/24/ Euetheis*

Ho tenuto in mano tanti documenti, tanti fogli questa mattina, a stento ricordo quante volte ho guardato la pila scendere e come ho sospirato una volta finito di perdermi in quelle righe noiose a sera inoltrata. Mina sa davvero sfruttare chi le sta attorno e per quanto tutti quei rapporti mi siano stati utili non so togliermi dalla testa l'idea che si sia divertita a sentire gli ingranaggi della mia testa cigolare assordanti nel suo malconcio studio.
Rituffarmi nel lavoro è stato più semplice di quanto pensassi però e ho ignorato con quanta più indifferenza possibile lo sguardo stranito della rosa quando mi ha visto spalancare la porta con un sorriso a metà fra il teso ed il rilassato.
Sto finendo di revisionare gli ultimi schedari, è stata una vera fatica farli arrivare fin qua dagli archivi di Tartaros, ma non mi posso lamentare. Aizawa e Keigo si sono rivelati utili e hanno facilitato tutto il giro di scartoffie richiesto...e pensare che sono stato io a fornire tutti questi dati ai piani alti! Quanta ingratitudine, potevano almeno darmi via libera fin da subito.
Nomi, nomi e ancora nomi, la lista è lunghissima e quando ho trovato le pagine riguardanti quello strambo scienziato sono rimasto davvero deluso dalle informazioni riportatevi. Sappiamo tutto su di lui, persino il numero di scarpe, ma il fatto che sia stato dato per morto nell'esplosione dell'ultimo scontro non mi pareva quadrare da un po', sarebbe stato troppo banale. No, lui è sempre stato nelle retrovie, si muoveva dietro alle evidenti stragi che causava; a partire dai Nomu fino alle sperimentazioni umane, ogni sua macchinazione era ben studiata e concepita per metterci i bastoni fra le ruote. Ecco perché mi riesce difficile anche credere che averlo trovato con una pallottola piantata in testa sia solo l'epilogo di una triste fuga dalla giustizia: faceva ribrezzo, come essere umano intendo, e non poteva abbandonare la via della pazzia per quasi una decina di anni dopo tutto quello che ha fatto per All for One. Quella sua subdola mente ha fatto la sua mossa, noi siamo intervenuti ormai tardivamente ed ora le pedine sono mischiate, il tavolo da gioco ribaltato, i pedoni strisciano sul pavimento, gli alfieri studiano la situazione senza capirci molto, una delle torri è scomparsa, andata perduta, ed io, unica in campo, sto cercando di proteggere le colonne portanti della città. Avevo ragione: questa missione era mia fin dal principio. Ne ho avuto il sentore quando Endevour si è presentato alla mia agenzia con una faccia che più sconvolta non poteva essere, ma da stupido ho sottovalutato il tutto e mi sono detto di non prendere impegni, ho pensato di scaricare la cosa sulle spalle di altri e di dedicarmi a te, a te e a nient'altro. Non importava dover tornare a casa e farmi piccolo nello spazio che ci eravamo ritagliati, a me bastava averti accanto. E volevo così tanto strisciare fino all'uscio e sgattaiolare in soggiorno, trovare i tuoi ricci coricati sul divano, un paio di cuscini caduti per terra, mani che sporgono dalla soffice stoffa della coperta, un ammasso di fili sintetici che restano tutt'ora una delle poche reliquie del tuo passato. L'avevi presa ed infilata in borsa di fretta quel giorno di mezza stagione, il giorno del tuo malsano addio, così mi piace descriverlo, prima di dirigerti verso la libreria della tua vecchia camera e svuotarla. Non me lo dicesti a voce, ma si vedeva che tenevi particolarmente a quel caldo conforto di casa che ti tenevi addosso nei mesi più freddi. Era di Inko, rammento di averti visto tirarne i lembi sulle sue spalle una sera che eravamo tornati tardi e lei si era addormentata davanti alla televisione; ci eravamo seduti al tavolo in cucina e mentre mettevi su una tisana mi hai detto di restare lì a dormire, di non disturbare i miei facendo il solito casino con la serratura della porta.
<A lei non dispiacerà, mi chiede sempre di invitarti a cena, a pranzo, a volte credo che ti voglia adottare da quanto ti adora> dicevi e mi scappò un sorriso mentre premevo una guancia contro il palmo su cui mi appoggiavo. Sbadigliai, ma mi premurai di restare abbastanza sveglio.
<Da piccoli capitava spesso di passare le giornate assieme, spesso crollavamo davanti ai videogiochi e ci svegliavamo all'ora del desinare, ti ricordi?>
Annuii felice di ricordare l'imperfetta infanzia che avevamo vissuto fra parchi semideserti, strade di campagna e le ultime uscite dei giochi della PlayStation accatastate vicino al tavolino della sala a casa mia.
<Una volta ti sei strafogato del riso al curry di mia madre fino a star male> rammentai con palpebre calanti e tono divertito per quanto mi sentissi la bocca impastata dal sonno sempre più insistente. Ridesti quasi in un sussurro e mi passasti la ceramica fumante. Mi sentii rinsavire un poco dal torpore immergendo il naso nel vapore della camomilla.
<Dico davvero- prendesti posto sulla sedia a capotavola, alla mia sinistra -le sei sempre piaciuto, ma ora è come se, non so, se-
<Ama vederti felice> non credo che tu avessi intenzione di concludere in quel modo la spiegazione, ma le mie parole ti rivelarono una verità banale e purtuttavia speciale, a cui non avevi pensato.
<Hai proprio ragione, come al solito> mi fissasti e ti sporgesti per darmi un bacio con aria sognante.
Quanta leggerezza nei tuoi occhi, quanta stanchezza nei nostri corpi quando ci coricammo nel tuo letto dopo una doccia che, nel silenzio, avevamo condiviso. È proprio un peccato che la vita si sia inasprita tanto giusto un mese più tardi.

<Al volo!> stacco gli occhi dalle parole che ormai si confondono, mi scopro improvvisamente più sveglio di quanto non fossi pochi minuti fa, quando stavo ripensando alla tua sventurata storia. Un piccolo cartoccio appallottolato fra le dita: è stagnola.
<Vedo che hai molto da fare> commento lasciando scivolare nel cestino, sotto alla scrivania, l'involucro del panino che Mina ha gustosamente mangiato davanti a me mentre il mio stomaco si contorceva. Non metto sotto i denti qualcosa da questa mattina, il nervosismo mi ha preso in ostaggio e finché non me ne libererò sento che un solo boccone mi farebbe salire la nausea.
<Guarda che ti sto aiutando!> dice con tono lamentoso e sventolando un paio di fogli per farmeli notare. Certo, sei sulla stessa pagina da un'ora. Roteo gli occhi per non fare qualche commento irrispettoso, sbuffo sonoramente e mi raddrizzo allontanandomi dalla lettura. Ormai non ho più molto da indagare, in verità tutte le informazioni che cerco sono a portata di mano, giusto oltre la finestra, disperse nell'ombrosa tranquillità della sera.
Mi lascio andare sulla sedia e immagino di poter riavviare il sistema, spegnere la mente e rilassarmi, ma non è facile.
<È passato Midoriya, non è vero?> sposto lo sguardo su Mina, non sono sorpreso del suo "acume", di sicuro qualcuno glielo avrà detto.
<Hai per caso parlato con Eijiro?> chiedo svogliatamente immaginando che quel povero ragazzo abbia avuto il buon cuore di raccontare ai nostri amici quanto arrabbiato tu fossi quando ti ha dovuto portare in macchina fin da me. Ah, quante storie si potrebbero raccontare su di noi!
<No, affatto> mi scuoto prestandole maggior attenzione e alzo un sopracciglio. Posa quel che ha in mano e mi sorride, quasi penso che stia celando un certo divertimento nell'elargirmi un'occhiata che può solo voler dire "ti ho beccato".
<Proprio qua> alza un indice e punta le unghie smaltate d'argento alla base del collo, sto per aprir bocca, ma la vedo salire e tracciare una linea fin sotto alla mascella. Dire che mi sento a corto di parole è poco, sono rimasto a labbra asciutte, neanche mi premuro di non andare a tastarmi la pelle dove lei mi ha fatto intendere di avere qualcosa. Strofino il palmo e mi arrendo all'idea di esser arrossito fino alle punte delle orecchie.
Mi copro gli occhi? Non lo so, secondo te quale sarebbe la reazione più adatta?
Possibile che andando avanti indietro per quel cubicolo in cui sto non mi sia accorto, anche solo passando davanti allo specchio, di dover indossare una maglia a collo alto? Ho pensato che uno dei completi, quello con le maniche un poco più lunghe, sarebbe bastato a coprirmi decentemente i polsi, ma chi avrebbe guardato un poco più in alto e si sarebbe preoccupato di coprirsi di più? Chiunque, sì, chiunque a parte me avrebbe rammentato di come le macchie della passione possono diffondersi sul corpo.
Poi, dal nulla, mi ritrovo a sorridere.
<È così grave?> oso chiedere picchiettando con il tallone per terra.
<Abbastanza- Mina si rigira sulla poltrona su cui si era raggomitolata e, con le guance arrotondate dai pugni su cui posa il viso, mostra un ghigno ammiccante -ma non preoccupartene, ti stanno benissimo>.
Che sbadato, continuo a dirmi, ma grazie a questo piccolo disagio ho finalmente trovato un po' di relax. Ricordare ieri e la sua assurda notte mi fa formicolare le braccia, trattengo il fiato per due secondi e mi dedico a ricambiare l'espressione compiaciuta della ragazza.
Mi mancavano, ammetto, conversazioni del genere; sono leggere, imbarazzanti forse, ma toccano l'intimità di una vita che non sempre riusciamo a condividere e per tutto questo tempo mi sono tenuto così tanto dentro. Forse parlare in questo modo mi potrebbe riportare indietro ai vecchi tempi, a prima del diploma, a prima dell'inizio della nostra storia, a quell'età a metà fra l'infanzia e l'adolescenza, dove il mondo pare nuovo ogni giorno e la leggerezza dei caldi pomeriggi estivi, il sapore della neve e le riviste degli Heroes erano le uniche cose che rincorrevamo durante l'anno.
<Deduco che abbiate risolto e direi risolto coi fiocchi> insiste sul tasto che ha scoperto, ma credo di aver superato la fase in cui divento rosso come un pomodoro e mi metto più comodo sulla seduta.
<Sì, credo, almeno spero... è complicato> le dico sentendo un battito d'ali muoversi nello stomaco.
<Cos'è complicato? A volte il sesso dice più di quanto le parole possano esprimere> commenta. Ne parla come se non fosse una giovane donna, come se lei di esperienza ne avesse molta, moltissima, sia bella che brutta, e quasi credo che si stia complimentando da sola per la frase che ha tirato fuori come se si trattasse di un grande insegnamento.
Mi ritrovo a darle ragione, non posso farne a meno perché anche se mi piacerebbe dire che abbiamo gridato fino a notte fonda e abbiamo tenuto il muso fino a doverci chiedere scusa in ginocchio per tutte le stupidaggini dette e fatte, soprattutto da parte mia purtroppo, credo che le tue mani sul mio corpo abbiano donato ad entrambi un conforto impossibile da ottenere in altro modo.
Molte persone si dedicano troppo a se stesse quando sono in una relazione stabile, cercano di migliorarsi, e trascurano l'altra parte convinte di agire per il suo bene, di poter offrirle un bel pacchetto a fine lavoro, con tanto di fiocco, e poter esordire con un "Guarda! L'ho fatto: sono cambiato per te". L'amore non è fatto a questo modo, ma questa è una cosa che si impara scottandosi e quando si capisce che cambiare non vuol dire mutare fin nel profondo, ma lasciare sempre qualcosa del passato che ci tenga con i piedi a terra, a volte è tardi per rimediare. Colei che ruba il nostro cuore è un'anima che ci ha colto nella stagione più improbabile, nel caso e non nel destino, è  giunta in punta di piedi o con gran frastuono ed ha posato le sue dita sul nostro stelo. Ci prende nella tempesta, nel cielo più limpido e nel vento che porta il caldo e poi il gelo, le apparteniamo in ogni caso, ad ogni solstizio, ad ogni alba e ad ogni tramonto.
Se affrontassimo una metamorfosi e andassimo fino in fondo temo che resterebbe poco di ciò che amiamo, specialmente se tale percorso venisse scelto non per comune accordo, ma per insicurezza. Siamo fragili, ma non per questo deboli, non per questo forti, siamo in grado di amare, in ogni sfaccettatura dell'intricato sentimento che comporta, e questo è l'importante.
<Sì, ma c'è così tanto oltre il sesso, Mina> non batte ciglio alla mia risposta, si fa solo curiosa mordendosi il labbro prima di squadrarmi per bene e soppesare un possibile continuo della discussione.
<Com'è finita?> arriccia il naso, nasconde l'interesse che cresce, ma credo che non resterebbe scioccata dalla verità. Esito ad aprire nuovamente bocca appositamente per farle un torto e non apprezza il gesto.
<Dai, lo sai che altrimenti andrò a chiederlo ad Izuku> ottima carta, considero, ha fatto una buona giocata tirandoti in mezzo. Tuttavia voglio essere io ad addossarmi i brividi nell'essere il primo a dare la notizia.
<Gli ho chiesto di sposarmi>.
Non muove un muscolo, tende un'antenna ed analizza la situazione concludendo che sono proprio sincero e non le sto rifilando una balla per sviare il discorso.
Allora, con la luna che fa capolino fra i palazzi ed un brusio di macchine lontane che giunge fino a questa stanza, nel silenzio che mi accompagna nell'ultimo giorno di calma che mi sono concesso, le si illuminano gli occhi ed io la precedo nell'ovvio quesito che tiene sulla punta della lingua.
<Ha pianto ed io pure, temevo che non volesse dirmi né un sì, né un no, che mi lasciasse con il dubbio di aver fatto una richiesta stupida> le racconto e mi fermo proprio prima del finale.
<È strano, ma vorrei che lo avesse fatto, avrei un motivo in più per sbrigarmi con questa faccenda e tornare a casa per chiederglielo di nuovo> commento e Mina pare volermi prendere in contro piede.
<No, è meglio che ti abbia dato una certezza, altrimenti staresti peggio di quanto tu non sia stato nelle ultime settimane> ora mi zittisco, non so più come esporre i miei pensieri.
<Già, meglio che mi abbia detto di sì> concludo e non so se ridere o piangere mentre sospiro. Dal tono che  hai usato mi è sembrato che stessi per darmi un'amara delusione da digerire, ma che cosa posso dire adesso?
La felicità può essere passeggera.
Me lo sono detto tante volte nei miei ventotto anni, non è mai stato un pensiero facile da accettare. Quando si è divorati dall'allegria si desidera avere abbastanza carne da consumare perché duri il più possibile e le ossa non debbano mai dolere sotto i morsi della tristezza.
E dire che mi sono fatto strane idee, certi bizzarri viaggi, solo per scoprire che la felicità può essere come un uragano: impetuosa, scrosciante, spaventosa e pronta a svanire con la stessa velocità con cui è arrivata. Poiché quando ne si vien colti la apprezziamo solo conoscendone la fine.
Ripenso con nostalgia ai nostri primi appuntamenti, tormentosi imbarazzi che ci lasciavano con il fiato sospeso, se potessi riviverli sceglierei di restare nel presente e di dedicarmi solo al loro ricordo.
La felicità non si può rincorrere, va vissuta e Dio solo sa quanto abbiamo disprezzato e sfruttato tale principio. Abbiamo sprecato tante occasioni, consumato le migliori arrancando all'indomani con un peso nel cuore; di quegli instabili istanti di calore ci è rimasto tutto e nulla.
Vorrei, non sai quanto, potermi concedere il tempo di ripensarci e di sentirmi come una di quelle vecchie menti che rivivono la propria giovinezza. Ma sono ancora nel fiore degli anni e tu con me, come un dolce profumo, attendi che la bella stagione sfumi. Che sia lenta però, non vogliamo di certo ritrovarci con i piedi immersi nella neve e le scarpe zuppe, chi può dire che un qualche malanno non sopravvenga e ci trasporti con più fretta verso l'ennesimo incrocio di strade? Viviamo nell'ignoto, a volte è meglio stare un passo indietro.
Non ho mai ringraziato abbastanza, sono un ragazzo davvero tirchio in fatto di gratitudine perché vedo sempre del marcio in quel che mi viene offerto, ma sappi che non ho mai provato maggior sollievo di saperti al mio fianco.
Ci siamo sentiti cresciuti così velocemente nella notte appena trascorsa, non hai avuto la stessa sensazione? Faticherei a credere il contrario, il tuo sguardo ti ha tradito prima di ogni altra cosa.
È stato come dare un addio ad una vita mal spesa, ma meravigliosa nelle sue imperfezioni e noi siamo davvero solo all'inizio di un nuovo viaggio. No, perdona l'imprecisione, noi siamo solo fermi ad attendere di poter incominciare una nuova corsa. Tratteniamo il fiato assieme, come avremmo dovuto fare molto tempo fa.
Le tue labbra hanno parlato prima che tu potessi formulare una risposta, i tuoi occhi si sono mostrati portatori di una luce abbagliante, tremante, come mille stelle morenti che cedono all'ultimo battito e celano le proprie ferite nella bellezza.
Quali pensieri hai avuto? Quali esitazioni ho trascurato? Perché mi sei parso così deciso e ben disposto ad accettare l'uomo che ti ha causato tanto dolore e che tu hai ferito a tua volta? Eppure non mi importava delle motivazioni, volevo solo che mi dessi la stessa sicurezza che ho rincorso per anni.
Mi hai stritolato la mano con un'incredulità che non credevo di poter suscitare ed in questo modo, nel susseguirsi della tua meraviglia e nel sollievo di esser riuscito a stupirti, con muscoli insistentemente tesi e gambe che sembravano aver perso ogni forza, portasti la nostra stretta vicino alla guancia. Una carezza, solo questo, ed iniziasti a far colare scintille di un sollievo che a stento non giudicai malinconico.
<Sì, Kacchan> ci abbandonammo ad un bacio, il più liberatorio che possa ricordare grazie alla stanchezza accumulata e alla mente ancora vigile, al nostro modo di accarezzarci i capelli e al tuo di premere sulle mie labbra come velluto per risparmiarci il dolore dei muscoli, al come ti facesti spazio sul letto per continuare ad assaporarmi fino alla perdizione dei sensi e all'oblio del sonno. Abbiamo parlato tanto, a parole, a tocchi e non ne ho mai abbastanza di tutto questo. È stato il punto a capo che attendevamo ed ora sono qui, con le emozioni che minacciano di strabordare ancora e ancora, mentre Mina si alza, si fa spazio sulla scrivania e prende posto sull'angolo. Si stringe le mani e più la guardo con le lacrime agli occhi, più sento di non riuscire a trattenerle.
<Lo hai detto agli altri? Ai tuoi?> scuoto la testa, sono andato nel panico dopo aver fatto colazione ed ecco il motivo del mio digiuno. Non ho pensato di farne una notizia, neanche adesso lo vorrei ed in fondo desidero solo condividere questo momento con un'amica che ci è stata accanto come molti dei nostri vecchi compagni. Crescere non è facile, ma insieme è meno pesante, non trovi?
D'un tratto un pollice si posa sul mio zigomo e sussulto osservando Mina portar via una tiepida goccia che si stava facendo strada sulla pelle.
Le permetto di darmi un buffetto solo per questa volta ed entrambi ridiamo della cosa.
<Facciamo così: torna al monolocale, fai qualche chiamata o no, scegli tu, e fatti una bella dormita. Qua finisco io>.

*= da Aristotele, illustrazione dei giovani e dei vecchi. Significa "aperti e sinceri", riferito ai primi. La giovinezza è l’epoca del dinamismo e della scoperta di se stessi e del mondo. La persona giovane ha il diritto di trovare la sua strada, forgiarsi attraverso le esperienze della vita, immaginare il proprio futuro. I giovani sono il fiume che corre rapido scrosciando e mormorando fra gli argini, i vecchi sono la montagna immobile che veglia da lontano la corsa del fiume e quindi ricordano e vegliano col loro amore.
A questo modo Katsuki si sente trasportato dalla vita che prima o poi lo porterà ad affogare, dolcemente o meno che sia, nei ricordi, una vita che desidera condividere con il suo Deku.

Eccomi di nuovo qua!
Ci ho messo un po' a riordinare le idee, sono successe tante cose negli ultimi giorni e giusto oggi ho saputo che martedì tornerò in presenza. Mi costa ammetterlo, ma speravo di fare ancora una settimana in didattica a distanza per riprendermi dalle ventimila verifiche che i prof ci hanno fatto fare e poi diciamocelo: la comodità che si ha casa è impareggiabile, peccato che l'apprendimento ne risenta.
Ma parliamo d'altro, vedere Katsuki e Izuku che crescono è una stretta al cuore che si accresce e, per quanto abbia ancora molto da scrivere, sento già che mi dispiacerà concludere anche questo libro.
Mi è piaciuto inserire Mina, per quanto personaggio secondario, l'ho sempre apprezzata e la reputo una ragazza capace di mostrare la rispettosa sensibilità che ho illustrato, che ne dite?
A volte ci vuole tatto per trattare questi due scalmanati giovani, cresciuti ragazzi e lei, Shouto, Kirishima & co ne sanno qualcosa.
Detto ciò, attendiamo gli sviluppi della missione Kyuu! ( ・ั﹏・ั)

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