Capitolo 17: L'abito non fa il monaco
Sono passati i tre giorni di vacanza e di conseguenza si ritorna a scuola.
Dopo aver gustato le nostre bevande, io e Luca ci siamo salutati e poi abbiamo preso le strade per tornare alle nostre case.
Il resto dei giorni di vacanza è passato in modo ordinario, non c'è stato nulla di particolare da ricordare. Solo una cosa è stata diversa dalle altre, ovvero il fatto che per tutto il tempo trascorso ho pensato a come sarebbe la mia vita, se Luca fosse il mio ragazzo. Di sicuro sarei felice, ma mi mancherebbe Matteo? Poi ho paura di poter ferire Luca, se ci lasciassimo e anche la possibilità di compromettere la nostra amicizia.
Adesso sto percorrendo la strada che mi porterà a scuola.
No! Non voglio andarci!
Ho raggiunto la struttura, la quale è molto gentile ed equa con tutti gli alunni.
Vedo che sono già arrivate Maria e Elena, quindi le raggiungo.
«Ciao, Lavinia» dicono, quando le ho raggiunte.
«Ciao a tutte e due» rimando con un finto sorriso sulla faccia.
«Perché sei così felice?» mi domandano.
Quanto odio le domande!
«Niente di particolare» ribatto ancora con il sorriso.
«Sarà» proferiscono in coro.
Arriva Luca. «Buongiorno signore». Noi lo guardiamo male. «Ok, ragazze».
Io, Luca, Maria e Elena sentiamo la campanella, suonare e diciamo tutti e quattro: «Dobbiamo andare».
Ci avviamo all'aula della lezione che abbiamo, troviamo dei posti e ci accomodiamo. Finiscono le prime due lezioni ed è ora di ricreazione. Usciamo fuori. Maria e Elena vanno dai loro fidanzati.
Che schifo di vita!
Volevo che le lezioni fossero continue, senza pausa, perché in queste due ore che sono trascorse non ho proprio pensato all'amore e mi sono sentita bene.
Io e Luca andiamo a sederci sul muretto e iniziamo a parlare.
«Ti manca?» mi chiede Luca.
So di chi parla.
«Ogni giorno penso a lei e a cosa sarebbe successo se fossi riuscita a convincere».
«Non potevi farci niente, Lavinia. Non potevi prevedere che sarebbe successo».
«Be', in un certo senso me l'aveva detto».
«Lo sapevi?»
«Non è che lo sapevo, mi aveva affermato una frase in codice qualche settimana prima».
«Forse capisco il continuo. Avrai pensato che quella frase non era importante e così l'hai data per scontato». Annuisco. «Non devi darti la colpa. Non lo potevi prevedere».
«Guarda il risultato. Francesca è morta e non tornerà indietro».
«È stato lei a volerlo, sapeva cosa stava facendo, ma l'ha fatto comunque».
«Sembra che non t'importa niente della sua vita».
«Invece mi importa, Lavinia, ma non possiamo rammaricarci su quello che è accaduto. Bisogna andare avanti, anche se è difficile». Lui mi stringe a sé. «Ce la possiamo fare, Lavinia, basta solo crederci». Dopo mi stacca da lui. «Mi sono ricordato di una cosa. Devo andare».
Il solito!
Sospiro.
Che ci posso fare?
«Buongiorno, Principessa» sento pronunciare alla mia sinistra dove prima c'era Luca.
Non serve nemmeno girarmi per sapere chi è.
«Ciao, Matteo» dico, ancora senza guardarlo.
«Come va la giornata?»
«Be'... non so...»
«Ok».
«Perché sei venuto proprio qui, quando potevi stare con i tuoi amichetti?» pronuncio, girandomi verso di lui.
«Ti vedevo sola e non sono riuscito a non venire qui».
«Allora, ti do io un motivo per non stare qui» dico con il solito tono calmo. «Te ne devi andare!» ruggisco, guardandolo negli occhi.
«Vuoi davvero che me ne vada, Principessa?»
«Mi hai detto che stai qui perché ti hanno costretto, quindi te ne puoi andare. Io non ti obbligo a stare qui con me» enuncio queste parole, mentre gli faccio cenno con la mano destra di andarsene.
«Non hai capito bene: non sono stato costretto...»
«In realtà, è quello che mi hai fatto capire».
«Lavinia, non è così. Ho scelto io di venire qui da te, ma se vuoi che me ne vado, lo farò».
«Puoi restare» confuto imbarazzata.
Passano dei secondi in cui non parliamo e si sentono solo le altre persone che parlano, scherzano e ridono come matti.
«Prima ti avevo visto che ti abbracciavi con De Luca, giusto?»
«Sì. Perché me lo chiedi?»
«Perché per abbracciarsi un ragazzo e una ragazza devono avere un motivo particolare, o sono fidanzati. Sei la sua ragazza?»
«Ti rispondo subito: fatti gli affari tuoi» ribatto molto decisa.
«Ok, ok». Mi ha fatto ripensare a Francesca e di conseguenza mi salgono le lacrime agli occhi. «Non ti preoccupare di me, sfogati se vuoi, io sono qui». Non ci penso due volte e mi getto tra le sue braccia. È molto confortante Matteo.
«Francesca» dico più afflitta che mai.
«Non ti devi preoccupare di niente, Lavinia». Continuo a stare nel suo caldo abbraccio. «L'unica cosa che mi domando è perché questa persona ti fa stare male?»
«Si è suicidata».
«Non so di nessuno che si è suicidato in questo periodo».
«Alla fine della quinta elementare».
«Si è suicidata in quinta elementare?»
«Sì».
«Posso capire la ragione per cui l'ha fatto». Sa qual è la ragione per cui la sua vita è finita? «Era stata bullizzata, vero?»
«Sì» dico, staccandomi da lui. «Come lo sai?»
«Anch'io sono stato bullizzato e molte volte ho pensato al suicidio, visto che non potevo cambiare scuola e dovevo continuare a sentirmi dire che la mia vita era inutile».
Non riesco a contenermi, quindi rido.
«Perché ridi?»
«Perché non riesco a pensare che tu possa essere stato vittima di bullismo».
«Qual è il motivo per cui pensi questo?»
«Guardati, sei il più popolare della scuola e non ti manca niente per...» Mi fermo, non riesco a dire che potrebbe sembrare più un bullo che una vittima.
«Non mi manca niente per cosa?»
«Per essere un bullo» pronuncio molto velocemente, così da non pentirmene.
«Non sarei mai un bullo, ho provato quest'esperienza e non ho intenzione di farla avere ad altre persone».
«Cosa hai provato, quando ne sei stato vittima?»
«Io...» mentre inizia a parlare, suona la campanella che annuncia la fine della ricreazione.
«Peccato! Stavi andando benissimo. Sarà per la prossima volta» affermo, come se non mi dispiacesse di non poterlo più sentir parlare.
Inizio ad avviarmi in classe. Mi raggiunge Matteo, correndo.
«Aspetta....» annuncia con il fiatone, raggiungendomi.
«Che c'è?»
«Posso accompagnarti in classe?» mi chiede.
«No».
«Perché no?»
«Farai tardi e io non voglio averti sulla coscienza».
«Non mi avrai sulla coscienza, tranquilla».
Me ne vado senza dire altro.
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