Capitolo 20: Mai dire mai
Sono seduta sul banco nell'aula di Arte.
È l'ultima ora dell'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Natale.
Ma quando finirà questo strazio? Non lo so, ma se continua così, mi ritroverà addormentata e distesa sul mio banco.
Mi si stanno per chiudere gli occhi, quando...
«Corsica, tutto a posto?» chiede la prof. di Arte.
La prof? Oddio, devo svegliarmi e in fretta!
«Sì...»
«Sei sveglia! Pensavo che stessi dormendo. Per fortuna mi sbagliavo».
No che non si è sbagliata.
«Allora continuiamo» enuncia, poi si mette a spiegare qualcosa che non ho voglia di sentire e di conseguenza mi appisolo.
***
«Svegliati, Mia, svegliati» pronuncia Luca gentilmente. Apro gli occhi e mi guardo intorno. Non c'è nessuno a parte me e Luca. «Finalmente!» esclama. Guarda la mia faccia sorpresa e afferma in modo più contenuto: «È finita la lezione di Arte e se ne sono andati tutti».
«Ma è finita la scuola?»
«Stai chiedendo se ora siamo nelle vacanze di Natale?» Annuisco. «Esattamente, Mia, siamo nelle vacanze di Natale, ma siamo ancora qui».
«Ma... non ce ne andiamo?»
«Possiamo andarcene ora, se sei d'accordo».
«Ok».
Prendo il libro di Arte e lo metto nello zaino.
«Devo prendere anche gli altri libri».
«Anch'io».
Direzione armadietti.
Li apriamo, estraiamo i libri, li infiliamo negli zaini e ce ne andiamo.
«Come mai ti sei addormentata? Non è da te».
Quanto odio questo tipo di domande.
«La lezione era ultra noiosa...» mi fermo perché non riesco a dirgli che penso costantemente a Matteo, anche di notte.
«Non è questo il motivo» ribatte deciso. «Le lezioni sono molte volte noiose, ma non ti ho mai visto addormentarti».
«Luca... io...»
Non riesco a dirgli la verità, è troppo difficile.
«Dilla, io non ti giudico».
So che gli farà male, ma glielo devo dire. Non se la smetterà, finché non avrà avuto la verità.
«Non ho chiuso occhio ieri sera, per questo prima mi sono appisolata».
«Come mai non hai chiuso occhio ieri? Cos'è che te l'ha impedito?»
Prendi coraggio, ce la puoi fare.
«Per Matteo» ammetto, sia a me stessa sia a Luca.
«Sul serio? Hai pensato a quello stupido?»
«Sì» dico avvilita.
«Come mai?» poi vede la mia faccia e ribadisce: «Sei innamorata di quello lì? Lavinia...»
So di avere un'espressione da cane bastonato, ma non mi interessa.
«Lo sai che...» Si zittisce e non riprende a parlare.
«Cosa? Lo sai cosa?» affermo, marcando la parola "cosa".
«Io ti amo».
Non è possibile.
Me lo aveva dimostrato tempo fa, ma non ci credevo davvero e quindi facevo finta di niente.
Fingo di essere sorpresa con il viso.
«Ti ho spaventato? Non volevo, è solo che... bolevo sapere se tu... Provassi... lo stesso...» Non rispondo, ma credo che la mia faccia replichi per me. «Davvero? Sono così felice...» mi viene più vicino e prova a baciarmi. Io lo respingo, mettendo le mani sul suo petto, e lui cambia espressione. «Ma...» mi guarda in volto «Sei innamorata di entrambi?»
Annuisco.
Se ne va infuriato verso casa.
È ora che me ne vado anch'io.
Mi avvio per la strada di casa.
Sto piangendo per colpa di Luca e mi domando cosa starà facendo Matteo in questo momento.
Ma perché me lo chiedo? È improbabile che lui mi stia pensando.
Continuo ad andare per la mia strada, senza importarmi di niente e di nessuno, quando un motorino mi sfreccia accanto e poco più in là si ferma.
Mi ha fatto prendere un colpo!
Mi asciugo le lacrime, dopo averle fatte scendere per un po'.
Il guidatore si toglie il casco e scopro che è Matteo. Mi guarda e poi mi viene incontro.
«Ciao, mia Principessa».
«Ciao, Matty».
«Come va la vita?»
«Bene, ma mi sto chiedendo, perché ti sei fermato».
«Hem....»
«Me lo chiedevo, perché non penso che ti sei fermato, solo per domandarmi come va la mia vita» affermo.
«Sì, hai ragione» ribatte timidamente.
«E allora? Qual è il motivo?»
«Oggi è l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze...»
«Quindi?» lo incalzo.
«Ti volevo augurare "Buone feste"» enuncia.
Che carino! Si è ricordato di me. Sono molto contenta.
«Be', grazie» dico, arrossendo. «Anche a te».
«Non c'è di che». Mi guarda - anzi mi scruta - in faccia. «Che ti succede?» domanda preoccupato.
«Che intendi?»
«Hai le guance rosse, per questo te l'ho chiesto».
Oh, no. Ora che gli dico? Bugia o verità?
«Fa caldo» rispondo, facendo della mia mano un ventaglio.
«Se hai caldo, non ti conviene spogliarti? Puoi toglierti qualcosa, visto che ti sei vestita come se andassi al Polo Nord».
«Non hai tutti i torti».
Per dimostrargli che ho davvero caldo, mi tolgo il giacchetto e me lo tengo in mano. Fa un po' freddo, ma è sopportabile.
«Cosa farai per le vacanze?»
Wow! Non pensavo potesse farmi una domanda del genere. Non me l'aspettavo proprio.
«Resto a casa mia».
«Non vai da nessuna parte, quindi?»
«Esatto».
«Allora, cosa farai qui?»
«Credo di fare i compiti, prima di tutto, per potermi godere queste vacanze. Poi credo che mi metterò a leggere e fare passeggiate».
«Perché leggi?»
«La ragione per cui poni questa domanda?»
«Sono sicuro che leggi, perché c'è un motivo, ma quando provo a pensarlo non lo trovo».
È diverso dagli altri.
«Sai quelle persone che quando vorrebbero insultare o prendere a botte una persona si mettono a contare per calmarsi?»
«Sì, continua».
«Be', questo è il mio modo per riuscire a mantenere il controllo».
Ho la sensazione che Matteo stia scavando dentro di me.
«Come ti può aiutare a "mantenere il controllo"?» chiede, facendo le virgolette in aria su "mantenere il controllo".
Mi ha fatto capire cosa voleva dire con questa frase.
«Me ne vado in un posto vuoto e leggo una piccola parte o un pezzo che mi è particolarmente piaciuto, e mi sento più tranquilla».
Ho ancora quella sensazione di scavo - da parte di Matteo - dentro di me.
«Ah, ora ho capito!» esclama, cascando dalle nuvole.
«Qual è il tuo genere preferito?» domando per sapere di cosa parlargli.
«Mi piace guardare i film d'azione, come Maze Runner, e anche quelli romantici» pronuncia, ma vede che sto ridacchiando e quindi si corregge: «Dipende com'è, perché se è troppo noioso, non mi piace».
«Ok» dico, continuando a ridacchiare.
«Ma hai pianto?» mi chiede all'improvviso.
«Perché me lo chiedi?» dico, gelandomi.
Lui si avvicina e mi prende il braccio libero, quello senza il giacchetto.
«Per questo» enuncia, indicando la manica bagnata dalle mie lacrime.
E ora cosa mi invento?
Al rapporto tutte le scuse plausibili.
Non mi viene in mente nessuna bugia credibile.
«Sì, ho pianto» ammetto, sul punto di piangere un'altra volta.
Mentre gliel'ho detto, ha cambiato espressione. «Perché hai pianto, Principessa?»
«Ho litigato col mio amico».
«Sono cose che capitano, prima o poi vi perdonerete».
«Non credo che sia una cosa che capita a tutti».
«Perché? Che è successo tra voi?»
«Mi ha rivelato che gli piaccio...» mi fermo, perché non riesco a continuare. In compenso, le lacrime ricominciano a rigare il mio viso.
«E tu cosa gli hai risposto?»
Non riesco a rispondere, le parole mi rimangono in gola.
Sarebbe molto più facile, se non meditassi sulle conseguenze di ogni mia possibile azione.
Lui decifra la mia espressione e pronuncia: «Non t'impensierire, io non ti biasimo per le tue scelte, perché sennò lo dovrei fare anche per me».
«Io gli ho fatto capire che mi piaceva, ma allo stesso tempo gli ho fatto comprendere che non è l'unico».
«Che ce n'è un altro?»
«Sì».
Vedo che il suo volto diventa malinconico. «Chi è?» domanda in modo cauto.
«Lo conosci».
Sto parlando di lui e non se ne accorge nemmeno.
«Davvero?»
«Sì».
«Dimmi chi è, sto diventando curioso».
«Non serve, sai chi è, lo conosci meglio di chiunque altro».
«Andrea? Sei innamorata di mio fratello?»
«No, non è lui».
Sembra sollevato. «Aspetta un momento». Tira fuori dalla tasca il suo telefono e poi - dopo averlo toccato con il dito - se lo mette all'orecchio. «Pronto, Andrea».
Sento delle parole di rimprovero, per il fatto che Andrea sta praticamente urlando al cellulare.
«Ok, arrivo subito» dice e dopo riaggancia.
«Che ti stava dicendo Andrea, visto che stava gridando per telefono?»
«Mi ricordava che devo ancora fare le valigie per domani e quindi dovrei andare».
Si rimette il casco e mi saluta con la mano, prima di risalire sulla moto e andarsene.
Io lo vedo andar via e, dopo averlo osservato fino a quando ho potuto, me ne vado anch'io a casa.
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