/33/ Le incertezze di questo mondo

La luce è stata incauta questa mattina, incauta come il primo battito d'ali, prematuro accenno di libertà, avventata come il desiderio che si desta e mai ritrova un istante di calma. Non lo rincorre, non lo desidera, si accontenta di vederlo fuggire e non attende, no, si dedica a noi subito e con una fretta contagiosa. Tintinnio di ceramiche e profumo di lenzuola pulite: ecco due cose che ci identificano. Io sono il tessuto che viene tirato, stropicciato e lasciato a sé stesso per lunghe ore prima che un po' di calore lo conforti, tu sei la solida, fragile terra, terribilmente fredda al tatto eppur così incline a provocare bruciature se non si attende a maneggiarla una volta essersi riversati al suo interno in dolci fragranze d'amore e rimembranze di passione. Queste ultime si risvegliano con una tale facilità, non lo pensi anche tu?
Non so che sia successo a pranzo, forse siamo usciti, forse siamo andati in uno di quei ristoranti troppo costosi e ci siamo divertiti a leggere gli assurdi nomi di quei piatti elaborati che, così mi hai bisbigliato, non sono buoni come i miei. Ti sei deliziato comunque con quel pregiato vino rosso, questo lo so con certezza e lì, con la vista delle tue labbra corrotte nuovamente da un liquido cremisi, con la goccia che resta in bilico prima di esser raccolta da una lingua affusolata, degna di un diavolo, ho iniziato ad impazzire.
Che idea! Che specchio meraviglioso abbiamo attraversato! Lo rifaresti? Dimmelo, confessamelo ancora.
Da quando i miei piedi hanno sfiorato il gelido parquet al suono della sveglia che mi sono dimenticato di togliere, da allora non ricordo di aver più toccato suolo. Ho fatto in tempo ad andare in bagno, fissare assonnato il lavandino e a gettarmi nel brusco tocco dell'acqua? Non ne sono sicuro quanto ne ero qualche ora fa. Mi hai raccolto prima o dopo colazione? Ed il respiro mozzato è stato tale e quale allo spezzarsi di un sottile stelo di rosa, pungente oggetto di brame non più segrete. È stato il letto, la parete, il duro marmo della cucina o il ruvido tappeto del soggiorno ad accogliermi e ad offrirmi un appiglio? Tu sapresti dirlo?
Ed il pensiero si affanna, si distorce, si allunga e si accorcia nella testa che è diventata pesante. Ma la sento pronta a volare, ci credi? Andrà via, abbandonerà il mio corpo intorpidito ed i suoi muscoli tesi, mi augurerà il meglio ed il peggio, lei sa quanto la vita sia insidiosa nei suoi quotidiani aspetti. Le mie dita mi dicono che hanno raschiato su superfici inesplorate e con maggior chiarezza la pelle stessa, in qualsiasi piega e distesa di brividi, mi sussurra di esser stata divorata da belve che definire voraci sarebbe un eufemismo. Che si riferisca ai tuoi denti? Glielo posso chiedere, magari mi mostrerà qualche traccia di morsi sbiaditi ed un solitario segno di distrazione, proprio vicino al collo, su quel tratto sopra la clavicola, ove i tuoi incisivi hanno osato lacerare carne che ti ha fatto dono di rivoli d'anima rossa e dal sapore ferroso che hai voluto assaggiare. Mi tocco il punto dolorante e sorrido al soffitto, confusa mappa di ombre notturne. La luce che giunge dall'esterno è tutto ciò che mi permette di distinguere il mobilio della sala e da dove sono, sdraiato sul pavimento, non riesco a vedere molto più che l'ingombrante sagoma del divano alla mia destra e lì, a stagliarsi con quel profilo morbido e definito, un uomo sta respirando piano ed espone l'umida bocca all'aria che entra dalle finestre spalancate. Perlacea luminescenza di stelle, ogni tuo sfocato particolare mi fa raggelare le vene per poi riscaldarle con avventatezza.
<Cazzo> Oh, sei stato tu o sono stato io a rompere il silenzio? E questa voce tirata è sempre stata nostra?
La tua mano volteggia in aria, precipita sul tuo petto, ti stringi il tessuto della camicia aperta; la stoffa bianca risalta nell'oscurità, si sposa divinamente con la pelle del busto, persino il colletto storto ti dona. Mi sporgo a fatica e come faccio leva sul gomito un'improvviso capogiro mi coglie. Ricado molle pentendomi del fallimentare tentativo e mi limito a far scorrere dita formicolanti fino alle tue ciocche scure distese sul legno freddo.
<Kacchan>.
Riesco ad afferrare una manciata di morbidi fili e, temendo che possano sfuggirmi, li tiro non badando a come il tuo sguardo saetti sul mio viso.
<Deku>.
Affondi nelle mie iridi, io mi sforzo di tenere le palpebre sollevate: non voglio perdere un solo istante della tua attenzione.
<Ancora dieci minuti> farfuglio con la bocca impastata da un retrogusto amarognolo. Cos'era quel liquido ambrato? Lo ricordi? Credo che, pur non apprezzandone il gusto, ne abbia trangugiato un bicchiere di troppo.
<Poi ricominciamo?> colgo una nota di speranza nel tuo tono e, prima di pensare, sorrido.
<Sì, ricominciamo> ti rispondo.
Un altro sorso? Un altro bacio? Da cosa vuoi ripartire? E perché non da entrambi?
Scorro con le dita fra i tuoi ricci, non li lascio, ignoro la smorfia divertita che mi rivolgi nel sentirmi giocare con le ingarbugliate volute che porti in testa. E lì sotto, a poca distanza, queste scompaiono ed arriva quell'ispida pianura di grano acerbo, ombroso e corto. Il mio palmo riesce ad accarezzare la mezza rasatura fresca di taglio e ad entrambi sfugge un sospiro. Ti piace quando ti esploro in questo modo, non me lo hai mai detto a parole, mi è bastato notare, dopo anni di esperienza, come ti crogioli in queste mie premure e non nascondo di avere un debole per l'espressione compiaciuta che mostri.
Quanto amo i tuoi capelli, sono così setosi, così brillanti di scuri riflessi notturni, così voluminosi che, come su colline verdi, la mia mano si perde in sentieri coperti da campi incolti.
Trattengo il fiato mentre mi accorgo di come tu stia risalendo lungo le mie gambe. Sono malmesso, in parte posato su un fianco, in parte abbandonato sul pavimento e non so più se i pantaloni di tuta bastino a scaldarmi e a tenermi al riparo da quelle iridi indagatrici.
I corpi caldi splendono insieme al buio, la mano si muove verso il centro della carne, la pelle trema di felicità e l'anima viene gioiosa fino agli occhi. Sì, sì, questo è quel che volevo, ho sempre voluto, ho sempre voluto tornare al corpo dove sono nato.*(1, p. terza)
Sei abbastanza perso? Forse dobbiamo averne di più, più perdizione ed il senso di abbandono ci travolgerà e sarà un breve preludio prima di ricongiungerci. La melodia di questa giornata non vuole finire e oserei dire che per la prima volta riconosco note che si sono ripetute incostanti nella vita che ho consumato da solo: è sempre stata al mio fianco, ha sempre riempito i vuoti che mi lasciavo alle spalle.
Abbiamo deciso di perdere la ragione, di rivoluzionare questo giorno, di mutare e di restar fedeli a noi stessi, di creare qualcosa di nuovo tramite vecchie abitudini che ora riscopriamo come maledettamente stupide.
Era così anche allora? Quando, presi dalla follia, decidevamo di perderci in fiumi di alcol e dialoghi inconclusivi, era questa la sensazione che provavamo?
Ho il presentimento che dopo questo pazzo venerdì di inizio maggio non ricorderò più cosa voglia dire perdersi in viali di infantili suppliche e dedicare il pensiero a volubili ragionamenti. Poiché adesso sono lucido, poi tremante ed infine la tua vicinanza mi rende il perduto uomo ormai cresciuto che è pronto a lasciar andare la presa sulla corda stretta per troppo tempo. Sono i nostri rimorsi che vogliamo abbandonare e tu sei sicuro di questa decisione, mi inciti ad ammorbidire i muscoli e lasciar scorrere il ruvido intreccio di fili di memorie. Che scompaia oltre l'orizzonte e porti con sé l'ultima lacrima versata come avvertimento. Se un giorno dovesse tornare non avremo gentilezza nello strattonarla e questa consapevolezza mi sconvolge; non avremo altro modo per liberarcene se non bruciandone ogni parte e a quel punto cosa ci terrebbe legati? Meglio che stia lontana, non voglio dedicarmi a certi lugubri presagi che la febbricitante sbronza fa emergere come fastidiosi intrusi quando vorrei solamente solcare la linea delle tue spalle con soffici curve di carne fino all'agognato approdo che sono le loro gemelle. Più che labbra, dovrebbero esser chiamate come sponde di terre sconosciute, sovrani di regni dimenticati. Esse sono la mia Itaca, lussuriosa e antica brama, persecutrice di sogni e di lunghe derive in mostruosi flutti. Ascolta il mio richiamo che si disperde da questa malconcia nave e riconoscerai il tuo nome ancora prima che lo pronunci.
Ho già camminato su assi traballanti, ne conosco i punti deboli, quelli scricchiolanti, e potrei riuscire a non svegliarti, ma non è mia intenzione essere cauto, né mostrarti riguardo. Feriscimi ed io ti dirò che non accetterò altre cicatrici se non darai ascolto a qualche condizione. Mordimi se vuoi, ma permettimi di allontanarti se sei troppo gentile, stringimi se la cosa ti aggrada, ma rendimi i battiti che mi hai sottratto, negami la libertà ed io sarò tuo eterno fardello. Non una protesta si leverà dalle mie corde vocali, solo soffuse risa accompagnate da muti inviti che mai rifiuterai. Un cenno della testa, la tortura di un lembo di pelle quando sono in preda al nervosismo o il mio respiro lento ed esageratamente controllato: saranno le guide che ti condurranno a me, sii cauto nel seguirle o avventato, ma non esser incerto. Sono stanco di vivere su onde movimentate e sono quasi arrivato alla sabbiosa costa dove troverò riparo dagli abissi che ci hanno separati. Una parte di me è morta quando ho mosso il primo passo su un terreno stabile, una parte vecchia e malata, ma di cui continuerò a sentire la mancanza; senza lei non sarei arrivato più avanti di dove tu ti sei fermato.
La casa in cui ho vissuto, le tracce che hai lasciato, il me stesso di un tempo, smarrito e ritrovato: questi gli oggetti del mio ricordo, che esplora e misura la sofferenza inflitta nella vita a noi e a tutti gli esseri umani, vittime delle illusioni infrante dell'infanzia e dell'adolescenza. Sarei caduto con te se me lo avessi chiesto, senza farmi domande, senza riflessioni, mi sarei gettato nell'oblio concretizzando lo stereotipo di un amore non maturato appieno e che non a caso viene definito cieco. Non conoscevamo il macigno che l'affetto si porta appresso, ora me ne rendo conto e accusami di negligenza se puoi, perché manco del coraggio per addossarmi l'ennesima colpa. O smentiscimi se puoi, fatico a trovare cosa che non sia in tuo potere e so che puoi contraddirmi. "Non hai sbagliato, eri solo inesperto", "Hai creduto di esser nel giusto, ma Kacchan, non sai che la supponenza è peccato tanto quanto la libidine che adorna i tuoi occhi?", questo ed altro, affermazioni e domande retoriche, offese e rassicurazioni, sono le parole che vorrei sentire.
Il peso del mondo è amore. Sotto il fardello di solitudine, sotto il fardello dell'insoddisfazione il peso, il peso che portiamo è amore. Chi può negarlo? In sogno ci tocca il corpo, nel pensiero costruisce un miracolo, nell'immaginazione s'angoscia fino a nascer, nell'umano s'affaccia dal cuore ardente di purezza - poiché il fardello della vita è amore, ma noi il peso lo portiamo stancamente, e dobbiam infine trovar riposo tra le braccia dell'amore.*(1, p. prima)
È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente ed il riposo ci attende in ogni caso, che sia rifugio di uomini codardi o valorosi non ha importanza fintanto che il suo abbraccio sarà equo e valida promessa di fine.
<Cosa faresti se tutto finisse domani?> sorge spontanea come domanda, sarà l'alcol che scorre nelle vene, fatto sta che rigetto pensieri di dubbia originalità.
<Continuerei ad amarti> hai un'aria assente nel dirlo, tuttavia non hai esitato a muovere le labbra e mi rimprovero da solo per l'inutilità dei miei punti interrogativi. Che altro potrei fare? Ho solo questo, ho solo te.
<E se il mondo non dovesse sparire, ma io decidessi di farlo?>.
Assottigli lo sguardo, per un attimo interrompo le movenze con cui ti sto accarezzando. C'è disapprovazione nel modo in cui mi studi ed io incespico, in senso figurato, mentre provo ad accostarmi alla nuvola che si è formata sopra di noi.
Il rombo di un tuono spacca la calma dell'appartamento, mi illudo che sia frutto della mia immaginazione, ma al suo ripetersi mi rendo conto, con un mal di testa salito di colpo in una manciata di secondi, che è reale e proviene dal cielo oltre le vetrate. Le stelle non si vedono, al loro posto una massa informe, segno di burrasca, ricopre il soffitto del mondo.
Era prevista pioggia, giusto.
<Mi chiedi una cosa del genere alle dieci di sera?> poso nuovamente le iridi su di te e sono più perso di prima nel roteare le pupille tra le pieghe della tua camicia, l'elastico dei boxer neri ed il tuo naso che si arriccia teneramente. Stai trattenendo uno starnuto, lo vedo. Passa, non gli permetti di distrarti.
<Ti fermerei> e qui le nostre strade si dividono. Io sono convinto di non poter mostrare una tale sicurezza, perché ho pensato di morire con te, non di sottrarti alle tue decisioni. Quanta codardia e quanta risolutezza nei rimproveri che mi rivolgo. È per questo che siamo stati separati, la verità mi investe con violenza e non mi curo dell'espressione terrorizzata che mi si dipinge in volto. Cosa riguardo a te? Lo hai capito adesso o ne eri già ben consapevole? Ed ora che conosco questo scomodo segreto, sarà un nuovo tormento? Tale è stato il tuo fantasma, tale l'ebrezza di notti insonni e tale i momenti di distrazione che permettevano alla tua immagine di prender posto nella mia testa.
Non c'è riposo senza amore, né sonno senza sogni d'amore; sia matto o gelido ossessionato dagli angeli o macchine, il desiderio finale è amore. Non può essere amaro, non può negare, non può negarsi se negato: il peso è troppo greve. Deve dare senza nulla in cambio così come il pensiero si dà in solitudine con tutta la bravura del suo eccesso.*(1, p. seconda)
Vuoi vivere con me, non per me ed io seguo il ragionamento contrario. Suppongo che il tempo ci abbia inflitto pene simili, ma diverse, e pertanto siamo maturati ognuno nel proprio regno di dannazione. Non ne sono infastidito però, siamo riusciti a ritrovarci nel dedalo della vita e questo è ciò a cui devo pensare. Ci insegneremo a vicenda come amare: io per te e tu con me. Siamo arrivati fin qua ed il percorso è ancora lungo, lo vedi? Si dirama giù per pendii scoscesi e arriva fino al mare. Se dovremo, risaliremo assieme sull'imbarcazione che ho lasciato e naufragheremo per mari sconosciuti.

Mi tiro su e mi oppongo alla resa. La notte è appena iniziata, non dobbiamo perderne un solo minuto. Domani a quest'ora sarai una persona uguale e diversa, so che sei ansioso di scoprire quali assurde emozioni proverai. Sii paziente e destina le preoccupazioni a quando ci sveglieremo con il post sbornia, ci guarderemo venir inghiottiti dalla luce dell'alba e rideremo spensierati. Mi sento sorprendentemente meglio del previsto e riesco a contrarre gli addominali per alzarmi, anche se ondeggio un poco. Sento i tuoi occhi fissi sulla schiena nuda, ne risalgono la linea provocandomi una scossa. Raccolgo il calice mezzo pieno dal tavolino, non so se sia il mio o il tuo e mi piace avere questo dubbio mentre lo porto alle labbra.
Mi avvicino al vetro, con il naso ad una ventina di centimetri di distanza ne avverto il gelo. È arrivata la tempesta ed è uno spettacolo magnifico. Mi stringo in un abbraccio, un fruscio si disperde nell'ambiente ed i tuoi piedi tastano il parquet a passi incostanti.
Perché ci siamo ubriacati? Perché questo vino non è al pari dei nostri baci?
Faccio ondeggiare il liquido nel bicchiere e quasi mi diverto a vedere quella tinta cremisi girare come un mulinello. Sei tu ad interrompere il gioco e vorrei lamentarmi, ma non una parola riesce ad uscire dalla mia bocca.
Hai circondato le mie dita e ti sei chinato a bere dalle mie mani, è un gesto tanto innocuo quanto sconvolgente.
Il modo cadenzato con cui posi i tuoi petali sul bordo, con cui prendi due, tre piccoli sorsi, con cui riscaldi l'aria fra di noi, tutto di te mi lascia inerme al cospetto di uno dei primi temporali di stagione.
Un luccichio fugace ci raggiunge, lo hai visto? Un lampo, laggiù, oltre la seconda fila di palazzi. Ha sottratto le parole che ti volevo rivolgere.
<Fallo ancora> è tutto ciò che riesco a formulare. E tu comprendi, non chiedi spiegazioni, ubbidisci alle mie richieste.
Prima che tu possa finire di deglutire ti sottraggo la bevanda e le nostre dita scorrono le une sulle altre finché non si separano.
Un piccolo passo e ti sono davanti, mi sono infilato di proposito in un vicolo cieco e non mi sposterò. Guardami mentre rincorri il mio polso, afferralo e circondalo con presa bollente ora che la temperatura è calata. La mano libera arriva al tuo mento e non mi do il tempo di riordinare le idee. I tuoi movimenti mi seguono e ti ritrovo terribilmente vicino. Senti la brezza pungente ed il prematuro sentore di estate che si fa spazio in questa tarda ora, ti prego, accontentiamoci di quel che siamo e diamo un senso alle nostre azioni. Indietreggio quasi impercettibilmente e subito avverto la parete solida e sottile segnare la fine della fuga appena accennata. Mostro un ghigno compiaciuto, tu sembri ignorarlo, eppure rispondi al mio giocoso atteggiamento con un veloce scatto che a stento riesco a cogliere.
Così, avventati su di me e lacera il velo di silenzio che ci intrappola. Rafforza la contrazione dei muscoli, non badare al calice che traballa fra dita affusolate, che mi sfugge e precipita.
Si scontra con il duro pavimento e non posso fare a meno di bearmi del ruomore scrosciante della pioggia che si confonde con il breve infrangersi del cristallo. Rischiamo di tagliarci, siamo scalzi e distratti, ma il freddo della notte è un anestetizzante velenoso ed i nostri sensi possono addormentarsi, lasciare che l'accortezza sfumi.
Se con le scapole mi premo sulla superficie, i miei fianchi si muovono verso di te e la tua mano si insinua fra la vita e le costole, portandoci a collidere. Riconosco il sapore di questo bacio, è acido e dolce per il vino e la tua lingua è vellutata. Sospiro e tu ingoi il mio lamento; mi hai morso e senza riguardo direi, poiché mi trasporti in uno scambio di assaggi che di gentile non hanno più nulla.
Ma se tu mirerai il gentil atto, de li occhi miei, conoscermi poi: non pianger più, tu sei già tutto sfatto. E risponde il fonte del gentil parlare ch'amar si può bellezza per diletto, e puossi amar virtù per operare.*(2)

*Allen Ginsberg, Canzone (1954). Non è riportato per intero. Sono particolarmente affezionata a questo componimento, l'ho scoperto per puro caso anni fa e non ho mai dimenticato le prime, significative frasi. Credo che ormai sia ovvia la mia passione per la letteratura, non solo italiana, perciò non mi dilungherò a dirvi come in prima liceo mi misi a leggere qualsiasi raccolta di canti e poesie in cui incappassi, potete benissimo immaginare una ragazza schiva e non ancora disillusa dal mondo intenta a divorar parole che, per una mente acerba, non avevano il peso e la leggerezza che tutt'ora ritrovo in certi soavi versi.

*(2): Dante, Commedia.

Questo è un breve intermezzo, ma credo che sia necessario accompagnare Katsuki negli ultimi ragionamenti e comprensioni. Torno a lezione di italiano, il Paradiso mi attende, vi auguro una buona giornata (◠‿・)—☆.



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