/31/ Selene
Dicono che portare le fedi prima delle nozze porti sfortuna. Ci sono tante superstizioni al riguardo, ma io e te abbiamo deciso di far fronte ad ognuna di esse. Non sarà una stupida credenza a rovinare l'attesa, né ad impedirci di avere un assaggio prima della nostra definitiva unione.
La luce di Selene ci ha custodito questa notte, gentile manto di benedizione sulle nostre spalle nude, è sparita facendo spazio al caldo sole del sabato, uno dei tanti, che tu provvederai a rendere speciale. In uno dei miei ingialliti romanzi inglesi ho letto parole scontate che, a ripensarci, vorrei rivolgerti adesso: "Era generosa, amabile e interessante; era tutto, eccetto che prudente". Ti immagino proprio come l'ingenua, saccente Dashwood, sempre pronto a mettere le mani nelle vite altrui e mai nella tua. Chi ha detto che ragione e sentimento non possono andare a braccetto sa poco o molto dell'amore. Lo penso mentre storci il naso con la fronte aggrottata sotto il mio sguardo, concentrato su quel che stai facendo, inutile azione che non merita tanta attenzione. Non farlo, lascia andare la presa, sai che non ne uscirà nulla di buono.
<Devi proprio?> sbuffo scocciato dalla tua caparbietà. È il terzo tentativo, abbi pietà di quella malcapitata stoffa che stringi.
<Devo, sì> mi rifili un'occhiata truce e sento tirare con forza il colletto della camicia, mi balza in mente l'idea che tu voglia strangolarmi e alzo gli occhi al cielo quando sento la presa allentarsi.
Mi decido a dare un taglio ai tuoi soffusi lamenti di esasperazione e in un veloce gesto afferro il tessuto che hai torturato per sfibranti minuti, sottraendolo alle tue dita e facendo comparire un'espressione di puro disappunto sul tuo viso.
<Mai più, non ti permetterò mai più di provare ad annodarmi una cravatta al collo> e ti sventolo davanti l'assurdo nodo che hai fatto. Mi premuro di disfarlo prima di ripiegarla ed infilarla nel cassetto con te che mi segui in ogni movimento. Sei indispettito, sento i tuoi occhi pugnalarmi alle spalle e quando mi giro ti trovo con le mani nelle tasche dei pantaloni neri a sigaretta. Ti tendi nel cotone bianco della camicia mentre io mi accingo a sfilare i primi due bottoni della mia, che diventano tre nel notare come un luccichio indistinto sia passato su quelle iridi verdi come la più giovane delle foglie. Mi mordo il labbro e sorrido soddisfatto raccogliendo la giacca del mio completo gessato da sopra il letto; me la infilo con la giusta lentezza e dirigo qualche passo verso di te passandomi una mano sui capelli che, per una volta, ho avuto il cuore e la pazienza di domare tirando indietro le mie ciocche disordinate.
<Ammettilo - assottiglio lo sguardo in modo scherzosamente ammiccante - ti piaccio di più senza>. Reggi il mio gioco alzando il mento con fare disinvolto, mi sorridi in modo strano, bizzarro quasi con quegli angoli della bocca tirati. Pressi le labbra fra di loro mentre ti avvicini per afferrarmi con sicurezza e annullare l'ultima tentazione. Siamo già in ritardo, non è vero?
Riallacci uno dei bottoni mormorando un "Non osare scoprire altra pelle" ed il mio ghigno non fa che ampliarsi, certo che lo stia dicendo più per te stesso che per me. Da questi vestiti scostati si intravedono arrossamenti infraintendibili, ma vorrei che sapessi che non mi importa se siano visibili o meno. Anche tu, proprio nel punto in cui ti sfioro, lungo le linee del collo, porti la traccia del mio passaggio.Lascia che vedano, siamo due innamorati, cosa credi che si aspettino da noi? Il pudore dell'adolescenza ci ha abbandonati molto tempo fa.
Ho pronunciato la mia ultima sentenza con animo leggero, quasi che quell'arguzia nello svelare i tuoi pensieri sia un dono acquisito nel tempo, nei lunghi anni che ho passato ad indagare nei tuoi sentimenti. Ammettilo. Un semplice invito che nasconde tanti segreti che solo io posso rivelare. Dopo tanti amari assaggi di vita riesco finalmente a precedere i tuoi pensieri.
E ancora cado fra le mille letture che mi hanno accompagnato nelle lunghe sere insonni, ripenso a te, a quel che eri e a quel che sei adesso. Sono sempre stato io a guardarti, ad osservarti, a farmi strada nel campo innevato in cui giacevi. Ed il mondo? Cosa può dire lui di te?
Un inno ad un amore platonico, la tua assenza ha costituito una solida base per un affetto fragile come un filo d'erba.
Ti ho avuto per me, non per gli altri ed ora mi sfuggono quelle distanti memorie della gioventù, quelle in cui il nostro universo era piccolo ed immenso e non esistevamo ancora l'uno per l'altro. Crescendo si diventa più soli, si affonda nell'intimità delle poche e solide conoscenze che abbiamo coltivato e ne raccogliamo i frutti di tanto in tanto, anche se a volte si rivelano acerbi. Realizzo, con una morsa inconsistente a cingermi il petto, che nel tuo profondo sonno hai perso non solo ciò che egoisticamente ritengo essenziale, me, ma molto di più.
Stringo le spalle, poi mi raddrizzo, ti guardo e ti scopro bianco, ruvido come un foglio di carta, come la prima pagina di un libro. Vuoto ed enigmatico, scabroso e portatore di quel singolare silenzio che riempie la testa all'inizio di un nuovo racconto.
Con chi ti conosce, che persona sei? Ti chiederei se fossi un estraneo. Sei divertente, gioviale, scherzoso, o nelle vene ti scorre il siero della cupezza e del malumore che ti adombra il viso e cancella le risate promesse dal tuo sorriso e dai tuoi occhi verdi?*(1).
Per me certi quesiti sono inutili ed essenziali al contempo, poiché io non potrò darvi alcuna risposta. Ho esplorato il tuo corpo e la tua anima a modo mio ed in fondo è così che le persone fanno, no? Ognuno ha il proprio tocco, il proprio profumo, il proprio sguardo nell'osservare chi ha intorno. Mi sento banale, noioso, un fastidioso stereotipo d'umanità. Io sono io, tu sei tu, il mondo è il mondo. Eppure esistiamo tutti allo stesso tempo, assurdo.
Un gran frastuono di risate fa eco in corridoio e si infila nella stanza dalla porta socchiusa. Incurvo l'angolo della bocca curandomi di non lasciar sfuggire il sospiro che preme nei miei polmoni per essere liberato. Odio, dopo tutti i tormenti diventati abitudine del giorno, sentirmi così normalmente leggero.
<Ci aspettano> dico.
<Aspettano te> ribatti con un sorriso. Sai quanto mi lusinghi essere al centro dell'attenzione ed io, d'altra parte, so quanto ti stuzzichi l'idea di trattenermi qui, in camera nostra, ignorare i nostri amici indaffarati con gli ultimi preparativi e tuffarci fra le coperte, incuranti dei nostri sussurri d'amore che giungerebbero sicuramente alle loro orecchie. Ma permettimi un po' di narcisismo, potrai rubarmi più tardi, quando saremo tutti più distratti e meno lucidi di mente.
Su, andiamo. Te lo vorrei dire, ma per qualche strano motivo le parole mi si annodano in gola e tu mi segui comunque, non è necessario parlare. Stringo la tua mano quando metto piede in sala, dove numerosi occhi emanano impazienza e subito noto quanto impegno tu ci abbia messo nell'allestirmi questa sorpresa. In parte me l'aspettavo, esattamente come ai dormitori della U.A., ma in un particolare mi hai lasciato senza fiato. Giusto un paio di ore fa ero addormentato nell'aroma di focose carezze e pungente rimasuglio di lavanda, il nostro particolare odore. Ormai non sento più la fragranza del miele, di quel tuo dolciastro bagnoschiuma, hai preso ad usare il mio e credo saresti capace di protestare nel caso non lo trovassi sotto alla doccia.
Mi hai riportato alla realtà nel pomeriggio ormai inoltrato, con una carezza gentile più di qualsiasi altro tuo gesto. Ti eri accuciato vicino al bordo del letto e mi guardavi mentre ero perso in sogni che forse ti è dispiaciuto interrompere. Era da molto che aspettavo, perché siamo stati così tardi? Ho passato troppi anni alla ricerca di un risveglio felice. La prima cosa che ho visto sono stati i tuoi zaffiri verdi, inondati di luce aranciata, che mi studiavano con delicatezza, rispettando quei venti secondi di dormiveglia che mi sono concesso per metterti a fuoco.
<Come stai?> una delle tue domande più semplici mi ha dato il buongiorno, apprensiva, ma calmante. Ti ho mugugnato in risposta, affondando il naso nel cuscino.
<Kacchan> mi hai chiamato ed io mi sono nascosto come se il mio nome, su quelle tue morbide labbra, provocasse un senso di smarrimento nel mio corpo, in cui ho tentato di sopprimere l'ingarbugliato brivido che il tuo seguente tocco ha scatenato. Le tue dita mi hanno circondato la spalla ed il tuo pollice ha preso a scorrere sulla mia pelle.
<Vorrei tanto lasciarti dormire - hai sospirato nel prendere una pausa - ma sei letteralmente collassato, la mattina è volata, come anche il pomeriggio ed è tardi. Tra poco arriveranno gli altri>.
Mi sono stiracchiato un poco e ho puntato lo sguardo sulle vetrate, dove la luce del tramonto si perdeva fra le alte palazzine e veniva riflessa dalle finestre dei grattacieli. Le nuvole erano poche, pochissime, spuntavano come fiori di cotone fra mattonelle di cielo. Ho raccolto fiato lentamente socchiudendo le palpebre e concentrandomi con brevità sulle attenzioni che mi stavi dando.
<Hai invitato tutta la classe, vero?> ho biascicato con tono scocciato. Il tuo mento ha eseguito un conciso movimento di assenso ed io mi sono limitato a squadrarti. Sono rimasto immobile, poi una certa delusione si è accumulata sul mio viso e tu non hai potuto fare altro se non notarlo.
<Perché quell'espressione?>
<Mh, mi prenderesti in giro se te lo dicessi>.
<No>.
<Sì> ho asserito con convinzione, ma come avrei potuto resistere al tuo sorriso?
<Ti sei già vestito e messo in tiro> ho bofonchiato lamentoso scatenando un tuo incontenibile, soffuso riso.
La tua mano ha corso in discesa fino alla mia guancia, la tirasti appena, poi i tuoi polpastrelli si persero a sfiorarla ed io ti son venuto incontro premendo sul tuo palmo.
<E qual è il problema? Ho avuto l'occasione di fare tutto con calma e vederti rigirare fra le lenzuola. Ti muovi mentre dormi, l'hai sempre fatto, ma oggi per la prima volta ti ho beccato a stringere il mio cuscino> hai cantarellato tutto contento.
<Mi hai fatto una foto, vero?>
<Certo> mi hai dato conferma come se fosse la cosa più ovvia da fare ed io non contestai perché fossi stato al tuo posto non avrei esitato ad afferrare il telefono ed immortalare le tue lentiggini contornate dalle coperte disordinate e arruffate attorno al tuo corpo.
<Comunque - hai ripreso - non mi hai risposto. Avanti, cos'è che ti turba?>.
<Pensavo che avremmo fatto la doccia assieme> ho buttato fuori d'un fiato, con fare accusatorio, raschiando con la voce impastata.
<Mpf> solo questo, nessun'altra risata?
D'improvviso la tua mano non mi accarezzava più, era andata a reggere il tuo viso ed i ragionamenti in cui, ancora mi chiedo come, le mie parole ti avevano gettato.
<Se vuoi facciamo in tempo, ma solo se ti metti il completo che mi piace tanto>.
Inutile dire che abbia approfittato della salda presa tentatrice che ho su di te e che ho scombinato i tuoi piani obbligandoti ad avvisare i nostri amici di non palesarsi prima delle otto.
Così siamo qui, con i sensi allertati come non mai a cogliere ogni respiro trattenuto a causa di una vicinanza che ci sconvolge l'animo senza alcun riguardo persino nel mezzo dei festeggiamenti per il mio compleanno. In questa piccola celebrazione, non mi sento protagonista della scena come mi sono illuso di volere. L'ansia non mi coglie più nell'alzare il bicchiere, far tintinnare il suo sottile vetro, né nel ricambiare i sorrisi di Denki e Momo alla mia destra. Passa, non si ferma, anche questa giornata si concluderà con il fruscio delle lenzuola.
Vengo scosso da una presa salda attorno al mio collo, Kirishima si è preso la libertà di rivolgermi uno sguardo smagliante e di affondare una mano nella mia spalla.
Traballo sui piedi mentre il tempo, per i brevi istanti in cui prende parola, si ferma.
<Credevi che non ce ne saremmo accorti o che ti avremmo fatto il piacere di ignorare la cosa?>. È calata una quiete insolita, pungente direi, e ti cerco fra le teste dei nostri amici come a desiderare una via d'uscita. Ma tu sei distante, sei dietro a quei visi ammaliati dall'ebrezza della notizia.
<Ragazzi!> dice sollevando il braccio, vedo il vino agitarsi nel vetro che stringe. <Il nostro caro, scorbutico, irascibile, pessimo amico - calca la voce su ogni aggettivo, lo fa con felicità ed io inspiro raddrizzandomi con la schiena - finalmente si sposa!>.
Mina è la prima a farsi avanti gettandosi su di me ed il rosso, a ruota la seguono gli altri. Vengo intrappolato in un abbraccio confuso e disarmante, intriso della fastidiosa sensazione di esser stritolato e dell'assurdamente confortante calore in cui, dopo un'iniziale irrigidimento, mi crogiolo chinando il capo sulla spalla del mio migliore amico. Sbuffo nel notare un'antenna a due dita di distanza e prendo contatto con due grandi cerchi gialli incastonati in un pozzo di ossidiana.
<Lo hai detto a tutti, altro che discrezione, non è così?>.
<Ne dubitavi?>.
<No> sussurro alla rosa che di rimando mi fa l'occhiolino. Non c'è bisogno che dica altro, sapeva che non avrei avuto il cuore di farmi vivo con Eijiro dopo le ultime settimane.
Gusto il momento finché posso ed in una manciata di secondi l'atmosfera si fa volatile, talmente leggera che temo possa disfarsi e perdere l'allegria dell'imbarazzo di cui si nutre. Sei tu a fare calare il velo della notte appena cominciata.
Te ne stai lì, posato allo schienale del divano, con un calice fra le dita, a rigirare il liquido corposo e dall'intenso colore del sangue, con quell'aria pensierosa da "Io so cos'è la vita, e voi?". Non ti sei mosso per unirti a noi, né sembri intenzionato a farlo, mi fissi mentre mi separo dai nostri amici e accenni un'alzata di spalle che mi fa rabbrividire. Tanto affanno per vedermi felice e poi mi destini un atteggiamento così arrogante?
Forse, penso colto da un dubbio atroce, non hai inteso a dovere le mie azioni o, peggio, le hai intese completamente. Desidero, dal profondo dello scrigno di palpitanti emozioni che mi hai sottratto, vederti assaporare con rinnovato fervore questi spiragli di luce nella cupa città che ci circonda. Sono uno stupido, dimmelo se vuoi, per coltivare una tale speranza al tuo posto. Il tuo sorriso ti appartiene, te lo restituisco dopo tutte le peripezie a cui ho dovuto far fronte ed in cui mi sono cacciato, e non ho nulla che mi giustifichi; non posso avvalermi di nessun diritto per dirti di approfittare della spensieratezza che ti viene offerta. Puoi rifiutarla se è la cosa che più ti aggrada, io ti amerò lo stesso.
Hai preso posto in quel tuo angolo solitario, ma non voglio disturbarti e credo che anche gli altri non se la sentano di avvicinarsi se non per un qualche raggiante scambio di intimi convenevoli e sguardi incerti. Cos'è? Hai deciso di morderti la lingua pur di non rovinare la serata? Potresti farlo, non ne sarei rammaricato, o magari sì, però non ti odierei se lo facessi.
So che non ti senti ancora pronto ad affrontare il mondo, Deku, lo percepisco e lo vedo chiarimente nel tuo modo apprensivo di cadenzare ogni parola che scambi con Iida e Shouto. Non vuoi lasciar trapelare una sola nota di insicurezza, temi che possano fraintendere e pensare che la decisione di unirti a me indissolubilmente sia un appiglio per non ricadere negli errori passati.
Vorrei tranquillizzarti, dirti che loro sono solo degli sciocchi che non sanno, che non potranno mai sapere quanta tormentata sia la nostra storia; sono pensieri inutili che rimando giù quando vedo Kirishima avvicinarsi a te e scorgo il primo, vero respiro che prendi.
Già, probabilmente lui è l'unico a poter comprendere, anche se non totalmente, il marasma che ci ha inghiottito e ci ha portato fino a questo punto. Solo lui riesce a strapparti una sincera risata dopo un veloce dialogo e non chiedermi perché, ma so che state parlando di me. Mi indirizzi un paio di occhiate prima di accorgerti del mio corpo teso ad osservarti nonostante l'attenzione che dedico ai vaghi discorsi di Sero e Tokoyami. Ed infine ti decidi a regalarmi un segno, un intervallo che getta un'ombra tranquillizzante sul tuo viso. Non ti curi che Eijiro ti possa vedere, non ci tieni a nascondere il segreto che vuoi condividere con me e che in realtà stai mostrando a chiunque possa soffermarsi sulle nostre anime legate da sottili fili purpurei. Non una, ma mille corde rosse ci hanno tenuto assieme, come pezzi, stracci di capitoli inconclusivi se presi singolarmente.
Ti amo. Lo mimi con le labbra e le mute lettere volano nell'aria, si librano sopra le teste che affollano l'ampio soggiorno e si depositano su altre labbra, le tue complementari, che senza sprecare pensieri ricambiano il tuo messaggio. Sale la voglia di farmi spazio e giungere da te per sussurrarti una seconda volta questa confessione, eppure punto le scarpe sul pavimento e mi sforzo di apparire stabile perché è così che sento di voler ostentare forza, la stessa che ammiri da lontano e che spero riesca ad infastidirti e stuzzicarti.
Prendimi, adesso, tra un'ora, non conta il quando, neanche il dove, ho riacquistato abbastanza coraggio per dichiare ad ogni persona qui presente l'Amore di cui sono succube. Potresti esporre la violenza che ha macchiato i nostri corpi ed io non batterei ciglio, certo che l'incomprensione dilagherebbe attorno a noi.
Per ora scambiamoci sguardi complici mentre la serata trascorre, i primi invitati lasciano l'appartamento dopo aver assistito a come Mina si sia divertita a spargere torta sul mio viso. In un moto di complicità ho ricambiato la sua avventatezza e per poco siamo tutti tornati indietro, nel salotto dei dormitori, pigiami di supereroi e timidi scherzi a condire le nostre risa.
Sono rimasto solo io qui fuori sul balcone, avevo bisogno di una distrazione prima di rientrare e quando la portafinestra si è chiusa non mi sono voltato a salutare la chioma rosata di Mina che sicuramente stava andando alla ricerca di un bicchiere d'acqua dopo essersi strafogata di dolci. "Sono troppo buoni!" ha esclamato di fronte al vassoio delle paste e non un bignè è sfuggito alla sua gola. Che posso dire? Anche io non disdegno quei piccoli concentrati di bontà, anche se all'immaginarmi addentarne uno il mio stomaco si capovolge facendomi intuire che anche oggi la mia fame sarà irrisoria rispetto alla tua. Sussulto impercettibilmente nel figurarti intento a soddisfare il tuo languore in ogni modo, persino con me. Qualcosa si contrae in me, riportando a galla le assurde prediche che mi hai fatto quando ti ho accolto nell'ennesimo ansimo sotto ad un getto di pioggia tiepida. Quella maledetta doccia...vuoi dirmi che saresti stato capace di rinunciarvi solo per non ritardare sulla tua ben costruita tabella di marcia?
<Certo che no> sussurro in risposta a me stesso con soddisfazione e prendo a ticchettare con le unghie sulla ringhiera alla quale sono appoggiato.
Il vociferare si fa vicino ed intuisco che qualcuno mi stia disturbando nella quiete che avevo trovato nel panorama cittadino. La porta scorre, si apre e si richiude velocemente ed io ringrazio per questa premura. Vorrei stare qui fuori ancora qualche minuto.
Un'ammasso di ricci scompigliati mi affianca e non me ne stupisco. Sei tu, sei sempre tu a trovarmi.
<Niente sigaretta questa sera?> ti sistemi posando il mento su un palmo ed esponendo il tuo profilo al mio sguardo. Lo percorro tutto, voglioso di arrivare alla bocca che mi ha rivolto un'innocua domanda.
<No, non ora almeno. Dopo, quando saranno andati via tutti. Dopo, Deku, avrà un gusto migliore> ti rispondo alludendo a come i miei pensieri si siano già proiettati in avanti, nel caldo scenario della nostra stanza o, chi può saperlo?, sul divano dove al momento quei due scalmanati, Denki ed Eijiro, sono collassati.
<Hai ragione> bisbigli mordendoti il labbro inferiore ed io capisco che la vediamo allo stesso modo: l'attesa è piacevole.
Sbadigli, ma so che non sei realmente stanco, un luccichio attira il mio sguardo che subito scende sulle tue nocche. Eccolo, quell'anello liscio sul quale spunta, come un bocciolo od una gemma d'albero, un diamante stretto nella morsa dell'argento. È così bello a vedersi con la luce della città che lo accarezza con più gentilezza rispetto agli invasivi raggi del sole. Adesso è perfetto, mi dico, è così simile a te.
<Fra due mesi, non chiedermi il motivo, mi sembra solo il tempo giusto per organizzarci senza fretta>.
<Va bene> annuisco e mi accosto a te. Sento il tuo respiro uscire dalle narici e il solo fatto di poter carpire un suono tanto flebile mi fa formicolare le guance.
<Ci hai pensato?>.
<Credevo di averti già dato una risposta>.
<Sì, intendevo chiedere se hai qualche ripensamento>.
<Non lo so> ed ora butto fuori aria con fastidio, studio le strade che si vedono giù dal balcone, mai deserte, sempre trafficate.
<Ma lo vuoi> affermo con convinzione e tu non mi smentisci.
<Sì, ma se lo facessi, Kacchan, non sarebbe sbagliato? La merito davvero una seconda possibilità?> e ricadi nel tuo vizioso ragionamento. Ti vedo, sai? Trattieni troppe cose, troppe sillabe sulla punta della lingua.
Io non te l'ho concessa, te la sei presa, l'hai strappata alla mia volontà. Il come desidererei risponderti è diverso dal commento che ti rivolgo.
<Non pensarla come ad una nuova possibilità, ad una nuova vita, non ne sarai mai sicuro altrimenti>.
<Non dipende solo da me> la tua voce è tagliente.
<Sì, invece - non ti guardo, ti porgo la mano e tu depositi le tue dita fra le mie tendendo le orecchie per ascoltarmi attentamente, incuriosito dal mio contraddirti - Mi ha accettato perché sono parte di te, ma non mi è mai appartenuto. Ha atteso per tanti anni con me e ti chiama, lo fa con insistenza, mi dispiace solo di averlo capito dopo tutto questo tempo. Il One for All è tuo. Toshinori non mi ha detto nulla, non ha voluto esprimere la propria opinione quando gli ho esposto l'idea, ci credi? Ha solo annuito con un sorriso stanco. Quel vecchio pazzo, non hai idea di quanto tu gli sia mancato e di quanto sconforto abbia provato quando ti ha rivisto> deglutisco percependo le tue iridi indagare sui miei tratti irrigiditi dalla brezza primaverile.
<Non è mai stato deluso da te, davvero, togliti dalla testa questo malsano pensiero. Lui continua a credere in te, lo continuerà a fare, perché anche lui fa parte di quella famiglia che credi di aver perso. Noi tutti ne facciamo parte> cerco di sottolineare dando uno sguardo verso quegli insopportabili ragazzi che si stanno divertendo ad appropriarsi della nostra sala. Sono sparsi nel salotto, persi in conversazioni che li tengono occupati nell'attesa che si faccia tardi ed arrivi l'ora di andare a casa.
<Ascoltami. Devi vivere senza tormentarti per quel che è successo, ma non dimenticare il passato, te ne prego. Devi sapere quanto hai ferito non solo noi, ma anche te stesso e se vorrai io sarò qui ad attenderti. Torna da me, sul serio questa volta> pronuncio l'ultima frase accostandomi al dorso della tua mano e, in un atto istintivo, lo bacio per porre un freno alla miriade di altre cose che vorrei dirti. Tremi, era da tanto che non lo facevi. È per il freddo? È per me? È per l'insicurezza che ci insegue? Affrontala, riprendi a camminare, so che la tua pazza corsa ti ha tolto troppi respiri.
<Lo credi davvero?> non sopporto i tuoi dubbi, non più.
<Non sono io che devo decidere>.
Per un attimo mi aspetto che tu te ne vada, che mi lasci solo sul balcone e che prenda un'amaro cambio di rotta. Non posso aiutarti, non in questo, cerca di comprendere.
Ti rivolgi al cielo, mi sorprendi, e tenti di perderti in esso. Cerchi per caso una qualche rassicurazione in quella trapunta di velluto blu e stelle fisse? La mezza luna che spunta all'estrema destra rispetto a noi ti fissa come una misteriosa creatura, la immagino guidarti per sentieri già percorsi e pieni di insidie che ormai conosci. Sospiri, inspiri.
<Sì, lo farò, riprenderò il mio posto>.
*(1): Cercami, André Aciman. (Spazio di una lettrice che ha consumato troppi libri nell'arco di tre giorni: sto leggendo adesso il libro che ho citato e devo dire che non mi ha preso come il primo. Chiamami col tuo nome resta, per me, la sola ed unica storia d'amore di quest'autore che rileggerei senza annoiarmi. Non credo che avesse bisogno di un seguito per quanto il finale mi abbia lasciato con un certo peso sul cuore. Se lo avete visto o letto, voi che ne pensate?)
Rieccomi! Questo capitolo mi ha preso un po' di tempo (rip alle ore che avrei dovuto passare a studiare chimica organica), spero che vi sia piaciuto.
Mi duole, e non poco, annunciare che si inizia ad intravedere la fine di questa intricata storia in cui avete accompagnato me ed i due problematici protagonisti.
Ma non pensiamoci adesso, insomma, Izuku è prossimo ad una svolta importante, una svolta che lo ricondurrà nel passato e gli farà fare un passo nel futuro, credete sia rischioso?
Io so solo che mi sento fiera dell'uomo che è diventato e questo vale anche per Katsuki e mi piace pensare al fatto che abbiano condiviso tutto: l'infanzia, l'adolescenza, la vita, anche nella lontananza, e persino qualcosa di tanto intimo come il segreto di OFA.
Come credete che sistemeranno le cose? Ci aspetta una nuova, vecchia conoscenza più avanti, chissà se riuscite ad indovinarla prima del prossimo aggiornamento.
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