05. L'esasperazione vien vivendo
♫ Dua Lipa - Don't start now ♫
Mi aveva ferita ancora una volta gratuitamente.
Mi allontanai dal locale per dirigermi verso le aule camminando a testa bassa e facendo vorticare i pensieri, non accorgendomi di chi avessi attorno.
«Amy, sono tre volte che ti chiamo, tutto bene?» Cassidy afferrò una mia spalla pur di arrestare la mia corsa. Sbatté le palpebre più volte, aveva uno sguardo angelico nonostante fosse in evidente apprensione.
«No, da cosa lo hai dedotto?» biascicai delusa.
«Hai una faccia» rispose stringendo a sé una pila di libri. Cassidy aveva delle adorabili fossette. Sospirai facendole cenno di dirigerci verso una delle panchine del corridoio così sarebbe stata più comoda. Ero intenzionata a vuotare il sacco e a metterla in guardia.
«Ti ricordi il moro presente alla festa sulla spiaggia di qualche giorno fa?» Gli occhi le si illuminarono, spalancandoli. Abbandonò i libri per scuotermi.
«Sai chi è, non vero? Dimmi il suo nome!» supplicò bambinescamente, certe volte dovevo sforzarmi di ricordarmi che la sua età anagrafica non si aggirasse intorno ai sedici anni e che fosse più grande di me. «Allora? Dillo!» rincarò.
«Il cugino di Nathan ed è iscritto alla UCLA, ma-»
«Quindi lo vedremo tutti i giorni? Sai che corsi frequenta?» mi chiese irrefrenabile affondando le sue unghie nella mia carne.
«In realtà no, Cassidy mi stai facendo male!» Lei abbassò lo sguardo, notando la sua mano a tenaglia. «Oh, scusami Amy, non volevo.» Feci un cenno del capo per comunicarle che fosse tutto a posto, mentre con la mano integra massaggiavo la zona reduce dallo strattonamento.
«Me lo presenterai?» incalzò. Avrei voluto dirle quanto fosse poco gentile e sgarbato, ma non ebbi il tempo materiale per farlo.
«Finalmente ti ho raggiunta. Tieni.» Mi volsi verso quella voce odiosa con stizza. Era proprio vero che parlando del diavolo spuntavano le corna. Dylan era in piedi a un metro di distanza che riprendeva fiato, teneva in mano un sacchetto bianco con su scritto "Nexus plus", nome del bar da cui ero appena uscita, che mi avvicinò fin sotto il naso. Afferrai l'oggetto timorosa, notando che al mio fianco Cassidy sembrava aver avuto un arresto cardiaco. Era troppo tardi.
«Che cos'è?» domandai snervata senza degnarlo di uno sguardo o ringraziamento.
«Ti ho preso un altro dolce. Non hai più fatto colazione, non sembrava giusto che rinunciassi solo a causa... beh, mia» sospirò sorpassandomi subito dopo. Rimasi raggelata sul posto. Cosa significava?
«Poteva consegnarmelo Nathan visto che non era di tuo particolare interesse passare del tempo in mia compagnia» lo punzecchiai.
«Diciamo che sono stato costretto dal grande capo.» Il tutto in quel momento prese una piega decisamente più sensata.
«E quindi?» riproposi retorica aspettando delle scuse.
«Credo che siamo partiti con il piede sbagliato. Devo ammettere di aver esagerato. Ma non ne sono sorpreso, mi capita spesso. Mi sforzerò per evitarlo in futuro, considerando che la nostra conoscenza in comune ci tiene particolarmente.» Dovevo notificarlo: era bravo con le parole.
Si guardò attorno fino a che Cassidy non si mosse per creare dello spazio sulla panchina. Incitò Dylan a porsi in mezzo a noi due, ignorando completamente tutto ciò che il moro aveva detto nei miei riguardi fino a quell'istante. Crucciai lo sguardo irritata ed esasperata.
«Potresti sorridere di più, sai? Invece, questa dolcezza come si chiama?» sviò il discorso Dylan sedendosi al mio fianco e allungando le braccia per mettersi comodo. Lei si sporse per presentarsi.
«Sono Cassidy, un'amica della musona.» Ci si metteva anche lei a insultare? Schiusi le labbra con stupore, ma non dissi nulla. Non volevo alimentare altri scontri.
«Il piacere è tutto mio. Io sono Dylan O'Brien, il cugino di Nathan Kingstone, non so se lo conosci.» Sorrise a Cassidy mellifluo. Si era nuovamente calato nella parte del Don Giovanni.
«Stavamo parlando proprio di questo io e Amy.»
«Chi è Amy?» chiese Dylan d'un tratto. Socchiusi gli occhi emettendo l'ennesimo respiro profondo della giornata. Dopo tutte quelle sceneggiate non era riuscito neanche a capire come mi chiamassi.
«Io sono Amy, razza di idiota, tra l'altro sono sicura te lo abbia anche detto tuo cugino poco fa» asserii molto poco delicatamente.
«Sì, giusto. Amanda.» Fece spallucce come se fosse una questione di poco conto.
Approfittai del poco tempo ancora libero per aprire il pacchetto contenente la mia colazione facendo attenzione a non sporcarmi gli abiti.
«Seguo le lezioni del professor Lynch, sapete a chi posso chiedere?» Intavolò una conversazione.
«Sarai un nostro compagno di corso, allora! Siamo a tua disposizione per qualsiasi dubbio» esultò Cassidy, la quale si avvicinò al moro facendo sì che io mi spostassi verso l'esterno della panchina. Non gli staccava gli occhi di dosso. Sarei voluta andare via, ero il terzo in comodo, ma non potevo.
Affondai i denti nella soffice pasta sfoglia: era una piccola goduria in quella giornata grigia. Il cioccolato ancora tiepido si scioglieva benissimo in bocca. Abbassai le palpebre per poterlo gustare al meglio.
«Amy» mi sentii richiamare da Cassidy.
Mi risvegliai di soprassalto sorgendomi in avanti. «Che succede?» domandai con la punta del cornetto in mano. Inghiottii anche quella. Lei mi fece segno di osservare verso il corridoio. Alzai lo sguardo a mia volta notandolo: proprio lui, Richard.
Richard Whitemore era il ragazzo per cui avevo una cotta sin dal primo anno: frequentava con me quasi tutti i corsi e non avevo mai avuto il coraggio di parlargli, Cassidy lo sapeva bene. Era l'incarnazione del principe azzurro, incredibilmente bello e con due occhi profondi da far invidia a Nathan. Deglutii velocemente divenendo rossa per la vergogna. Mi sistemai i capelli alla ben e meglio tossendo per schiarire la voce.
Come quasi ogni mattina, il bel biondino non era solo, ma in compagnia di suoi tre storici amici. Era un tipo molto socievole. In particolare, sembrò concedere svariati attimi nel perscrutare me e i miei compagni sulla panchina. Non riuscii a decifrare il suo volto non sapendo se interpretarlo come un gesto positivo. Pensai che forse mi avesse notata. Feci un timido cenno con il capo prima che tutto il suo gruppo si dissolse per dirigersi verso l'aula.
Respirai sorridendo come un'ebete.
«Ti piace quell'essere?» chiese indispettito, Dylan. Mi ero dimenticata che lui fosse ancora lì.
«Cosa? No, non è vero» mentii spudoratamente ponendo le mani in avanti.
«Invece sì, dai Amy non è un segreto! Le piace da anni: da quando una volta le raccolse un libro che le era caduto» commentò Cassidy.
«Ma che bella amica che ho!» apostrofai sarcastica con un finto sorriso stampato in volto.
«Non c'è niente di male, è un bravo ragazzo ed è anche-» rispose facendo spallucce. Ma non riuscì a terminare il suo discorso, poiché Dylan la interruppe bruscamente.
«Basta che qualcuno faccia un gesto carino nei tuoi confronti e tu cadi ai suoi piedi? Potrebbe essere la persona più viscida del pianeta, ma ti basi sull'apparenza? Ci vuole davvero così poco?» rise mestamente, Dylan. Notai come dal semplice ignorarmi ero diventa il centro della conversazione.
«Così poco per cosa?» domandai a mia volta non capendo il senso della domanda.
«Per farti innamorare» concluse lapidario stringendo una mano in un pugno. Le sue labbra divennero incredibilmente sottili, quasi invisibili all'occhio. Anche il suo sguardo si fece più cupo. Stava parlando con una certa cognizione di causa, molto più di quanto non avesse fatto fin quel momento.
«Non sono innamorata, ma-ma che stai blaterando?» Dylan iniziò ad avanzare con il busto, avvicinando il suo volto al mio. Mi retrassi d'istinto, eppure non riuscii a evitare la sua mano, la quale si posò sulla mia guancia. Con il pollice sfiorò il mio labbro inferiore proseguendo verso la commessura angolare, trattenendola poi per qualche attimo.
«Avevi un po' di cioccolato...» si discolpò, scostando la mano solo in seguito. I nostri occhi si incrociarono propriamente per la prima volta. Era maledettamente vicino e così tormentato. Non capii perché stesse facendo e dicendo tutto quello. «E credo che ci voglia davvero così poco» asserì quasi dispiaciuto distogliendo lo sguardo per porgerlo dinanzi a sé, nel vuoto.
«Che cosa significa, era un test?» ricercai chiarimenti con voce tremante. La mente di quel ragazzo viaggiava a un ritmo tutto suo. Non ne potevo già più di averci a che fare.
«Ho fatto un gesto carino anch'io, no?» scherzò divertito inarcando un sopracciglio e leccandosi il pollice che era passato sull'angolo della mia bocca. Si stava prendendo gioco di me.
«È un vero peccato, tutto qua» pronunciò, infine.
«La mia vita privata non deve interessarti. Limitati solo a ciò che Nathan ti ha chiesto, ovvero essere un po' più cortese, ci riesci senza sembrare uno stronzo?» domandai retorica. Il moro scosse il capo visibilmente agitato. Mi alzai da quella seduta fin troppo scomoda per entrambi.
«Hai ragione, non sono affari miei. Scusami.» Mi bloccai sul posto. Per la prima volta sembrava sinceramente costernato.
«Bene, allora» ero stralunata «Cassidy io vado in aula, ci vediamo dopo?» domandai raccogliendo il mio zaino da terra dove lo avevo poggiato.
«Certo!» sentenziò sbattendo le palpebre e sorridendo verso il primate. Salutai per poi intraprendere la stessa direzione perseguita da Richard poco prima.
Entrai nell'aula che era piena per metà. Il professor Lynch era tra i più facoltosi dell'università per quello le sue lezioni erano seguite anche dagli stessi laureandi che volevano ulteriori delucidazioni. Io lo trovavo semplicemente un genio, aveva un carattere particolare, per niente burbero e molto scherzoso. Ci faceva amare la materia portandoci al cuore della stessa e non si limitava solo a promulgare semplici nozioni che erano facili da reperire nei libri. Lo adoravo.
Presi posto come al solito verso la terza o quarta fila. Le seggiole delle aule erano disposte come in un teatro greco: discesi le gradinate collocandomi esternamente. Sistemai tutto ciò che avevo portato con me aspettando che il professore facesse il suo ingresso.
«Questo posto è libero?» sentii pronunciare dallo stronzo. Non feci in tempo a rispondere che il moro inarcò le labbra superandomi con uno scatto atletico.
«Sicura di stare bene? Lo sai che lo stress provoca le rughe in età giovanile? Dovresti calmarti e rilassarti in qualche modo, me lo ha rivelato Cassidy!» Alzai le braccia in aria. Era lui la mia fonte di stress.
«Hai bisogno di calmarti, fare una passeggiata, divert-» lo interruppi prima che potesse continuare. «No, grazie.» Lui fece spallucce.
«Sai che non sei obbligato a parlarmi solo perché sei il cugino del mio migliore amico?» indagai.
«Onestamente, ora come ora sei l'unica persona con cui ho confidenza. Non mi fraintendere, potrei fare amicizia con chiunque nel giro di pochi istanti, ma non penso piacerei loro per più di due secondi» controbatté rubando la penna che avevo tra le mani e giocherellandoci. Era un bambino. Me la ripresi con la forza.
«Hai conosciuto Cassidy o sbaglio? Vai da lei, no? Credo saresti molto sorpreso di quanto tu possa piacerle» gli feci notare irritata. Lo guardai di sottecchi in attesa della sua risposta.
«Sì, e non solo lei. Mi ha salutato persino un tipo tutti muscoli e niente capelli, che qualche giorno fa mi ha invitato a una festa.» Pensai si riferisse a Josh, il migliore amico di Eric, ma evitai di esporgli il mio dubbio.
Avvertii il suo sguardo bruciare sulla mia pelle. Al che dissimulai facendo finta di non saperne nulla. Mi morsi un labbro irritata. Si ricordava della serata, ma non dell'after party.
«A proposito, uscirò insieme alla tua amica carina» mi informò con non calanche. Che velocità.
«Uscire nel senso di appuntamento?» chiesi fissandolo inebetita.
«No, uscire nel senso di portarla in braccio fuori dall'uscio di casa fino a che non sverrò per la stanchezza. Ma certo che è nel senso di appuntamento» sbraitò divertito sbuffando e cadendo a peso morto sulla sedia. Mi scrutava con una faccia perplessa. Lo ignorai tornando a mirare dinanzi a me.
«Che c'è, già gelosa?» mi sussurrò in un orecchio. Era palese che stesse testando il mio autocontrollo. Voleva sapere quale fosse il mio limite?
Ero sul punto di rispondergli quando la voce del professor Lynch interruppe il nostro battibecco.
«Ragazzi, benvenuti in questo nuovo anno accademico. Come sapete questo semestre è fondamentale ai fini della laurea. Vi ricordo che durante il mio corso affronterete uno stage in una delle aziende della California, perciò non prendetemi sotto gamba e iniziamo subito senza perdere tempo.» Mi sistemai i capelli ricercando la biro per prendere appunti. Stranamente si era volatilizzata.
«Senti Dylan, hai visto la mia penna?» chiesi voltandomi verso di lui. «Questa dici?» rispose mentre mordicchiava la sua estremità. Lo guardai schifata. «Te la regalo» pronunciai atona cercandone un'altra. Ma perché frequentava l'università se la sua capacità di concentrazione era pari a zero?
«Che dolce, il tuo primo regalo, l'ho detto che sei già innamorata di me.» Sbuffai.
«Prima che me ne dimentichi, devo annunciare i vincitori del placement con il sottoscritto.» Le orecchie mi si rizzarono. Avevo inviato la richiesta di candidatura lo scorso giugno. Si trattava di un concorso per il posto da assistente e lo desideravo davvero tanto. Sarebbe stato il primo vero passo nel mondo del lavoro. Incrociai inconsciamente le dita sotto il banco.
«Allora la prima persona è...» l'attesa mi stava uccidendo. Il professor Lynch si aggiustò gli occhiali da lettura sulla punta del naso. Prese il primo foglio da una cartellina color giallo canarino. Era sempre stato un uomo stravagante. «Lilian Peterson. Il suo saggio sul Management era davvero brillante.»
«Sì!» Ero felicissima, ce l'avevo fatta!
«Ma non ti chiamavi Amanda?» domandò Dylan alquanto pensieroso spostando il suo peso in avanti.
«Il mio nome completo è Lilian Amanda Peterson. Ma Lilian non mi piace, perciò mi faccio chiamare Amy» ammisi scoccando la lingua al palato come se la sua domanda fosse non pertinente.
«Eppure hai esultato» notò lui appoggiando il gomito sul banco così da guardarmi in viso.
«Mi ha nominato vincitrice per il posto, questa volta sono felice che si utilizzi "Lilian". Non posso pretendere che si faccia sempre come voglio io, al contrario di qualcun'altro» scimmiottai.
«Per me sarai Lilian, è più bello» sentenziò. Strabuzzai gli occhi. Nonostante l'idea di Nathan fosse quella di avvicinarci, in quel modo aveva decretato la fine della mia lucidità mentale.
«Ma sei sordo? Ti ho appena detto che non mi piace!» affermai incredula stritolando il primo foglio del mio blocco.
«Io sono Dylan, piacere, e tu sei Lilian.» Sorrise allungando una mano. Roteai gli occhi al cielo. Era un caso disperato. Eppure, quella era stata la nostra miglior presentazione.
«L'altro ragazzo. Ecco qui, Brian, mmm...» fu il professore a parlare, Brian Colt era uno studente molto preparato, mi aveva aiutano durante il primo anno in diritto penale e grazie ai suoi appunti lo avevo passato senza problemi con il massimo dei voti. Ero felice che ci fosse lui con me, se lo meritava.
«Oh no, scusate. La vecchiaia, ho letto male. Dylan O'Brien è l'altro vincitore. Perfetto, domani vi aspetto nel mio ufficio per decidere il da farsi. Ora iniziamo la lezione vera e propria...»
Se quella mattina, in caffetteria, pensai che la giornata non potesse andare peggio mi ricredetti prima di subito.
Il mio cervello non connetteva più, come fosse anche solo possibile che quel ragazzo potesse essere stato considerato per il posto di assistente? Ero certa che nei criteri decisionali fossero in gioco diverse variabili: la media, la costanza e la bravura nel settore. Dubitavo che Dylan avesse anche solo di una di quelle qualità.
Mi voltai nella sua direzione per decifrare il suo sguardo, magari avrei avuto qualche risposta. Lo vidi stiracchiarsi al termine di uno sbadiglio. Continuava a tenere la mia penna tra le dita. Era completamente disinteressato nei confronti di tutto. Era gongolante.
Mi rifilò un occhiolino sarcastico, come se avesse saputo fin dal principio come sarebbe andata a finire, gustandosi la mia reazione.
Già non lo sopportavo più.
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