/34/ Papaveri*

Vi è un principio di necessità in questo mondo e, se poniamo il rapporto del singolo con l'altro singolo come punto di partenza, se ne avvince che ogni cosa tende a muoversi nel tempo con una cadenza inevitabile. Ogni cosa ha il proprio modo di essere e non giudico, davvero, fragili e forti soggetti decidono di fermarsi o di accelerare il passo e, per come sono fatti, per come si mostrano e permettono di esser conosciuti, non potrebbero esser più fedeli a se stessi o più giusti, sensati e gradevoli. Persino le azioni che generano maggior sconforto lasciano intendere di avere un posto nell'ordine naturale degli eventi ed io ho imparato a non dover opporre alcuna resistenza ad esse. Questa realtà in cui il fenomeno è protagonista indiscusso, quel fantasioso universo, quella materia eterea, quei pensieri vaganti in un idealizzato cielo ambrato, iperuranio di tragiche vicende, posso aver l'ardire di giudicarli? Quando piume di ali bianche cadranno ai miei piedi e steli dalla medesima leggerezza e di opposta fattezza si innalzeranno fra le stelle, forse solo allora potrò prendermi una tale libertà. Desiderio e aspirazione sono poi tanto dissimili? Che sia per volontà o per distrazione, ogni atto è egoista e dietro l'egoismo si nasconde il maligno seme della violenza. Ha innumerevoli forme, non contraddirmi, poiché ne ho visto le foglie più scure mutare in leggiadre lamine di verdi e brillanti riflessi, inondati dalla luce di un'alba che spero non abbia mai fine.
Siamo terribili creature, Deku, tanto inclini al corrompere o all'essere corrotti, al contraddicirci, al mutare prematuramente ad ogni nuovo inverno che affrontiamo. E questo gelo è stato così crudele con noi, ma anche così delicato, che viene complicato accettare di doverlo lasciare andare. Che resti o che fugga ci scopriremo stravolti dal suo passaggio.
Quanto odio nei confronti del mondo, verso noi stessi, verso gli altri. Quanto amore rifiutato.
Sono distante di nuovo, ma tu lo sai, lo accetti e mi guardi dal sedile del passeggero con un'espressione di truce comprensione. Siamo entrambi assonnati, provati dalle scorse notti in cui abbiamo riposato troppo o troppo poco e l'alternarsi di queste veglie e non veglie ci ha sfiancati come non mai. Amarci ci ha sfiniti e abbiamo realizzato solo questa mattina di esserci rifugiati al nostro interno, di aver cercato di consumare l'altro senza riguardo. Tuttavia non siamo tristi, no, la felicità permea i nostri visi tirati mentre conduciamo al patibolo il nostro passato. Hai detto di voler erigere un alto memoriale per lui, immaginario si intende, ed ogni giorno, almeno per le prossime settimane, depositerai dei fiori al suo cospetto. Porta dei papaveri, sono i miei preferiti, sono i più fragili ed i più persistenti nell'averci seguito lungo questo viale soleggiato, fra spighe di grano e terra secca. Hanno resistito al temporale, meritano una nicchia nei nostri cuori. E le piogge estive sono le più turbolente, lo sappiamo, ma le accogliamo sempre a braccia aperte. Poni un sigillo in cima alla montagna di ripensamenti che ci portiamo appresso persino in questo momento. Riempiti del presente, fai il primo passo ed io ti seguirò, non per codardia, ma per rassicurazione. Starò alle tue spalle per assicurarmi di non perdere il filo che mi sorregge, perché credo che tu abbia realizzato la scomoda verità che ho custodito: ho desiderato tornare ad essere polvere, a ciò che ero prima di te, un niente ed un tutto inesprimibile. In questa vita il troppo diventa poco, il poco diventa troppo e noi ne usciamo dilaniati. Ho conosciuto il tuo segreto, è tanto difficile parlarne?
Riesci a mentire in un modo tanto sublime, non hai idea, e ho voluto prenderti come esempio; il sussurro della notte è arrivato fino alle mie orecchie e mi son svegliato sapendo di non poter tornare a perdermi in infruttuosi sogni. Conosco e non conosco i tuoi sentimenti, ma siamo accomunati dallo stesso pensiero e mi sento morire, proprio come abbiamo entrambi desiderato un tempo, ma questa volta posso trovarti rannicchiato al mio fianco e se mi concedo un attimo di distrazione dalla guida la mia mano può raggiungerti. Tiro un lembo della tua felpa, quella che mi piace tanto, quella beige che ti sta larga, ma che lascia intendere la tua corporatura tutt'altro che esile. Da pensieroso che eri, osservatore del paesaggio al di là del finestrino, alzi il mento dalla mano su cui ti eri appoggiato e riporti l'attenzione su di me.
Inarchi un sopracciglio e tiri su un lato della bocca.
<Oggi niente caffè> dici.
<Nemmeno tu, in effetti avremmo dovuto berlo. Ho un sonno> ribatto sbadigliando sulle ultime sillabe.
<Non è vero, ne bevi troppo> asserisci.
<Sarà, ma oggi ne avrei bisogno>.
Mi concedo di distogliere lo sguardo dalla strada e ti accarezzo con gli occhi. Ti sei tolto le scarpe, hai portato le ginocchia al petto e le tue calze a tema Dynamight spiccano sugli interni di pelle nera della macchina. Trattengo una risata al ricordo dello scorso Natale, quando hai scartato il delizioso pacchetto di mia madre e vi hai trovato, con pura gioia nelle iridi, due paia di indumenti che per te non potevano essere più azzeccati. Possiedi, infatti, anche un paio di calzini con Allmight, ma ho notato che tendi ad indossare di più i miei e ho abbandonato da tempo lo stupore nel vederti girare con qualche mio gadget per casa. Hai già me, ma in questo modo mi puoi avere sempre vicino. Trovo tenera questa cosa, se te lo dicessi inizieresti con qualche sproloquio sul quanto ti piaccia collezionare le edizioni limitate, sulla maglia che "dovevi" comprare, sul come siano comparse misteriosamente due action figures sulla mensola in soggiorno, insomma, le solite cose da nerd. Ed io non ammetterei mai che in fondo alla credenza c'è una tazza con la tua figura stilizzata e rigorosamente lavata a mano affinché non si rovini. Prima o poi la noterai, ma non pensiamoci adesso.
Sembri irritato, ma colgo una nota di divertimento sul tuo viso dopo il nostro breve scambio di battute e mi limito a sorridere mentre stringo il volante per svoltare a sinistra.
E tu? Non mi guardi? Oh, non dirmelo, non ho bisogno di saperlo. Tu lo fai sempre, anche quando neghi la cosa.
Abbiamo fatto tutto di fretta. Ci siamo alzati all'alba, occhi socchiusi e passi striscianti sul freddo pavimento, mezzi baci rubati mentre ci sfioravamo in cucina e sorseggiavamo un tè lasciato troppo in infusione, e in meno di un'ora di lunghi, sospiranti silenzi ci siamo ritrovati all'ingresso. Pantaloni comodi, scarponi ben stretti ai piedi, uno zaino che ho insistito per caricarmi sulle spalle al posto tuo, ed eccoci qua: fuori dalla città, lontano dall'universo caotico della società.
Picchietto con le unghie sul volante, per un poco mantengo un certo ritmo e quando sfuma, controllando l'ora sul cruscotto dove quattro cifre stanno ad indicare le sette e mezza di mattina, mi stiracchio leggermente premendomi contro lo schienale.
<Metti della musica, abbiamo ancora un'ora di viaggio> ti chiedo volenteroso di disfarmi dell'ultimo strato di torpore rimasto. Tra poco finiremo di rincorrere i raggi del sole sull'autostrada, voglio che l'inizio vero e proprio della giornata sia accompagnato da una di quelle canzoni che non ascolto da tanto tempo, una delle nostre, una delle molte che ci siamo dedicati senza rendercene conto.
Sei preso da un moto di vitalità, posso sentire il fruscio dei tuoi vestiti ed il tuo sorriso muoversi al mio fianco. Armeggi con la radio, non ci faccio molto caso, anche se so che non sei pratico. Stranamente trovi presto le playlist ed impieghi svariati minuti a scegliere quale fare partire. Ad un certo punto mi guardi, riporti lo sguardo sul piccolo schermo e vi premi un dito sopra con convinzione. Due secondi, giusto l'inizio, mi bastano per riconoscere il brano.
U2, Achtung Baby, 3 marzo 1992, One. Te ne esci così, riaccomodandoti sulla tua seduta, con questo bagaglio di ricordi.
Vedilo a modo tuo, questo testo è stato oggetto di speculazioni e per quanto ci si sforzi, in un caso o nell'altro, lascia il gusto amaro e salato di una tristezza lasciata al caso, che salta fuori all'improvviso e nei momenti meno o più opportuni. Non se ne andrà, il senso di smarrimento, è quel che cerchi di dirmi? O forse vuoi fare intendere ragionamenti più complicati? Siamo al capolinea, o c'è altro ad attenderci? Mi sento così limitato qui, alla guida, e vedo molto in quel che ci circonda. C'è un infinità di cose che non sappiamo, trovo un certo sconforto in questo perché significherebbe che, in fondo, non potrò mai amarti completamente. Ci sarà sempre qualcosa che ci sfugge, ma va bene, se ci fosse concesso tutto non avremmo niente da definir nostro. Perciò ti appartengo, è necessario che io sia tuo. Ma non voglio che ciò valga anche per te, io sono ormai irrecuperabile, tu puoi, devi ancora concedere il beneficio del dubbio al mondo e consumarlo. È fatto per un motivo tanto intricato, per esser eroso dai sentimenti e crollare ai piedi degli uomini per poi stravolgerli e rivelarsi dettatore di vite in continuo mutamento.
In questa pianura di petali rossi che percorriamo gli steli che sfioriamo sono sottili, ma rigidi e resistenti, non permettere che il maltempo ci spezzi. Canteremo nella pioggia, correremo lungo i bordi delle strade sterrate e ricorderemo quel che siamo stati e sì, desidereremo ringiovanire e avere una seconda, una terza, un quarta, un'ennesima possibilità per rendere perfetta la nostra storia. La fragilità del tempo sovviene prematuramente per noi. Sono trasportato da un fiume saturo di rimembranze e torbide acque, eppure adesso ne vedo il liscio letto di ciottoli e nei riflessi della luce ritrovo me stesso. È tutto limpido, non in eccesso, non in difetto: questo è il tempio del mio cuore e lo seppellirò, te lo prometto, nella sabbia degli argini. Voglio riposare sulla sponda nodosa su cui mi hai atteso.
Non è troppo tardi per trascinare sotto alla luce del sole il passato, lo sappiamo.
Siamo una cosa sola, ma non siamo uguali, è giusto vedere imperfezione e meraviglia, assaporare le similitudini, le ambivalenze e le incongruenze che ci vengono offerte.
Nella tua voce che prende a seguire il ritmo della canzone riesco a trovare un appiglio. Sono di nuovo con i piedi per terra. Premo un poco sull'acceleratore, forse arriveremo prima del previsto, sono impaziente.

La portiera sbatte sonoramente, mi mordo la lingua per non dirti di usare maggior tatto, ma sarebbe inutile: certe disattenzioni ti appartengono ed io le disprezzo amandole e le amo disprezzandole.
<Passami la giacca, fa più freddo di quanto ricordassi> ti chiedo e tu ravani nel bagagliaio per poi lanciarmi un groviglio di tessuto tecnico.
Me la sistemo sulle spalle, sospiro guardando lo zaino ai miei piedi e fisso assorto l'asfalto crepato del parcheggio. Quando lo rivedremo, fra un po' di ore, sarà caldo e più morbido sotto alle scuole delle scarpe.
Piego le ginocchia per caricare il peso, stringo gli spallacci avvicinandomi a te che stai tirando su la cerniera della tua giubba. Sei tanto concentrato nello stringere i polsini che non fai caso a me fin quando non afferro il tuo colletto e te lo aggiusto.
<C'è vento più in alto e fa freddo alla mattina> spiego a mo' di giustificazione. Tu sbuffi e posi le mani sulle mie, rimaste a massaggiarti la base del collo. Il tessuto degli indumenti che abbiamo addosso nasconde il calore che vorrei sentire, ma le tue dita bastano ad irradiare il mio corpo di un tiepido formicolio.
<L'ultima volta che sono stato qua aveva piovuto, spero che il sentiero non sia scivoloso come allora> mi aspetto una qualche risposta, però non è necessario che parli. La tua testa si gira e guardi in alto, tanto in alto, dove non riesco a seguirti.
Un accenno di aria fresca giunge fino alle nostre guance e rabbrividiamo. C'è una tale quiete in questo posto.
<Non è cambiato> commenti e credo che le parole si siano spinte fra le tue labbra per uscire, perché subito dopo le premi ed una linea biancastra fa contrasto con il rosato del tuo incarnato.
Mi concedo due secondi per cercare di capirti. Cosa nascondi in quelle lucide iridi dello stesso verde in cui siamo immersi?
Battiti di foglie mosse dalla brezza ci raggiungono, il mondo non è mai stato tanto tangibile come lo sento in questo momento. Respiri di fronte a me, posso toccare il tuo corpo, sei tanto diverso da come questo posto ti ricordava.
Laggiù, dove la distesa grigia del parcheggio finisce e sassi, ciuffi d'erba e terra battuta ne prendono il posto in quello spiraglio d'ombra del sottobosco, l'inizio di un sentiero scompare fra radici e cespugli. Ma tu non vuoi pensare ai primi gradini, vai oltre e già punti alla cima che per quanto ti impegni non riesci a scorgere.
<Ce la faremo ad essere di ritorno in tempo?>.
Premo su di te, come al solito fai sì che i miei pensieri sfumino; le mie mani scivolano sotto alle tue e le alzo per finire di chiudere la macchina. Come premo il pulsante delle chiavi ed un breve scatto ci scuote decido di risponderti.
<Sì, non ci metteremo più di due o tre ore a salire. Saremo di nuovo per strada prima di sera> ti rassicuro e mi dirigo verso l'imbocco del percorso. Mi segui, prima di inoltrarci nel frescume del bosco entrambi tratteniamo il fiato.
Siamo tornati, è davvero strano pensarlo ed un senso di famigliarità mi coglie improvvisamente nei primi passi che percorriamo. Un treno mi investe, sono i polmoni a dare i primi segni di compressione e realizzo di aver atteso a lungo questa riconciliazione.
Ho salito questa via in momenti opposti ed ora le diversità trovano un punto d'incontro.
<Il bivacco... sarà ancora intero?> la tua domanda galleggia nell'aria e si deposita con leggerezza nella mia testa.
<Non lo so, ma non importa> voglio solo salire, in fretta, se resti indietro tirami per una manica e dimmi di fermarmi. Non c'è bisogno che te lo dica: sai bene quanto diventi ingestibile quando mi fisso su un obiettivo.
La vallata è ancora in ombra, più avanti, quando sbucheremo oltre le basse e le alte chiome, il sole ci avrà raggiunto e ci riscalderemo a dovere. Perciò corriamo, inerpichiamoci per questa salita, non senti anche tu il folle desiderio di raggiungere la meta al più presto?
Lo scricchiolio dei sottili rami sparsi sotto i nostri piedi riempie la quiete ed io ascolto ogni tonfo che il tuo cammino produce.
Sono stato un giovane ragazzo agli occhi di queste montagne, ora non mi sento più tanto diverso, eppure sia io che te siamo cresciuti e mi chiedo se queste roccie possano riconoscerci ed accoglierci per un nuovo addio.
Oggi cambieremo, oggi resteremo gli stessi, oggi saremo insieme, oggi il mondo continuerà a girare e noi con lui.
C'è umidità, quasi mi solletica il naso, ma tu mi precedi e con un acuto starnuto mi fai sussultare. Ti seguo a ruota e chissà perché ci mettiamo a ridere.
<Non star dietro> mi sposto di lato e rallento. Mi raggiungi subito e con decisione. Sono sollevato dal tuo atteggiamento, devo ammettere che quando, verso le cinque di mattina, ti ho detto di voler fare un salto quassù, mi aspettavo che scuotessi la testa bofonchiando un "Sei pazzo? Mi scoppia ancora la testa per ieri sera!". Devi sempre contravvenire alle mie previsioni, no? Per questo motivo mi hai detto che non avevi sonno e che mi avresti accompagnato volentieri.
Stammi vicino, la via può essere scivolosa e mentirei se dicessi di non aver ancora paura di vederti inciampare, anche se alla fine ci siamo resi conto che questo è un timore comune ad entrambi. Io ti afferro sempre all'ultimo, tu lo fai al principio, ma poi allenti la presa e sbagliamo, sbagliamo nel peggiore dei modi. Poiché le nostre dita restano tese le une verso le altre, insaziabili di rassicurazioni e tremanti diramazioni d'amore. Impareremo a stringerle, magari non adesso, magari più avanti, dove l'aria si fa più rarefatta ed il tempo pare scorrere come un torrente in discesa: pericoloso ed impetuoso, privo di rispetto per chi come noi cerca di raccoglierne i flutti. La corrente potrebbe portarci lontano, ricondurci a valle e gettarci nell'intricato viaggio che ci farà sfociare nel mare della disillusione, eppure tu sorridi e quel tuo fare riservato con cui esplori il sentiero è sufficiente a far sparire certi spiacevoli presagi. Ragiono con tanti eccessi di riflessione e so quanto questo ti possa indispettire.
<Perché oggi?> ingoi un respiro nel domandarlo, quasi con apprensione e capisco che questo quesito aleggiava nella tua mente da un po'.
<Dovevo rivederli con te>.
<Cosa?>.
<Il rifugio, la staccionata che hanno cambiato, vogli dirti cosa ho fatto quando sono stato qui tre anni fa>.


Nel testo vi sono riferimenti a Platone e al mito della biga alata: la ragione dell'anima sono infatti i due cavalli alati che trainano una biga. Uno, di manto scuro, trascina l'anima verso il basso, ove la vita terrena e materialista ha luogo, l'altro, dal manto chiaro, è ciò che cerca di condurre l'uomo ad un bene superiore e alla conoscenza più pura delle idee, che risiedono nell'iperuranio. È di fatto quest'ultimo destriero a mantenere in equilibrio l'andamento della biga e a non fare precipitare il tutto verso un'irrimediabile perdizione. Non è escluso, ovviamente, che a volte sia il cavallo nero a tirare di più le funi.

Nel linguaggio dei fiori il papavero è simbolo dell'orgoglio sopito, della consolazione, ma anche della semplicità. Da questi derivano alcune simbologie minori e poco diffuse come, ad esempio, lentezza, dubbiosità, sorpresa, storditezza, sonno eterno, oblio e immaginazione.

Ebbene, gli intermezzi si stanno moltiplicando e come al solito finirò per contraddirmi anche se non sto ritardando la fine della storia. Ci sono alcune cose ancora in bilico e altre da spiegare. Voglio chiarire tutto e farvi immergere nella vita di Kacchan e Deku perché desidero poter concludere una storia nel modo più completo possibile.
Condivido con Katsuki la passione per le lunghe camminate in montagna e ci tenevo a ricollegarmi con uno speciale capitolo di Even if che merita un approfondimento.
Spero di riuscire ad aggiornare presto, ma non assicuro niente dato il periodo davvero stressante (che le forze per finire queste ultime settimane di quinta liceo vengano a me perché ho perso ogni speranza di uscirne mentalmente stabile ಥ‿ಥ).

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