/42/ Alethèia*(1)
Chi ti sveglierà quando il sole non ti permetterà di dormire e cercherai ancora rifugio fra le coperte? Chi ti cercherà nell'oscurità della mattina?
Chi sarà con te prima di dormire e chi sarà testimone della tua caduta nei sogni? Chi potrà dire se all'alba respirerai o se sarai scomparso nella notte? Chi saprà riconoscere una tale disgrazia non nel corpo, ma nello spirito?
Porto così tante responsabilità, talmente tante che oramai ogni filo del mio abito è stato sottratto al gomitolo del destino per farmi dono di quelle vesti che ad ognuno di noi tocca indossare prima o poi. Ho seguito molti consigli, i tuoi in primis, ho scelto la fattura migliore, mi sono messo in gioco per ottenerla ed ora ogni punto è al suo posto, ogni cucitura e taglio sono precisi, ogni piega di stoffa mi scivola sulla pelle come cascate di seta, con la ristretta precisione che acque di diversa fattezza non si potrebbero permettere. Non sono più nel mezzo del fiume, le rapide non mi allontanano più dalla riva e la discesa, la fonte, la foce, l'inizio e la fine non mi sono mai sembrati distanti come oggi. E ancora mi chiedo, con il respiro in gola, chi veglierà sulla strada percorsa, chi su quella che ci attende.
Festeggio invece di darmi preoccupazioni, festeggio per non pensare, festeggio per rimandare l'inevitabile e per far spazio a domande che sono state, che sono e che saranno.
Chi si mette a ballare su un tavolo pensa di esser l'anima della festa, di essere lo spettacolo principale, ma la verità è che sta ballando da solo. È un esito della vita assai crudele, non credi? Esistono persone a cui non è concesso nulla, persone a cui è concesso troppo, persone che sognano e persone che si distendono sul prato dell'esistenza ad osservare il cielo. Vedono il loro futuro? Vedono la loro fine scritta nelle stelle? A cosa vuoi credere? Io sento solo di appartenere ad infinite costellazioni, immense galassie e segreti della terra, dell'ombra e della luce, infiniti tempi ed infiniti mondi. Sono troppo, esageratamente troppo per questo mondo, ma così minuto e fragile, forte, per quest'angolo che l'universo ci riserva. Ed in fin dei conti nessuno è mai abbastanza piccolo, abbastanza grande per il ruolo che ingiustamente ci vien affidato. I giorni sono fatti di albe e di tramonti, i mari di superfici e di abissi, ma lo spazio, prova ad immaginare, non ha un sotto, non ha un sopra, ha tutto ed ha niente. In lui vi è equilibrio? Deve, mi dico, anche se non vi ho mai messo piede, anche se non riuscirò mai a capirne la natura, so che lui sta in piedi, si regge sui fili del trascendente, del terreno, della natura e della scienza. Perciò mi sento come lui. Dovresti farlo anche tu.
Siamo immensi, non lo senti? Siamo laggiù, oltre la fascia di Kuiper, aldilà di ogni luogo di questa mappa in cui siamo persi. Infine seguiamo quell'assurdo principio cosmologico per cui ogni punto dell'universo è uguale agli altri, per cui non esistono punti particolari, men che meno esiste un centro.*(2)
Leggi, principi e ancora leggi che ripetiamo, applichiamo e studiamo. Cosa ci lega? Cosa ci divide? Cosa, soprattutto, ci suscita questa bizzarra, incontenibile sete di risposte?
Potremmo riscoprirci isotropi di insulsa materia o forse...forse i vettori su cui viaggiamo ci rendono diversi per ogni direzione e talmente incompleti senza l'analisi delle sconfinate strade che potremmo percorrere. Potremmo essere il tutto nel nulla o il nulla nel tutto.
Corpi amorfi o corpi definiti, cosa preferiresti?
Queste le mie idee, questi i miei pensieri, questi i miei appigli mentre tasto la tua pelle e percorro vie e sentieri che si disperdono sulla tua schiena. I miei polpastrelli muovono passi ad ogni lentiggine che incontrano ed immagino, sì, fantastico su quali fantasiosi luoghi mi vorrai mostrare.
Amo il tuo corpo, l'ho mai confessato? Lo guardo, lo tocco, ho timore e lo venero. È questo, mi dico compiacendomene, che dovrebbe fare un'amante. Se retrocedessi , se tornassi indietro di qualche mese, non credo che avrei modo diverso di sentirti vicino e lontano. Viaggio fra le stelle, viaggio su di te ed il mio percorso è breve lungo le tue spalle e sui pendii delle braccia. È notte, è mattina, è il giorno che si concentra nell'istante che precede l'alba. Insonnia e voglia di restare svegli: assecondiamo così i nostri difetti. Sei morbido, liscio e ruvido, portatore di cicatrici che come fiori di campo spuntano nel terreno appena arato. Perfezioni ed imperfezioni, non sono né le une, né le altre.
Sfioro la nuca, accarezzo i tuoi fili d'erba che risalgono fino ai ricci freschi di shampoo, ridiscendo ed ho esaurito i sentieri da seguire. Allora ringrazio per questo e roteo, disegno su di te giri immaginari e cerchi, volute di attenzioni, segni d'eternità e di quiete.
Arrivo in basso, punto i palmi per coprire le fossette di Venere e sento le ginocchia dolere vicino ai tuoi fianchi. Decido di risalire, di tendere le cosce e di calare con le labbra alla base del tuo collo. Sono un connubio di promesse non pronunciare e di richieste malcelate, un felino che, a gattoni, nasconde le tue membra alla luce della luna.
Sospiri il mio nome, un sorriso accompagna le sillabe che corrono fuori dalla tua bocca e ancora le consumi, in una ripetizione priva di inizio e di fine. Universo e Amore, mi ritrovo a pensare, sono concetti tanto distanti?
Ora che sei sdraiato sotto di me vedo nel buio, sento nel silenzio dello spazio, percepisco i bagliori del cielo cadere, morire e rinascere. Lentiggini e costellazioni, pianeti e menti, satelliti e forze d'attrazione. Quanta gravità esercitiamo, quanto tempo prima che le nostre masse collidano?
Giove ha settantanove satelliti, lo sai? Credi che ami ognuno di loro allo stesso modo? Il primo ad esser scoperto fu Io ed il primo amore, sciocco, veritiero stereotipo, non si scorda. Fu amante del pianeta, amante di Zeus e progenitrice di re. Ma non fu l'inizio, non fu l'ultima. Giove è stato talmente ingiusto, talmente avido e talmente egocentrico. Persino in questo momento desidera aver più di quanto agli altri è concesso. Si tiene stretto le sue lune, non ne dimentica nessuna. D'altronde l'insoddisfazione è la condanna dei sovrani, non sei d'accordo?
Noi che siamo suoi figli portiamo la maledizione del suo sangue, la bramosia è insita nel nostro animo, la forza per contrastarla è stata difficile da trovare e troppo spesso dimentichiamo cosa significhi amare noi stessi, prediligere quel che siamo e ciò che fa parte di noi. Io ho sentimenti indomabili, sono un anonimo uomo in un'anonima vita, in un anonimo tempo; ho vecchie abitudini, amabili e non. Ti lascio la caffettiera, la stessa che tu prepari con molta cura, da pulire ogni mattina, inciampo nei vestiti che getto sul pavimento al mio rientro, gli stessi che le tue mani raccolgono mentre corro sotto una doccia ristoratrice, bevo quando sono mortificato, bevo dallo stesso bicchiere che a momenti alterni viene stretto da me o da te. Al medesimo tempo rido dei tuoi sbuffi, mi diletto del tuo fare scocciato, rincorro la nuvola grigia che ti porti appresso e quando riesco a sfiorarla...oh, che magnifico spettacolo! Il grigiume del maltempo divien soffice alla vista, bianco e tremante, instabile e puro vapore al tatto. Fiorisci ed appassisci davanti ai miei occhi ogni volta che ti guardo, il tuo è un ciclo di vita e di morte, di inizio e di fine, di sotto e di sopra. Sei come il vuoto delle galassie, di quelle lontane, sperdute e naufraghe del creato, e di quelle vicine, terrene, che albergano sulla tua pelle. Lentiggini e costellazioni, lo ripeto e nel posare la fronte al centro dei brividi, poco sotto la tua nuca, riconosco il gusto di un orgoglio improvviso e dimenticato destarsi in bocca. È il fiato che trattengo, mi dico, nel riconoscere le prime linee, i primi vaghi punti del mio personale Septemtrio *(3), di quelle sette stelle che mi mostrano la via.
Quando mi risollevo non trattengo l'impulso di pizzicare l'estrema punta di quel fantasioso disegno che la carta di cui sei fatto riporta proprio sul lato destro della schiena, sotto la scapola. Sussulti, sospiri, mi chiedi cosa stia facendo con una nota di divertimento quasi inafferrabile.
<Guardo, solo questo> ti do a mo' di risposta e già mi appresto a pressare l'indice e la sua unghia lungo il breve tragitto chiuso che solo a me può apparire chiaro.
<Ma hai visto già tutto> pari lamentarti e a stento non espiro frustrato dalla tua frase. Tutto non è mai abbastanza, non l'ho già chiarito prima? Non ho forse riconosciuto la cupidigia che ci portiamo appresso?
<Anche tu> sussurro ammorbidendo il tono più di quanto mi sia prefissato. Lo bisbiglio ad una spanna dal tuo orecchio, mi chiedo se tu abbia sentito. Ho il dubbio, permettimelo, ma questo permane per poco. Sei intento a rilassarti, lo sento, sotto alla mia esplorazione.
<Mi ricordi l'estate, la notte, esattamente qui, in questo piccolo ed irregolare tratto del fato. Ti ho mai detto quante forme riesco a riconoscere su di te?>
Hai pelle macchiata di promemoria, riesci a crederci? Alle mie parole ti abbandoni il più possibile contro il materasso, mi fai intendere di voler ascoltare il mio divagare. Amo regalarti i miei vaghi discorsi.
<Dubhe - inizio a picchiettare sulla tua schiena, un tocco ad ogni gruppo di sillabe - Metal, Pechda, Megrez, Alioth, Mizar ed ecco Alkaid> nomi di stelle, nomi di schizzi casuali che ti ricoprono, hanno bellezza, una bellezza che solo tu puoi portare.
Le mie labbra si posano anche su questo tuo punto, a suggellare il fantasioso battesimo delle tue lentiggini. Cerimonie, canti, danze, riverenze e doni, questo ed altro per l'uomo del cielo.
<Kacchan> ora che il mio appellativo è diventato il tuo respiro cercherò di nascondere il sorriso che ti dedico, esagerato e troppo fragile per esser consumato dal tuo sguardo.
Eta Ursae Majoris, Benetnash, Alkaid. Quanti titoli per un misero, distante bagliore. È l'ultima, la punta della coda, la conclusione perfetta della mia osservazione.
<Deku> rispondo sentendomi più spoglio di quanto già non sia, spoglio fin nell'animo, nelle punte dei capelli e nella mente. Sono improvvisamente ristretto, impedito, ancorato alle lenzuola che ci ospitano ora che ci siamo cercati a vicenda persino nella voce. Sono tornato ad essere filosofo, scienziato, amante, umano portatore di racconti. E avverto comunque farsi pressante il senso di appartenenza a quel lontano infinito, ma sei tu a darmi conforto e a far acquietare i venti che scorrono al mio interno.
Non mi hai ancora avuto, non ti ho ancora avuto, non oggi.
<Sai troppo> mi accusi, eppure so di come ti rilassi al suono del mio canto, di quanto le melodie che ti dedico riportino in vita le note di Orfeo per la sua Euridice. Ogni mia confessione smuoverebbe gli inferi per raggiungerti se strappato alla mia presa. Aristeo, persecutore e condanna, è stato il sonno che ti ha ghermito. Non eterno, ma infido e sconsolato. Ho commosso ogni creatura lungo il mio cammino, perdonerai mai la mia disattenzione?
Ti muovi, ti rigiri, ti contrai e ti distendi sotto al mio corpo. I miei arti si irrigidiscono quando il tuo sorriso mi trova e mi avvince. Eccoti ad affacciarti sul mondo che ti appartiene, a riempire i polmoni e a mostrarmi una nuova volta celeste: il tuo petto, custode di battiti che riesco ad udire, simili ai miei, nel buio della stanza.
Allunghi una mano verso l'alto, in pochi attimi avvolgi il mio viso, scorri e cali attorno alla nuca. Nel farlo cedo, divento la tua argilla, tu il mio scultore e lascio che il tuo palmo plasmi la mia carne e che ti faccia carico del peso del mio capo. Precipito alla tua sinistra, vengo condotto fino al caldo tessuto delle lenzuola, memore del tepore del tuo corpo, ed al contempo divento tua timida guida. Sei su di me, non ne sei compiaciuto?
Nel sentire i fianchi sfiorare le mie cosce vibri, ho la certezza che le tue membra portino questo tocco impresso nel derma, che ogni involontaria frizione riporti a galla immagini vivide e che ad entrambi la lingua frema per un premio a cui aneliamo in silenzio. Cosa fare se non sporgermi ed invitarti? E come rispondermi se non con uno di quei tuoi baci che iniziano e non finiscono?
I drappi delle nostre labbra, seta e taglienti spille d'avorio si cercano, si trovano, scorrono l'uno sull'altro. Incisivi che mordono e braccia che stringono, caldo che non riesco a togliermi di dosso, chiome annodate fra le dita e carezze di nudità. Non capisco più chi sia a prevalere. Va bene desiderare di possedere, va bene desiderare di essere posseduti, quanta complicità nel mio modo di reclinare la testa e nel tuo di inseguirmi. Confondiamoci, non abbiamo fretta, eppure le nostre prese spasmodiche lasciano intendere tutt'altro, non trovi?
Ho bisogno di averti più vicino, di aver più della tua pelle da tirare e nel pensarlo sento di star afferrando i lembi della mente che ti sei lasciato fuggire. Li terrò io per il momento, so che vuoi fidarti, che puoi fidarti della mia promessa. Sì, li custodirò, così lascerai la stanchezza del giorno ad attenderti fuori da questa camera, fuori da questa casa. Abbiamo altro da condividere, molto altro.
Abbiamo perfezioni e difetti a non finire, non avrò mai il coraggio di confessarti quanto mi diverta a farne l'elenco.
Qualcosa tira attorno alla gola, mi muovo, giro il collo per togliermi il fastidio, ma resta e avverto l'argento premere e pesare come non mai. Un tintinnio, flebile lamento e distrazione, ti fa raccogliere l'ultimo bacio prima di restituirmi un respiro affannoso. I tuoi occhi restano fissi nei miei, non per indagare, non per parlarmi, ma per meravigliarmi mentre la tua mano risale lungo la coscia, le tue unghie strisciano sui glutei, sul fianco e passano sui gradini delle costole, giungendo sulla cima delle scale: al cuore. In questo punto indugi e prendi fra le dita la sottile catena che mi cinge, gemella della tua che pende leggera e luccica nella penombra. Ne tasti la consistenza, la sistemi così che non mi pizzichi più, osservi la tua iniziale e sorridi nel vederla affiancata da quel sottile cerchio che quasi mai mi vedi indossare come si dovrebbe. È troppo prezioso perché rischi di perderlo ed in questi anni quella rilucente e rovinata D è rimasta al sicuro, avvolta dai miei battiti. Il sangue che scorre sotto alla tua mano, il muscolo che lo sospinge, sarà lui a garantire l'incolumità di ogni nostro giuramento. Tu preferisci che ne sia il tuo anulare il portatore, che i numerosi patti che abbiamo stretto appartengano a punti diversi del tuo corpo e mi piace, non sai quanto, il come questo urli al mondo "Appartengo a lui, vedete? Ogni mia parte è sua".
Lo sussurro anche io, a mio modo, lo faccio e cerco di plasmare il mio giorno affinché possa averti e tu possa avermi. E dire che di delicatezza intendiamo, ma non agiamo e ad ogni ricongiungimento cerco di versare lacrime, le stesse che non mi sono permesso di piangere tempo fa. Avevo disimparato a soffrire in questo modo, l'ho mai raccontato? Il ritorno dell'amore è stato il ritorno del dolore.
Devo smetterla di vagare, mi rimprovero da solo.
Ritorno con i piedi sul materasso, con le ginocchia piegate, con le coperte stropicciate a far da cornice a noi amanti, con i cuscini dispersi finanche sul pavimento, con i pigiami ancora piegati sulla poltrona e che non abbiamo sfiorato nemmeno con il pensiero per indossarli. Rieccomi a compiacermi della tua felicità e della mia, speranzoso che l'assaggio che ci viene offerto si prolunghi quanto più possibile.
Il tuo bacino va incontro al mio, il lieve strato di sudore mi fa capire che l'eccitazione che teniamo fra i nostri busti, con erezioni che si toccano e odori che si mischiano, sta per divenire insopportabile.
Ansimiamo entrambi, labbra a due centimetri di distanza e fiato che odora del vino che abbiamo gustato a cena. Un sapore dolciastro mi si attacca al palato e chiudo gli occhi per poter dare sfogo ad una voce che si è fatta insistente nella mia testa.
<Ti voglio, Deku, ti prego. Ti voglio e non resisto più>. Un altro movimento del bacino, un altro ghigno, un altro verso strozzato.
<Ahg- ingoio aria e mi mordo la lingua.
<Anche io> dici e consumi le parole. Hai urgenza, fretta nel tono che usi. Ti prendi ancora un attimo, quasi sembri volerti assicurare del mio bisogno e guardi, rapito per tre soli secondi, i miei arti abbandonati e mezzi stesi fra stoffa azzurra e pieghe.
Sono pronto, non ho fatto altro che sentirmi pronto nell'ultima, eterna ora di attenzioni che ci siamo dedicati e che non parevano mai abbastanza per appagarci. La tua fronte è imperlata di sudore quel poco che basta ad incantarmi. Ricci che cadono, che sanno di pulito e di te, di me. Inspiro a fondo, il nostro profumo è sempre lo stesso, che sollievo!
Sento l'odore della lavanda, dell'alcol, della mezza sigaretta condivisa prima di finire a letto...Ah, il fumo è pungente, amaro nel retrogusto, pizzica nelle vie respiratorie e mi tortura mentre getto fuori aria. Piano, veloce, a scatti quando ti chini per assaporarmi ancora una volta.
Mi tendo e so di poterti tentare, di non dover dubitare del potere che mi concedi, né di quello che prendo. Cosa vedi nella contrazione dei miei muscoli, cosa nel rossore di cui mi hai cosparso, cosa nel modo in cui muovo la bocca e ti chiamo? Sento di star avendo una di quelle mancanze, una di quelle che ti riguardano, una che è ormai mutata in brama. Al contempo credo di volerti pregare per colmarla e soddisfarla.
<Per favore, fallo> annaspo quasi, tra un bacio e l'altro e già pregusto il sentore di piacere e di dolore farsi spazio in me nell'avvertirti distante e vicino, pressante come un macigno. Se tentassi, non potrei fuggire in alcun modo dalla presa che in un istante mi ricopre in ogni dove. Sei attorno a me, nel tocco, nel respiro, nello sguardo e nel suono di fruscii. Che ore sono? Quanto manca all'alba? Sarà nuvolo domani? Passa tutto in secondo piano perché sei qui, non per distrarmi, ma per farti ascoltare e ricordarmi che per me esisti più concretamente di chiunque altro. Ci siamo trovati, ora dobbiamo catturarci.
E mi conduci in trappola nel trascinare le mie braccia in alto, oltre la mia chioma scompigliata che rimpiange la tua stretta come se la nostalgia fosse un sentimento istantaneo per lei. Sono cieco al tatto, mi rimetto alla tua guida mentre riconosco il bordo del letto a cui ti assicuri che mi aggrappi stringendo le dita sulle mie mani. Mi terrò con forza, provo a promettertelo.
Gelo improvvisamente quando ti sollevi e per poco confondo la tua breve lontananza come un furto, una proibizione impostami ingiustamente. Voglio pregarti di nuovo di tornare da me in fretta. Sono pallido nella notte, come te che sei sempre più un'ombra per il mio sguardo appannato. Sai forse dirmi perché stia lacrimando? Per ciò che ritardi? Per ciò che hai già preso? E perché non per entrambe le cose?
Sorrido nel pianto che trattengo, tendo le orecchie per riconoscere il rumore del materasso che si piega e mi pare di avvertire uno scatto mentre reclino la testa ed espongo la gola. Ci sei quasi, mi dico rabbrividendo al tocco umido delle tue dita che girano attorno e non concludono nulla. Mi spingo verso di te in un gesto istintivo, il mio è un breve assecondarti fintanto che sono in attesa di richieste. No! Dovrei dire di ordini e di complici desideri.
Afferri le mie gambe, le costringi a dolere per farti strada fino al mio ventre. Assaggi il salato di cui siamo entrambi ricoperti, sprigioni un calore che non credevo potesse aumentare. Che strada breve, penso felice, che decidi di percorrere fino al mio membro. Scivoli sul glande senza darci particolare attenzione e scendi fino in fondo, per poco credo che tu voglia proseguire finché non ritorni sui tuoi passi a fior di baci e pressioni. Accogli in bocca un'erezione che stava oramai a metà fra l'eccitazione ed una stravolgente sensazione di dolore.
<Mh. Non basta, lo sai!> raschio in gola per dirtelo e sì, sono arrabbiato, lacerato per il disio che mi divora. Mi dai retta, vorrei aver il tempo di gioirne, ma le tue falangi che si muovono e si creano la via al mio interno mi fanno tremare e la contentezza che vorrei mostrare è solo un boccheggio sulle mie labbra.
Lo so, Kacchan. I tuoi gesti mi danno tutti la medesima risposta.
L'attenzione con cui mi inglobi, il velluto della tua lingua, il gioco della tua inutile esplorazione - la mia mappa è già tua, ma sappiamo quanto ami ritracciare i sentieri percorsi - i miei lievi sospiri, è possibile voler altro?
Sì! Lo urla la mia mente, lo urla il mio corpo, lo urlano i miei polpastrelli che di sicuro saranno ormai bianchi come le nocche per come mi sto tenendo al letto.
Gemo, quasi mi lamento nel farlo, e tu pensi solo a bearti della mia voce che riempie la stanza e non ha vie di mezzo. È morbida, poi tirata, una melodia che segui e comandi.
Dove sono nell'universo che racchiudi? In quale sperduta regione mi hai collocato? Gas e polvere, volubile e ristretto, enorme spettacolo...sono forse la tua Orione? Nubi interstellari, grumi di spazio, appartengo a queste distanti formazioni? Ma ora le sento talmente a portata di mano che potrei credere di averne la medesima consistenza.
Lo dicono, sai? Affermano che siamo fatti della stessa materia di cui sono fatte le stelle ed in fondo è innegabile: traiamo tutti origine dallo spazio.
L'infinito è in noi, così come il finito, in un'ambivalenza che a tratti suscita tristezza.
Non potrò mai conoscerti, esplorarti appieno, questa vita non è abbastanza né per me, né per te.
Vorrei avere più tempo, perché lo rincorriamo e lo sottovalutiamo. Alla fine inghiottisce tutto.
Sono qui a chiamarti e a consumare secondi che passano veloci.
<Fermati, Deku, fermati! È troppo, è troppo... - mugolo in parte dispiaciuto, ma sollevato dal fatto che presti attenzione alla mia richiesta e, lasciato ogni stimolo, ritorni a me - è troppo> ripeto quando ti ritrovo ad indugiare sulla linea della mascella e ad accarezzare la pelle liscia di rasatura fino al mio orecchio.
<Non è mai troppo per te> mi accusi ed improvviso annaspo, separo le labbra e chiudo gli occhi. Le palpebre premono e non riesco a trattenere alcun sussulto, nessuna lacrima. Sei in me, ti stringo, è un sollievo ed una disgrazia.
Non ti sei spinto fino in fondo, per poco mi sfiora l'idea di mostrarmi insoddisfatto, ma proprio non ci riesco nel sentirti entrare lentamente in me.
<Dio, sì> mi lascio sfuggire o magari no, magari desidero farti conoscere i miei pensieri. Avvolgi la mia gola con la bocca, i tuoi denti mi solleticano, così come i tuoi ricci che vorrei stringere. Non ce la faccio a raggiungerti, non se mi sento talmente ribollente e debole di forze da poter solamente raccogliere le scosse di piacere che risalgono lungo il corpo.
Il primo movimento mi dà alla testa, persino tu hai il fiato corto e la tua voce gratta mentre affondi le unghie nel mio fianco. Quanto è passato dall'ultima volta? Giorni? Settimane? Non mi ricordo più quando siamo partiti e quando siamo tornati.
Immagina, ti prego, che il mondo possa sapere di noi, che si prostri e riconosca i nostri meriti, le nostre ferite, le cicatrici che ci ricoprono. Siamo umani, persone, possiamo amarci. Un giorno non potremo più farlo e lo rimpiangeremo. Ripenso alle parole di mia madre pur non ricordandole con precisione e per quanto il loro passaggio sia breve ne riconosco il peso. Il suo è un monito a non sprecare tempo, a prendere finché possiamo, a restituire, a condividere, a morire, vivere e a non scomparire nel farlo.
Sto bene, Deku, anche quando sto male e non sono mai sicuro di ringraziarti a sufficienza per questo. Provi lo stesso, lo so.
Tuttavia siamo avidi, ricordi? Vogliamo e otteniamo.
<Sei così bello... - mi dici e le tue iridi scavano nelle mie - ...così bello> complimenti o vaneggiamenti? Sono perso in te, sei perso in me e mi chiedo se non abbiamo paura di smarrirci. Siamo ancora giovani, è naturale aver timori, insicurezze, interrogarsi sulle proprie decisioni e divenire inspiegabilmente dissoluti. Un giorno non potrò più amarti, chissà il come ed il perché, ma un giorno accadrà ed uno di noi dovrà soffrire per entrambi, portare il fardello che è stato condiviso a lungo, per quanto più tempo ci verrà concesso. Spero di poter ritardare quel momento, ma non oso promettere nulla.
Non resisto, ho bisogno di stringerti ed in un attimo gratto il bordo del letto per raggiungerti e avvinghiarmi alla tua spalla, alla tua chioma che stritolo e su cui premo. Non posso raccogliere ogni tua ciocca, ma ci provo e ti tengo saldamente, non ti lascio scappare. Baciami a questo modo, con trasporto ed illudimi che non ci sia caducità in questo gesto.
<Sei mio?> indaghi su di me nel chiederlo, stringi braccia, spalle, fianchi e glutei. Sei insistente, avverto la tua presenza, mi contraggo e non riesco a risponderti. Il nostro contatto si fa ruvido, gratti su di me come si fa su di un muro dall'intonaco scrostato ed io sono diventato la polvere, la vernice, le crepe in cui incappi...sono rovinato, porto i segni del sole, ustioni, e folli dipinti d'ombra. <Dimmelo> devo respirare, ma come faccio? Spinte e battiti non riescono a raggiungere un'armonia, figuriamoci se i polmoni possono reggere anche una sola, breve apnea. Eppure tento - guarda a cosa mi porti - per rincorrere il tuo tono rabbioso e ferito.
<L-lo sono, lo sono!> e mi spingo oltre il limite, raccolgo aria a costo di soffocarmi. Quanto può diventare fragile un corpo? <Anche tu> dico a fatica. Qualcosa scricchiola sotto di noi, non curartene fintanto che sarò aggrappato a te e scaverò nuove vie sulla tua schiena. Mi mordi, proprio sulla spalla, sul petto, mordi persino la mano che è arrivata fino al tuo viso per accarezzarti. Mio. Lo penso e mi basta il tuo silenzio ed il suono della carne che si scontra ad imprimere le parole che non dici. Che assurda domanda che ho fatto.
Affondi, i nostri bacini si toccano, per un attimo siamo fermi e ti distinguo in ogni particolare, in ogni goccia di sudore che imperla il tuo viso, in ogni tiratura di muscolo e sento la tua presa scorrere attorno al mio busto, sulla schiena che ho inarcato. Curvo su di me come su di un tesoro a cui non puoi rinunciare, vedo in te la mia stessa lussuria. Il mio addome trema ed in verità so di non aver un solo punto stabile.
Anche tu, noto, sei nella mia stessa condizione. Ansimiamo assieme fintanto che è notte, torna a stuzzicarmi il pensiero della mattina e fantastico sul come potremmo fuggire alla luce ed espirare di sollievo prima dell'alba. Più veloci, devo dirti che dobbiamo essere più veloci. Nel buio trovo conforto, non lo sai? È nel blu del cielo che mi rifugio, perciò dammi tutto adesso.
Tutto. È un pensiero incastonato nella mente, un diadema di idee e di logici desideri. Oscuro diaspro, pupilla d'ossidiana, buco nero in grado solamente di espandersi ed inghiottirti in uno sguardo. I tuoi smeraldi giocano sulla linea, ma cadranno, vedrai, oltre l'orizzonte degli eventi e mi raggiungeranno.
Mi muovo verso di te, ti accompagno, vengo annebbiato dal modo in cui avvolgi ancora i petali arrossati che porto in viso. Mugolo sulle tue labbra, in un sussurro che esplode fra le nostre bocche e riverbera in gola. Un secondo fa era diverso, un secondo fa non suonavo così disperato e non ero abbastanza vicino per scoprire quanto caos si celi al mio interno. Tuttavia è insito nel tutto, non vedi? Questo disordine, questo essere a soqquadro, quest'entropia che corre nel tempo e cresce, nella sua totalità ci rende inermi vite in un universo indifferente *(4).
Il mio animo si dimena mentre mi arrendo al susseguirsi degli eventi e nella luce che fluisce dai miei occhi riverso il nostro tutto. Contraggo le dita, afferro le tue spalle, ma con quale forza posso tenerti? I miei arti ricadono presto sul materasso tremante, ne tastano la stoffa e la stringono soffocandone il respiro. Lasceremo tracce su queste lenzuola, sento che oltre a loro ogni oggetto in questa stanza sta rimpicciolendo per far spazio a noi. Un brivido mi scuote quando mordi il mio labbro inferiore. Trattengono il fiato, gli accumoli della vita, dalle pesanti tende tirate a metà al libro appena iniziato sul mio comodino mi sembrano sature del nostro profumo. Siamo noi ad esserci allargati, a circondarci di tanti fardelli, il punto di singolarità che è stata la nostra nascita ha contenuto in sé le centinaia di passi che abbiamo fatto fino ad oggi. Esistiamo per avere, per occupare spazio, non ti pare aver senso? Questa è la nostra personale teoria del tutto *(5).
Persone come stelle, umani come galassie, cresciamo e mutiamo pelle, ci scindiamo, impattiamo, implodiamo, disseminiamo polvere e pianeti, giganti nubi di pensieri aeriformi, prendiamo posto nella distesa del cielo e scopriamo che in questa infinita crescita che perseguiamo non vi è modo di ripercorrere la strada a ritroso. L'universo si allarga, anche in questo momento stai viaggiando con lui, vieni portato avanti, solo in avanti, o per meglio dire ovunque, come se lo spazio non solo non concepisse il sotto ed il sopra, ma si facesse arcere di vettori, frecce di distanze e di tempo cosmologiche, riflesso di una psicologia terrena e primitiva, ma che nel suo piccolo porta il peso del mondo e di quella parte di universo che si è preso *(6). E tu hai preso me, io ho preso te, siamo fragili ladri di affetto.
Le tue falangi passano come artigli sul mio addome, premono per avvertire un contatto pieno e non interrotto dai nostri movimenti; ogni spinta mi confonde, in un certo senso mi sfinisce e quando respiro non recupero le energie spese per chiamarti, per gemere e raccogliere gli stimoli di ogni terminazione nervosa che risalgono lungo la colonna vertebrale. La risposta che il mio sistema nervoso dà mi ha sopraffatto. Non esiste più il tempo per noi, solo umide scie di sudore e ansiti.
<Così, continua -Ah, cazzo, Deku!> deglutisco a vuoto, resto a bocca schiusa mentre circondi la mia erezione e discendi dal prepuzio facendoti portatore di un calore che non immaginavo potesse ardere più di quanto già non stesse facendo. La tua presa è umida dei baci che ci siamo scambiati e con le tue labbra intente a consumarmi sei quasi nel mio mondo, i tuoi denti cercano una via, la lingua una porta. Ma io ti spalanco l'ingresso, non lo vedi? Ho tirato a me la maniglia, l'eco del cigolio dei cardini riecheggia nella testa mentre cerco di guardarti. In un istinto che mi prosciuga d'energia artiglio la tua guancia con la mano destra, riesco a seguire i tuoi tratti, sfiorarti l'orecchio e tenermi alle tue verdi ciocche; pazzamente ho successo persino nel puntare il gomito sinistro per tirarmi su, venirti in contro e sorridere maligno e tentatore per dar fondo a quel poco di lucidità che mi è rimasta. Tu che mi contemplavi dall'alto, ingordo essere, cosa rispondi?
Gote arrossate, iridi lucenti, fiato corto e muscoli gonfi, un gemito roco nell'aria, mi dedichi questo ed altro...questo ed altro.
Dimmi che non avrà fine.
Mi sento teso, talmente teso da non sapere cosa dirti, come uscire dal limbo in cui il ritmo che tieni mi ha rinchiuso.
Brutali pensieri e brutali gesti, è quel che mi riempie la mente e da cui non posso fuggire. Dio, avrei dovuto sapere prima quanto piacere si può provare nel divorarsi l'un l'altro. Ad ogni occasione vengo distrutto, ti sento già calpestare le mie rovine con quel tuo solito atteggiamento saturo d'orgoglio e raccogliere la terra arsa per darle conforto. Così farai con la mia pelle più tardi.
Un campanello d'allarme risuona per entrambi, qualcosa emana calore, qualcosa ti fa risalire un breve lamento in gola e qualcosa di altrettanto conciso riporta i miei arti in basso e fa crollare nuovamente il mio corpo sul materasso. Mi stringi i polsi, con una certa forza, sopra la testa. Non ti fermi, neanche quando cerchi di spiegarmi la tua azione che, avventata, ha fatto sprofondare il mio cuore fra battiti insistenti.
<I- i palmi, Kacchan...scottano> dici ed istantaneamente mi rendo conto della mia disattenzione.
<Non -Ah! - continui, continui e continui, pur avendo allontanato il mio tocco da te - non me ne sono accorto. Scusa, scusami> un senso di colpa improvviso si presenta nel mio tono ed è impossibile che ti sfugga. Stavo bruciando, ora sento di starlo facendo letteralmente.
<No, non importa> ti appresti a confortarmi e muti espressione, da contraddetta ad enigmatica, nell'avvicinarti al mio viso. Strappi un bacio dalla mia bocca e colgo puro diletto nel tuo sorriso. Ti chini, arrivi alla portata di un sussurro, il tuo fiato mi solletica l'orecchio.
<Ti confesso che mi piace>. Contraggo le dita, mi rilasso alle tue parole, pizzicore e tepore salgono fino alle punte dei capelli, un angolo della mia mente inizia a scomparire, annebbiarsi e disseminare interferenze nei pensieri. Annaspo sotto al tuo sguardo, con il mento rivolto in alto ed il capo affondato nel materasso fra fili d'oro e profumo di pelle, i sussulti dei nostri corpi sono distanti, confusi, ed il modo in cui sono con te...nei sospiri, nel calore, nei polsi che stringi, nel darmi sollievo, non voglio rivelarti quanto, ma mi stordisce. Sento che siamo diversi, uguali, nel chiamarci senza sillabe, ma in un labbiale che di fiato non riesce a raccoglierne. È possibile faticare per vedere, per sentire, quando si ha troppo da percepire.
Non gustiamo a pieno il momento, così mi dico, perché il momento è presente e diventa subito passato. Ma ciò che segue è il meglio, non credi? Si respira, ci si stringe aggrappandosi alle membra dell'altro e se ne reclama il possesso cercando di calmare polmoni che ormai seguono un ritmo tutto loro. Poco a poco la materia riprende forma e già avverto il sudore fra i nostri addomi, il dubbio su chi sia venuto prima, chi dopo, arrivare e passare, seguito dalla consapevolezza di poter ancora afferrare quel misterioso piacere che ci irradia.
Mentre ascolto il tuo ansimare riconosco il mio nome ed il tuo disperso "ti amo" vagare fra le coperte. Vi precipitano sopra, i tuoi incantesimi, vere comete d'amore. Desidero risponderti, comunicarti di non aver alcuno scudo a proteggermi, ma solo tanti aghi pronti a pungerti per ricordarti che mi puoi avere per amarti e per ferirti quel poco che basta a darti quel senso di sfida che ricerchiamo entrambi.
Sono ancora in balia delle tue carezze e dei rimasugli dei brividi quando mi trascini non curandoti del lenzuolo che si aggroviglia attorno ai piedi, né del freddo che mi assale nei brevi tratti di pelle in cui mi abbandoni. Ritorno a te, ritorni a me in ogni caso: eccoci a gonfiare i polmoni in un abbraccio che di conforto ha un vago retrogusto. Sovrasti ogni sollievo nel risalire lungo la spina dorsale e rifare la medesima strada a ritroso, tagliando strati di ebrezza mal sopita con le unghie, liberandone gli effluvi colmi di tentazioni inespresse. Sanno di noi, sanno di noi! Più me ne inebrio, più lo penso, più quel che avevo riconosciuto come nostro profumo assume una forma inafferrabile, intima e dispersa nel rimbombo che il cuore ha nel mio petto. Non abbiamo finito, è ciò che intendiamo, ciò per cui preghiamo. Ho paura di arrivare ad una conclusione e la paura è una cosa a cui non ho mai cercato di abituarmi. Ma la trovo nei nostri gesti, nel mio "Ancora" inespresso, nel volermi prendere una pausa per fumare una sigaretta che mi lascerà l'amaro in bocca. Forse dopo lo cancellerai, perciò mi dimeno in silenzio e con calma ti stringo, soffio sul tuo viso il sapore che mi hai lasciato e scivolo sul cotone che ci ospita. Potevo restare qualche minuto in più, me lo dicono le tue braccia che restano distese verso di me e quel tuo lamento sconsolato. Sarà per questo che ti voglio con me o sarà per altro, per un motivo più radicato che mi spinge ad alzarmi ed attirare l'attenzione dei tuoi occhi.
Mi trafiggi con lo sguardo mentre indosso la vestaglia, la tua, che raccolgo da terra. Sembro un traditore in procinto di abbandonare una di quelle lussuose camere d'hotel dopo aver incontrato lo sposo incapace di reagire al mio "Arrivederci" che suona più come un "Addio". Tuttavia non è la mia natura, non è la tua, anche se ne avvertiamo l'odore nell'aria.
<Non vieni con me?> la domanda non ha risposta, non la vuole. Chissà il perché non pretendiamo più certe cose. Alzandoti afferri i pantaloni della tuta, mi raggiungi sistemandoteli in vita e mi chiedo perché tendiamo a vestirci dopo aver fatto l'amore. Per me potremmo restare nudi a vita, una volta esserci visti cosa abbiamo da nascondere? Noi abbiamo perso la conoscenza della vergogna, non penso che la ritroveremo mai.
<Dopo?> mi chiedi senza alcun chiarimento. Io intendo, solo io posso.
<Dopo> confermo e anche se non ne ho bisogno mi alzo in punta di piedi, così posso avanzare di quei pochissimi centimetri di altezza che hai guadagnato durante la crescita e affondare il naso nella tua spalla. Il mio è un abbraccio che diviene morsa, ci stritoliamo a vicenda, avverto le tua dita tirare la vestaglia sui miei fianchi, tu non senti le mie vagare fra i tuoi ricci?
La fretta mi prende di nuovo, da cosa stavo fuggendo? Non da te, dalla mattina, ricordi?
Un po' intorpidito mi scosto, sorrido per voltarmi e afferrare il pacchetto di Silk cut *(7) dal comodino e recuperare l'accendino dalla giacca che ho buttato a terra prima...beh, prima che tu non facessi la stessa cosa.
Mi segui quando ti passo accanto, non mi perdi di vista fin quando non attraverso la stanza e mi inoltro nello studio. I tuoi passi sono subito dietro ai miei. Apro la vetrata, la brezza mi investe prima che possa mettere piede fuori in balcone. Fa freddo, non è meraviglioso? Mi serviva provare questa sensazione, sapere che il freddo vero, quello del mondo, è il vento, a volte la pioggia, a volte la neve, e solo per me è la nostalgia del tuo tocco. Non mi prendi mai per mano, io per primo non lo pretendo, ma quando siamo a letto non ti sembra che ce ne sia bisogno? Solo lì diventiamo fragili e qui, sul balcone, appoggiati alla ringhiera, ci sentiamo come eroi pronti a cadere. Suppongo di aver capito alla fine: amarti è come amarmi, poiché io sono te, tu sei me, siamo complici dell'essere.
Porto il filtro fra le labbra, mi chino verso la fiamma ed inspiro. Il vizio si accende ed insieme a lui riprende vita la voglia di sparire fra le nostre strette, di assorbirci e confonderci. L'ho detto poco fa, sarà dopo il momento, dopo aver trovato le frasi da dire mentre fumo, dopo averti raccontato delle ultime settimane, delle corse, della tua mancanza, delle chiamate perse e di quelle durate intere serate. Avrò davvero voglia di parlare di tutto questo?
<Siamo tornati sulle prime pagine> è la prima cosa che mi viene in mente, ma non la prima che vorrei dire.
<Che ti aspettavi?> ironia, me lo aspettavo. Hai un modo di fare molto spiccio appena tornato, lo ricordo adesso che ti osservo sfilare una sigaretta e accenderla con precisi movimenti. Nessuno spreco, è tutto calcolato per te, tutto tranne me.
<Nulla di diverso, ma non è come prima. Ne sono contento>.
<Solo questo?>.
<Non lo so, forse c'è qualcosa in più>.
<Cosa?>.
Qui si blocca il nostro breve botta e risposta, devo pensare, come se non lo facessi già abbastanza.
Non lo so, sia negli scorsi anni che negli ultimi mesi avevo un posto da occupare per vivere. Sedevo sul podio per gli altri, un po' per me, ma soprattutto per le persone, per Eijiro, per Shouto, per Mina, per Denki, per Eri, per mia madre, per la tua, per Toshinori, per chiunque mi volesse vedere ancora in piedi. Ora loro possono smettere di preoccuparsi, loro devono tornare alle loro vite, le stesse che ho condizionato per troppo tempo. Posso lasciare andare persino chi non può ascoltare le mie scuse, chi è ormai scomparso. Perciò quel che mi è rimasto è quel che è cambiato. Butto fuori volute di grigio respiro che si scontra con il tuo.
<Fumo di meno> considero e da vero ipocrita prendo un altro tiro, fisso la cenere cadere quando do un colpo al filtro. Tu sbuffi e ti muovi di tre soli passi. Arrivi alle mie spalle, mi accarezzi, chiudo gli occhi e li riapro. Mi rendo improvvisamente conto di quanto il buio della notte si sia allontanato da noi: il cielo è del colore del mare, è tardi ed è presto.
Mi circondi il busto, strofini i palmi su di me, di sicuro sai della mia pelle d'oca.
<Sei gelido, tra poco rientramo> che tu sia premuroso o meno poco importa, già mi affretto a consumare metà della paglia per avvicinare il dopo che ci siamo promessi.
<Allora cos'è diverso? Sono io?> lo domando quasi allarmato, impietrito di colpo davanti al pensiero di aver perso legami passati che per tanto ho custodito.
Posi il mento su di me, prendiamo assieme un respiro, inghiottiamo l'ennesimo boccone di vizio.
<Fumi di meno, ma non sei diverso> mi conforti, lo capisco, sai? Eppure ti do ragione, una ragione che rispetto profondamente. Non saresti ancora con me se fossi un altro, è semplice.
<Potresti essere tu> suona come un'accusa la mia, perdonami.
<Perché?>
Dovrei avere un motivo? Non posso credere in qualcosa senza averne uno?
Poi, dimmi, credi seriamente che non sia mutato, cresciuto almeno un po'?
Le tue affermazioni mi tagliano, lo fanno anche le tue mani e le unghie che si infilato sotto la vestaglia e premono sul petto. Hai già finito la sigaretta e non me ne sono accorto.
<Se sono sempre lo stesso e mi ami...sei tu ad aver trovato il modo per farlo, non io>.
Adesso graffi, lo fai piano, ma il pizzicore del tuo passaggio lo sento fin sotto la pelle. Il tessuto che mi copre è molle, poco a poco sfugge alla debole presa della cintura mal annodata e cade dalle mie spalle. I miei gomiti piegati ne fermano la caduta, tuttavia ho il fiato spezzato ora che il vento del mattino si abbatte su di un me privo di barriere.
<Non è vero> sei serio, talmente serio che ho paura di averti ferito.
<Non ho mai smesso di amarti, non sono mai scappato, non da te>.
È un degno avversario, l'uomo che ho perso e ritrovato, non posso affermare il contrario. La mano che scende lungo il ventre mi fa sussultare, anche se non supera un confine fatto di "non qui, non ora, dopo" non detti.
Finalmente mi hai detto la verità, sono così felice di averti ascoltato che sto per tremare fra le tue braccia. Amo percepirti attorno al mio corpo, ancora più amo riscoprire parti di te che credevo di aver smarrito. Tendo il collo per vederti, ne ho un tale bisogno in questo momento.
L'alba arriverà a momenti, ma tu puoi star tranquillo, non potrà disturbarti, né confortarti, perché le guance umide che vedo mi appartengono. Non piangevi da così tanto tempo, non in questo modo, non per tristezza e amore, non per farmi sorridere e soffrire, non per farmi pentire e compiacere delle mie azioni, ma ora lo stai facendo e quelle lacrime ti percorrono fino in fondo. Attraversano il tuo viso disteso, impassibile, esprimono una disperazione che nessuno sarebbe capace di mostrare e forse ti chiedi come io possa vederla oltre quell'espressione che a molti parrebbe di cristallo. Ti aggrappi a me, anche se vibro di terrore e di piacere, e con un semplice ticchettio sul mio cuore mi chiedi di svestirti di quest'ultima confessione. Vedo la verità per la prima volta e già desideri legarla al passato. È meglio così, mi dico, a questo modo saprò tenerla al sicuro.
Tiro una manica, la sfilo un poco e vi avvolgo una mano. Mi giro restando nel tuo abbraccio, ne cerco il calore mentre mi allungo per tastar piano il tuo volto e portar via le umide scie che lo percorrono. Per una volta posso tornare indietro, asciugare un pianto che ho trascurato in una giovinezza che ancora adesso cerca di non appassire. Ne prendo i frutti, maturi o acerbi che siano, basta che sia io a raccogliere le tue lacrime.
Fine
*(1): L'espressione usata dai Greci per indicare la verità ha per sua struttura semantica e lessicale un contenuto diverso rispetto all'espressione latina veritas.
Etimologicamente il prefisso alfa, con funzione privativa, precede la radice lath che significa dimenticare. Alètheia indica quindi qualcosa che non è più nascosto, che non è stato dimenticato.
In questo senso il termine può essere tradotto come verità intesa nel senso di rivelazione e di svelamento.
Dalla medesima radice etimologica deriva anche il nome del fiume Lete che nella mitologia greca è il fiume dell'oblio.
La verità, oggetto della conoscenza filosofica è quindi ciò che si manifesta, che non rimane oscuro.
Il percorso da seguire per cercare il vero è farne esperienza nel suo nascondersi, nella sua velatezza per poi tentare di strapparla affinché si riveli.
*(2): è un vero e proprio principio della fisica, elaborato da Hubble nel XX secolo.
*(3): nome latino della costellazione del Grande carro, prima ad esser stata scoperta. Compare nell'incipit del compendio astronomico e astrologico intitolato Mulapin (dà il nome all'opera oltretutto) scritto in Mesopotamia durante il dominio neo-assiro ( fra il 1200 ed il 1300 a.C. circa).
Di seguito, qualche riga più in basso, vengono elencate le stelle che lo compongono.
*(4) Universo sempre più disordinato: l'entropia. In base alla seconda legge della termodinamica, l'entropia totale dell'Universo può solo aumentare. Poiché l'entropia misura la quantità di disordine, l'Universo diventa più disordinato man mano che invecchia. Hawking ha accostato questa condizione con l'espansione dell'orizzonte degli eventi dei buchi neri.
*(5) nel 1922 Fridman, cosmologo e matematico russo, teorizzò un modello di universo in espansione. Lo stesso fu osservato più tardi da Edwin Hubble, astronomo e astrofisico statunitense, a riprova che l'assunto di Fridman era una descrizione accurata del nostro universo. Dall'osservazione di Hubble, per cui da qualunque parte si guardi il cielo le stelle si stanno allontanando da noi, si evince che in un tempo remoto i corpi celesti fossero più vicini tra loro. C'è stato, quindi un momento, un Big Bang, per cui l'universo ha iniziato la sua espansione. In pratica l'idea è quella che nel momento precedente al Big Bang la distanza fra le galassie doveva essere pressoché zero, e la curvatura dello spazio-tempo e la densità dell'universo dovevano essere infinite. Ad un certo punto deve esserci stata una irregolarità, cosiddetta singolarità, tale per cui l'universo ha iniziato ad espandersi. Queste sono le premesse che portarono Hawking ad elaborare la cosiddetta teoria del tutto, logica spiegazione dell'origine dell'universo.
*(6) Hawking teorizzò le frecce del tempo, qualcosa che distinguendo il passato dal futuro dà al tempo una direzione. Si parla di freccia del tempo termodinamica, che indica la direzione del tempo in cui il disordine aumenta, di freccia del tempo psicologica, che è quella con cui gli uomini percepiscono lo scorrere del tempo e di freccia del tempo cosmologica, che è la direzione del tempo in cui l'universo si espande.
La tesi è che le frecce del tempo psicologica e termodinamica siano strettamente legate e puntino sempre nella stessa direzione, se l'universo non ha confini a loro volta sono legate a quella cosmologica e questo dimostra che il nostro senso oggettivo del tempo corrisponde alla direzione in cui si espande l'universo.
*(7) Silk Cut: è una marca di sigarette a basso contenuto di cattame prodotta dal Gallagher Group. L'imballaggio è caratterizzato da un peculiare pacchetto bianco con il nome della marca scritto in un quadrato viola.
Il marchio è cresciuto in popolarità nel mondo durante gli anni 70 e gli anni 80 quando divennero risaputi i rischi di fumare sigarette e i consumatori passarono a marche con un contenuto più basso di catrame.
Essere a corto di parole è un'espressione che raramente mi capita di usare, ma devo dire che mi trovo costretta a mettere nero su bianco queste sillabe. Sono davvero a corto di parole e, anzi, quasi lo considererei un eufemismo.
È inesprimibile quanto mi senta felice e rattristata per la fine di questa storia. Oramai è andata oltre ad essere una semplice Fanfiction, questo vale almeno per me, e già ho una prematura nostalgia dei pomeriggi passati a scrivere i capitoli delle vite di Izuku e Katsuki. Lo so, la loro storia non è canonica, ma per una volta vorrei andare oltre al manga, all'anime, al mondo di BNHA. Ho parlato di due ragazzi, di due uomini intenti a scoprirsi l'un l'altro, non solo di due personaggi, e più volte ho avuto il presentimento di starmi allontanando dalla loro versione originale. Ho riscritto tutto, così credo di aver fatto, e ho distorto la loro immagine, è forse così?
Da Even if è stato un crescendo di ripensamenti non solo per i protagonisti, ma anche per me. Negli anni in cui ho costruito questa trama sono cresciuta, ho finito il liceo, ho finito di leggere libri, ho iniziato nuove letture, ho speso troppo in fumetteria, ho fatto amicizie e ho perso amicizie, ho avuto crisi, alti e bassi, sono riuscita a capirmi un po'di più, ho pensato a tanti possibili futuri e ho avuto momenti di blocco nella scrittura. Tutto questo è successo al di fuori e all'interno di questa piattaforma.
Ho visto questa storia crescere, in un certo senso è stato come vedermi crescere e ho solo un sincero grazie da rivolgere a voi lettori.
Alla prossima storia🖤
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