamattina perché non mi facevano impazzire..." se dovessi scriverle così mi ammazzerebbe. Allora, ecco...» grugnii irritato. Perché regredivo a homo sapiens quando si trattava di formulare un pensiero semplice e lineare?

Forse perché vuoi fare bella figura!

Mi grattai la nuca in attesa dell'ispirazione.

«Certo che potevi essere un po' più romantico, non credi?» scossi il capo voltandomi verso le scale. Chi aveva parlato?

«Oh, ciao Emma...» Lo credeva anche lei che il mio approccio era pessimo. La bionda aveva la mano intrecciata a quella di Nathan. Probabilmente era arrivata in quella manciata di minuti in cui io mi ero chiuso in cucina. Avrei dovuto fare di meglio. Magari avrebbe potuto aiutarmi. «Pensate che dirle di essere impaziente di vederla sia un po' troppo?» tentai.

«Magari avresti dovuto pensarci prima!» La ragazza assottigliò la vista, mentre Nathan faceva spallucce.

I due si sedettero sul sofà che accoglieva le mie membra desolate.

«Perché puzzi di bruciato... e di fragole?» mi domandò Nathan annusando l'aria. Lo scrutai torvo, non ero in vena di scherzare: dovevo portare a termine la missione.

«Sono ancora in tempo per modificare il messaggio! Vedi, non ho premuto invio! E tu smettila di odorarmi, sei forse un cane?» Mi scostai dal divano infastidito, mentre la risata di Nathan riempiva la sala.

«Non vedo come potresti essere in orario visto che lei ti starà aspettando e tu sei ancora qui in queste pessime condizioni... credi che un messaggio basti per tutto il tempo in cui si chiederà che fine tu abbia fatto? E poi andiamo, avresti potuto fare di meglio.» Emma allungò una mano verso il vuoto flettendo i muscoli del braccio così da osservare le sue unghie limate da tutte le angolazioni.

Riposi il telefono in tasca afferrando più saldamente il cestello. Mi grattai la fronte dubbioso. «Non so a cosa tu faccia riferimento» rivelai in tutta onestà.

La bionda corrugò la fronte indispettita, mostrandomi tutto il suo sbigottimento.

«"Ti aspetto nello studio di Lynch." Ricordi? Hai lasciato il bigliettino attaccato alla porta di casa nostra. Lilian era così felice che non ha neanche badato al poco romanticismo che ci hai messo, si è catapultata in università dopo avermi accompagnata.»

«Quanto... quanto tempo fa!?» sussurrai in preda alla paura.

La bionda ci pensò qualche istante. «Una quindicina di minuti.»

All'improvviso la saliva divenne amara e i miei muscoli si irrigidirono. Qualcosa non quadrava. La pelle d'oca mi segnò il corpo facendomi raggelare il sangue nelle vene.

Il cesto di vimini cadde rovinosamente al suolo facendo riversare a terra il suo contenuto e nullificando tutto il mio duro lavoro. Emma e Nathan sobbalzarono per lo spavento.

All'improvvisò avvertii il vuoto fin dentro le ossa e una stretta presa attorno al mio collo che mi impediva persino di respirare. Ma era solo una mia stupida idea, vero?

«Che succede?» strillarono i due visibilmente preoccupati.

Vagai con gli occhi languidi per tutta la stanza focalizzandomi su di loro. Non potevo rimanere lì un solo istante di più. Sarebbe riaccaduto tutto, di nuovo... io... no, non dovevo permetterlo.

«Non sono stato io! Chiamate la polizia, presto!» Con il cuore a mille mi catapultai in strada e messomi al volante dell'automobile non feci che digitare il suo numero così tante di quelle volte che non credevo avrei fatto in una vita intera. Ma dall'altra parte della cornetta non c'era che il silenzio.

Lo sentivo, lei... lei era in pericolo.

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