Capitolo 12: Forse

Penso. Medito sul fatto che sulla mia mano destra c'è il numero del ragazzo che mi piace.

È una decisione. Forse per decidere dovrei guardare da entrambi i punti di vista. Da una parte, segnando il suo numero nella rubrica, avrei la possibilità di chattare con lui. Il dubbio, su questa via, è che lui possa ancora stare con me per divertirsi. In questo modo giocherebbe con i miei sentimenti, facendomi soffrire. Dall'altra, se non registrassi il suo numero nel mio telefono e non gli scrivessi.

Credo che starei più male così. Come consideravo prima, stare insieme è una follia, restare distanti lo è ancora di più.

Che faccio?

Lavinia pensa, cosa può andare meglio? Vicini o lontani?

Devo prendere una decisione, non posso andare avanti così. È difficile, perché ci sono pro e contro da entrambe le parti. Rifletto.

....

Mi si è accesa la lampadina.

E... se prendo una via di mezzo?

Sto considerando i pro e contro della terza scelta. Be', mi ha convinto. E la terza scelta sia.

Afferro i post-it e una penna dalla scrivania. La impugno con la sinistra. Inizio a trascrivere il numero di Matteo sul post-it, mormorandolo e ricontrollandolo ogni tanto.

Scritto. È fatta. Ora posso andarmi a lavare le mani, per poi mettermi a fare i compiti.

Mi avvio verso il bagno che è incorporato alla mia camera. Colloco il rubinetto sulla zona rossa, ovvero quella calda. Metto il sapone sopra la scritta e lo spalmo. Apro l'acqua e sciacquo la mano. In seguito prendo l'asciugamano.

È andato via.

Mi rimetto alla scrivania e mi cimento nei compiti.

***
Il giorno dopo mi sveglio davvero di controvoglia.

Non ho intenzione di andare a scuola, voglio rimanere nel letto caldo.

Mi dirigo a scuola a piedi, come sempre. A un certo punto, mi passano molto vicino due motorini. Quando sono avanti, mi rendo conto che sono Andrea e Matteo, visti i corpi così simili, anche se diversi.

Continuo a camminare in direzione della scuola. Arrivo e mi vedo arrivare Maria ed Elena.

Mi chiedono: «Ieri non ti abbiamo vista uscire. È successo qualcosa?»

Ora cosa rispondo? Non posso dire loro la verità, perché so cosa farebbero e di certo non voglio che accada.

«Mi hanno trattenuta».

Maria ed Elena si guardano. Spero che non si facciano troppi film mentali.

Odio quando fanno supposizioni che non hanno senso.

Domandano all'unisono: «E chi è che ti ha trattenuta?»

Vorrei alzare gli occhi al cielo, ma non lo faccio poiché so che capirebbero subito di chi sto parlando. Di conseguenza, rispondo: «Ve la piantate con questa storia, non ne posso più! Tra me e Matteo non c'è niente! Non mi piace, mi fa schifo. È tutto chiaro?» Sono stata un po' dura. Non lo penso davvero quello che ho detto su Matteo, ma volevo che non facessero più supposizioni. Loro non rispondono. «È tutto chiaro?» ripeto con un tono leggermente più alto di prima.

«Sì, Lavinia, è tutto chiaro» dicono, come se fossero mie sottomesse.

Suona la campanella e dobbiamo ritornare alle lezioni. Quanto vorrei tornare a ieri, quando ero con Matteo nel varco buio.

Lì ero felice, anche se non me ne ero accorta in quel momento.

Vado con Maria ed Elena in palestra, perché abbiamo motoria.

Forte! Mi sento davvero molto felice.

Arriviamo in questa stanza tanto grande, le pareti sono consumate e davvero poco confortanti.

Se sei triste, queste pareti ti ci fanno sentire ancora di più. Poi devo dire che è freezer. Se, per esempio, è inverno e ti congeli già di tuo, questo posto ti fa diventare un cubetto di ghiaccio.

Odio motoria e di conseguenza anche la palestra.

Iniziamo a correre.

Sono passati solo trentotto secondi e già mi sembra di crepare. Voglio morire!

Mi raggiungono Maria ed Elena, e cominciamo a parlare.

«Ma avete saputo la novità?» chiede Maria.

Io ed Elena ci guardiamo. Poi domandiamo insieme: «Quale?»

«Non lo sapete? Ma siete serie?» Dopo aver detto questo, scuote il capo. «Dovete saperlo».

Ce lo dice? Si dovrebbe muovere.

«Ce lo dici?» reclamiamo io ed Elena.

«Sapete Paolo, quello del quinto C?» Paolo non è quello con i capelli scompigliati tutto il tempo? Credo sia lui. Entrambe annuiamo. «Ok. Ha tradito la sua compagna».

Ci guardiamo un'altra volta.

«Sei seria?» continuiamo a chiedere insieme.

«Sono serissima. L'ha tradita con quella secchiona di Margherita».

Non ne posso più di parlare di tradimenti. Ho delle amiche un po' troppo pettegole.

Mentre sto per dire loro di non voler più parlare di tradimenti, la prof ci dice che è finito il tempo della corsa.

Evvai!

Ci riuniamo e facciamo un mare di esercizi.

Inizio a pensare che quest'ora non finirà mai.

È ora di giocare a pallavolo.

No! Non voglio giocare, mi rifiuto. Sono una schiappa nella pallavolo.

La prof sceglie due miei compagni, uno dei quali odio tantissimo, per fare le squadre. Mi prendono per ultima, come sempre.

Se avessi la sua stessa mole, passerei giorno e notte a prenderlo a calci e pugni. Purtroppo, non ho la sua stessa stazza, quindi non posso picchiarlo quanto voglio. Mi è consentito, però, poterlo immaginare.

Quanto sarebbe bello!

Mi mettono davanti, perché hanno paura che se sto dietro non prenda nessuna palla.

Se sapessero perché mi rifiuto...

Iniziamo a giocare. La palla l'ha vinta, all'inizio, la squadra avversaria. La tirano e quando arriva nel campo della mia squadra, mi passa vicinissimo - in questo preciso momento chiudo gli occhi - e alla fine cade a terra. Non l'ho presa. Me lo stanno rinfacciando.

Sono stronzi, solo stronzi.

Non mi piace pensare a queste brutte parole, ma alcune volte sono necessarie.

Prendono queste cazzo di partite,come questione di vita o di morte. Non hanno capito niente della vita. Non esiste solo educazione fisica. Esistono molte altre materie: Letteratura, Matematica, Storia, Geografia...

Che ci si può fare? Sono stupidi, rimangono stupidi.

La partita continua, come continuano gli insulti che mi mandano ogni volta che i componenti della squadra avversaria tirano la palla e io non la riesco a prendere.

Non ne posso più!

Sento la prof che suona il fischietto. Poi annuncia: «Partita finita. Ha vinto questa squadra» afferma, puntando il dito indice della mano destra verso l'altro team.

Gli insulti raddoppiano e si fanno più laceranti.

Mia madre dice che devo ignorarli, ma non ci riesco. Non riesco ad andare avanti così!

Mentre ritorniamo su, mi raggiungono Maria ed Elena.

«Ci dispiace per prima. Ci abbiamo provato a fermare tutte le offese, ma siamo state così tanto scadenti che non ci siamo riuscite» dicono in coro.

«Non fa niente. Non vi preoccupate. Sono stupidi, rimangono stupidi».

«Ok, Lavinia».

Siamo arrivati nell'atrio, dove eravamo prima di andare in palestra. Dopo ci dirigiamo verso l'aula designata per la lezione successiva.

Suona la campanella, ritorniamo nella hall e rifacciamo la stessa identica cosa per le altre lezioni. Quando finisce l'ultima ora di lezione della giornata, prendo i libri, più velocemente che posso, e mi dirigo verso l'uscita.

Prima me ne vada da questo "Inferno", meglio risulterà la mia sanità mentale. Studierei tutta la vita, se non dovessi sopportare i schifosi compagni che ho.

Sono appena uscita da quell’orribile luogo.

Mi vedo passare davanti una persona. Matteo. Se ne sta andando, quando si gira verso di me, dicendo: «Non ti ho dato il mio numero per riempirti la mano. Ci sono ragazze che sognano di averlo, quindi fanne buon uso».

Dopo aver commentato il fatto che non gli ho scritto, se ne va. Io m'incammino verso casa.

Ma davvero voleva che utilizzassi il suo numero? Voleva che gli scrivessi? Voleva che chattassimo? Non pensavo fosse il tipo che spingesse una ragazza a fare il primo passo.

Inizio davvero a conoscerlo.

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