09. Relazioni multiple

Zedd & Kehlani - Good Things

Sveglia. Colazione. Doccia. Corsa in università.

Sembrava essere la routine di una vita, ma la verità era che fosse passata poco più di una settimana da quando la mia vita era stata travolta da Dylan.

Emma e Nathan erano ancora i miei migliori amici. Cassidy mi sembrava più solare del solito, Margot continuava a fare strage di cuori, mentre Eric continuava a passare metà delle sue notti in casa mia.

Ma la novità più importante di tutte, era che Richard mi avesse notato. Facendo un paio di conti, quella settimana si sarebbe dimostrata tutt'altro che infruttuosa.

Quando uscii di casa, Emma stava ancora dormendo. Avrei avuto lezione dapprima con il professor Wilde e successivamente con la Roberts.

Ero intenta a scarabocchiare sul bloc-notes con una matita e, seppur non fossi una grande artista, mi premunivo di raffigurare quello che covavo nella mia mente. Tratti curvilinei seguiti da punti e zone ombreggiate.

Il risulto? Un immenso caos.

Era la mia firma: un intricato schema di linee che avrebbero portato ovunque e da nessuna parte.

Una voce familiare mi richiamò sull'attenti.

«Amy, buongiorno!» urlò Nathan sedendosi al mio fianco. Gli avevo lasciato il posto in previsione del suo arrivo. Evitai di porgli domande per non subire un controinterrogatorio. Probabilmente il cugino era tornato a casa fradicio tanto quanto me. Avrei voluto evitare di ricordare la camicia di cotone perfettamente incollata ai suoi addominali. Mi morsi un labbro d'istinto scuotendo il capo.

«'Giorno, Nate» risposi maldestra. Non ero in vena di chiacchiere, pertanto avrei continuato a scarabocchiare senza mai staccare gli occhi dal foglietto.

Lo sentii tossire, tant'è che mi voltai per osservare le sue palpebre abbassarsi.

«Che c'è, Nate?» odiavo quando le cose erano poco chiare, soprattutto di prima mattina, avrei voluto solo il mio letto, non giocare agli indovinelli.

«Ciao!» una voce sconosciuta provenne alle mie spalle. Lui era rimasto lì per tutto quel tempo, mentre io non avevo fatto altro che ignorarlo. Ero passata certamente per la maleducata di turno. Complimenti Amanda, davvero una bella figura.

«Ciao» accennai alquanto titubante sforzando un sorriso al ragazzo che si accingeva a presentarsi. Aveva due grosse spalle e dei denti perfetti. Probabilmente era più in imbarazzo di me. Nelle sue iridi scure erano incastonate piccole pagliuzze vermiglie, mentre i capelli lasciati ribelli gli ricadevano su gran parte della fronte. Indossava una felpa rossa sbottonata, al di sotto della quale vi era una maglietta bianca che avevo già visto, ma non ricordavo dove.

«Visto che Amanda si è ricordata le buone maniere, vi presento. Lui è Matt, gioca con me nella squadra di football dell'università.» Lui alzò una mano verso l'alto per poi virare con lo sguardo altrove. Ecco spiegato il motivo dell'abbigliamento familiare. «Lei è Amanda, la mia migliore amica. Che dici di far sedere il povero Matt, usurpatrice di sedie?» mi canzonò Nathan con tono divertito. Ritornai a fissarlo imbambolata.

«Dovresti essere felice che ti abbia riservato un posto» rincarai offesa. Spostai la borsa che avevo poggiato sul posto accanto a quello di Nathan per poter far accomodare il nuovo arrivato.

«Ringrazia la signorina, Nathan, ha ragione!» ne seguì un occhiolino. C'era forse complicità con il bel sportivo?

«Significa che sono perdonata per la brutta figura?» lo interrogai speranzosa. Le prime impressioni erano importanti, per quel motivo mostravo sempre il meglio di me. In università, almeno.

Ero sempre Amanda, solo che ero l'Amanda più intelligente, disponibile, socievole e divertente che sarei mai potuta essere.

«Ma figurati, colpa mia!» rispose accompagnando un gesto della mano. Nathan vociferava in sottofondo qualcosa riguardante una cospirazione contro di lui, ma non gli diedi retta. «E poi dovrebbe iniziare a ringraziare anche i suoi compagni di squadra, visto che se fa punto è solo grazie a noi!» concluse irriverente.

«Ma sentilo come si pavoneggia. Sono molto più bravo di te, non ho bisogno di molto supporto» ci rese noto Nathan incrociando le braccia dietro la nuca.

«Nei tuoi sogni, Kingstone» asserì Matt.

«Scommettiamo?» fece il primo con uno strano luccichio negli occhi. Non avevo mai visto Nathan così sicuro di sé. Forse la sua nuova conosceva aveva la capacità di far uscire allo scoperto l'ego del mio migliore amico.

«Certo! Cosa vuoi perdere?» acconsentii Matt.

«Lasciamo che a decidere sia lei, vorresti essere il nostro giudice?»

Rotei gli occhi al cielo sapendo esattamente dove sarebbero andati a parare nominandomi direttore di gara. «Dovrei contare chi di voi metterà a segno più punti durante la partita contro la Stanford tra due settimane? Lo potreste chiedere a chiunque...» Nathan mi pregò con i suoi occhioni lucidi. Pensava forse che mi sarei fatta corrompere così facilmente?

«E va bene, accetto!» Lo odiavo. Non potevo resistergli. Misi il broncio cercando una via d'uscita con una richiesta quasi impossibile. «In palio il vincitore si godrà una vacanza pagata dall'avversario!»

«Ci sto!» risposero in coro i due giocatori. Scossi il capo stupita.

«Ma a una condizione.» Visto che sembravano non esserci obiezioni, alzai il tiro.

«Ovvero?» Nathan probabilmente aveva già capito ciò che avevo in mente.

«Che possa partire anche io. Avrei proprio bisogno di svagarmi un po'. Tranquilli, verrei a mie spese. Voglio solo della buona compagnia» sentenziai. I due ragazzi si guardarono di sfuggita, accettando sorridenti.

«Che vinca il migliore!» Matt tese la mano in avanti aspettando che scoccassi un perfetto high five: non era così male.

«Benvenuto nel club, Matt Dawson» pronunciai suggellando l'inizio della nostra amicizia.

Scoprii diverse cose interessanti su di lui durante la lezione.

Era amico di Nathan sin dall'anno precedente, ma a causa di un orario accademico differente, non era mai stato possibile frequentare i nostri stessi corsi. Al contrario, conosceva Josh abbastanza bene visto l'amicizia che li legava sia fuori che dentro il campo da football. Cercai di fare mente locale, ma le volte che ero andata a fare il tifo per Nathan si potevano contare sulla punta delle dita e, purtroppo, non avevo avuto possibilità di fissare quei volti. Mi ripromisi che la prossima volta avrei fatto più attenzione almeno per memorizzare i loro numeri di maglia.

Era figlio unico, proveniente da una famiglia modesta, ma che di recente aveva perso una zia estremamente ricca. Lui e i suoi genitori avevano ricevuto un'enorme eredità che li aveva resi incapaci di decidere come spendere quell'immaginabile montagna di soldi. Era interessante notare come ci scherzasse sopra nonostante fosse un ragazzo vissuto tra le vie più povere della capitale.

Aveva i piedi per terra e dei grandi sogni nel mondo dello sport.

"Sapete, riuscirò ad affermarmi per quello che sono e non per quello che ho".

Era chiaro come il sole. Quel ragazzo mi piaceva sempre più.

***

Quando iniziò la lezione della professoressa Roberts, di Dylan non avevo ancora ricevuto notizie.

Lo intravidi per la prima volta dall'altra parte dell'aula accanto a Cassidy solo una mezz'ora più tardi. Lei non seguiva quel corso, pertanto, l'unico motivo che avrebbe spiegato la sua presenza era Dylan. Il moro annuiva quando lei parlava, facendo attenzione a tutt'altro che non fossero le sue parole. Erano insieme, ma i suoi occhi non brillavano tanto quelli di Cassidy. Alla fine, un bieco sorriso comparve sul suo volto, mentre una penna roteava veloce tra le sue dita affusolate. La mia penna.

Dylan, intercettando il mio sguardo truce, si voltò con la biro ancorata ai polpastrelli con l'intento di salutarmi. Non era né stizzito, né esasperato, al contrario si illuminò proseguendo quella giornata con rinnovato spirito.

Avvertii la vibrazione del cellulare all'arrivo di una notifica. Sfiorai il touch per leggerla.

Da: Dylan

Come va con la lezione? Preso bene gli appunti?

Mi venne da sorridere gettando un'occhiata in direzione del ragazzo che non smetteva di fissarmi insistente. Afferrai per istinto i fogli scarabocchiati che avevo davanti. Notai Dylan ridere, mentre trafilato muoveva le dita sullo schermo del suo telefonino.

Cassidy mi notò solo in quel momento salutandomi com'era suo solito fare: inviandomi baci virtuali e mettendo in mostra le sue fossette. Mi distrassi nuovamente quando avvertii la vibrazione del cellulare per la seconda volta in pochi minuti.

Da: Dylan.

Non lo faccio per premura, sia ben chiaro. Mi servirebbe che me li prestassi.

Rialzai lo sguardo verso di lui. Era divertito, il bambino.

A: Dylan.

E che così sia! In cambio quest'oggi terminerai le pulizie nell'ufficio di Lynch, da solo. Ti passo le copie degli appunti appena sarà possibile. Buon lavoro.
P.S. Compra degli antistaminici per precauzione. L'ambiente è un po' impolverato.

Premetti invio godendomi le facce di Dylan mentre leggeva il mio messaggio. Si girò puntando il display con aria interrogativa. Strinsi le braccia sotto il seno indicando i fogli sul tavolo con un impercettibile cenno del capo. O quello o niente aiuto. Lui alzò le braccia in segno di resa.

Amanda uno, Dylan zero.

***

Tornai a casa presto. Il cellulare in borsa continuava a vibrare da un po'. Decisi di afferrarlo con una mano, mentre con l'altra aprivo il portone del palazzo. Incastrai l'apparecchio tra l'orecchio e la spalla dopo aver letto "Sconosciuto" invece del nome del chiamante.

«Sì?» risposi abbastanza scocciata, non avevo voglia di ascoltare nessuna promozione. Se proprio avessi voluto un'offerta di qualche tipo me la sarei andata a cercare.

«Amanda Peterson?» chiese una voce familiare. Probabilmente era il tizio della lavatrice dell'altro giorno.

«Sì, sono io. Senta non voglio niente, la ringrazio.» Ero pronta a riattaccare, mentre salivo di fretta i gradini che portavano al mio appartamento.

«Amanda, sono io, Richard Whitemore. Ci siamo conosciuti l'altro giorno a lezione quando mi sei caduta tra le braccia.» Improvvisamente la voce mi morì in gola. La mano che avevo allungato per inserire la chiave nella toppa si fermò a mezz'aria. Mi infilai in casa chiudendola alle mie spalle nel più assoluto dei silenzi. Emma era sul divano in salotto, mentre sorseggiava del thè caldo. Non fece molto caso a me, all'inizio. Aveva indosso una vestaglia leggera e un ferma capelli. Due profonde occhiaie segnavano il viso scarno.

«Richard! Certo, scusa, pensavo fossi-» iniziai il mio discorso provando a discolparmi. Chiesi un tacito aiuto a Emma, la quale rimase basita per le mie parole. Era davvero pallida. Mi scrutai intorno per capire se avesse mangiato, ma nell'appartamento non c'era nulla che mi facesse pensare che si fosse messa ai fornelli. Puzzava ancora di alcool.

«Pensavi fossi un molestatore?» terminò al posto mio.

Mi morsi un labbro. «Più o meno...» risi forzando un gridolino e facendo ricadere la borsa e le chiavi sul divano con una scrollata.

«Come hai avuto il mio numero?» chiesi di getto. Una domanda stupida, ma necessaria.

«Emma credevo ti avesse anticipato qualcosa. Meglio così, effetto sorpresa» sdrammatizzò lui con una risata. Mi voltai verso la mia coinquilina, la quale si grattava la nuca incapace di asserire alcunché.

«Ci sei ancora, Amanda?» ripropose la voce calda dall'altro capo del telefono.

«Sì, certo. Sono solo sconcertata, dimmi come mai questa chiamata?» scossi il capo pentita per la scelta di parole. Lo avrei fatto scappare a gambe levate. Dovevo mostrarmi interessata, ma allo stesso tempo smetterla di riempirlo di domande.

«Invitarti a uscire.»

«Davvero?» guardai Emma con faccia corrucciata, la quale sorrise a malapena. Non credevo possibile una svolta del genere.

«Sì, davvero. Ti andrebbe, magari domenica?» cercai di riprendere il mio autocontrollo ormai degenerato. Le gambe mi tremavano e la voce faceva fatica a uscire dalla mia bocca.

«Certo, domenica è perfetto!» risposi alla velocità della luce.

«Ci aggiorniamo per i dettagli, ma sono sicuro ci divertiremo» terminò con tono sicuro.

«A presto, allora» conclusi la chiamata ancora prima di sentire i suoi saluti. L'adrenalina aveva raggiunto livelli stratosferici e io non potevo più contenere la gioia.

Mi aveva chiesto di uscire! Richard. Whitemore. E me lo sarei ricordata per sempre. Iniziai a strillare e a saltellare attorno a Emma.

«Ti perdono per non avermi anticipato nulla, doveva essere una sorpresa, giusto?» commentai stringendola tra le mie braccia. Lei rise portandosi una mano alla fronte.

«Emh, sì. Amy, scusami.» La bionda si allontanò mantenendo un sorriso rigido sul volto. «Non mi sento bene. Non è che potremmo parlarne più tardi?» mi lasciò un bacio sulla guancia mostrandomi i suoi occhi arrossati. Non volevo trattenerla oltre.

«Chiamami se ti serve qualcosa» urlai affinché potesse udirmi. Lei fece un cenno di assenso con la mano prima di chiudersi in camera. Doveva riposare e recuperare le energie.

Io, al contrario, ne avevo fin troppa in corpo. Afferrai il cellulare digitando il numero di Nathan: dovevo assolutamente parlare con qualcuno.

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