/23/ Ubi tu, ibi ego*
Non credo di ricordare ogni morso che hai depositato sul mio corpo, né di come la mia voce si sia affievolita in un mal di gola che a fatica scomparirà.
Rammento, però, il come tu abbia continuato, da terribile ed avido amante, a sanare ferite con lunghi baci sulla mia schiena. E ho sentito, nel darmi tali premure, il come tu stessi cercando di curare anche te stesso.
Non ci resta molto altro da tentare, l'amore è uno scrigno prezioso che può assumere le sembianze del vaso di Pandora e noi lo abbiamo aperto, scoperchiato, dato via libera ad ogni tormento. Il nostro è un affetto plasmato da ingiustizie autoinflitte, insaziabile divoratore dei nostri sentimenti e siamo stati noi a condannarlo alla rovina.
Non posso vivere senza la sua tortura, lo stesso vale per te.
Mi sento morire persino al ricordo della breve distanza che ci ha separati poco prima dell'alba.
Ci siamo alzati assieme dopo minuti di interminabile silenzio, attenti a non scivolare nelle lacrime versate, ci siamo concessi premure che faccio fatica ad immaginare appartenere anche ad altri. Con ruvido cotone ci siamo asciugati dall'acqua ormai fredda e ci siamo persi in carezze di labbra rosate sostenendoci a vicenda. Ma io ho ceduto alla debolezza dei muscoli per primo e mi hai dovuto prendere nuovamente di peso ed adagiarmi sul letto.
Maledetto corpo e maledetto il tuo sguardo: la nostra fame non sarà mai saziata del tutto.
Respiravo piano, avvolto fra coperte sature del tuo profumo, ginocchia al petto e intorpidimento sparso per ogni dove, sdraiato come un gomitolo di ingarbugliati pensieri pronto a distendersi.
Tu invece eri a terra, spalle contro il materasso, gomiti sulle ginocchia, orecchie tese ad ascoltare i leggeri fruscii di stoffa mentre cercavo una posizione comoda. Pur non vedendoti in viso percepivo i tuoi occhi indagare per la stanza; respiravo odore di fumo, me ne beavo mentre prendevi l'ennesimo tiro dalla sigaretta che avevi estratto dal mio consumato pacchetto ormai diventato tuo. Volevo e non volevo incenerire il vizio che ti ho passato, ma quell'acre profumo aveva un sapore così allettante e diverso dopo il sesso. Era lì, fluttuava nella brezza che entrava dalla finestra appena scostata, confluiva nei tuoi polmoni, vi stanziava un paio di secondi, poi vorticava fuori dalla tua bocca e finiva per esser accolto nelle mie narici. Uno scambio di respiri, può qualcosa esser più poetico?
La doccia era diventata inutile, l'indomani avremmo comunque avuto addosso qualche odore.
<Dicevi sul serio?> trovai la forza di tirar fuori un discorso facendo spuntare una mano da sotto il lenzuolo e portandola vicino al precipizio del bordo del letto. Andò giù, si posò sulla tua spalla, la raccogliesti subito, con fretta e sentii una piacevole e tenera scossa irradiarsi lungo il mio braccio e portare un po' di calore sulle mie guance. Stringi ancora, così mi farai sapere di esser con me.
<Riguardo a cosa?> domandasti prendendo un'altra boccata di tabacco.
<A quel giorno, a te, alla morte> buttai fuori senza pesantezza quelle parole. Volevo parlarne, con tranquillità, come se certi argomenti fossero ordinari e potessero esser leggeri quanto il racconto della giornata una volta rientrato a casa. Perché conoscere qualcuno, conoscerlo per davvero, vuol dire inerpicarsi per vie inconsuete e sia io che te potevamo andare oltre limiti imposti con troppa apprensione.
<Credo di sì> soppesando la tua risposta mi accostai alla tua chioma di ricci malamente attorcigliati e vi respirai sopra, una lieve traccia di lavanda mi fece capire che, prima di venire da me, ti fossi dato una lavata frettolosa e che non avessi fatto distinzione fra shampoo e bagnoschiuma finendo per usare il mio.
<Allora lo ero anch'io> e mi persi brevemente a gustare la fragranza del fumo e dei fiori che portavi.
<Voglio morire> sospirai e le tue dita si irrigidirono attorno alle mie.
<Voglio anche vivere> continuai e presi una lunga, assurda pausa. Andavo farfugliando frasi insensate agli occhi del mondo, ma non ai tuoi.
Morire è addormentarsi nell'ignoto, se dovessi affrontare questo lungo sonno lo farei con te, non da solo, non con qualcun'altro, con te che sei il motivo per respirare e per soffocare.
Vivere è svegliarsi e desiderare di assopire nella quiete dei sensi, condividerei anche questo con l'uomo per cui sacrificherei lo stesso significato della vita. E questa vita, mi dissi, è davvero tanto diversa dalla morte?
<Fallo con me> mi ritrovai a rivolgerti strane preghiere, bizzarre espressioni di stanchezza, ma così sincere nel rivelarsi a te.
Tenendo ancora la tua mano passai un pollice vicino alla tua scapola, ove una distorta cicatrice si disperdeva fra le lentiggini e mi resi conto di sapere esattamente dove le altre si trovassero. Memorie di una giovinezza che piano abbandona i cuori degli innamorati, me le figurai tutte in una volta e sorrisi al dolce pensiero che era venuto a maturare proprio in quell'inopportuno momento.
Ti sentii trattenere il fiato andando a schiacciare la sigaretta nel posacenere che avevi trovato sul davanzale, preso e posato al tuo fianco prima di sederti. Rafforzai la presa sulla tua mano quando mi offristi la vista del tuo profilo nell'ombra di una notte portatrice di folli richieste.
<Deku> non seppi darmi motivo, ma stavo per riversarmi in un nuovo pianto. Non avrei sopportato altro sconforto dopo quel che avevamo divorato dei nostri corpi, sentii la fine avvicinarsi inquieta e spiacevole, osservarmi divertita e porgermi la possibilità di rimangiarmi frasi che più avanti non avrei avuto il coraggio di rivolgerti.
Che fossi ammattito completamente? Andava bene, sì, per te avrei ammesso ogni merito ed ogni peccato.
<Sposami>.
Separate le labbra in un ansiosa attesa, finalmente potei vedere i tuoi occhi penetrare nei miei e come colto da una rivelazione ti diedi il permesso di piangere con me.
Il giorno è inaspettatamente caldo rispetto alle temperature previste, ma piove, non avrei immaginato che una sera tanto gelida avrebbe portato il cielo nuvoloso che scorgo oltre il vetro della finestra.
Non chiedermi la parola ora che sono solo e circondato da un'aura di dolorosa mancanza, custodisco ancora la tua risposta.
Le nostre radici hanno raccolto l'ultima goccia, ci siamo addormentati mentre il sole si destava e quando ho deciso di riaprire gli occhi tu eri scomparso. Hai raccolto ogni cosa, non è rimasto neanche un tuo vestito e guardando i segni che porto non riesco a capire se siano abbastanza per darmi l'idea di esser con te.
Sento di volerti qui, in questo ristretto spazio che mi sono ritagliato sul giaciglio solitario dove mi ero stupidamente rifugiato. Mi tengo le gambe strette al petto, sono dolorante finanche nell'animo. Tasto pelle che ho deciso di non lenire solamente per rivivere il tuo tocco, ascolto il tempo scorrere e tengo il cellulare lontano, timoroso che possa distrarmi e portar via la calma che provo.
Ho un deja-vu, quasi che questi miei gesti riportino a galla ricordi di mattine passate fra carezze e sguardi smarriti in camere vuote, senza te. Avverto una nota farsi greve nella melodia e mi convinco di star commettendo uno sbaglio. Questo non è un deja-vu, non sono davvero solo e non lo sono mai stato.
Siamo davvero fragili, capaci di trarci in inganno con facilità e non permettere a fantasie di agrodolci aspettative di illuderci e di donarci speranze. Sarei rimasto ad annegare se tu non mi avessi riportato a galla e mostrato come la realtà può esser fraintendibile. Commettiamo i soliti errori, ma spero di poterne ridere invece che rattristarmene.
Attendo, non so più cosa, ma attendo. La venuta della primavera, la fine dell'inverno che ho ritardato fin troppo, chi può saperlo?
L'euforia mi ha preso in ostaggio, portala via da me prima che sia tardi, così che possa vagare ancora un po' in quel che è stato e sussurri un addio malinconico.
Muovo un piede con nervosismo, ascolto la pioggia cadere e provo ad alzarmi.
A sentire il freddo parquet non mi ritraggo, cerco di non pensare al fatto di poter cadere, mi sollevo e faccio due passi decisi fino al tavolo. Finisco per appoggiarmici e noto che posso ritrovarti persino su questo legno; non per l'infuocata notte appena trascorsa, ma per il fatto che vedo ogni documento ben ordinato ed impilato e non più sparso sul pavimento. Hai trovato tempo per disseminare qualche traccia del tuo passaggio, ne sono sollevato mentre mi avvicino alla cucina e vedo la caffettiera spuntare sui fornelli con un foglietto attaccato, probabilmente uno dei post-it che tenevo nella cartella del portatile sulla sedia. Lo prendo fra le dita e lo leggo stropicciandomi un occhio.
"Devi solo accendere il fuoco, vedi di fare la spesa e di riposarti. Ci vediamo tra un mese, non dimenticarlo.
Ti amo"
Vorrei poter stritolare questo pezzo di carta e tirarti fuori a forza dalle lettere che non smettono di catturare il mio sguardo. Scriverò a Mina e le dirò che tarderò di un paio d'ore solo per soddisfare le tue raccomandazioni.
Metto il caffè a farsi e mi chiedo come non abbia potuto sentirti rovistare tra il frigo ed i fogli per terra...devo esser crollato con le tue mani strette attorno alle mie ciocche e la certezza di star cadendo in teneri sogni.
Scorro sul mio petto, sospiro circondando il ciondolo con la tua iniziale immaginando che tu stia facendo lo stesso.
<Lo so, sono davvero impaziente> mi rimprovero da solo prima di sentir un sonoro gorgoglio e girare velocemente la manopola del gas.
Facendo colazione mi siedo vicino alla finestra e mandando giù il primo sorso rigiro il tuo messaggio fra le dita.
A pensarci bene ricordo una veloce conversazione che hai voluto sostenere prima che cadessi nelle braccia di Morfeo. Mi hai chiesto quando tornerò a casa ed io ti ho detto che non abbiamo certezza, che non volevo pensare al lavoro, ma ho anche accennato a qualche importante risvolto del quale tu eri già a conoscenza e mi sono ritrovato a dire che se tutto va come previsto potrò salutare questo posto verso la fine di Marzo.
Tu hai sorriso, mi hai detto che saresti stato contento di vedermi prima del mio compleanno e così è nata una promessa: farò il possibile per finire davvero per l'inizio della bella stagione. Potremo festeggiare assieme la conclusione della missione, crogiolarci nella convinzione che nulla possa darci tanta ansia quanto le settimane che ci separano.
Mi hai guardato prima di andar via? Hai desiderato darmi un bacio mentre ti rivestivi? Ti sei voltato esitando nello stringere la maniglia?
Se solo mi avessi dato l'opportunità di vederti andar via, forse adesso saremmo ancora in mezzo alle coperte o magari mi staresti rimproverando di star mettendo su la seconda tazza di caffè.
Ed anche se non puoi sentirmi, sappi che sto rispondendo alla tua breve lettera.
<Ti amo>.
*Ubi tu (Gaius), ibi ego Gaia): "Dovunque tu sia, io sarò", è la formula matrimoniale latina.
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