/37/ Saprai di sole e di neve
Il soffitto ci guarda, indaga sui nostri volti, e noi lo fissiamo di rimando, quasi a schernirlo per l'ingenuità con cui ci giudica. Forse alziamo un sopracciglio, forse restiamo impassibili, forse non abbiamo molto altro da fare oltre che a perderci nel rugoso manto biancastro che ci sovrasta.
È un po' come il cielo nebbioso, ignota massa informe di cui non si scorge il fondo, ed un po' come la polvere della battaglia, memoria di tempi mai dimenticati che si è depositata su di noi. Sento di voler glorificare il passato, non di lasciarlo appassire, desidero ringraziarlo per avermi fatto arrivare fino ad oggi e per averti tenuto al mio fianco, commilitone di innumerevoli ed indicibili conflitti. Abbiamo resistito, ma abbiamo anche ceduto, perso, rinunciato a tanto ed oggi siamo qui per avanzare, portare avanti la linea di trincea e lasciarci assordare dal boato degli spari.
Un materasso può essere più soffice delle nuvole?
Immagina.
Se ci coricassimo su quelle vaporose distese di fittizio cotone cadremmo, le attraverseremmo a velocità di caduta, in un moto accelerato inarrestabile e la terra si avvicinerebbe ai nostri corpi fino ad accoglierci nel suo duro abbraccio. Non per questo moriremmo. Invece la superficie in cui affondiamo è consistente e non si dissolverà in pioggia. Questo materasso su cui siamo sdraiati è scomodo e non posso cadere dal bordo, mi tengo stretto al cuscino e lo stesso fai tu. Siamo in due giacigli gemelli e per una volta la voragine che ci separa non mi sembra profonda. Ogni tanto ci scambiamo sguardi complici che vogliono esprime tutto, tutto, davvero tutto. Resta ancora tanto da dire, vero? Cosa ne sarà di noi dopo, cosa ne è adesso, le tormentate discussioni sul matrimonio, quello che è da decidere, quello che sarà, la semplicità della vita. Vi sarebbero aspetti davvero complicati a cui prestare attenzione, ma adesso li seppelliamo sotto le macerie della città, sotto ad ogni mattone fra cui ci siamo persi a scavare. Cercavamo persone da salvare ed i nostri cuori restavano in apnea fintanto che l'ultima mano non si fosse aggrappata alle nostre. Torneremo presto a vagare fra distese di palazzi.
<È l'unica opzione> inizio io il discorso, riempio questa frase di tutta la tensione che riesco a raccogliere, in questo modo provo a liberarmene.
<Lo so> ribatti ed Eri annuisce. La sento distante, tu cosa ne pensi? È il come china il capo e ondeggia piano su e giù, il come si tortura le dita e preme su un callo vicino al pollice. Ha appena cominciato ad accogliere gli acciacchi della carriera, provo una certa tenerezza al ricordo di noi, tempo addietro, riversi nelle medesime insicurezze.
<Non posso toglierti tutto, Kacchan, stai già facendo tanto per me>
<Hai ragione, ma allo stesso modo io non posso negarti altro. Sono io a volerlo, non togliermi la possibilità di aiutarti>. Una certa riluttanza traspare dal tuo sguardo, dalla smorfia che assumi velocemente e che velocemente scompare per lasciar spazio ad un sorriso saturo di stanchezza.
Le tue giade si riversano nei miei diaspri e per poco percepisco il nervosismo che ti sei trascinato dietro negli ultimi giorni. Ho già chiesto perdono per il mio egoismo, lo farò ancora ed in particolare lo chiedo adesso, al tuo cospetto.
<Se decidessi di non agire, di ignorare la ferita che hai lasciato aperta, sai quanto me che non avrei pace e se ti dessi tutto, invece, se ti restituissi il One for all e con tale gesto mi privassi del mio quirk, saresti tu a pagarne il prezzo in rammarico> non ribatti, vuoi forse che continui? Ma abbiamo già parlato tanto, Deku, le parole ormai mi danno la nausea, tuttavia per te potrei usare il fiato che ho in corpo e dedicarti pensieri che avrei dovuto esternare prima.
<Eri è qui per noi, perciò se io lo faccio per te, tu fallo per me. I compromessi non sono mai stati il nostro forte. Siamo abituati a prendere o a cedere senza vie di mezzo, ma non per questo dobbiamo perdere. Non ricordi? Salvare per vincere e vincere per salvare, siamo una squadra, continueremo ad esserlo>.
Finalmente ottengo una reazione. I tuoi tratti si ammorbidiscono, riportare alla memoria le frasi del tuo mentore è stata la freccia che ha fatto breccia nel muro che stavi alzando. C'è stato un tempo in cui eravamo dei ragazzi davvero testardi e tremendamente orgogliosi, immaturi o forse troppo maturi per la nostra età ed io voglio solo ricordarti che non siamo cambiati poi così tanto. Siamo ancora due rivali che cercano di prevalere l'uno sull'altro nell'area di addestramento della scuola, in mezzo ad una strada deserta e dando sfogo nel modo peggiore alla propria frustrazione. Rivedo il tuo corpo premuto contro l'asfalto, la mia presa sui tuoi arti, la grande disapprovazione insita negli occhi di Aizawa e la compassione di Toshinori. All'epoca non potevamo capire appieno i rimproveri che ci venivano rivolti, oggi spero che le cose stiano diversamente.
<Ok> Eri si sistema meglio raschiando il pavimento con le gambe della sedia, ci guarda mentre inspira.
<Io vi riporterò indietro, sarà complicato e rischioso. Non avete idea di quanta strada abbia fatto e ci tengo a darvi delle sicurezze, almeno tante quante voi ne avete date a me. Perciò ecco cosa succederà: riavvolgerò non i vostri corpi, ma solo il gene della mutazione che determina l'unicità. In questo modo il One for all tornerà nel codice genetico del precedente possessore e tu, Katsuki, resterai con il tuo quirk. Il mio ruolo è importante, fondamentale direi e sì, sono nervosa. Ma in fondo è una vostra abitudine quella di complicarci e complicarvi la vita, vero?> tenta di alleggerire il momento, credo che in parte ci riesca, anche se dal modo in cui premi la guancia sul cuscino per rivolgerle un'espressione confortante capisco che per te sia impossibile sentirti vicino a lei come vorrebbe. Ti sei privato di tante cose, di tanti dolori, di tante felicità, a volte ti chiedi se ci siano state altre vie da percorrere, se in un qualche universo parallelo il tuo percorso abbia avuto una deviazione ed in questo istante un altro te stesso si stia godendo i ricordi degli scorsi anni con aria sognante. Non c'è bisogno che io te lo domandi, so che lo pensi e non c'è nulla di sbagliato in questo. Penso anch'io a quel che sarebbe potuto essere, tuttavia sto con i piedi ben piantati a terra e sono certo che per entrambi il macigno della consapevolezza sia un'ancora molto pesante da tirar su. Resteremo sotto le onde, va bene, resteremo ed impareremo a respirare sott'acqua. Sappiamo che i nostri ragionamenti si aggrappano al filo dell'ipotesi e che il passato è una delle poche certezze che abbiamo, ecco perché continuo a ripetermi di non aver alcun diritto di invadere lo spazio che ti ritagli nella nostra quotidianità e di rovinare il tuo fantasticare. Ci piace perdere tempo a far congetture e a credere di poter concretamente cambiare qualcosa. Non siamo come vorremmo essere ed in fondo sono veramente pochi coloro ad esser soddisfatti di se stessi, per loro la vita è sicuramente più chiara. Mentre per noi, a dirla tutta, avremmo potuto avere di più, ma anche di meno e non mi sembra giusto rimpiangere le scelte fatte poiché il giudizio, assolutamente negativo, si rifletterebbe su quel che siamo diventati e non è necessario che accada. Rimestare in quel che è stato...lo abbiamo già fatto; per ora ti rivolgo una richiesta silenziosa: basta correre su e giù dalle scale, fermiamoci su quello scalino che non scricchiola e che non si piega sotto al nostro peso. Io mi appoggio al muro, tu alla ringhiera. Restiamo nel presente, ma osserviamoci a vicenda come due studenti che attendono ancora molto dalla vita.
Non scorderò mai le ore buche ed i pochi minuti ritagliati dell'intervallo che passavamo a metà fra il terzo ed il quarto piano, fra snack delle macchinette e racconti di giornate incomplete.
Non ho più nessuna storia da narrarti ora che siamo grandi, ma ci attendono tante complicate trame da costruire assieme e al mondo non importa di noi, siamo una virgola nel suo infinito scritto. Per questo hai ragione a voler indugiare e a farti carico per un'ultima volta del rimpianto che si è aggrappato alle nostre schiene; lo abbandoniamo dietro l'angolo, dove la neve scende ancora e l'inverno è eterno, in quel vicolo cieco dove ti ho perso e ritrovato.
<Ci vorrà tempo> la voce di Eri è delicata, più della tua e mentre torno a perdermi nel duro soffitto che ci sovrasta penso che vi assomigliare davvero tanto, che tutti questi anni passati a rincorrerci hanno dato a tutti noi modo di conoscerci. Prendi la ragazza che ora fissa le sue iridi d'insanguinata ambra su di noi per esempio. Lei sa come trattare con due cocciuti uomini come se vi fosse cresciuta assieme, eppure né con te, né con me ha avuto l'occasione di esser più di un tesoro mancato. Ciò non le impedisce di rivolgerci un affetto che in fondo sappiamo di meritare.
<Quanto?> sono io ad essere impaziente, a fissare la lampada sul comodino con falso interesse lasciando vagare la domanda per la stanza. Si deposita su di noi con la leggerezza di una foglia, l'ultima che sfuggirà alla nostra presa.
<Non lo so, lo scopriremo> mi risponde.
<Giusto, è stata una stupida domanda> quasi ridacchio, ma solo un breve sussulto mi scuote ed Eri rompe del tutto la calma soporifera dell'ambiente alzandosi con una fretta inaspettata. Il suo viso è tirato, è buffo da guardare mentre siamo sdraiati, e le sue guance sono imporporate proprio come fanno le tue quando sei agitato.
<Voglio che funzioni, deve funzionare. Per voi, deve, davvero-
<Eri> provi a chiamarla, non sembra averti sentito.
<Sarà questione di minuti, vedrete, sarete monitorati, io dovrò stare concentrata, anche se non è il mio forte. Sì, andrà bene-
<Eri!> ora sono io a pronunciare il suo nome, in modo più calcato, e questa volta non riesco a trattenermi. La mia risata, seppur leggera, la zittisce.
<Mi fido di te, ok? Ora vai a prepararti, noi ti aspettiamo qui>.
Resta un po' imbambolata, poi per fortuna pare rilassarsi.
<Faccio come lui, vero?> chiede sbuffando e facendo un cenno verso la tua chioma riccioluta, sotto cui scorgo un'espressione contrariata.
<Sì, assolutamente> rispondo sotto ad una tua torva occhiata.
<Vai> le dico e lei si affretta verso la porta come se glielo avessi ordinato.
Con un "A dopo" sussurrato sparisce, la sua bellissima, ma tremante aura resta comunque a farci compagnia.
<Faccio seriamente così?>.
<Oh, non hai idea, sei anche peggio>.
Il mio sguardo ritorna a te per l'ennesima volta e sono già preparato al tuo naso arricciato e al tuo modo di fare offeso.
<Mi sposi in ogni caso, sappilo> bofonchi.
<Certo, ormai sono abituato come nessun altro. Solo io posso sopportarti>.
<Oh, è confortante. Ricordami di questa conversazione quando saremo due vecchi heroes e ci chiederemo come abbiamo resistito a tanti anni di matrimonio. Tu mi sopporti. Ottimo> per quanto tu possa nasconderlo, non riesci ad evitare che un certo tono divertito sovrasti quello serioso con cui hai iniziato a parlare. Ridiamo, di nuovo.
Mi rigiro un poco finendo di lato e allungo un braccio, mi imiti e scocciatamente mi stringi la mano.
Solo adesso che siamo io e te l'odore del disinfettante mi pizzica le narici, vorrei alzarmi per aprire una finestra, però allo stesso tempo non voglio staccarmi da te. Credo che continuerò a respirare il fastidioso odore dell'ospedale ancora per un po', almeno fin quando Eri non tornerà e le chiederò di farlo al posto mio.
<Ti posso fare una domanda?>
<Sì>
<La tua stagione preferita, qual è?>
<Non lo sai?>
<No, non abbiamo mai perso tempo con certi banali quesiti>.
Ora non ridi più, ora ti allontani con la mente, poi ti riavvicini piano ed io sono felice spettatore dei tuoi ragionamenti.
<Ne ho due. L'estate è l'inverno. Una sa di me, l'altra di te>.
<Perché me lo chiedi?> dici premendo sul cuscino poco prima di sbadigliare. Siamo stanchi dopo aver camminato, corso e pensato per tutto il giorno.
<Pensavo a una cosa>
<Su, dimmela> lo stavo per fare, ribatterei così, tuttavia non me la sento di esser brusco e lascio perdere.
<Hai detto che due mesi era il tempo giusto per organizzarsi, ma a me non importa di questo e in fondo mi sembra di star facendo tutto troppo in fretta. Ho la sensazione di aver capito cosa voglio. Perché non ci sposiamo in inverno? So che sono mesi tristi e confusi per entrambi, però io sono stato il tuo freddo rifugio, lo sarò di nuovo. E poi lo faremo con calma, la città sarà meno affollata, avremo un intimo ricevimento e spero che nevichi quel giorno, così, se dici che l'inverno sa di me, potrai immaginare che lo splendido panorama delle strade innevate sia un mio regalo per te>.
Ci siamo lasciati nel gelido periodo di fine anno e questo si è ripetuto per troppe volte, facciamo che sia diverso. Quest'anno il ghiaccio ci ricongiungerà e tu saprai di sole di neve, di me e di te, che porti temporali estivi ovunque posi i piedi.
<Non posso rifiutare, ma non usare più l'arma dell' "esageratamente romantico" con me. Sarai la mia rovina altrimenti>
Qualcosa mi fa trasalire, sarà il trambusto del corridoio o il fatto di aver l'ansia di rincorrere questi momenti?
Il fatto è che le cose tendono a venir rovinate e voglio far sì che restino intatte il più a lungo possibile. Ricerco la perfezione per un tale stupido motivo, ma non prendermi in giro per questo. L'importante è non restare indietro, rompersi quando l'altro si rompe, aggiustarsi assieme, il resto verrà da sé. Questo è quello che dicono, vero? Odio gli stereotipi, ma non posso fare a meno di ritrovarmici impigliato.
Così adesso parliamo di preoccupazioni lontane e non di quelle vicine, ci diamo distrazioni a vicenda.
<Scusa> la camera si fa improvvisamente più piccola mentre due flebili sillabe echeggiano fra le sue mura.
E per cosa?, ti potrei chiedere.
Per tutto, mi risponderesti.
Non è mia intenzione perdermi in conversazioni tanto banali, preferisco prenderti d'esempio e riconoscere che in fondo hai sempre avuto quel briciolo di coraggio in più per essere il vero successore di Allmight, per essere il mio number one e soprattutto per amarmi, con eccessi e difetti.
<Scusa>.
Ragazz*, ci tenevo a fare un breve discorso, anche se in ritardo.
Come sapete siamo nel mezzo del Pride Month e volevo esprimere il mio supporto per chiunque, come me, appartenga alla comunità LGBTQ+.
Non mi sono quasi mai esposta per queste cose, ma date le notizie che vedo continuamente essere riportate fra le pagine dei giornali e le discussioni sul DDL-Zan ci tengo ad essere vicina a chi sta affrontando periodi difficili. Non riesco a capacitarmi di come la violenza possa esser perpetrata in modo tanto immotivato su chi non ha alcuna colpa e so che questi sono orgomenti sensibili, ma se non ne si parla, resteranno e non spariranno. Io ho avuto la fortuna di avere una famiglia che, per quanto dura di comprendonio, mi ha fatto vivere tranquillamente, ma ho fatto comunque esperienza di aggressioni verbali e certe cose lasciano il segno.
Non parlo solo a nome mio, ma di molti e ci sono così tante persone a cui la società volta le spalle che mi sento mortificata come se fossi al posto loro. Siamo umani, nulla di più e soprattutto nulla di meno, il fatto è che un concetto tanto semplice non è, purtroppo, di facile comprensione per coloro che discriminano e si promuovono come entità superiori e di élite pestando su diritti che sono stati e ancora sono un privilegio in molti paesi.
Spero, un giorno, di non dovermi più preoccupare di come mi vesto, di come mi esprimo, di come amo, di chi potrei amare, del giudizio degli altri, di dover far attenzione alla parole che uso poiché io ho imparato a mettere un piede oltre il confine e non sempre è piacevole. Io lo dico, correndo ogni rischio ed è triste pensare che li debba correre, ho amato uomini e donne, in silenzio a volte, con incoscienza in altre. Ho quasi 19 anni, forse imparerò ad amare nel modo giusto e vedete? Il problema non dovrebbe essere chi amare, ma come amare, poiché amare comporta rispetto per la persona amata e per se stessi e questo particolare è ciò che vedo sfuggire alla mente di tanti.
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