[Mission]

[...]Like a fire, always burning
I'll be here for you[...]
([...]Come un fuoco, sempre a bruciare
sarò qui per te[...])

Il suo compito era proteggerlo. 
Sarah glielo aveva chiesto fino al suo ultimo respiro, di vegliare su di Steve, e per Bucky – o James, come si ostinava a chiamarlo lei, con quel suo sorriso materno – quella sarebbe sempre stata la sua missione prioritaria. 
Era così a Brooklyn, quando Steve non era che uno scricciolo d'uomo, tanto leggero che pareva fatto di freddo, con uno sguardo ceruleo che per contro ribolliva d'un fuoco che richiamava le fornaci degli dei. 
Era così contro i tedeschi, quando il Prometeo incatenato in quel corpo troppo gracile e debole venne liberato, e il piccolo Stevie lasciò spazio a Captain America. 
Era così quando Bucky riuscì a scuotersi di dosso il Winter Soldier e a trovare la forza di allontanarsi da lui, temendo di perdere il controllo e fargli del male, di nuovo.
James Buchanan Barnes era lo scudo dietro cui Steven Grant Rogers poteva riparasi, quando quello stellato pesava troppo per essere tenuto alto. 
Lo avrebbe salvato da tutto, da tutti, anche dal Soldato d'Inverno, anche da se stesso. 
E questa sua missione lo aveva portato a perderlo, forse per sempre. 

Lo sapeva che il figlio di Howard era importante per lui. 
Ricordava il dolore opaco che corrompeva le sue iridi, quando Steve lo aveva trovato – alcuni mesi dopo la scomparsa dell'inventore -, l'aspetto da ferita aperta che aveva assunto il suo sorriso, prima così brillante da essere accecante. Sulle labbra sentiva ancora il sale delle lacrime che il Capitano piangeva nel sonno, nei primi tempi. 
Ma si era illuso di potergli bastare.

Quando l'Hydra lo aveva rapito, aveva pregato Dio affinché Steve non si mettesse in testa di andarlo a salvare, che non buttasse in quel modo la sua vita. Non se lo sarebbe mai perdonato. Invece era venuto, portando con sé Stark. Era un tipo intelligente, Anthony, questo non lo si poteva negare: lo aveva capito, aveva capito Steve. Con il senno di poi, sembrava averlo compreso più di Bucky stesso. Sicuramente, era riuscito a proteggerlo senza ferirlo. Non come aveva fatto lui.

Farlo rinchiudere era un errore, il proprio istinto glielo aveva gridato fin da prima di dare l'ordine, ma aveva una Missione: doveva proteggerlo, a qualunque costo.  
"Il fine giustifica i mezzi", si diceva mentre Steve urlava di essere lasciato andare, che aveva qualcuno da andare a salvare. 
Il Capitano non aveva più voluto vederlo, da quell'ultima volta, quando era andato a trovarlo in cella. Non aveva saputo del ritorno degli altri Avengers e del loro piano per riprendersi Iron Man. Non aveva potuto restargli accanto quando credevano l'inventore morto. Non gli aveva dato l'opportunità di scusarsi. D'altronde, cos'altro poteva aspettarsi? Steve gli aveva dato tutta la sua fiducia e lui lo aveva tradito. 
Ben presto si era trovato senza un posto dove andare: di tornare indietro, in quella caffetteria che sembrava distante mondi da New York, non se ne parlava, non prima di aver chiarito con il Capitano; alla Torre, insieme agli altri Vendicatori, si sentiva terribilmente fuori posto e i lunghi silenzi di Steve quando si trovava nelle sua stessa stanza pesavano come macigni; non percependo alcuno stipendio, non poteva permettersi di prendere in affitto un appartamento.
L'aiuto era arrivato da dove non si sarebbe mai aspettato.

Tony Stark lo aveva trovato in un pub di Brooklyn. Aveva ordinato uno scotch mentre si sedeva sullo sgabello accanto a lui, senza guardarlo.

«Grazie.» era la prima parola che Stark gli aveva rivolto.

Poi si era voltato verso di lui, un sorrisetto sghembo sulle labbra e una mano a portare verso queste ultime il tozzo bicchiere dal liquido ambrato.
Bucky lo aveva guardato sorpreso: aveva capito a cosa il milionario si riferisse - Grazie per aver cercato di proteggere Steve, grazie per essergli stato accanto quando io non potevo - , ma mai avrebbe scommesso che una parola del genere sarebbe potuta uscire da quelle labbra sottili, non rientrava nel personaggio. Forse lo aveva giudicato troppo frettolosamente.

«Ho sentito che cerchi casa» aveva continuato Tony, girandosi nuovamente al bancone, senza più aspettare una risposta che non ci sarebbe stata. «E si dà il caso che io abbia qualche appartamento sparso per New York, a prender polvere. Potrei, diciamo, prestartene uno finché non trovi un lavoro per trovarti un altro posto o, più semplicemente, pagarmi l'affitto.»

L'inventore aveva attirato l'attenzione del barman e ordinato un secondo giro per sé ed il Soldato.

«Non credo che riuscirei a pagare un mese d'affitto di uno dei tuoi attici neanche con dieci anni di stipendio» aveva ribattuto Bucky, non senza un sorrisetto, ringraziando per l'alcolico con un cenno del capo.

«Barnes, non mi crederai tanto al verde o tanto sadico da voler spennare uno dei più cari amici di Steve!» Aveva esordito, guardandolo di sbieco «E io avevo in mente qualcosa di più rustico, a Brooklyn, magari. Da adolescente c'erano volte in cui per un po' volevo fingermi un povero, comune mortale.»

Il proprio sguardo ambrato aveva brillato ferino per qualche attimo.

«Di sicuro non potresti essere comune neanche volendo. Ancor di meno povero.» L'ex sergente aveva buttato giù di un fiato il liquore «E non credo che Steve mi definisca ancora così.»

Amico, amante. Aveva messo fine a tutto ciò che erano stati quando aveva dato quell'ordire, non si illudeva del contrario.

«È vero, hai fatto incazzare Capiscle, ma ciò non toglie che continui ad essere l'uomo per cui è venuto in lacrime alla mia porta, quando l'Hydra ti ha preso.» La piega del suo sorriso si era fatta amara, mentre davanti ai propri occhi scene del proprio "soggiorno" alla loro base avevano iniziato a scorrere violente, «Gli passerà. Ha bisogno di te. Siete o non siete il fantastico duo di novantenni in erba?»

Un paio di sorsi, ed anche il suo bicchiere fu vuotato. Intenzionato a tornare a casa sobrio – c'era Steve ad aspettarlo -, l'inventore fece per alzarsi, facendo segno all'altro di seguirlo.

«Perché mi stai aiutando? Non credevo di esserti simpatico» aveva quindi domandato guardingo Bucky, alzandosi a sua volta.

«Oh, Barnes, ti assicuro che quando ti ho trovato in quello che era il mio letto con Steve, nudo come mamma ti ha fatto, ho preso seriamente in considerazione l'idea di richiamare l'armatura e farti saltare la testa. Sarebbe stato poetico, in un certo qual modo. Ciò che all'epoca mi impedì di riverniciare la stanza con la tua materia grigia, è ciò che mi spinge ad aiutarti ora: Steve. Come ho detto, ha bisogno di te. E ne avrà bisogno specialmente tra qualche mese.»

I due avevano lasciato il locale, iniziando a camminare per le strade di Brooklyn. La primavera era ancora lontana e quella sera il clima era particolarmente rigido. Tony aveva affondato le mani nel completo di alta sartoria, cercando di scaldarle. Procedeva avanti di qualche passo rispetto all'altro, le spalle leggermente curvate. Da quella prospettiva, al Soldato gli ricordava Steve, lo Steve che era stato prima del siero: sembrava così piccolo e gracile, senza la sua armatura, eppure intestardito a voler salvare il mondo.
Si riscosse. Il Meccanico aveva detto qualcosa che non gli quadrava.

«Perché? Cosa gli accadrà?»

La sua voce era tesa, ora, affilata. Si era fermato, afferrando l'inventore per un braccio affinché facesse altrettanto. Lo aveva fatto voltare verso di lui, ma Tony non era intenzionato ad incrociare il suo sguardo.

«Cosa ti hanno detto riguardo alla mia "resurrezione"?» Gli aveva chiesto l'inventore, spiazzandolo.

«Che hai preso una pillola che ti ha dato una morte apparente, in modo da...»

«Ho mentito» lo aveva interrotto, secco.

Solo allora aveva osato sollevare gli occhi ambrati in quelli di un azzurro che non si poteva definire se non denso dell'altro.

«Quello che ho buttato giù era sicuramente cianuro» aveva continuato il Meccanico.

«Allora come...»

Tony aveva battuto velocemente due dita al centro del proprio petto, sul reattore, facendolo brillare per qualche attimo più intensamente.

«Questo non è quello che ho creato io. A quanto mi ha detto Victoria, negli ultimi tre anni, quando mi davate per morto, mi trovavo in... quest'altra dimensione, a fare da baguette congela-scongela per l'Oltre, un'organizzazione – se così la vogliamo chiamare – che nel nostro mondo corrisponde all'Hydra, e che, tipo, governa tirannicamente ogni angolo del loro mondo. Non mi ha voluto dire molto di più, anche se in sogno, qualche volta, certi ricordi... Beh, fatto sta che il nuovo reattore è una bomba, potente, molto più potente di quanto immaginassi all'inizio, mi riduce l'invecchiamento cellulare, ha smaltito il cianuro, cose così. In ogni caso non dura in eterno, dovrebbe essere sostituito con uno nuovo ogni sette-otto mesi, e noi qui non abbiamo tecnologia abbastanza sviluppata per costruirne uno ex-novo. Ho provato a ritornare ad utilizzare i miei, ma nel giro di un paio d'ore si riducono ad ammassi fumanti di metallo. Quello che sto provando a dire è che... non mi resta molto tempo, per eccesso, direi altri sei mesi. Poi il reattore smetterà di fare il suo lavoro. Non so neanche se la mia dipartita avverrà in modo rapido, con il reattore che, non so, magari esplode, o se saranno le schegge di quella dannata bomba a darmi il benservito.»

Gli si era seccata la gola, all'inventore. Quello che aveva detto al Soldato lo aveva realizzato già da un po', ma dirlo ad alta voce rendeva tutto troppo reale. Aveva fatto viaggiare lo sguardo altrove, prima di riposarlo sull'altro. L'espressione di Bucky era congelata, lo sguardo incredulo, mentre lentamente assimilava quel fiume di informazioni.

«Steve lo sa?» gli aveva chiesto telegrafico dopo un lungo silenzio, sebbene la risposta si leggesse chiaramente nello sguardo di Stark.

«No.» Il tono dello Stark era quanto mai amareggiato.

«Pensi di sposarlo lo stesso?»

«Sì.»

«Quando hai intenzione di dirglielo, allora?»

«Mah, la speranza di trovare una soluzione non mi ha ancora abbandonato. Io e mia... Victoria, ci stiamo lavorando su giorno e notte. Se alla fine non ci sarà più nulla da provare, cercherò di sparire nel modo meno doloroso possibile per lui.»

«Hai intenzione di scappare via, così, senza dirgli niente?! Dopo averlo anche sposato?!»

Il braccio metallico del Soldato si era stretto dolorosamente intorno alla sua spalla.
Dalle labbra corrugate di Tony era fuggito un mugugno di dolore.

«Nella mia vita non ho mai desiderato niente come sposarlo. Sono egoista, lo so. Ma vorrei... essere felice solo un po', finché mi è concesso. Biasimami pure, se vuoi, ma voglio credere ad un futuro in cui riusciamo a restare insieme e ad essere entrambi felici. Nel caso in cui non ci siano più speranze, farò in modo che sarà lui a volersene andare. Sono particolarmente bravo a farmi odiare, è una dote naturale.»

Il sorrisetto sarcastico del Meccanico non mitigava per niente il tormento del suo sguardo.
Bucky lo aveva lasciato come se scottasse.

«Ed è qui che entro in gioco io, non è vero?» Barnes aveva fatto scioccare la lingua «Vuoi che sia lì, dopo, ad aiutarlo a rimettere insieme ai pezzi, magari spingendolo ad odiarti ulteriormente.»

«Non ti facevo così perspicace, soldatino.»

«Non funzionerà.»

«Invece sì, se giocheremo bene le nostre carte.»

«Non voglio mentirgli. Nascondergli una cosa del genere è sbagliato.»

«Ma, se non dovessi trovare una soluzione al mio problemino, è tutto ciò che possiamo fare, per Steve.»

«Per Steve» si era ritrovato a ripetere a fior di labbra.

Entrambi sentirono improvvisamente un forte bisogno d'alcool. Non avrebbero dovuto lasciare quel bancone da bar.

Era passato quasi un mese da quella chiacchierata. Tony era stato di parola: gli aveva fornito un appartamento completamente arredato con vista mozzafiato che dava sul ponte di Brooklyn. Per il Soldato, di rustico quel posto non aveva assolutamente niente, ma almeno non era fatto di vetro e non era ad un'altezza vertiginosa. Il miliardario non gli faceva mancare nulla e l'unica cosa che aveva voluto in cambio – oltre la promessa di prendersi cura di Steve dopo, ovviamente – era stata l'opportunità di giocare un po' con il suo braccio bionico. Ogni volta che aveva bisogno di scrollarsi di dosso la frustrazione causata dagli scarsi risultati delle proprie ricerche, l'inventore andava a trovarlo, borsa degli attrezzi alla mano. A volte rimanevano in silenzio, quest'ultimo rotto solamente dal rumore metallico degli utensili; altre volte si ritrovavano a parlare degli argomenti più disparati, del tempo, dei propri trascorsi, del nuovo lavoro che aveva trovato Bucky – in un fastfood poco distante dall'appartamento -, parlavano sempre di Steve, mai di ciò che Tony gli aveva detto quella fatidica sera. L'evoluzione del braccio del Soldato andava a pari passo a quella del loro rapporto. In un certo qual modo, tra i due si era formata in poco tempo una strana amicizia, basata sopratutto sul bisogno di proteggere il Capitano - l'unica persona per la quale entrambi avrebbero dato la loro vita - e la necessità di dividere il pesante fardello che quell'ingombrante segreto aveva caricato loro sulle spalle.  
Il Meccanico non aveva giorni precisi in cui faceva la sua comparsa sull'uscio del Soldato: capitava che non si facesse sentire per giorni, per poi andarlo a trovare nelle ore più disparate tre-quattro giorni di fila. Era l'unico che sapeva dove abitava, quindi quando quel pomeriggio sentì bussare alla porta non si scomodò ad alzarsi dal divano, lo sguardo puntato sulla sit-com trasmessa alla televisione. 

«Tony, entra! La porta è aperta!» Si limitò ad urlare.

La voce che rispose alle sue spalle, però, non apparteneva all'inventore.

«Non pensavo che voi due fosse così in confidenza» formulò quella voce dolcemente familiare.

Bucky si girò lentamente, come se temesse di farlo scappare, gli occhi leggermente sgranati.

«Steve.»

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Mi sono dovuta rompere una gamba per ritrovare la voglia di riprendere in mano questa ff. Sono una delusione >__< Se ve lo chiedete, sì, mi sono sentita in colpa ad avervi lasciato tutti così >___<

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