/25/ Giovani e crudeli

Sta tramontando, in un turbinio di cupe sfumature, nuvole stanche e rombi di tuoni in lontananza. Marzo ha fatto il suo ingresso con il primo e prematuro temporale di stagione. L'inverno sta finendo, lo sento nelle vene, non nel vento che soffia gelido e profumato, non nel sole che si nasconde dietro alle siluette dei cumulonembi, lo sento dentro. È sulla mia pelle con la sua pioggia leggera che filtra dalla finestra rotta e che annuncia la tempesta, è nel tremore delle mie ossa, nel colletto della camicia che tengo fra le dita e stropiccio in preda ai brividi.
Ti sento distante, ma non come le scorse settimane, ti sento pensarmi, consolarmi dal nostro alto palazzo e ti immagino allungare una mano oltre la ringhiera. Guardi giù dal balcone, membra molli e cuore stretto, provi a raggiungermi e non riesci a seguire le mie tracce nel labirinto che sovrasti e da cui ti ho spinto fuori prima che ne restassi intrappolato.
Ti lascerei raccogliermi, portarmi via da questa grigia realtà, ma il mio animo si è ancorato sul fondo del mare e sono rimasto impigliato a mia volta. Sei stato tu ad offrirmi la libertà, io l'ho solo rifiutata.
Ho qualcosa da fare, un impegno inderogabile, sono certo che tu possa comprendere.
Non essere triste, anche da quaggiù posso raggiungerti, provo a promettertelo se vuoi, facendomi coraggio e stringendo il mignolo in un giuramento invisibile. Mi guardo i pugni lividi. Forse non posso, le nocche fanno male quando cerco di piegarle. Chiedo perdono di nuovo, non ho neanche la forza per mettere a fuoco decentemente le chiazze secche che porto sulla pelle e non posso dirti come mi sento, ho la bocca asciutta come non mai. La mia voce si sta inaridendo ancor prima che possa farla risalire dalla gola, posso solo respirare vicino a questo muro scrostato e di un malsano colore che più ammiro, più ne riconosco le marcate cicatrici. Tutte queste crepe che sento sotto alle dita, che tasto, sono sempre state così accese, così umide? Appaiono come fiumi di vita, vita che scorre e che va e nel rosso della linfa si disperde.
È mia, è mia, ridammela. Si ripete con prepotenza nella mente, un pensiero che provo ad allontanare, ma che permane e mi mantiene vigile. Ora la vedo, ora sfuma, ora sbiadisce, ecco che la mia anima si riversa a gocce sul duro pavimento di pietra e macchia senza pietà le piastrelle.
Raccolgo le energie in un respiro e mi poso alla parete coperta di schizzi; la mia spalla, il mio braccio, la testa, mi fanno male. Come spilli piantati nel corpo, i tremori vanno e vengono ed inizio a sentire i polmoni farsi pesanti.
Non preoccuparti, è stato un imprevisto, pensiamo ad altro. Tra un mese esatto sarà il mio compleanno, non sei felice? Lo passeremo assieme, ci faremo trascinare da Mina in un qualche locale, parleremo, rideremo, faremo tardi, ci butteremo sul divano sfiniti dalla serata e ci dedicheremo i sogni in cui assopiremo. Vivremo nella calma, fantasticheremo sul giorno che si avvicina, sulle cose da preparare, sui discorsi da fare, sull'ansia a cui non cedere. E prima che il tempo ci sembri scorrere lento potremmo sorridere nella certezza di esser legati da un filo dorato resistente quanto il nostro amore.
Come un riverbero nelle viscere, lo sento salire e quando arriva il colpo di tosse mi scuote violentemente. <Cazzo- le mie pupille si spostano per la stanza dove una fastidiosa polvere aleggia in attesa di posarsi -muoviti!> provo ad imporre un ordine, ma a quanto sembra i miei muscoli vogliono disubbidirmi e a stento si contraggono. È il massimo che possa fare? Dopo un ultimo tentativo mi rigiro sconsolato mentre scivolo fino a terra e mi impongo di respirare nonostante senta la pelle tirare lungo tutto il petto.
Sono sfinito, non riesco neanche a descrivere decentemente quanto stanco mi senta. Eppure non ho sonno e con gli occhi irritati che bruciano in questo modo sarebbe difficile anche solo pensare di chiudere le palpebre per riposarmi. Le tempie pulsano al ritmo dei miei battiti, sento il cuore rimbombare contro il cranio e ho paura che questo fastidio si trasformi in dolore da quanto si fa pressante. Mi porto le mani alla testa, sto sporcando la mia chioma già intrisa di sudore freddo, di terra e di sangue.
La calma che è sopraggiunta in questo posto è innaturale, assurda nell'essersi presentata come un bocciolo fiorito fragile e prematuro e purtuttavia pronto a mostrarsi nella sua terrorizzante bellezza. La odio, odio il suo silenzio ed odio lo sfiancante senso di nausea che mi pervade. Non ho nulla nello stomaco, ma la bile mi risale nell'esofago come se dovessi rimettere tutti i pasti degli ultimi giorni, pasti che spesso sono stati sporadici o assenti. Saranno i miei ultimi sforzi, i miei assordanti pensieri che disperatamente si annullano a venir rigettati. Un altro colpo di tosse, questa volta un petalo di rosa rossa pende dalle mie labbra e tinge il proprio percorso fino al mento. Lo puoi vedere? Prego che tu non possa avvertire alcun peso, che nessuna nota stoni e che la melodia del giorno ormai giunto alla fine non si interrompa per te. Perché credo che, se fossi al tuo posto, una stretta al cuore sarebbe invetabile, come se un tuo qualsiasi malessere potesse riflettersi su di me aumentando esponenzialmente, anche se fossi lontano.
Non sono messo così male, mi dico mascherando una smorfia con un sorriso tirato, ho affrontato di peggio rispetto a queste ammaccature e tu lo sai, ne sei ben consapevole: questa via, quella da cui ti sei separato e che ora si fa stretta attorno al mio corpo, porta con sé rischi inevitabili.
Resta dove sei, continua a guardare il mondo con quei tuoi occhi curiosi e taglienti, prova a non prestare più attenzione del dovuto. Passa, va e più non dimandare.
Quando pochi giorni fa ho avuto tue notizie da Eijiro mi hai lasciato a corto di parole, penso a questo adesso che ho tempo. Mi ha detto che ti ha incrociato nella via di casa, non la nostra, la tua, quell'antro oscuro, quel buco nero a cui non eri riuscito a fare ritorno per anni e mi sono sentito ferito nel profondo. Non sono stato io, infine, a ricondurti sui tuoi passi e ho avuto come l'impressione di aver fallito ancora nel tentativo di amarti nonostante le promesse che ci siamo scambiati al nostro ultimo incontro. È stata solo una chiamata, una chiamata davvero pesante. Il discorso ha preso una piega strana nel momento in cui, con voce incerta, ho chiesto tue notizie e Kirishima ha preso un gran respiro lasciandomi sulle spine per lunghi secondi. <L'ho visto, sembrava distrutto> ed il sapore della vita non mi è mai parso tanto aspro; sapevo della nostalgia, sapevo del rimorso che ancora condividiamo, ma volevo ignorare le questioni irrisolte, spettri delle nostre ombre che ci inseguono senza sosta. Nemmeno la notte può celarli, nemmeno le nostre carezze possono domarli ed entrambi siamo impotenti al loro cospetto. Dobbiamo reggerci da soli, almeno per adesso.
Ma io ne ho la certezza: hai varcato quella soglia da solo, rinunciando al mio sostegno e non posso fare altro se non ringraziarti e maledirti al contempo. Dovevi farlo, lo capisco, mettendomi da parte e cercando con le tue forze i brandelli di ricordi che hai sparso in quell'appartamento. Devi aver trovato una sedia spostata, meno polvere del previsto, una tenda scostata e un giornale spiegazzato vecchio di qualche mese posato sul tavolo; sono stato io, perdonami, a non lasciar appassire quel posto poiché un giorno, così mi son detto, un giorno vi tornerai.
Hai posato un piede sul vecchio parquet e ti sei addentrato in punta di piedi per il corridoio, sei arrivato in sala, ti sei tolto la giacca, la mia spero, e solo dopo aver dato un veloce sguardo alla cucina hai sospirato. Non chiedermi come, so che è andata così.
E quando hai ceduto? Quando sei stato divorato dai mostri nascosti dietro alle porte? Quando hai desiderato di avermi accanto?
Era la tua vita, non la mia e questa verità è difficile da mandare giù. Abbiamo condiviso tanto, ma non tutto ed io non posso prendermi questa responsabilità, non questa che è tua. Ti sarò sempre di sollievo, non dubitarne, ti terrò la mano finché potrò e ti darò respiri che forse servirebbero più a me che a te. L'amore che provo mi dice di darti quanto più mi sia possibile, non desidero lasciare indoddisfatto un capriccio tanto insensato quanto necessario. Gli sbagli, gli errori infantili, i pregiudizi, la scomodità della crescita, è tutto alle nostre spalle e ha depositato un retrogusto ferroso sulla mia lingua. Guardami. Mi contraddico come al solito...voglio che le tue giade si posino sull'uomo che respira piano accanto alla parete, con gli abiti logori e pieni di pulviscoli, che non ha alcuna ferita mortale, che è crollato per il riposo a cui ha rinunciato, per aver messo da parte il buon senso e aver preso decisioni che alla fine si riveleranno giuste, ma che adesso appaiono come grandi peccati. Quello in cui mi adagio è un fiume disadorno del suo splendore, arido nel suo letto prosciugato dalla presenza di pentimenti che piano danno forma a cristalline vene che scavano nel terreno. Cederà sotto ai miei piedi e mi farà sprofondare, però tu continua a sperare. Non ci vorrà molto e risalirò, sul serio questa volta, afferrerò le dita che mi porgi con tanta disperazione e le stritolerò anche quando avrò superato il precipizio.
L'ho fatto per te. Mi rideresti in faccia se osassi affermare una cosa del genere, ma sarei sincero nel pronunciare una frase così scontata. Sei stato la motivazione dietro ad ogni sforzo a cui mi sono sottoposto in questi anni ed ammetterlo riapre tagli nell'animo fragile che porto e che tento da sempre di condividere con colui che amo.
Colpi leggeri che sembrano assordanti, rabbrividisco e strizzo le palpebre mentre qualcuno mi si avvicina e mi afferra saldamente scuotendomi. Il mal di testa peggiora e questa volta non posso evitare di fare trasparire l'affanno che ho nonostante sia immobile da minuti che sono parsi ore.
<Maledizione, dobbiamo andare. Katsuki, parla! Apri quei fottuti occhi!> scuoto la testa frastornato dalle parole pronunciate ad un volume davvero troppo alto per il mio povero udito. Le orecchie prendono a fischiarmi, è insopportabile e stringo i denti avvertendo il suono farsi acuto fino ad un livello che temo mi scoppierà la testa.
Mi sono cacciato in una di quelle situazioni, ti chiedo di nuovo perdono e mi mordo la lingua per cercare inutilmente di zittire, con questo gesto fisico, i pensieri che non fanno altro se non costruire un ammasso di sensi di colpa. Si accatastano l'uno sull'altro e la pila si fa alta, altissima. Sfiora un limite che neanche sapevo di avere e d'improvviso crolla mentre Keigo, con quanto più buon cuore riesca a dimostrare, mi tira su. Non sono pronto, non mi ha chiesto se lo fossi e a stento traballo fino alla porta di questo malsano ambiente.
<Ma insomma -dice con il fiatone che lascia intendere che abbia corso per arrivare fin qua- è la seconda volta che salvo la vita al Number One, questa me la segno>. Non rispondo, sibilo solamente allungando una mano fino alla parete del corridoio per avere un sostegno in più oltre a lui.
<Che è successo qua?> scalcia un paio di calcinacci, i suoi piedi si fanno strada sul pavimento ed i miei si trascinano al suo seguito. Penso di star per cadere, ma mi sorregge saldamente per un fianco. Trattengo un sussulto constatando che proprio sotto il suo palmo devo aver preso un colpo che, se lasciato senza un minimo di cura, mi regalerà il miglior livido che abbia mai avuto.
Provo a raschiare la gola e ad aprire bocca tossendo alla vista di svariati pezzi di vetro scheggiati sparsi per ogni dove.
<Sono stato io> spiego sbrigativo, ottengo un'occhiata indecifrabile e Takami pare farsi meno propenso all'alleggerire la tensione.
<Questo potevo intuirlo, ma non starò a chiederti adesso il motivo. Pensiamo a portarti via prima> assottiglia lo sguardo e, se lo vedo serio oltremodo nello scrutare attentamente in avanti, guardandomi mi rivolge un sorriso.
<Sono un idiota> commento come se lui potesse comprendere come mi stia sentendo. Non ottengo altro se non un cenno di assenso, almeno concorda con me.
<Ti sei fatto prendere la mano, non farne un dramma> dice, ma mi sento comunque gelare al pensiero di essermi spinto nuovamente sul fondo. Queste missioni, ora ricordo, mi hanno sempre disgustato.
<Che ti ha detto la testa?> ora siamo nel mezzo del sentiero, ove la strada si fa ombrosa ed il terreno scivoloso, tienimi la mano.
<Non lo so> sospiro a fiato mozzato da una fitta che dal fianco sale fino al petto. Voglio distrarmi e noto solo adesso gli stivali di Hawks. Sono impolverati, ricoperti della pesante atmosfera di questo malandato edificio e pestano su macerie umide e si addentrano nell'eco del temporale che si avvicina. Vorrei esser portato via dalla pioggia, ignorare la rigidità dei muscoli, il modo in cui vengo sorretto con maggior accuratezza quando le mie gambe cedono.
<Scusami, non ce la faccio> e scivolo dalle sue mani, le ginocchia si fanno come macigni nel trascinarmi a terra, il mio intero corpo è pesante, pesante come non l'ho mai sentito e ho il presentimento che il mio non sia solo intorpidimento, non solo debolezza, ma che altro si celi al mio interno. È finita, potrò tornare da te, ma quali timori ho accumulato? Quali mi attendono? Quanto riposo potrò concedermi?
Ho desiderato così tanto dormire negli ultimi giorni che mi sono ritrovato a passare notti insonni nel rigirarmi fra preoccupazioni e la disperata ricerca del tuo profumo fra lenzuola che, lavate e cambiate, non potevano più portar traccia del tuo passaggio.
Ti ritrovo però, proprio nell'ora più tarda, in questa sera segnata da offese, rivelazioni e disperazione.

"Fa attenzione, non potrò essere con te."

Il tuo ultimo messaggio fa capolino fra i miei ricordi e tremo per la rabbia ed i sensi di colpa che scalano la mia schiena conficcandosi in testa. Era un post scriptum nascosto, dietro il post it, e non spiccava molto su quella carta giallognola. L'ho notato alla terza, fatidica mattina dopo il nostro contorto arrivederci, mentre sorseggiavo un tè amaro e mollato troppo in infusione. Vagavo per la stanza, discorrevo da solo sul da fare, mi rimproveravo di esser non più in alto mare, ma prossimo ad una soluzione che non riuscivo ad afferrare e una tale frustrazione era davvero peggiore della precedente confusione.
Tenevo il tuo dolce scritto attaccato sull'angolo del portatile, lo guardavo continuamente, lo consumavo con sguardi di puro desiderio e mi dicevo di muovermi, di bere l'ennesimo caffè e fumare la quinta sigaretta, di fare rapporto, di confrontarmi con Mina, di chiamare mia madre. Non ho seguito i miei stessi consigli, non me ne stupisco: siamo tutti più bravi ad elargirli che ad esser coerenti agli insegnamenti che propiniamo.
La colla non ha retto, si è seccata e quel foglietto è precipitato sulla tastiera. Eccolo, il tuo messaggio al completo, sette parole che ora si imprimono sulle mie labbra. Le muovo, quasi a voler davvero fare il verso alle tue raccomandazioni, ma nessun suono osa fendere l'aria oltre alla pioggia che ha preso a scendere copiosa ed infiltrarsi nel cemento crepato. Il soffitto gocciola ed io impallidisco nel cogliere un luccichio sulle piastrelle.
C'è una siringa vicino alla ringhiera delle scale, abbandonata e sporca, corrotta testimonianza e disgustoso tramite per rivivere le scorse ore. Qualcosa mi colpisce sulla nuca, qualcosa di bagnato e stupidamente realizzo con lentezza di star sotto al punto in cui l'acqua ha deciso di confluire per riversarsi all'interno di queste mura. Un sospiro, un movimento veloce ed il fastidio cessa. Keigo ha disteso le sue piume, mi sta proteggendo da una cosa talmente innocua che mi piacerebbe riuscire ad immaginarla come un immane pericolo piuttosto che apparire tanto malconcio sotto ai suoi occhi per qualche lacrima del cielo. Mi stringo nel completo sgualcito e dalle mille macchie che lo hanno rovinato. Era uno dei tuoi preferiti, è un peccato che ora debba buttarlo. Sono smarrito, poi ritrovato, ho bisogno del rombo dei tuoni, poi del silenzio e Takami attende, mi concede un respiro.
H

ai cercato di proteggermi, fin da quando eravamo bambini, timoroso che il mio carattere potesse inimicarmi il mondo in cui cercavamo di farci spazio. Io non sono stato da meno. Non ho mai voluto che tu realizzassi i tuoi sogni, non se questi avessero segnato la tua disfatta e la verità è che ho fatto di tutto per tenerti al sicuro, persino da me. Vorrei esser stato meno cauto, aver vissuto appieno l'inizio della nostra carriera, è un po' tardi per aver certi ripensamenti, non è vero?
Ti chiederò di ascoltarmi e so che lo farai, so che non ci rifiuteremo ancora, so che vorrai bearti dei miei sproloqui anche se questi si dovessero rivelare inutili. Danzeremo sotto al diluvio, cantando della vita che è passata e di quella che ci attende, degli infausti avvenimenti che mi hanno ricondotto a casa, delle battaglie che abbiamo intrapreso soli e testardi. Esiste forse modo migliore per confessarsi?
Ci scambieremo baci, parole, ma ora la realtà mi schiaccia, non riesco a trattenerti e vai, scorri nelle strade, che la pioggia ti porti lontano e che le mie brame ti inseguano.

Wattpad ha deciso di nuovo di inserire spazi a caso, come avrete notato, ed io ho rinunciato a  cercare di risolvere il problema.

Katsuki si è cacciato in qualche guaio, o, per meglio dire, il guaio è incappato in lui. Vi saranno approfondimenti nei prossimi aggiornamenti.
Vi auguro una buona notte (o anche un buongiorno visto che pubblico sempre ad orari indecenti) e spero che il capitolo abbia stimolato il vostro interesse(◠‿◕)

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