/41/ Cliché [Deku]
La storia inizia con un cielo nuvoloso ed un ragazzo dalla chioma umida che alza un sorriso alle nuvole. Mani tese verso le stelle, passi che girano in tondo, che raccolgono la pioggia, la stessa che gli scorre in viso. Lo vedi? Ha smesso di correre prima del temporale, ha ripreso fiato al centro della strada e senza meta si è messo ad ondeggiare in una danza muta, insensata ed indisturbata. Ogni suo giro di polso, ogni inclinazione della testa, ogni giravolta, ogni suo gesto sembra naturale e così liberatorio ed è una fortuna che sia stato solo ad ascoltare la musica del maltempo, poiché altrimenti non avrebbe imparato ad apprezzarne il gusto e chiunque avesse avuto l'onore di osservarlo ne avrebbe colto il frutto prematuramente. Sarebbe stato amato, ma inutilmente ed il suo respiro, così pieno nell'umidità della sera, si sarebbe accorciato, consumato da chi d'amore parla, ma non intende. Il suo cuore è già stato disperso nei rivoli che percorrono l'asfalto ed è inutile inseguirli: i tombini ne hanno ormai inghiottito i frammenti. I cristalli d'affetto sono stati portati lontano, sono tornati al loro primo bacio, all'intimo tramonto che a vita li spense.
La notte sopraggiunge e lui ancora balla nel ticchettio delle gocce sull'ombrello, ho una tale invidia mentre lo spio dall'angolo della via. Più volte ho tentato di distogliere lo sguardo senza successo; porto rispetto per la canzone che segue e che sono riuscito a riconoscere ed ora trattengo i miei battiti dal congiungersi con il suo ritmo. Desidero follemente inchinarmi al suo cospetto e porgergli la mano, invitarlo a cogliere il fiore che non ho saputo offrirgli prima. Ma nel pensare a quanti timori un dono simile comporterebbe sono già qui, a tenerti stretto, Kacchan. E la tua pelle è fredda, resa scivolosa dall'acqua che ci investe e scorre fra i vestiti, le scarpe sono zuppe ed i capelli fradici. Con le suole che scivolano nei distorti riflessi della città ti seguo e prima che possa tirarmi indietro scopro di esser io a condurre. Una volta non mi avresti tratto in inganno, ma non ti amerò meno per questo, credo piuttosto che il mio cuore cercherà di fuggire come il tuo e di raggiungere i cocci che hai disseminato, ovunque siano. I fiumi che scorrono dentro te, te lo prometto, li percorrerò tutti e scoprirò i vicoli ciechi del dedalo che hai costruito.
<Dammi la mano> è quello che bofonchi fra le luci dei locali e che mi riporta sul fondo di questo mare che chiamiamo casa, la nostra città. Tokyo non è mai stata vuota come oggi o forse è una mia stupida impressione, perché le persone mi sembrano distanti, spente lungo i propri sentieri ed incomprensibili. Lo sono tutti, tranne l'uomo che ho accanto e che si aggrappa al braccio che gli porgo. Tu sei trasparente, come il mondo che mi circonda, ma non hai quella strana consistenza che hanno le ombre che ci passano accanto. Sei un'anima troppo limpida per questa realtà.
È sbagliato, lo so, tenerti con avidità e pensare di non aver nient'altro. Ma ho abbandonato le vecchie ed insane abitudini, dovresti averlo notato.
Riprendo a raccogliere aria nei polmoni e non mi fermo, ti regalo rassicurazioni che hai desiderato a lungo e non pretendo nulla in cambio.
Non so cosa dirti ora che passeggiamo per il centro ed ogni via sembra il filo di un'immensa ragnatela. I nostri piedi non restano incollati alla strada ed ho il sospetto di essere il ragno tessitore di questa trappola, vorrei riuscire a spiegarti che non è mai stata mia intenzione quella di fartici cadere. Alla fine sono felice che ciò sia successo, ma se me lo chiedessi scuoterei piano la testa e sorriderei senza rispondere. Meglio che alcune cose restino non dette, non trovi? Ci conosciamo troppo bene per dedicarci a quesiti tanto scomodi.
Se tu morissi, anche in questo momento, avrei il conforto di sapere che i tuoi occhi mi hanno visto camminare al tuo fianco e che le tue labbra sono state toccate dalle mie. Penso ad infelici ragionamenti, tuttavia questi sono i miei unici segreti e solo tu puoi comprenderli, in fondo per chi altro potrei aver paura?
Ti guardo e ti ascolto mentre mi trasporti a destra e a sinistra, mi conduci in uno di quei tuoi angoli misteriosi, piccole meraviglie che hai scoperto negli anni più persi che abbiamo vissuto e che ora vuoi condividere. Non presto attenzione, non a sufficienza, al ristretto negozio in cui entriamo e a stento riesco a ritrovarmi in piedi. Parli con qualcuno, sento la tua mano scivolare via quando vieni preso dalla conversazione. Sei puntiglioso, non capisco riguardo a cosa, ma riconosco questo tuo tratto e per la prima volta da quando ci siamo svegliati questa mattina mi sento alleggerito.
Ci siamo rigirati nel letto, così mi sembra, e non volevamo alzarci, ma assaporare il primo boccone dei giorni di permesso che ci siamo presi. Come al solito abbiamo tirato a sorte e ho vinto, perciò ti ho sollevato con le tue lamentele di sottofondo. Ti ho trascinato in cucina, obbligato a preparare la colazione con aria divertita e ti ho detto che prima di uscire avrei passato una mezz'ora nello studio per riordinare le cartelle lasciate fuori la sera prima. Così, trenta minuti dopo, mi hai raggiunto e sei spuntato dalla porta con un pasto fin esagerato per essere il primo della giornata. Ero sveglio da appena un'ora e già talmente perso nel lavoro che per poco non ho sussultato quando la tua mano si è posata sulla mia spalla. Hai stretto e mi son sentito confortato.
<Tra poco smetto> ho detto.
<No, fai pure - mi hai sorriso girando attorno alla scrivania e sistemandoti su una delle poltrone dal lato opposto al mio - mi piace vederti concentrato, così posso distrarti>.
Colui che ho sposato si fa beffa di me, ci crederesti? Io che ti concedo ogni momento di riflessione vengo trattato con così poco rispetto quando necessito di concentrazione. Dopotutto sei tu ad esser il miglior scommettitore e sono certo che qualche ora fa hai puntato tutto sul fatto che avrei presto abbandonato i fogli che tenevo fra le dita per la tua pelle ancora umida della doccia che fai prima di colazione.
<Che ne dici di questo?> ti volti verso di me, quasi con apprensione e con un sollievo in viso che mi lascia confuso. Stavo pensando a te, scusa se sembro distratto.
Ti fisso cercando di capire la tua domanda e capisco di non dover cercare risposta nel tuo sguardo, ma nell'oggetto che mi mostri esser sorretto delicatamente dalle tue dita. Mi chino ad osservarne la forma tanto delicata quanto consistente e annuisco solo una volta avvicinatomi abbastanza per respirarne la fragranza. Ne delineo i contorni con gli occhi e risalgo lungo lo stelo verde e dritto, per far cadere le aspettative e non deluderle quando il candido bianco dei mille petali mi ipnotizza. Ogni dettaglio è al suo posto, incredibile.
<È un crisantemo bellissimo> fin troppo bello, penso e non rivelo. Credo che sia perfetto ed annuisco una sola volta, non di più, non di meno, il mio è un assenso convinto. La tua prima scelta è sempre di una precisione infallibile, non c'è bisogno di discutere con te per certe cose.
<Vorrei un mazzo da dodici, tutti bianchi, e aggiunga dei gigli, i migliori che ha. La carta color panna e un nastro di seta se possibile> ti metti a dare ordini, non a far richieste, con il tuo modo di fare che lascia trasparire gentilezza nella voce. Sono fortunato, mi dico, ad esser unico custode di musiche più acide e fin più soavi di quella che rivolgi alla commessa. Lei obbedisce con un sorriso e tu ricambi. Sembra che vi conosciate e sorge in me il sospetto che tutti quei radi, ma delicati e curati bouquet che di tanto in tanto mi regali provengano da questo piccolo negozio. Se ne sta qui, vicino ad un incrocio, un po' nascosto e con la sua modesta vetrina ricolma di fiori ben curati e ordinati per colore e fattezza pare proprio aver petali per ogni occasione. Chissà con quale armoniosa creazione mi sorprenderai al nostro anniversario, mancano mesi interi, ma non è troppo presto per iniziare a fantasticare.
<Vuole altro?> la ragazza mantiene un tono formale, come se tu fossi un cliente qualsiasi. Sono certo che tu abbia speso una fortuna qui dentro, ma per lei sei uno dei tanti e non importa chi stia servendo, sono certo che non mi avresti portato in questo posto se non sapessi che ogni mazzo vien composto con una cura che difficilmente si trova. Sì, sei uno dei tanti, ma chiunque metta piede oltre l'uscio di questa bottega sa di poter contare sulla cortesia di un lavoro rigoroso. Sa tanto di te, lo sai?
Per un istante ti fermi a pensare, sia io che la giovane donna siamo in attesa.
<Iris Japonica, il solito> e lei sa già cosa fare, cosa prendere, come soddisfarti.
"Il solito", cosa sarà? Sono curioso, anche se il nome del fiore ti ha tradito e non mi stupisco di vedere la ricchezza della composizione, anche se non subito la riconosco. Eccolo che arriva, quel particolare che ti contraddistingue: il nastro color ocra a stringere il tutto, in perfetto abbinamento con i colori dei petali.
E come ti viene dato pochi sono i secondi che passa fra le tue mani, me li offri con la velocità giusta, non frettolosa, e sottolinei così che questo speciale bouquet è mio, che è il tuo solito che nonostante la ripetitività porta con sé nuove emozioni ogni volta. Oggi non vi è alcuna ricorrenza, non avresti motivo per donarmi tanta bellezza, eppure leggo le tue intenzioni fra le righe dei tuoi pensieri. Paghi e con eleganza prendi i crisantemi, li maneggi con cura e capisco che non vuoi sia io a portarli.
Non temi che possa rovinarli, ma sai di starmi risparmiando un tragitto pieno di angoscia facendoti carico del loro peso.
<Grazie>.
<Si figuri signor Katsuki, sa di poter contare su di me> quanta cortesia, penso e nell'uscire ci augura persino una buona giornata.
<Ti vede spesso> mi appresto a constatare e ormai intento a tuffarmi nel regalo che mi è stato fatto. Riemergo dalla nuvola di fiori pronto a rivolgerti un'occhiata d'intesa.
<Sì, ma un tempo era più disordinata, non sapeva come accorciare gli steli e si perdeva nelle richieste dei clienti. È migliorata negli anni, suppongo di doverne prendere il merito almeno in parte. L'ho fatta ammattire per quel che hai in mano la prima volta che gliel'ho chiesto>.
Non era necessario. Pur pensandolo non me ne convinco e mi scopro piuttosto geloso del tuo regalo e fiero di esserne il destinatario.
Stiamo tornando indietro ed il percorso sembra breve rispetto all'andata o magari sono io che ho velocizzato il passo e tu mi hai seguito. Siamo in macchina quando decido di riprendere il discorso.
<Non sono i miei preferiti, lo sai che-
<Che amavi i papaveri? Sì, ma non sono più i tuoi preferiti> resto contraddetto, muto di fronte alla tua affermazione. Non so come controbattere, se dire che hai ragione o se sei nel torto. Ma avendo questo dubbio ho già la risposta: ho smesso di amare i papaveri senza rendermene conto. Credevo che fossi come loro, tanto delicato e tanto resistente, ed ho avuto ragione per molto tempo. In effetti eri un papavero perfetto, con la giusta tonalità di rosso, meraviglioso al tramonto. Sei cresciuto, devo ammetterlo, e persino io non sono più il ragazzo di allora. Perciò le tue parole sono veritiere ed io mi ritrovo senza un fiore da amare. Ho te e tu non hai petali, né foglie, benché meno una corolla, sei una persona e le persone hanno bisogno di cure, forse quanto le piante, ma in un modo diverso. Ogni tipo di fiore ha delle regole da seguire, un terreno dove crescere, la giusta luce da prendere e molto altro che vale per lui quanto per i suoi simili, ma con le persone non si può adottare lo stesso ragionamento. Siamo umani, ma ognuno ha le proprie regole, le regole del singolo e non della moltitudine.
Forse aveva ragione Feuerbach a dire che ci sentiamo limitati come individui e che nella pluralità troviamo conforto, forse preferiamo sentirci un po' come i fiori: siamo tanti, apparteniamo a famiglie diverse, ma non siamo mai soli.
E questo vale anche per me? E se fossi come Nietzsche e nel mio piccolo fossi alla continua ricerca e nella speranza di un me migliore? Se avessi la medesima certezza di poter cambiare senza possibilità di fallimento non credo che avrei tanti quesiti in testa.
La mia vita non è stata perfetta, non credo che lo sarà mai e così sarà per la tua. Sono fatto di tanti assoluti e di pochi, importanti dubbi. Tu, che sei appartenuto a questi ultimi nel momento in cui ho deciso di voltarti le spalle, hai dimora nella materia che mi compone e più in alto viaggi fra i cumulonembi dei pensieri. Non so per quale folle motivo ti abbia allontanato, ma il cielo piange se sei lontano, piange se sei vicino e tra i due piaceri e dolori preferisco saperti con me.
Non tutti possono capire che il temporale non solo porta gelo e solitudine, ma lava via i segni del passato e pur non potendo cancellare nulla ti fa sentire rinato quel che basta per riprendere in mano le stelle che sono cadute alla presa della notte. Ne abbiamo raccolte a decine, centinaia, forse migliaia, e non credo finiremo di farlo. Mi fa ridere, non so dire se per tristezza o per l'ironia della sorte, tu lasciami ridere anche se stai guidando e ti distraggo. Lo faccio piano, cerco di non disturbarti e tu mi guardi con un grande punto interrogativo in fronte.
<Scusa, ripensavo al matrimonio e ai fiori> se fosse al presente, sarebbe veritiera la mia spiegazione, ma di fatto ho usato un tempo passato e solo adesso, nel vagare fra il mazzo che tengo in grembo e le tue mani strette sul volante, mi torna in mente il trambusto della cerimonia.
<Ti riferisci a come Mina si sia sbracciata per afferrare il bouquet o a come mi abbia snervato con la sua fissa per la pochette?> le mie risate si fanno più alte, vengono accompagnate dalle tue.
<Un po' a tutto in verità, è stata una bella giornata e ti sei persino commosso>.
<Oh, non osare ritirare in ballo questa storia, ho dovuto subire gli occhi dolci di metà degli invitati per quello>.
Il discorso muore velocemente e per quanto mi delizi discorrere di questi frivoli argomenti, sento che portare oltre la conversazione non mi è possibile. Le parole muoiono e alla loro caduta non vi è rimedio, il fiato finisce e si acquieta, lo stesso fa il ristretto spazio che condividiamo in macchina che a malapena viene scosso dal correre delle ruote sull'asfalto. Il fruscio della strada è il nostro sottofondo e spero di non essere l'unico a trovarlo ripetitivo mentre appoggio il mento sulla mano e guardo oltre il finestrino. È bizzarro come la vita possa esser noiosa, eppure mi capita ancora, di tanto in tanto, di perdermi nella caducità del viaggio. Non sopporto il sole primaverile che picchia sul cemento degli edifici, non ne gradisco il calore ora che siamo reduci da un'inverno rigido, ma snaturato e dolce al gusto, roseo precursore di sventure. Questa stagione di rinascita ha smarrito il sapore della novità e le nostre lingue rimpiangono le vicende passate, quelle vissute e quelle raccontate. Erano acide, salate più del mare, amare e troppo acerbe perché le apprezzassimo e dire che non abbiamo permesso loro nemmeno di maturare un poco, il minimo per dirsi svestite dall'ingenuità della gioventù. È comunque possibile, penso, sentire la mancanza del dolore. Il sollievo ha deluso le aspettative, potremmo dirlo entrambi.
Non ti rivelo nulla, tuttavia sento i tuoi pensieri farsi specchio dei miei e non desidero spender fiato per svelarli. Siamo talmente diversi in molte cose, ma pur sempre simili nei difetti, i soliti, ripetitivi, dell'animo umano. Abbiamo creato i peccati per discolparci, per confortarci o per creare stereotipi che alla lunga diventano difficili da estirpare? Forse diventiamo ciò di cui parliamo, sarebbe un esito fin divertente, non credi? A furia di autoironia ed infelici rimpianti sono diventato il tuo più doloroso ricordo. E tu? Sai in cosa sei mutato? Conosci gli stessi segreti che mi hai permesso di scoprire o preferisci galleggiare nell'ignavia?
Continuiamo ad interrogarci, ma di risposte non ne vogliamo più e sinceramente sono stanco di portarmi dietro pile di fogli riempiti di punti interrogativi. Se mi voltassi e ti dessi in mano il fiammifero sono sicuro che non esiteresti come ho fatto io e ti risparmieresti molte scottature, non lasceresti morire la fiamma. Bruceresti ogni colonna di carta, lo faresti per me.
Mentre svoltiamo a destra e sento la meta avvicinarsi, riporto a te l'attenzione e noto che in pochi secondi sei cambiato. Ti sei ammorbidito, rilassato sul sedile e hai abbassato il finestrino per far cader fuori la cenere della sigaretta. Stai lì con quell'aria da uomo ancora ragazzo, troppo giovane per farsi beffa della vita e troppo cresciuto per vivere l'amore e consumarne le membra fino alle ossa, come conviene ai cuori più inesperti. Ringrazio solo in parte di aver conosciuto il tuo lato affabile e pretenzioso, ma mentirei nel dire di preferirlo alla tua nuova forma. Sei diventato rigido nei confronti del mondo e malleabile nelle mie sole mani, il tessuto di cui sei rivestito sì è fatto più difficile da trattare e come lino vieni segnato dalle pieghe più delicate. Non saprei esprimere con quanta felicità mi ritrovi impaziente di scoprire quali segni porti a casa a fine giornata.
Ho imparato molto su di te in una notte e continuerò a pensare che poche ore di buio siano il nostro punto d'incontro, l'unico in grado di farci risalire in gola confessioni e di farci divagare in assurde conversazioni che la luce del sole non può toccare senza che si disfino.
Hai imparato a non prendere, ormai ti permetti solo di accettare, ma sta a me farti capire che ti puoi concedere molto di più e ogni tanto lo vedo, sai? Vedo il mio vecchio amico d'infanzia con il suo brutto carattere e una risolutezza invidiabile. Tu racconteresti tutto in modo diverso, per te siamo sempre stati rivali e amanti, ma per me siamo stati tutto: amici, fratelli, compagni di scuola, di vita, persino assurde nemesi ed infine siamo diventati amanti. Non abbiamo smesso di esserlo, nemmeno dopo il matrimonio, camminiamo ancora in punta di piedi per avvicinarci l'un l'altro e quando riusciamo appena a sfiorarci cerchiamo di scottarci inseguendo un tocco a cui non resistiamo più.
E come al solito alzi il mento, metti in mostra la linea della mascella e dai un colpetto al filtro. Vengo rapito dai fiocchi ingrigiti che spariscono inghiottiti dalla brezza primaverile e da te che riporti la sigaretta alle labbra con movimenti precisi e armoniosi. Mi ricordi così che è passato qualche giorno dall'ultima volta in cui ti ho visto fumare ed in cui mi hai offerto un tiro, non di più, dalla tua stessa sigaretta. Dovremmo smettere entrambi, ma la cosa non mi sembra un gran problema quando realizzo che oramai i pacchetti che trovavo nelle tasche della giacca si sono ridotti ad uno e raramente ne scovo di nuovi. Solo nelle giornate difficili, in quelle lunghe e stancanti condividiamo il vizio. Quasi a leggermi nel pensiero dai conferma al mio ragionamento e non appena ti accorgi di aver consumato metà della paglia me la porgi. È per questo che voglio restarti accanto.
Ci sono momenti in cui un gesto tanto semplice basta a farmi riscoprire quanto ti possa amare, e ci sono momenti, come questo, in cui sono sopraffatto da tale consapevolezza.
La prendo e non la restituisco, siamo quasi arrivati e voglio condividere qualcosa con te, qualcosa di concreto. Abbasso anche io il finestrino, accolgo l'aria fresca nei polmoni ed accolgo il sapore della nicotina, espiro lunghe spirali che presto si disperdono. Mi sento meglio.
Rallenti, stai parcheggiando ed io sto prendendo l'ultimo boccone di fumo, il cielo si fa ombroso e ringrazio le nuvole per esserci e darmi sollievo dal caldo. Aprendo la portiera sto soffiando un'ultima volta ossigeno sporco ed opaco, sto spegnendo l'ultima sigaretta sotto al tuo sguardo. È l'ultima, non è vero?
Mi raggiungi, hai già fra le mani i crisantemi ed io sto stringendo gli iris, non so perché ma non ho paura di tenerli ben saldi e poco importa se spezzerò uno stelo, ne ho molti altri. L'importante è non farli cadere. Arrivi e posi il mazzo sul tettuccio, nello spazio fra una macchina e l'altra resto fra te e la tua vettura, il profumo di fiori e di sigaretta si fa forte, spesso quasi e mi inebrio persino di quel vago sentore di colonia che porti, segno della tua recente rasatura. Mi inviti o forse sono io ad invitarti, fatto sta che un bacio è quel che desidero e non desidero ora che siamo fermi. Il tuo palmo striscia lungo il mio fianco, cedo a te l'iniziativa: oggi baciami tu, zittiscimi e sii delicato.
Nel separarci provo a rincorrerti e mi permetti una carezza a fior di pelle, niente di più.
<Dobbiamo andare> dico e non mi muovo.
<Sì>.
Prima che me ne possa rendere conto il sole torna, ci insegue e noi ne fuggiamo riparandoci all'ombra degli alberi, i nostri piedi pestano sulla pietra ed il vento ci accompagna. Portiamo i nostri doni, è una giornata perfetta.
Evito di guardarmi attorno, per un po' mi fisso i piedi e lascio che sia tu a fare strada. C'è quiete in questo posto, un silenzio che non voglio ascoltare.
<Nella lettera...perché non hai scritto niente?> eccoti a farti spazio nella calma, a darmi motivo di maledirti e di ringraziarti per starmi offrendo una distrazione. Hai trovato il coraggio di chiedermelo dopo mesi interi, eppure per rispondere non ho preparato alcun discorso.
<Perché non avevo nulla da dirti. Nemmeno adesso sarei capace di scrivere qualcosa e forse è meglio così, sei più bravo di me con le parole. Io posso darti tutto, non ho bisogno di parlare per questo> basta o non basta? Hai capito quanto sbagliato sia stato struggerti per questa domanda?
La mia scarpa destra gratta malamente sulla luserna del viale, attendo che tu mi dia altro su cui riflettere.
<Lo sapevo> ed il tono si fa distratto, mi fa intuire un continuo che non pronuncerai. Continuo a voler di più, vale per entrambi, non credi?
Ma il nostro voler di più va affrontato giorno per giorno e va soddisfatto a questo modo, senza aspettative. "Ti darò felicità, lo giuro", "Sarai al centro dei miei pensieri", "Ti sosterrò". Cambiamo idea troppo facilmente per permetterci il lusso di fare tali promesse. Nelle righe che mi hai dedicato, lo sento, non vi è nulla del genere.
Punto le scarpe a terra, i capelli mi solleticano le orecchie e le tue dita premono attorno alle mie. Sollevo la testa, quasi non ti stupisci di vedermi sul punto di piangere ed il tuo mezzo sorriso mi rincuora solo fino ad un certo punto.
<È qui, lo faccio io, tranquillo> per quanto sia scomodo non mi lasci, la presa attorno alla mia mano si fa più consistente di prima mentre ti chini a posare il bouquet sulla lucida superficie di ossidiana.
<L'ho accusato di averti abbandonato, quando non c'eri, gli ho detto una cosa tanto crudele> mi racconti tirandoti su.
<Per noi c'è sempre stato, allora ero solamente uno sciocco> cerchi di concludere e proprio quando penso di fare un passo avanti mi trattieni. Ti guardo e fai un cenno verso la lapide, il tuo sorriso si amplia. Trattengo il fiato. Gigli e crisantemi, così belli e così stonati di fianco a rose, margherite e fiori di campo, altri pensieri che altre persone hanno lasciato. Qui e là spuntano biglietti, in qualcuno si scorge addirittura la firma e riconosco la calligrafia di Kirishima, di Iida, di molti nostri amici.
<Guarda, non siamo i primi>.
Sapete? Ormai faccio il conto alla rovescia per tante cose. Lo faccio per i giorni che mancano alle prossime vacanze, per quelli che mancano al mio 19° compleanno, per i mesi che mancano all'inizio dell'università, per il tempo che mi do per trovare un po' di quella sicurezza che quest'ultimo anno mi ha tolto. Lo faccio anche per questa storia ed in un modo o nell'altro mi viene difficile separarmene.
Non posso darvi alcuna certezza, ma questo potrebbe essere il penultimo capitolo <3
Kacchan e Deku non hanno null'altro al di fuori di sé stessi e del loro legame, ma che resti cosa non detta. I loro amici, i famigliari, i loro maestri, persino i posti in cui vivono passano e vanno, cambiano, scompaiono. Ma in qualche modo restano l'un per l'altro, non importa il come.
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