07. Void
♫ Katy Perry - The One That Got Away ♫
Le successive dodici ore mi parvero un'eternità.
Nella mia mente quel paio di occhi non mi aveva ancora abbandonata, così come la strana sensazione di bruciore sotto la pelle.
Mi sentivo inutile e insignificante, incapace di concepire come qualcuno potesse serbare tanto astioso.
Mi rigirai per l'ennesima volta tra le coperte del mio letto. Mi domandavo cosa avessi sbagliato, maledicendomi allo stesso tempo per essere stata invadente. Le mie azioni erano state dettate solo da buone intenzioni.
Mi sentivo in colpa. Per non avergli dato una vera possibilità.
Per espiare quei sentimenti negativi potevo solamente continuare a riflettere, torturandomi sui motivi che avrebbero potuto spiegare il comportamento gelido di Dylan. Cosa mai poteva esserci di così malevolo da trasformare qualcuno in un'ombra di sé stesso?
La risposta arrivò nel cuore della notte. L'unica veramente plausibile.
Era tutta colpa dell'amore.
Amore, cinque lettere, una parola. Ne esistevano di vari tipi. Ogni giorno l'amore vero e puro coesisteva con quello malato, irriconoscente, cedibile e possessivo. In una guerra quasi eterna. C'erano gli amori mal ricambiati e quelli solamente ricevuti. Quelli indelebili, altri sommersi e dimenticati dalle sabbie del tempo.
Ma eravamo davvero tutti pronti ad amare?
Quando l'amore arrivava non si potevano fare progetti. Ti colpiva più volte modellando il tuo essere, fortificando le corazze e alleggerendo l'anima. Ti riempiva il cuore, svuotandoti di qualsiasi tipo di energia e nel farlo si scatenava un gioco infinito dove non vi erano né vinti, né vincitori. Fino a che... fino a che il fragile equilibrio non si sarebbe spezzato facendo traboccare quei sentimenti verso il terrore più profondo.
Amare significava avere la consapevolezza che la paura potesse prendere il sopravvento sulla propria vita da un momento all'altro, poiché facce della stessa medaglia dorata.
Si manifestava come un vuoto: un semplice spazio che doveva essere alimentato dal nulla cosmico per poter sopravvivere. E forse era proprio ciò che era accaduto a Dylan. Perché lo avevo visto, quel vuoto vigeva nei suoi occhi.
Scossi il capo in contrasto con i miei pensieri. Non volevo crederci, mi rifiutavo di farlo. Fino a quando una semplice domanda mi fece rimettere tutto in discussione: e se lui non facesse niente per uscirne?
Il vuoto che pervadeva la sua anima poteva essere la risposta ai suoi strani comportamenti. Avrebbe avuto bisogno del calore perduto e qualcuno che gli ricordasse che dai silenzi potevano nascere le migliori melodie.
Il problema, però, era che lui non voleva tutto quello.
Non mi avrebbe permesso di comprenderlo mai fino in fondo.
Infilzai le unghie nella mia stessa mano. Mi faceva solamente rabbia. Tutto quel creare muri, rinforzarli, credendo che una facciata perfetta potesse bastare per allontanare chiunque. Era davvero troppo. Soprattutto se bastava così poco per crollare e ripiombare nel gelo attanagliante di paura.
Dylan era un personaggio. Ogni suo gesto lo era. Ogni battuta, ogni risata. Non era mai stato veramente lui.
Ma perché, Dylan?
Più ci pensavo e più mi convincevo che probabilmente ognuno di noi fosse fatto per avere un po' di vuoto. Alcuni preferivano abbandonarsi a esso, mentre altri ancora lo combattevano. Come avevo fatto io.
Sorrisi amaramente riportandomi supina. Non c'era un'unica verità indissolubile.
Amare era sicuramente il più nobile dei sentimenti. Tutto il mondo si muoveva per amore. Ma allo stesso tempo era forse anche il più spaventoso e difficile da controllare. Perciò qual era la cosa giusta da fare nell'infinita possibilità che era la vita? Continuare a provarci rischiando di soffrire ancora o scegliere la via più semplice abbandonando ogni emozione, per sempre?
Io avevo chiaro il mio percorso: se alla fine dei conti avremmo tutti dovuto convivere con del vuoto, a quel punto lo avrei abbracciato totalmente. Mi sarei fatta consumare dai sentimenti, dalle emozioni senza alcuna riserva perché non sarei mai riuscita a rinunciare all'essere me stessa.
E fu così che lo capii.
Fino a quel pomeriggio non me ne ero ancora resa conto.
Ma lui con me era uscito allo scoperto. Un piccolo spiraglio in quel profondo buio era tutto ciò che avevo ottenuto.
Nascosto dal suo sguardo assente, dall'ombra nei suoi occhi e dalla triste inclinazione della voce ogni qual volta pronunciava che tutti saremmo andati via... c'era una richiesta d'aiuto di qualcuno che si stava perdendo dietro le mura di paura che aveva costruito.
E io le avrei fatta cedere, presto o tardi Dylan sarebbe tornato a vivere.
***
Aprii gli occhi a causa della sveglia. Ero riuscita ad addormentarmi e non mi sembrava vero che dovessi già prepararmi per affrontare una nuova giornata.
Mi alzai molto lentamente, la testa mi scoppiava e con altrettanta flemma mi diressi verso il bagno per poter fare una doccia fredda e riprendere le piene facoltà delle mie azioni e pensieri.
Quella mattina avevo chiesto in prestito la macchina a Emma e, per mia fortuna, non fece molte domande.
Durante la lezione del professor Lynch mi ero tenuta alla larga da tutti i miei amici: non volevo essere disturbata. La testa non smetteva di martellare. Ero totalmente sconcentrata e rammaricata.
Notai Cassidy prendere posto qualche banco avanti al mio tenendone un altro in riserva: molto probabilmente a causa di Dylan. Ne ebbi la conferma quando lui mi superò senza neanche degnarmi di uno sguardo sedendosi direttamente accanto a lei.
Avevo scrutato per tutto il tempo come avevano riso e scherzato durante la lezione. Dopo ciò che avevo pensato quella notte mi pareva una buffonata. Dovevo parlargli per capire qualcosa in più. Mi sarebbero servite delle risposte per acquietare il mio animo. Non riuscivo a credere che secondo lui la soluzione migliore fosse semplicemente ignorare la mia esistenza.
Quando l'ora terminò decisi che sarei ritornata a casa nella più totale solitudine. Ma nel sistemare i quaderni all'interno della tracolla inciampai maldestramente. Abbassai le palpebre porgendo d'istinto le braccia in avanti, ma prima che riuscissi a toccare terra avvertii una forte presa sorreggermi dal busto. Quando riaprii gli occhi, i miei capelli corvini mi si posarono davanti impendendomi la visione del mio salvatore.
«Oddio, grazie! Mi dispiace, ti sono venuta addosso, ti ho-» iniziai a blaterare una volta tornata ritta, ma mi interruppi appena due occhi cristallini si posarono su di me.
Era lui, era Richard Whitemore in carne ed ossa e mi stava tenendo stretta tra le sue braccia. Ero senza parole e ci rimasi fino a che lui, forse accorgendosi del mio imbarazzo, non mi lasciò. Mi guardai intorno ricercando la mia borsa: era tra le mani di uno dei suoi più fidati amici. Gli ringraziai maldestramente maledicendomi per la pessima figura.
«Tranquilla, tutto bene? Io sono Richard, mentre lui è Stephan» commentò il primo allungando una mano dopo avermi lasciata. Misi meglio a fuoco quel gesto. Entrambi parevano voler fare conversazione. Strinsi la cinghia in cuoio del mio zaino ancor più forte. Sapevo troppo bene chi fossero.
«Amanda, ma tutti mi chiamano Amy» risposi con un filo di voce tornando a guardare il principe azzurro che mi aveva salvata. Aveva un sorriso così smagliante. Sembrava volesse abbagliarmi e io avevo tutta l'intenzione di lasciarmi trasportare dal suono della sua voce.
«Sei l'amica di Emma Wood, giusto?» chiese lui passandosi la lingua sulle labbra.
«S-si, Emma, è la mia migliore amica. La conosci?» replicai curiosa. Quando mi sarebbe capitato di nuovo di conversare con lui?
«È un'amica di amici. Questa sera dovrebbe esserci anche lei, che dici, ti va di unirti a noi?» mi propose indicando entrambi, se stesso e Stephan, che non aveva smesso di sorridere mostrando due dolci occhi grigi. La sua proposta, però, fu tanto piacevole quanto amara. Per quella sera avevo impegni più grossi di me. Le musiche trionfali nella mia testa smisero di suonare quasi immediatamente.
«Purtroppo oggi non posso, devo recuperare la giornata di ieri come assistente del signor Lynch e non penso di farcela» ammisi abbassando lo sguardo.
«Nessun problema, sarà per una prossima volta. Ci vediamo, Amy» mi consolò prima di scendere le gradinate insieme a Stephan per sedersi con il suo gruppo.
Rimasi imbambolata a fissarlo, diventando paonazza quando mi accorsi che il resto della classe aveva assistito a tutta la scena. Avvicinai la borsa al petto per poter correre veloce verso l'uscita: dovevo prendere una boccata d'aria.
Quando Lynch si rese disponibile mi diressi da lui, ancora intento a sistemare carte sulle finanze estere.
«Professor Lynch, potrei parlarle?» Tossii per annunciare la mia presenza. Dopo un primo attimo di incertezza, mi sorrise soddisfatto.
«Signorina Peterson, certo, mi chieda pure» era molto gentile. Gli spessi baffi gli davano un'aria da nonnino premuroso più che da spietato insegnante di economia.
«Sia io che il mio collega, Dylan O'Brien, ieri pomeriggio l'abbiamo aspettata per poter effettuare il nostro lavoro, ma non abbiamo potuto perché, beh...» non volevo offenderlo, quindi sperai ci arrivasse da solo.
«Dov'è il suo collega?» chiese d'un tratto.
«È qui. Sono qui, Dylan O'Brien. Buongiorno, professore» il moro comparve spuntando alla mia destra. Aveva l'aria affannata.
«Bene, ora che ci siamo tutti posso porgervi le mie personali scuse per ieri pomeriggio: c'è stata una riunione non prevista e sono davvero mortificato per la situazione. Ecco a voi le chiavi del mio ufficio.» trasse fuori dalla valigetta un mazzo di ferraglia grigia. «D'ora in avanti avrete libero accesso, ho piena fiducia nei miei studenti, così che quando io non sarò presente potrete effettuare il vostro lavoro a partire da questo pomeriggio. Non temete, non ho niente di prezioso nello studio a parte vecchi libri ed esami da correggere. Penso di saper riconoscere delle brave persone quando le ho davanti, perciò non accetto obiezioni. Inoltre, siete i migliori del vostro corso, non avreste alcun interesse nell'alzarvi i voti più del massimo e so per certo che non lo farete con i vostri compagni, poiché li revisionerò personalmente e se dovessi trovare incongruenze tra gli esami e i punteggi vi dimetterei sul posto. Ci siamo intesi?»
«Sì, signor Lynch» rispondemmo all'unisono. Non mi aspettavo un tale carico di responsabilità.
«Perfetto ragazzi, a più tardi!» concluse il professore afferrando la sua ventiquattrore e richiudendola con un rumore sordo.
Il mazzo di chiavi troneggiava sulla scrivania dell'aula. Avevo tutta l'intenzione di appropriarmene, ma a precedermi ci fu Dylan.
«Seriamente, pensi di essere il più affidabile tra i due?» domandai retorica incrociando le braccia sotto al seno.
«Sei tu che hai una pessima visione di me, certo che sono affidabile» controbatté sbuffando e lanciando in aria più volte il moschettone pieno. Mi sorrise alzando un angolo della bocca, provocatorio.
Uscii dall'aula non volendo più fare discussione, soprattutto se dovevo essere trattata con sufficienza. Come si definiva il comportamento di un ragazzo che il secondo prima ti ignora e poi ti lancia sorrisini fastidiosi? E se avessi sbagliato, e che quello che avevo letto nei suoi occhi non fosse paura, ma semplicemente strafottenza di qualcuno che si credeva superiore?
Tornai a casa stordita e arrabbiata per l'ora di pranzo. Approfittai della presenza di Emma per porle alcune domande su Richard.
«Sì, esce con un gruppo di amici con cui dovrei vedermi questa sera per la preparazione della sfilata. Non sapevo della sua presenza, in realtà» mi diede delucidazioni mentre assaporava l'ennesima cucchiaiata di gelato alla vaniglia. Il nostro pranzo si era difatti ridotto a ice-cream e biscotti, ottimo per curare qualsiasi pena affiggesse l'anima.
«Mi ha chiesto di uscire con voi» ammisi sognando a occhi aperti.
«Cosa hai risposto?» spalancò gli occhi famelica di una risposta succosa che potesse alimentare il gossip giornaliero.
La sua espressione mutò in ottemperanza con il mio silenzio. «Che non potevo. Ma mi ha assicurato che ci sarà una prossima volta» recuperai.
I miei occhi caddero sull'orologio appeso alla parete e per poco non caddi dalla sedia. Ero in super ritardo per prendere il bus che mi avrebbe portato in università.
Di quel passo Dylan avrebbe ottenuto il controllo del nostro internato e non potevo permetterlo.
♣♣♣♣♣
Benvenuti, cari Cursed!
Con la revisione del libro ho iniziato a pensare all'opera nella sua totalità: ciò significava anche dare un certo peso alle tematiche trattate. Prima tra tutte l'amore in relazione alla paura. Il titolo del libro è pur sempre "Love.Be Afraid" !!
Perciò con questo capitolo inizia il viaggio nella complessa psiche della protagonista e del suo nuovo compagno.
Per voi, invece, cosa è l'amore?
Sperando di aver incantato i vostri cuori, un bacio dalla vostra Red Witch,
Haineli ♥
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