101. Gesti di ordinario romanticismo
♫ Lewis Capaldi - Someone You Loved ♫
Quando aprii gli occhi quella mattina mi ritrovai inaspettatamente leggera. Non avevo pensieri, né rimpianti. Ero inebriata dal candore della luce che penetrava dalla finestra e dal profumo di fresco bucato che emanavano le lenzuola.
Iniziai a fare mente locale di ciò che era accaduto nelle precedenti ore solo quando mi accorsi che le pareti della stanza erano di un blu così intenso... tale da non averlo mai visto prima in casa mia. Tastai attorno il materasso scoprendo che le coperte avevano una consistenza diversa rispetto al lino che rivestiva il mio letto.
Cautamente alzai il busto dal morbido cotone portando le dita affusolate verso le mie labbra. Fu un gesto istintivo, quasi primordiale. E all'improvviso tutti i ricordi tornarono a galla.
I baci, quei mille baci e il suo sorriso, le sue mani e la nostra passione. I suoi occhi scuri e le farfalle che non avevano ancora smesso di svolazzare nello stomaco. Il solo pensiero mi fece sussultare di contentezza e un timido sorriso mi comparì sul volto.
In quella stanza ero sola, eppure, non mi ero mai sentita così completa in vita mia.
Avrei conservato con gelosia e bramosia il ricordo di quelle ultime ore nel mio cuore. Per un futuro che sarebbe stato del tutto diverso dal previsto.
Con uno scatto felino ritrovai quelli che erano i miei vestiti, ancora umidi, stesi sul pavimento. Indossai il tutto seppur abbastanza riluttante. Un velo di malinconia ricoprì i miei occhi che avevano sperato in un risveglio del tutto diverso: avrei desiderato avere Dylan al mio fianco ancora per un po'.
Scesi al piano inferiore non emettendo un suono, non c'era motivo alcuno per cui sarei dovuta rimanere lì ancora. Tagliai per il soggiorno con lo sguardo basso e le mani intrecciate, anche se un mesto sorriso fece capolino sul mio volto. Era stata una bellissima nottata, inaspettata e assolutamente magica.
*Coff, coff*
«Dove pensi di andare, signorina?» Non mi ero resa conto della presenza di Emma. La sua esile figura si stagliava contro la parete avorio alla mia destra. Sorseggiava impunemente del caffè in una grossa tazza cilindrica targata METS. Mi guardava supponente lanciando saette con gli occhi. Dedussi che stesse impazientemente aspettando una risposta dato il suo incessante picchiettare contro la ceramica bianca e blu.
«Io... ecco, stavo...» Non riuscii a terminare la frase poiché venni colta alla sprovvista da Dylan, il quale comparì alle mie spalle circondandomi la vita con un braccio. Mi strinse a sé inspirando tra i miei capelli prima di afferrarmi le guance con i polpastrelli. Si allungò pur di lasciarmi un bacio facendomi rimanere di stucco.
«Ti sei svegliata prima del previsto... ero sul punto di portarti la colazione a letto, Lil. Mica volevi già andare via?» domandò un Dylan piuttosto assonnato e con i ciuffi ribelli a coprirgli la fronte.
Il quel momento mi resi conto di essere stata una stupida: non gli avevo dato neanche il beneficio del dubbio. Si ritirò poggiando il suo mento nell'incavo del mio collo e tirando a sé la mia figura. Arrossii non poco, imbambolata e incapace di proferir parola.
«Ora che sei qui con me non credere che ti lasci andare così facilmente» mi sussurrò. Mi venne la pelle d'oca.
«Sono esattamente dove voglio essere» pronunciai stringendomi tra le sue braccia.
«Ma allora era tutto vero! Finalmente posso smettere di mantenere di questo segreto.» Nathan era estasiato e completamente goliardico. Chiuse la cucina alle spalle per lanciarsi verso il divano.
«Che segreto?» indagò Dylan sorpreso. Scossi il capo per la vergogna. Nathan fece capolino mostrando i suoi occhioni azzurri.
«Che Amy fosse innamorata di te.» Nate sorrise beffardo mimando con le mani la forma di un cuore mentre la mia pelle prendeva colore.
«Quindi tu lo sapevi?» urlò Dylan mentre Nathan gli mostrava la linguaccia.
«E non è il solo. L'unico che non se ne era reso conto eri tu!» intervenne saccente Emma al termine di un altro sorso di caffè amaro. Ci superò per dirigersi accanto al suo amato, ma non prima di indirizzare un'altra frecciatina alla sottoscritta. «Quando torneremo a casa dovremmo affrontare una certa discussione, non sono rimasta ad aiutare Nathan a pulire i pavimenti alle due di notte senza sapere il perché ci fossero delle pozzanghere e la porta fosse rimasta aperta.» Sorrisi beffarda e imbarazzata mentre cercavo manforte in Dylan.
Il bruno ignorò la mia coinquilina lasciandomi un ultimo bacio sul collo prima di prendermi di peso su una spalla e deportarmi verso il piano superiore. Un gridolino uscì dalle mie labbra a causa di quel gesto inaspettato.
«Che cosa fai, Dyl!?» strillai divertita appoggiandomi contro il suo tronco.
«C'è la colazione a letto ti ho detto, è un pasto importante della giornata e va assolutamente assaporato!» rispose sornione lasciandomi una sonora pacca sul di dietro.
«Se farete di nuovo dei casini vi converrà affittare una camera d'albergo la prossima volta!»
***
Dylan si era rivelato essere un perfetto galantuomo, un po' impacciato, ma pur sempre dolcissimo. Erano passati pochi giorni da quando avevamo ammesso i sentimenti che provavamo l'uno per l'altra e ne avevamo assaporato ogni istante a una intensità inaudita. Aveva tentato di soddisfarmi in tutti i modi, dalle più piccole cose al farmi sentire completamente a mio agio. Era molto attento a ciò che fosse di mio gradimento, nonostante più volte lo avessi rabbonito che non ce ne fosse bisogno. Ma lui era fatto così: era testardo e avrebbe voluto fare tutto ciò che era in suo potere per rimediare al tempo perso. Ovviamente alla sua maniera.
E quella mattina avevo completamente dimenticato il mondo esterno. Stavo vivendo solamente nei miei pensieri e nel mio piccolo mondo, almeno fino a che Cassidy non mi fece rinsavire.
«Terra chiama Amanda, Amanda, rispondi! Ma che ti è preso?» La moretta dagli occhi azzurri mi fissò stralunata. E non era l'unica. Al suo fianco c'era uno Stephan abbastanza perplesso. Scossi il capo ricordandomi di essere in ufficio. Sfiorai con una mano il banco di legno prima di proferire effettivamente una parola che avesse un senso compiuto. Anche Emma aveva detto che mi ero completamente inebetita.
E fu a quel punto che mi ritrovai con la gola secca. Volevo tanto rendere i miei amici partecipi delle mie avventure, ma con Dylan non avevo ancora affrontato il discorso del "cosa siamo".
Retrassi lapidaria la mano bofonchiando un "è tutto perfetto".
«Sicura? Sei un po' paonazza, non hai la febbre, vero?» Stephan si allungò per poter controllare la mia temperatura corporea. Non seppi se effettivamente potesse avvertire qualche differenza dalla normalità.
«Non credo di aver mai visto Amanda così disconnessa. Hai iniziato a fare uso di droghe?» domandò sarcasticamente Cassidy ritornando a sedere al suo posto. Ormai era chiaro che i due pettegoli avrebbero continuato a prendermi in giro.
«Volete proprio saper-» Cassidy si alzò di scatto impedendomi di poter terminare la frase.
«Ma certo che vogliamo sapere! Forza sputa il rospo piccola sognatrice a occhi aperti!» mi minacciò con un porta penne di plastica. Mi arresi immediatamente. Mi si leggeva tutto sul volto.
«E va bene!» ammisi sconfitta. Il mio temporeggiare non faceva che aumentare la curiosità nei miei interlocutori. «Io... e Dylan...» iniziai sottovoce affinché né George né Lisa avessero potuto ascoltare.
«COSA?!» Cassidy balzò in aria mentre Stephan spalancò gli occhi ridendo di gusto. Il biondino non fece in tempo a ribattere o a dire la sua che il telefonino iniziò a squillare. Osservò pensieroso lo schermo, prima di allontanarsi.
Cassidy prese tutto il suo spazio continuando a infuriare a pieni polmoni «TU E DYLAN?» urlò. Addio riservatezza. Mossi le mani convulsivamente, il significato era semplice.
«MA...!» La sfilza di domande di Cassidy venne interrotta dall'arrivo di Nathan nella stanza seguito da Kobe. Il mio migliore amico se la stava ridendo sotto i baffi, forse la voce di Cassidy era stata avvertita fin dal corridoio e ciò avrebbe spiegato l'imbarazzo di Kobe, con il quale non avevo avuto molto a che fare dopo le ultime rivelazioni.
Tutti erano stati opportunamente avvisati sulle ultime rivelazioni cui ero venuta a conoscenza. Colui che ci rimase peggio fu proprio Stephan.
Nonostante Kobe fosse rimasto a tutti gli effetti il nostro supervisore, non pensai avremmo più potuto condividere lo stesso rapporto amichevole di un tempo.
«Amanda, potresti seguirmi nel mio ufficio, per favore?» Scossi il capo per assenso.
Ubbidii senza fiatare. Non avevo idea del perché mi stesse convocando. Che volesse licenziarmi? O forse semplicemente parlare?
Ad attenderci davanti la porta d'ingresso del suo studio c'era Emma. Che cosa ci facesse lì non lo sapevo mica.
«Che sta succedendo, Kobe?» intervenni diretta nei suoi confronti. Emma pareva alquanto pensierosa.
«Avrei bisogno di sapere una cosa e vorrei parlarti. La presenza di Emma è indispensabile. Ci ho pensato... tanto e presto tutto ti sarà più chiaro.» Mi fidai delle sue parole evitando ulteriori domande.
Giungemmo nel suo ufficio dove un paio di sedie erano state disposte dinnanzi la sua scrivania. Emma mi si avvicinò per darmi le dovute spiegazioni, ma non fece in tempo.
La porta della stanza si spalancò di colpo. Dylan fece il suo ingresso con dei fogli in mano tutto sorridente. Andò dritto verso Kobe per poi letteralmente sbattere sul tavolo quel piccolo plico. Con la mano ancorata ai fogli appena stampati si rivolse a lui senza alcun tentennamento.
«Questi sono i moduli per le pubbliche relazioni che ci avevi chiesto di firmare, li ho compilati e ci ho apposto la mia firma, quindi ora posso urlare ufficialmente che io e Lilian siamo fidanzati.» Spalancai gli occhi per ciò che avevo appena udito. Cosa aveva appena detto?
Si voltò sornione rifilandomi uno di quei suoi sorrisi alla "ti ho stupita, vero?". Nel giro di pochi secondi l'incertezza si tramutò in goliardia per poi evolvere in una risata quasi isterica. «Sei pazzo?» urlai stridula, ma carica di amore.
Dylan mi si avvicinò afferrandomi entrambe le mani tra le sue per compiere un perfetto doppio baciamano. «Pazzo di te, lo sai. Non vedo perché tenerlo segreto, ti ho appeno detto che voglio gridare al mondo intero quanto ti amo!» Le mie gote si arrossarono all'istante. Cercai di nascondermi dagli sguardi imbarazzati degli altri presenti nella stanza. Dylan recepì il mio disagio quasi immediatamente, proponendo una pausa del tutto arbitraria da quella piccola riunione.
«Te la rubo solo qualche minuto!» convenne con il nostro superiore. Non opposi molta resistenza e lo seguii.
«Entriamo qui!» aggiunse divertito mentre la mia risata spensierata faceva da sottofondo a quel momento. Scattò nel bagno degli uomini come se fosse del tutto normale per noi ritrovarci lì. Mi adagiai contro il muro piastrellato felice come poche volte, sfiorando con i polpastrelli la sua camicia sgualcita sui bordi.
«E se ci scoprissero?» domandai più per routine che per vera preoccupazione. Non avevo più paura di nulla. Dylan mi fissava intensamente con i suoi occhi nocciola.
«Ormai non possono più cacciarci, siamo fidanzati, lo sai?» sospirò avvicinandosi sempre di più. Afferrò nuovamente le mie mani portandole ai lati del mio volto. Incastri le mie dita fra le sue premendo contro il suo petto che stava pericolosamente collabendo contro il mio.
«Lo sai che non era necessario, vero?» soffiai a fior di pelle lasciandogli una scia di baci sulla guancia. Lo avvertii sospirare.
«È l'unica cosa sensata che io abbia mai fatto.» Strinse ulteriormente la presa sulle mani portandole verso l'alto, mentre il suo corpo premeva facendomi prigioniera di quello piccolo spazio.
«Lo sai che tua zia probabilmente ora non ci lascerà più in pace? Starà già organizzando una festa in ufficio» lo provocai mordendomi il labbro. Il moro rispose tra un sospiro e l'altro, mentre si prendeva gioco della mia pelle con la sua bocca.
«Allora non credi sarebbe meglio approfittare di questo momento di tranquillità?» controbatté maliziosamente assaporando lo stesso labbro che avevo tenuto stretto tra i canini. Mi guardò intensamente come se avessi dovuto sapere che quel gesto in realtà era il punto debole al quale non sapeva resistere.
E proprio quando tutto sembrava essere perfetto, che un fulmine a ciel sereno fece terra bruciata del nostro piccolo angolo di paradiso.
Stephan entrò di corsa nel bagno spalancando la porta. Lo capimmo subito che non portava buone notizie. Con la voce tremante e gli occhi infossati telegrafò: "Richard verrà rilasciato".
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