103. Pieno di sorprese

Valerio Mazzei - 12 Luglio

Intinsi una patatina nella maionese prima di fagocitarla: era così buona.

«Quindi ha accettato?» Dylan me ne rubò una dal piatto ignorando la miriade che aveva ancora accanto al suo cheeseburger.

«Sei un ingordo! E comunque sì. Kobe e Witney centrale in attesa di deporre. Sembra proprio che potremmo ritornare alle nostre noiosissime vite!»

Dylan annuì poco convinto.

«Noioso non è proprio l'aggettivo che avrei usato per descrivere le nostre vite. Potrei sbagliarmi, ma pensavo a qualcosa più come "intense", "passionali", alternate a momenti di magia. Sai, vivevo con il fiato sospeso, ma allo stesso tempo mi nutrivo di tristezze a speranze. Non dimenticare che a tratti ci sono stati anche momenti vietati ai minori... quindi decisamente vite non noiose. O forse mi sbaglio?» Arricciò il naso insolente. Quel ragazzo non aveva più peli sulla lingua: aveva perso tutti i freni inibitori nel momento in cui aveva capito che non c'era motivo di averne. Una coppia che si amava non aveva bisogno di nascondersi e lui di certo non lo faceva.

Mi morsi il labbro d'istinto scorgendo uno scintillio nei suoi occhi. Annuii non prestandogli troppa attenzione. «Cambiando discordo, volevo ringraziarti per avermi invitata a pranzo. Sei stato molto carino.» Voltai il capo quel tanto per non fargli notare il mio rossore. Si divertiva a torturarmi con la realtà solo per saggiare le mie reazioni. Lo avvertii sghignazzare.

Un'ombra calcò il mio viso e la sua mano si fece strada sulla guancia, costringendomi a scrutarlo. Si era avvicinato solo per imbarazzarmi, ne ero sicura. Sfiorò la punta del naso contro il mio prima di lasciarmi un bacio sulle labbra umide e salate.

«Grazie a te per aver accettato» sussurrò trionfante. La nostra nuova routine non ci dispiaceva più di tanto. Ed io ero felice così: con nient'altro che non fosse lui.

Sorrisi candida, piena di speranza e consapevolezza che al mio fianco avrei avuto qualcuno che mi amasse con tutto sé stesso. Ero conscia del fatto che ci saremmo potuti scornare e scontrare per il resto delle nostre vite, ma altrettanto sapevo che niente avrebbe potuto rendermi così viva allo stesso modo. Ci eravamo trovati e accettati senza compromessi, incastrandoci dopo aver minuziosamente smussato angoli della nostra anima che solo l'altro era riuscito a scorgere. Da ogni nostro incontro sarebbero potute nascere solo scintille ed io non chiedevo niente di meglio.

Dylan lanciò un'occhiata verso il grande orologio appeso alle mie spalle spalancando le palpebre incredulo. Il boccone per poco non gli andò di traverso.

«Oddio è tardissimo. Scusami, ma devo scappare! Avrai presto mie notizie!» Dylan scattò sull'attenti lasciandomi di stucco, se la stava svignando senza alcun motivo apparente in barba a tutti miei bei pensieri su di noi.

«Cosa? Dove vai? Siamo appena arrivati!» protestai alterata. Dylan tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il portafogli traendo da esso un paio di verdoni.

«Questi sono per il pranzo e la mancia, non devi pagare nulla. Sì, certo lo so che sei capace di badare alle tue spese da sola e non hai bisogno di un uomo che lo faccia per te, lo so non mi guardare così. Ma non ho tempo per stare a discutere quindi la prossima volta faremo a metà, va bene? Mi farò sentire molto presto, promesso! E scusami!» Il moro sembrava appena resosi conto di dover agire in fretta e furia, anticipando addirittura le mie battute.

«E mi lasci qui così?» brontolai malcontenta. Dylan si avvicinò cauto stringendomi tra le sue braccia e baciandomi ancora una volta. Non potevo fare a meno delle sue morbide labbra che sapevano di salse e spezie. Forse avrei potuto bearmi ancora del suo candore, almeno un altro minutino.

«È una sorpresa. Devo andare altrimenti rischierei di non farcela. Scusami, ti scrivo un messaggio o ti chiamo. Ti prometto che farò qualcosa, persino segnali di fumo se saranno necessari! Ti amo, a più tardi!» si allontanò lasciandomi di stucco senza neanche avere modo di replicare. Le mie labbra s'incurvarono in un sorriso spontaneo di contentezza mista a curiosità.

Sarebbe stato sempre il solito imprevedibile e affascinante Dylan.

Solo quando la campanella appesa sopra la porta d'ingresso della tavola calda segnò la sua dipartita, mi resi conto che metà del suo cheeseburger era ancora nel piatto. Scrollai le spalle divertita.

Peggio per lui: io avevo ancora fame.

***

Terminato il pranzo ritornai agli uffici per riprendere mano al mio lavoro. I ragazzi presenti pendevano dalle labbra di Emma, la quale stava intonando il racconto di come la sua sagacia avesse convinto la piccola e tenera Witney.

«Non hai ancora finito? Credevo che un paio di ore sarebbero bastate, non tediarli!» scherzai unendomi al quartetto di pettegole.

«È solo la quinta volta che lo ripete, penso che stia sfogando la rabbia covata per tutto il semestre» tirò a indovinare Cassidy mentre stuzzicava qualcosa direttamente dal cestino confezionato ad hoc da Eric. Il biondino le preparava il pranzo quando non potevano vedersi, che cosa dolce.

«Sei stata fantastica, amore mio. Senza di te non saremmo riusciti in nulla!» Nathan stava aumentando a dismisura il suo ego spropositato senza rendersene conto.

«E Dylan dove è finito? Doveva aiutarmi con dei rapporti!» indagò Stephan preoccupato per la scomparsa del suo compagno. Mi strinsi nelle spalle incapace di poter dare una spiegazione convincente.

«Ha affermato di volermi fare una sorpresa e poi è sparito. Mi dispiace, non penso che tornerà in giornata» ammisi dispiaciuta per il carico di lavoro che gli aveva sganciato senza il minimo cenno di preoccupazione. Che avesse un piano B per rimediare o che se ne fosse solamente dimenticato?

Stephan assottigliò la vista. «Vorrà dire che gli lascerò la pila di fogli più numerosa, così vedremo se una prossima volta mi lascerai fare tutto il lavoro sporco da solo, caro Dylan.» Se avessi avuto in mano un righello avrei di certo potuto asserire che i fascicoli lasciati al mio ragazzo fossero più del doppio di quelli che Stephan aveva riserbato per sé stesso. Ma non avrei fatto la spia.

«Senti, Em, io vorrei andare a casa. Se vuoi torniamo insieme, altrimenti chiamo un taxi.» Aspettai pazientemente che i due piccioncini terminassero le loro smancerie quotidiane.

«Sì, vengo con te. Ma solo perché ho bisogno di cambiarmi, sono in giro da fin troppe ore con lo stesso vestito, necessito di un cambio look e poi sarò da te quindi vedi di essere pronto, orsacchiotto.» Schioccai la lingua al palato. I saluti stavano andando per le lunghe. Che io e Dylan fossimo al loro stesso livello e non me ne fossi ancora accorta? Eravamo una coppia da diabete?

«Va bene cucciolina. Ti aspetto a casa, mi raccomando fai subito che lo sai che non riesco a stare senza di te per troppo tempo.» Emma si lanciò al suo collo lasciandogli un altro lungo e intenso bacio, mentre io e Cassidy osservavamo piatte la scena.

No, non eravamo decisamente come loro.

Sia io che Cassidy emanavamo energia negativa. E, mentre una ingeriva calorie sotto forma di carotine sott'olio, l'altra si stava mordendo i gomiti per non aver ricevuto lo stesso trattamento sdolcinato.

Non dovevo lamentarmi, mi ero innamorata della sua imprevedibilità. Era un ragazzo pieno di sorprese, no?

Quando Emma decise che fosse arrivato il tempo di lasciare Nathan al suo triste destino, ci impiegammo poco più di venti minuti per tornare a casa. Il traffico era micidiale a Los Angeles, nonostante fossero le tre del pomeriggio. Con l'arrivo della stagione estiva ogni ora era l'ora di punta!

«Quindi una sorpresa hai detto?» gridò dalla cima delle scale la biondina che mi aveva preceduta. Lei non aveva con sé una tracolla, il pc e neanche i documenti dello studio. Al contrario, viaggiava leggera con la pochette da giorno della sua nuova collezione.

«Sì, è così che mi ha detto prima di liquidarsi» ammisi sospirando all'unico ciuffo che si era attaccato alla fronte. Avevo le mani troppo occupate per liberarmene.

«Quindi questo dici che...» iniziò osservandomi dall'alto una volta messo piede sul pianerottolo. Scossi il capo non capendo a cosa potesse riferirsi. Puntava l'indice contro la porta trattenendo un labbro tra i denti. Era entusiasta, ma non sembrava avere voglia di inserire la chiave nella toppa, che invece volteggiava tra le sue dita snelle.

«Cosa, Em? Potresti aiutarmi?» sbraitai arrivata al suo fianco.

«Oh, certo, dai a me questo... perché tu devi mantenere quello!» Arrivata dinanzi l'occhiello notai come fosse coperto da un bigliettino di carta ripiegato e attaccato con dello scotch.

Mi strappò dalle mani la borsetta contente il pc, lasciandomi come uno stoccafisso fuori l'ingresso. Lei entrò in casa incitandomi a seguirla perché era curiosa di leggerne il contenuto.

Afferrai il bigliettino richiudendo la porta alle mie spalle. Abbandonai i miei averi sul tavolino da caffè gettandomi sul divano. Emma comparve da dietro, osservandomi con i suoi occhi azzurri dalla spalliera.

«Allora, che aspetti?» mi incitò.

Sorridendo trionfante sciolsi il mistero. Forse era valsa la pena aspettare. Sul pezzo di carta stropicciato vi erano scritte solo sei parole, né una di più né una di meno.

"Ti aspetto nello studio di Lynch."

«Tutto qua? Credevo si sarebbe sforzato un po' di più» commentò sarcastica Emma. Trattenni una risata. Come primo tentativo di romanticismo forse avremmo potuto lavorarci. «Mi sarei aspettata qualcosa come "Cercami come io avrei fatto nella tempesta, oh, mia sirena incantatrice. Mi troverai lì dove tutto è iniziato." O qualcosa del genere. Avrei dovuto fare la poetessa, lo so. Sono sprecata per questo mondo di comuni mortali» commentò ritirandosi nelle sue stanze. La sua curiosità era stata soddisfatta, quindi non aveva più motivi per perseguire la mia causa.

Ripiegai tra le mani quel pezzo di carta strappato da un foglio più grande, segnando i contorni informi e frastagliati con i polpastrelli. Non mi importava di certe formalità, a me interessava solo di lui. Un sorriso gentile mi nacque sul volto.

Feci mente locale di tutto ciò che mi sarebbe potuto servire. Ricacciai fuori le vecchie chiavi dello studio così che se fossi arrivata prima di lui lo avrei aspettato dentro. Il campus chiudeva alle sei, per quello forse era corso via all'improvviso temendo di non rientrare negli orari stabiliti.

Che fosse una caccia al tesoro? O magari una cena dentro le mura universitarie? Chissà cosa mi avrebbe riserbato il destino, ma se avessi tirato a indovinare non lo avrei mai potuto immaginare.

«Emma, se ti muovi posso darti un passaggio fino a casa di Nathan, altrimenti ti lascio a piedi» la minacciai sghignazzando dopo aver udito in sottofondo le sue urla sommesse che pregavano affinché fossi ancora in casa, altrimenti le sue Jimmy Choo si sarebbero rovinate.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top