Capitolo 27: Non voglio stare con te (e con voi)

Ho appena finito di mangiare il mio adorato pranzo e - per mia sfortuna - non devo fare compiti.

Oggi è sabato. Bene e male allo stesso tempo. È un bene, perché domani mi posso riposare, ma anche un male, perché dovrei andare a casa di mio padre, come previsto dall'accordo del divorzio tra i miei genitori.

Bisogna dire che questa cosa non l'ho mai rispettata da quando ho iniziato la prima media, poiché ogni volta contattavo una persona diversa con cui uscire, proprio per non doverci andare, e devo dire che ha sempre funzionato. Tutte le volte affermavo che erano gli altri a chiedermi di uscire - e non il contrario - e mia madre mi difendeva ribadendo che se non mi avesse dato il permesso, sarei rimasta sola.

Oggi, dodici gennaio 2019, sembrano tutti occupati a fare qualcosa. Avrò messaggiato almeno quindici persone e tutte mi hanno detto la stessa frase, "Non posso", e poi hanno dichiarato il perché.

Non ho trovato nessuno con cui uscire, quindi dovrò andare a casa di mio padre, dopo che non lo vedo da quattro anni.

Sono sicura che sarà il degrado.

***
Sono appena arrivata a casa sua e mamma - la ringrazio per questo - ha parcheggiato un po' distante dall'ingresso della casa.

Lo so quanto non ha voglia di vederlo e non la posso biasimare. Nemmeno io voglio vederlo, ma mi tocca.

Scendo dalla macchina, perché è ora che io lo faccia, e vado davanti alla porta d'ingresso. Suono il campanello, sperando che non apra nessuno e che me ne posso andare, ma non è così.

A spalancare la porta, è quello che penso sia mio padre. Non lo posso dire con certezza, perché non lo vedo da tanto tempo.

Posso affermare che non mi è mancato affatto.

Appena mi vede, subito mi abbraccia. Ma è impazzito? «Scollati» dico acidamente.

«Non dovresti rivolgerti a tuo padre in questo modo» mi rimprovera.

«Parla quello che non è mai venuto a cercare la figlia per quattro anni, nonostante abitasse nella sua stessa città. Non penso abbia un motivo valido per essere perdonato».

Evvai! L'ho proprio colpito nel punto peggiore o, come si dice, touché.

Prima di dargli il tempo di rispondere, entro in casa. Appena attraverso l'uscio della porta, noto immediatamente il soqquadro che domina ogni singolo centimetro di questa catapecchia.

Trattengo difficilmente la voglia di mettere in ordine qualunque cosa.

Non vedo l'ora di andarmene o potrebbe capitare che mi dovranno internare in un manicomio visto che sono dentro un porcile.

Mi chiedo dove sia la troietta che si fa quello che tecnicamente è mio padre. Sinceramente m'importa meno di zero.

Con molta difficoltà e disgusto - dopo aver scansato degli abiti, tra cui delle mutandine - mi siedo.

Apro il libro che come sempre porto con me e inizio a leggere.

Non passa nemmeno un minuto che arriva mio padre. «Stai leggendo? Non fai altro che questo, mi hai stufato!» urla, prendendomi il libro dalle mani e lanciandolo addosso ai mucchi di vestiti che sono ammassati su svariate sedie.

«Eccolo qua l'uomo che tradito mia madre con una donna più giovane per poi averci pure una figlia, nonostante a quell'epoca ne avesse già due. Mi devi lasciare in pace. E non è una cortesia» gli rinfaccio al suo stesso tono, mentre raccolgo il libro.

Come ho chiesto, "mio padre" se ne va da un'altra parte della casa.

Finalmente! Non ne potevo più!

Prendo un secondo il telefono per vedere se qualcuno mi ha cercato e trovo un messaggio di Matty.

'Lunedì, dopo la scuola, verresti nella stanza designata alla squadra di matematica, per favore?'

***
Sono appena ritornata dal bagno e vado verso il divano, il posto sul quale ho lasciato le mie cose, tra cui il mio adorato telefono.

Tutti i miei oggetti sono come li ho lasciati, ma non riesco a trovare il cellulare.

Dove può essere andato a finire?

Non me ne rendo conto, eppure sto urlando.

Arrivano di corsa quello stronzo di mio padre e la sua mogliettina adorata. «Che è successo? Perché hai urlato?» pronuncia con una finta preoccupazione nella voce la mia matrigna.

«Non riesco a trovare il mio telefono».

«È questo il motivo per cui hai strillato così forte da farci preoccupare seriamente?» sbuffa quello che tecnicamente sarebbe mio padre.

«Sì» rispondo, facendogli capire che era una domanda stupida da porre. «Ora mi aiutate a cercarlo?»

Senza dire altro se ne vanno.

Ma che stronzi! Però è proprio vero: Dio li fa e poi li accoppia.

Ora, visto che non mi aiuta nessuno, mi metto a cercare inutilmente il mio cellulare.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top