02. In Common

Jean si dirigeva verso la propria stanza, nel dormitorio del campus.

Era tardi, tutti dormivano e non si udiva alcun suono oltre quello dei suoi passi che riecheggiavano lungo il corridoio.

Tornava da un'uscita con gli amici, non del tutto sobrio ma neanche eccessivamente alticcio, e continuava a ripensare al discorso che avevano intavolato gli altri: Eren.

Era da quando lo aveva lasciato - in un modo non propriamente civile, ne era consapevole - che né lui né i ragazzi, ad eccezione di Marco per quanto ne sapeva, lo avevano incrociato per più di trenta miseri secondi.

Il campus era grande, le lezioni tante, e per tutti loro era normale non vedersi per intere giornate a meno che non ne avessero realmente intenzione, ed all'inizio era comprensibile che il suo ex li evitasse come la peste: era arrabbiato, deluso, ferito.
Armin ancora soffriva del fatto che le cose avessero preso quella piega imprevista, che gli eventi li avessero travolti fino a condurli al punto in cui erano arrivati, ed anche se tentava di non darlo a vedere gli mancava il suo migliore amico.

Anche a Jean mancava Eren.

Con Armin era felice, intendiamoci, e non avrebbe rinunciato a lui per nulla al mondo: lo capiva come nessuno aveva mai fatto, leggeva nel suo animo con la stessa naturalezza con cui respirava, ed era grato del fatto che i sentimenti che avevano iniziato a nutrire l'uno per l'altro fossero reciproci.

Eppure gli mancava la quotidianità col castano. Il loro continuo battibeccare, punzecchiarsi a vicenda, persino le offese che si rivolgevano sapevano di nostalgia adesso.

Era stato davvero uno stronzo, ed un vigliacco.

Così i primi tempi aveva dato al ragazzo il tempo e lo spazio che gli serviva per accettare le cose. Aveva accantonato il pensiero, dedicandosi al suo timido nuovo fidanzato, aspettando che gli eventi facessero il loro corso. Poi aveva iniziato a notare che Eren non solo non li evitava più né li guardava con risentimento, ma che anzi non li considerava nemmeno! Sembrava non vederli tra la folla, o in segreteria, o tra i banchi a lezione. Persino quando li sfiorava passandogli accanto sembrava che Jean ed Armin fossero invisibili ai suoi occhi. Indifferenti. Sconosciuti.

Quella sera gli altri avevano gettato il sale sulla ferita.

Non aveva prestato attenzione al percorso seguito dai propri piedi, ed il risultato era che si era ritrovato di fronte la porta numero 104.

La stanza di Eren.

Fissava quel numero, indeciso sul da farsi. Forse, dato che ormai si trovava lì, il minimo che poteva fare era scusarsi con lui: non avrebbe risolto le cose, né ridimensionato la gravità delle proprie azioni, ma almeno avrebbe fatto la cosa giusta.

Tirò un bel respiro e bussò.

Attese per quasi un minuto. Erano le cinque del mattino e di certo il castano stava dormendo, così decise di fare un ultimo tentativo. Le sue nocche colpirono il legno della porta con più decisione e questa si dischiuse qualche attimo dopo.

Jean trattenne il respiro: non aveva minimamente pensato a cosa dire, agendo d'istinto, e in quel momento il cervello non elaborava nulla di concreto per la forte tensione che sentiva.

Restò piuttosto perplesso però nel non ritrovarsi davanti gli occhi verdi di Eren.

Fu costretto bensì a calare lo sguardo di una decina di centimetri, specchiandosi in quelli freddi come il ghiaccio di un ragazzo che non aveva mai visto. Quest'ultimo lo fissava in malo modo, palesemente scazzato dal fatto che qualcuno lo avesse svegliato a quell'ora e in attesa di una spiegazione che giustificasse il gesto.

Jean guardò prima il corvino poi il numero della porta, aggrottando la fronte.

Non si era sbagliato, era la stanza del suo ex ragazzo. Chi diavolo era allora quel tizio?

«Scusa, tu chi sei...?»

«Potrei farti la stessa domanda» rispose lo sconosciuto, incrociando le braccia al petto.

«I-io cercavo Eren» disse il biondo, tentando di sbirciare nel buio della camera.

«Sta dormendo. A meno che non sia una cosa importante - e ne dubito seriamente visto che puzzi d'alcol - puoi riferire a me o tornare a cercarlo domattina.»

«Chi cazzo sei tu, il suo segretario forse?!» fece Jean, indispettito da quel nanerottolo che iniziava a dargli sui nervi con quel tono di sufficienza.

«Oi, modera il linguaggio moccioso. Smamma, prima di prenderle.»

Il più basso stava per richiudere la porta ma l'altro la bloccò con un piede, per nulla intenzionato a tornare indietro senza nulla di fatto.

«Sveglia Eren, e digli che Jean vuole parlargli.»

A quel punto lo sconosciuto spalancò totalmente l'uscio, avanzando di un passo e costringendo l'altro ad indietreggiare, squadrandolo da capo a piedi con una luce minacciosa negli occhi.

Ora che non era più parzialmente nascosto dalla porta, Jean notò dei dettagli che prima gli erano sfuggiti: primo, il giovane - nonostante l'altezza - era fisicamente ben piazzato, considerando il fatto che fosse nudo ad eccezione dei boxer; secondo, la sua pelle dal colorito pallido era costellata da numerosi segni, la maggior parte dei quali erano succhiotti piuttosto recenti ed alcuni in via di guarigione; e terzo, ma non meno importante, il suo tono di voce roco, più simile ad un ringhio piuttosto che altro, gli gridava a grandi lettere di fuggire a gambe levate.

«Avrei dovuto intuire subito chi fossi non appena ho visto la tua faccia da cavallo. Non te lo ripeterò una seconda volta: sparisci...!»

La porta si richiuse con un tonfo secco e Jean quasi non perse l'equilibrio, rischiando di finire col sedere per terra. Fissò dinanzi a sé, incredulo.

Ecco perché Eren lo trattava con tanta indifferenza: lo aveva dimenticato.

🕠

Levi si avvicinò al letto sul quale il castano dormiva placidamente - completamente nudo - eliminando a sua volta il fastidio dei boxer. Si distese su un fianco, alle sue spalle, e lo osservò per dei minuti infiniti, studiando ogni particolare di quel volto tanto angelico quanto sfacciato.

Era la prima volta che sentiva qualcosa di simile nei confronti di una persona.

Non aveva mai provato l'esigenza di legarsi a qualcuno: non era tipo da relazione seria, ma quello che condivideva con Eren ci andava dannatamente vicino.

Avevano più cose in comune di quanto intendesse ammettere e, a dispetto di come si fossero conosciuti, le loro similitudini si erano rivelate mano a mano ad ogni nuovo incontro. Ad ognuno ne seguiva sempre un successivo, fino a che era diventata una piacevole abitudine trascorrere del tempo insieme.

Quella era la prima volta che Levi si fermava a dormire al campus. Quando facevano sesso, in genere, accadeva nella sua auto o in qualche luogo occasionale. Stavolta invece si era lasciato convincere, e quell'atto carnale dettato dall'impulso fisico gli era improvvisamente sembrato diverso, più intimo.

Il respiro di Eren era calmo, regolare e, non fosse stato per i pensieri che in quel momento affollavano la propria mente, di certo lo avrebbe cullato nel mondo dei sogni. Ma il volto equino di Jean non voleva abbandonarlo.

Sapeva quanto fosse stato stronzo e non perché Eren gliene avesse parlato, ma dal modo in cui il suo sguardo si incupiva quando nella galleria del cellulare incappava in una sua foto, oppure apriva per sbaglio qualche vecchia conversazione. Aveva sofferto all'inizio, glielo si leggeva in faccia. Eppure tutte le volte che i suoi occhi, verdi come purissimi smeraldi, incrociavano i propri sembrava quasi che vedessero il Sole per la prima volta.

Quando era con Eren sentiva una morsa all'altezza del petto, come se avesse il timore che quello fosse solo un sogno e che si sarebbe svegliato, solo come era sempre stato. Solo, come si era sempre sentito.

Con le dita sfiorò, lieve come il tocco di una piuma, la pelle ambrata del ragazzo, risalendo il fianco con estrema lentezza.

Lo sentì tremare, mugugnare debolmente qualcosa, e si irrigidì al pensiero che avrebbe potuto pronunciare un nome che non fosse il suo.

«Levi...»

Il corvino sorrise.

«Oi.»

Eren aprì debolmente un occhio, ancora assonnato, notando che l'altro si trovava in una posizione diversa rispetto a quella in cui si erano addormentati.

«Ti sei alzato...?» biascicò.

«Sono andato al cesso.»

Il castano ridacchiò, divertito.

«A volte tendo a dimenticare quanto tu sia poetico.»

«È un dono che in pochi apprezzano» constatò il corvino, scrollando le spalle.

Eren voltò il capo verso di lui, guardandolo bene.

«Meglio così, hai fin troppi ammiratori per i miei gusti.»

«Non sei uno di quelli...?» chiese, inarcando un sopracciglio.

«Sì, e preferirei essere l'unico» affermò il ragazzo, il volto serio.

Levi sentì l'eccitazione insinuarsi sottopelle, al pensiero di essere il solo oggetto di quei pensieri che urlavano possesso in ogni lingua. L'idea di appartenere a qualcuno gli aveva sempre dato la nausea eppure, lì con Eren, gli sembrava semplicemente giusto.

Si avvicinò a quelle labbra piene ed invitanti leccandole con delicatezza, senza distogliere lo sguardo dal castano neanche per un secondo. In quelle iridi vide riflesse le proprie emozioni: passione, desiderio e qualcos'altro a cui non riusciva ancora a dare un nome, o più semplicemente non voleva.

Eren le dischiuse, invitandolo ad approfondire quel contatto, e Levi non esitò un solo istante ad appropriarsi di quella bocca che sapeva regalargli piacere come nessuno era mai stato in grado prima.

Fu un bacio rude, carnale, fatto di lingue, saliva e denti ma che era dannatamente perfetto e rispecchiava la natura di entrambi. Il corvino portò una mano sul membro rilassato del ragazzo, stuzzicandolo con una delicatezza che contrastava con la reale urgenza che sentiva, aumentando gradualmente la velocità man mano che questo si irrigidiva nel proprio palmo.

Eren mugolò nella sua bocca, mordendogli il labbro con forza, e Levi ringhiò soddisfatto.

«Cosa vuoi, Eren...» sussurrò.

«Voglio venire...» ansimò l'altro.

«Dove...?»

«D-dentro di te...!»

Levi sorrise.

«Sono io a dettare le regole, adesso.»

Eren sbuffò frustrato, stendendosi di schiena e portandosi il dorso della mano a coprire gli occhi.

Levi approfittò della nuova posizione per succhiargli avidamente un capezzolo roseo, vezzeggiandolo e mordendolo senza sosta mentre continuava a pomparlo quasi con ferocia.

«Ah, L-Levi, sto per-»

ll calore della mano del corvino venne sostituito repentinamente da qualcosa di freddo. Eren sussultò, spostando la mano e spalancando gli occhi nel vedere il proprio pene completamente ricoperto di lubrificante.

«Levi, cosa-»

Il corvino gettò il flacone sul letto, salendo a cavalcioni sul grembo del giovane e sfregando la sua asta dura tra le proprie natiche.

«Ho detto» poggiò una mano su quel petto abbronzato, issandosi sulle ginocchia ed allineando con l'altra il membro ben eretto di Eren con la propria apertura «che sono io a dettare le regole.»

Lentamente accolse l'altro dentro di sé, calandosi piano ed avviluppando con la propria carne il muscolo teso del castano, il quale abbandonò il capo sul cuscino sospirando il suo nome.

«Ahhh, Levi...!»

Il ragazzo dalle iridi gelide chiuse gli occhi, assaporando quella sensazione di pienezza.

Adorava il sesso, ma da quando Eren era entrato nella sua vita aveva l'impressione che la loro unione fisica non si limitasse più solo a quello. E la cosa lo spaventava, perché gli piaceva.

Si sollevò, tenendo dentro di sé solo la punta della virilità dell'altro per poi calarvisi sopra con decisione.

«Cristo...! Levi!» gemette il castano, ed il giovane sorrise.

«Dillo ancora...» ordinò, muovendo il bacino avanti e indietro, ondeggiando sensualmente sul suo corpo ben cosciente che quella frizione avrebbe fatto impazzire entrambi dal piacere.

«Levi! Sì, così, di più...!» ansimò Eren accarezzandogli le cosce con entrambe le mani.

Levi non se lo fece ripetere due volte: iniziò a cavalcarlo con foga, facendo schioccare il proprio corpo contro quello dell'altro e facendo leva sul suo petto. La propria erezione svettava turgida, assecondando quel ritmo malato e insaziabile, ed il corvino sentì approssimarsi la familiare sensazione che precedeva l'orgasmo.

«Ancora, dillo ancora...!»

«Levi, Levi, Levi...»

Adorava il controllo, il potere che ne derivava e lo inebriava al punto da stordirlo, ma ciò che più gli piaceva era quando Eren glielo sottraeva, trasformandolo in un burattino tra le sue mani.

Il castano infatti sollevò la schiena, mantenendogli saldamente i fianchi e iniziando a muovere i propri, martellando incessantemente il punto di maggior godimento dell'altro.

Levi spalancò gli occhi, senza respiro. Fissò Eren, poggiando le mani sulle sue spalle per bilanciarsi, mentre l'altro senza pietà prendeva il suo corpo e si appropriava del suo essere. Ansimò sulla sua bocca, sfiorandola ad ogni spinta ed affondo, terribilmente vicino ma troppo lontano allo stesso tempo.

«Levi...! Levi, io ti-»

Lo sentì riversarsi dentro di lui, marchiandolo e baciandolo con trasporto, e Levi venne a sua volta. Eren non lo aveva neanche toccato eppure gli aveva fatto raggiungere l'orgasmo.

Si accasciarono tra le lenzuola umide, uno sopra l'altro, completamente esausti mentre quella sensazione paradisiaca, dovuta al raggiungimento del culmine, scemava lentamente.

Eren gli accarezzò la schiena, indugiando poco al di sopra del solco tra quei glutei che avrebbero fatto perdere la ragione persino ad un santo, ed inspirò l'odore dei suoi capelli corvini che gli solleticavano il viso.

Solo nel momento in cui il castano le sollevò, Levi si accorse di aver intrecciato la propria mano con quella dell'altro.

Eren ne baciò il dorso con dolcezza, mentre il corvino sollevava il viso poggiando il mento sul suo petto, osservandolo pigramente.

«Mi piacciono i tuoi occhi.»

«Per il colore...?» chiese, aspettandosi una risposta positiva: non era il primo complimento che riceveva al riguardo. Invece il ragazzo lo sorprese.

«Anche, ma non per quello. È -» rise, un po' in imbarazzo. «Non so, è il modo in cui mi guardi...»

Il corvino restò immobile trattenendo il fiato, come se così facendo potesse sfuggire alle implicazioni di quella semplice e cruda verità.

«Non sarai uno di quegli idioti che crede ai colpi di fulmine, per caso...?» gli chiese lo studente, fissandolo intensamente con quelle iridi mozzafiato e un sorriso insolente stampato in viso.

Levi non seppe cosa rispondere: glielo avessero chiesto qualche mese prima avrebbe sicuramente negato, ma in quel momento non ne era più così sicuro.

Sogghignò, muovendo appena il bacino ben consapevole che l'altro fosse ancora dentro di lui, stimolandone il membro ancora sensibile e facendolo sussultare.

«Può darsi.»

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