/18/ Viridis
Insegnami a costruire gli origami. Sono così semplici, così complicati, così delicati eppure così stabili, tu sapevi crearne di meravigliosi.
Ogni tanto ti scorgevo, durante le lezioni, nelle pause dei lunghi discorsi dei professori, a trafficare con quel sottili fogli che tenevi pressati nel libro di storia.
Dicevi che non erano una distrazione, tutt'altro, ti aiutavano a concentrarti poiché la regolarità delle loro pieghe ti dava la capacità di prestare attenzione anche alle lezioni più noiose. Mi hai sempre detto che mi avresti mostrato come intrecciare la carta in un abbraccio indivisibile. Impossibile disfarlo, almeno senza rovinarne la bellezza. Non puoi separare quel che hai iniziato ad unire, raccontavi, altrimenti resterai con due cartocci spiegazzati fra le dita. Devi essere preciso, cadenzato in ogni carezza, attento a non lasciar tracce d'incertezza, ma alla fine non mi hai mai dedicato tempo per svelarmi il segreto del tuo piccolo dono.
Una volta preso il diploma le nostre occasioni si sono accorciate fino a scomparire, abbiamo preso a correre sempre più veloci stringendoci le mani fra gli alti palazzi, dedicandoci i nostri successi, cercandoci su campi di battaglia che si facevano più concreti ad ogni scontro. Allora ho rinunciato alle mie infantili richieste.
Quali consigli avrebbero potuto prevenire la fatica di quei pochi anni che ci furono concessi? Fummo un legame, un sussurro fra le vie ed infine tutto tacque per poi osservare la mia rinascita.
Non sono più potuto ritornare ad essere lo stesso, non so se devo chiedere perdono anche per questo.
Sono stato diviso dalla mia metà, non lo vedete? Sono parte di una diade morente, potete sentirlo? Ho urlato parole mute all'indifferenza non solo della città, ma del mondo intero. Ognuno ha i propri dolori, ha l'intimità delle proprie ferite, allora perché tanti gentili sguardi mi hanno sfiorato e portato via con sé l'uomo che avevi cresciuto?
Perché non gridare adesso all'unisono per esser tutti uguali nel rivelarci per i mostri che siamo?
Fermi, avete sprecato l'ennesima opportunità, non ve ne concederò altre, questa volta è una promessa.
Mi manca correre con te, vorrei fronteggiare il giorno con un sorriso che mi riporti indietro nel tempo.
Cosa mi vorresti chiedere? Ho l'impressione di averti raccontato più di quanto desiderassi e di averti lasciato vagare nella mia mente. Cerchi ancora, come posso dirti di fermarti? Sono un pozzo senza fondo e se sfiorerai il limite dell'oscurità che celo potrai sempre volgere lo sguardo verso l'alto, dove la luce del giorno appare come stelle e la notte è continua. Potrei cullarti in questa folle trappola ancora una volta e tu cercheresti di trasformarla in una piacevole tortura.
Dobbiamo interrompere il corso degli eventi, non è vero? Ma non vogliamo, non lo abbiamo mai desiderato veramente e persino ora che il tempo inizia a farsi stretto attorno a noi la vita scorre inesorabile.
C'è questo ticchettio nell'aria, sono l'unico a sentirlo? L'orologio appeso alla parete cosparsa di crepe è rimasto bloccato e la lancetta dei secondi fa continui scatti inutili che la riportano nel medesimo punto. Qualcuno lo faccia smettere, fa un rumore talmente innocuo da parer assordante.
La carta da pareti è scrostata, questo posto è marcio, credo sia per il generale squallore della stanza. Come Hero dovrei essere abituato a contemplare scene che appaiono tirate fuori dalle peggiori fantasie, eppure chi potrebbe essere in grado di restare impassibile di fronte allo scempio in cui sono stato trascinato?
<Dovremmo andare> mi posa una mano sulla spalla, non come conforto, credo lo faccia più per trovare il modo di uscire da questo posto non da solo, ma con qualcuno che condivida il ricordo dell'orrendo quadro che abbiamo davanti.
I nostri piedi sono come massi sopra una distesa di vetri in frantumi, la finestra rotta alle nostre spalle permette alla brezza del tardo pomeriggio di insinuarsi negli angoli e fra i nostri capelli, porta via il nostro respiro. Più mi dico di dovermi muovere, più il mio sguardo si svuota: non voglio fare un solo passo verso l'uscita.
<Davvero, non possiamo fare nulla> insiste e si sfrega via dalla giacca un po' di polvere, si fa più piccolo nelle spalle e colgo l'esatto istante in cui muove le sue piume e tende le ali come a volersi proteggere. E da cosa? Siamo soli, l'unico pericolo è che quest'edificio ci crolli in testa e a giudicare dai problemi di umidità la cosa non è proprio infattibile.
Hawks, per quanto debba esser più abituato a certe cose, non ha avuto una reazione diversa dalla mia. La violenza non è cosa su cui passare a cuor leggero, per nessuno. Ed in questo momento mi sento fuori di me, come se le mie emozioni stessero strabordando ed ogni oggetto o uomo che toccano restasse macchiato indelebilmente.
La violenza è egoista, perché ciascuno pensando per sé, si superano tutti i riguardi, l'uno toglie la preda dalla bocca e dalle unghie dell'altro; gl'individui di quella che si chiama società, sono ognuno in guerra più o meno aperta, con ciascun altro, e con tutti insieme; il più forte sotto qualunque riguardo, la vince; il cedere agli altri qualsivoglia cosa, o per creanza, o per virtù o per onore, è inutile, dannoso e pazzo, perché gli altri non ti son grati, non ti rendono nulla, e di quanto tu cedi loro, o di quella minore resistenza che opponi loro, profittano in loro vantaggio solamente, e quindi in danno tuo.*
Quale espressione mostrare? Il tutto o il nulla, non fa differenza.
Premo la suola degli anfibi, sento il vetro scricchiolare contro le piastrelle in origine bianche, ora di un grigiume triste ed opaco, rialzo piano gli occhi sul tavolo. Inizio dall'angolo, c'è una lattina di birra mezza schiacciata posata sopra un vecchio giornale, ma purtroppo non è la cosa che spicca di più su quella superficie di legno usurato. Lì, sulla sedia c'è un uomo, raggrinzito e un po' ammaccato, se così si può dire, e non batte palpebra, né ci guarda. Se ne sta abbandonato sulla sua seduta, parte del busto riversa sul tavolo, mani che si protendono verso il lato opposto come se, dal troppo alcol ingurgitato, avesse cercato di raggiungere quell'assurda meta rivelatasi troppo distante. Una pistola Walther a poca distanza dalle dita. È pallido, diafano quasi, no, forse è più emaciato di quanto voglia ammettere e sembra davvero fuori luogo con quel camice chiazzato di incrostazioni, l'aria da scienziato pazzo e le guance scarne fresche di rasatura. Ma gli si addice, così penso, lo sfondo di un rosso perlaceo su cui posa. Kyoudai Garaki era stato dato per morto anni fa, ma dal suo aspetto direi che fino ieri scorrazzava ancora in una libertà non meritata. Più lo fisso e più le sue orbite sembrano scavarsi ora che il suo quirk non può più aiutarlo a mantenere un aspetto decente.
Trattengo un conato di vomito, il pranzo che a stento ho mangiato mi risale in gola di colpo, deglutisco a fatica, mi ricompongo un minimo.
Quanto sangue in un solo corpo, quanti stracci di anima dannata andati persi, l'uomo è rovescio in quel che resta di sé, iridi scure perse a fissare, seppur non direttamente, chiunque assista al tremendo spettacolo.
La morte, mi dico, può far morire a sua volta chi di morto non ha nulla. Sono io ad esser troppo precipitoso, sicuramente si tratta di questo.
È talmente diverso dalla mia memoria, potresti accompagnarmi per mano lungo il viale dei miei spiacevoli ricordi? Tu portavi il silenzio, ma in maniera più chiara e prepotente, non in modo tanto calmo. Tu eri meraviglioso persino nel dolore, non come questa vita strappata tardivamente al mondo nell'oblio della propria misera casa, tu meritavi bellezza e quest'uomo sembra essersi guadagnato una condanna inevitabile. Debiti di vita che si accumulano, quante persone possono vantare lo stesso ingiusto destino? In questo mondo ricolmo di livore e malevolenza periamo in troppi sotto al peso dell'esistenza; agiamo nel bene e cadiamo nel peccato con tanta frivola malinconia.
E noi che ci proponiamo ideali, statue dall'animo concreto, cosa possiamo contro una tale malvagità? In certi momenti mi appare così difficile scorgere la bontà dell'essere umano. Vuoi che ostenti purezza? Non mi permetterò questa maschera, non fra tutte quelle che già porto, perché mi hai tinto del medesimo colore che ha inondato questa stanza. Ho stretto corpi privi di vita, più di quanti possa ricordare e le persone mi chiedono di dar loro la solita spensierata sicurezza. La carriera che abbiamo intrapreso è un sentiero contorto, puoi negarlo? Questa è l'unica cosa che non ti concederò di fare. Siamo usciti come rami spezzati dalla foresta, edera velenosa che si stringe fra le proprie foglie e scala le salite più ripide. Ma tu ti sei voluto frantumare a terra, con ogni sforzo possibile e gli ultimi respiri tenuti avidamente fra le braccia. Ora capisco: io non ti ho ancora perdonato. Non voglio le tue scuse, non pretendo il tuo cordoglio, vorrei solo che condividessi con me la presa che mantieni sul coltello, non importa che sia sulla lama o sul manico, accetterò di ferire e di essere ferito. Il nostro sangue colerà a terra mischiandosi in un giuramento sofferto troppo a lungo.
Sono stato abbastanza forte per abbastanza tempo, è forse giunto il momento di cedere alla fragilità? Tratterrò il respiro fino a quando non sarò sicuro di questo. Per ora desidero fissare le labbra cianotiche dell'uomo che ho davanti ed il rivolo puniceo che pare voler scorrere lento fino a quando non resterà più nessuna fonte a cui attingere, sentirmi trasportato via da esso e cadere nuovamente al tuo fianco. Sono certo che Kaminari non abbia osato proferir parola al riguardo e che tu non sia stato in grado di domandare alcunché, perciò lascia che riviva queste sensazioni nella solitudine del mio pensiero. Non potevo muovermi, così mi dicevano, così mi intimavano di fare, ma chissà con quale energia ti ho raggiunto nella luce del tramonto. Fiocchi fragili incastonati fra i capelli, cenere impastata con sudore e lacrime che sentivo colarmi addosso. Prima che me ne potessi accorgere il mio viso si era immerso in un pianto muto.
Incredibile come a starti a due passi di distanza la realtà si distorcesse. La stoffa dei tuoi vestiti era logora, un po' come la mia, sporca, stracciata, uno dei tuoi guanti era andato distrutto o perso in mezzo alle macerie e la pelle della tua mano spiccava luminosa sulla pavimentazione scura della terrazza. Incurvai le labbra a notarlo: nessuna nuova cicatrice da portare, avevi imparato a non uscirne più con qualche osso rotto. Le tue dita si protendevano verso di me, sparse nel sangue che ti circondava e che io pestai non con orrore, non con ribrezzo, ma con delicatezza. Non cambiò nulla. Da vicino che ero, inginocchiato alla tua sinistra, tutto sembrava esser sotto sopra. La paura era coraggio, la tristezza felicità, l'aria intrisa di fumo era diventata fresca, il vento stava portando via il sapore amaro della battaglia e piano stava lasciando spazio al silenzio.
Poi, come un risveglio improvviso, alzai un braccio, il filamento verde della tua chioma stretto in pugno, pronto a calare sul tuo petto. Volevo svegliarti, farti alzare, ridere con te dell'assurda fine a cui eravamo andati incontro, ma non arrivai mai a colpirti. Fu Todoroki ad afferrarmi per il polso, io a malapena strattonai la sua presa, presto i miei muscoli si fecero molli e solo allora mi lasciò andare. Mi sentii sciogliere, fondermi con la pietra su cui posavo, non avevo neanche la forza per dire a quell'odioso ragazzo dallo sguardo impassibile di non toccarti, di non tastare il tuo collo, di non chinarsi ad ascoltare se il tuo respiro fosse ancora presente. Per me, se anche così fosse stato, eri morto, la rabbia dilaniante che mi tratteneva a terra mi diceva che le cose stavano così.
<Bakuguo, è vivo, è vivo! Mi senti?! Stanno venendo a prenderlo, Denki ha già chiamato i soccorsi> da fisso che era, il mio sguardo si sollevò all'istante su Shouto. Teneva una mano sul mio braccio, era fermo nei movimenti, sicuro, più di quanto potessi riuscire a credere. Cos'era tutto quel controllo? Ero l'unico ad esser paralizzato? Ad esser svuotati e riempiti in così pochi secondi la gente impazzirebbe ed io non sono sottostato ad una conseguenza differente.
Posai il mio palmo sul suo tentativo di conforto e di rassicurazione, lo spinsi via sotto al peso della mia carne tremante e che sentivo ribollire e congelare sotto la pelle. Un piccolo vortice nel petto, ecco che iniziava ad inghiottirmi, fui costretto a piegarmi e a stringermi tendendo il mio costume con le unghie, mi sforzai per continuare ad incanalare aria nei polmoni. Ad un certo punto mi graffiai da tanto che cercavo di aggrapparmi al mio corpo e di maledirmi per non riuscire a pronunciare una sola parola. Ero diventato muto, corde vocali logorate e mal di gola che saliva lungo il collo. Quando Kirishima si fece spazio barcollando stretto nel sostegno di Kaminari si affrettò, nonostante i rimproveri di quest'ultimo, a raggiungermi. Ebbe l'inaspettata gentilezza di mantenersi a distanza e di crollare a terra prima che fosse abbastanza vicino per poter notare con quanta fatica, già stremato dallo scontro, stessi versando lacrime. Pulviscolo e polvere in viso, gli occhi mi bruciavano dolorosamente.
Sentii distintamente lo strappo al mio interno, fui tirato per ogni dove con veemenza, ancora oggi mi chiedo se quella sensazione talmente piena sia stata reale o frutto della mia mente. Pagine lasciate vagare nella brezza, libri sparsi come foglie, sottili lamine viridi lacerate, aceri della nostra giovinezza e pioggia portata da un cielo limpido, misteriose creature degli abissi che si protendono stanche verso la luce. Io e te fummo sommersi dall'oceano, non avrò mai parole per soddisfare la tua sete di conoscenza, permettimi di tenerti distante da questa sventurata passione.
Stavo stringendo il tuo animo, non il tuo corpo, quasi che questo fosse la cosa più estranea che potesse esistere. Poiché non è di questo avido materialismo che mi sono innamorato, quanto più della tua caparbietà, dell'idea di abbandono che mi coglieva quando mi salutavi alla mattina e, ancora più intimamente, dei tuoi sospiri che mi rincorrevano lungo la giornata. La coscienza di non poterli più ricordare senza un certo senso di soffocamento mi colpì subito e senza alcun preavviso. In un secondo le frasi di Todoroki mi raggiunsero e si allontanarono per non tornar più.
Chiunque, quel giorno, contemplò la tua caduta e solo io, tuttavia, ne compresi il significato.
Sei diventato un aereo di carta che indifferente viaggiava fra i resti del nostro ultimo scontro, confronto, litigio, stento a rammentare le risa, le grida e la quiete dei mesi precedenti alla tua folle decisione. Eccoti, mi dicevo, con quelle ali tremanti nell'aria, sembri voler andar così in alto.
<Hai ragione> non aggiungo altro, mi volto, le suole raschiano la polvere, Takami mi segue giù per le scale e lungo le vie. Quello ormai è solo un grumo di pensieri indecifrabili, cerco di convincermene e di non pensare alla solitudine del piccolo appartamento dove avremmo dovuto trovare qualche indizio grazie ad una soffiata.
Farò rapporto a Mina e ad Aizawa, avranno la mia stessa cupa espressione.
<Vado io> mi precede, sospetto che abbia avvertito il mio disagio nello stanziare di fronte alla porta del locale <Tu riposati, non dormi decentemente da giorni. Ci sentiamo dopo> e lo vedo scomparire nell'ombra oltre l'uscio, nessun saluto particolare, solo un breve sospiro. Chissà, forse prima o poi avrò anch'io la stessa aria stanca nel dover riferire tristi e preoccupanti notizie; attendo e non attendo un tale evento, temo che se così dovesse essere dovrei dire addio all'umanità che mi son tenuto stretto fino ad oggi. Ho condiviso con te troppo avvilimento per potermi augurare un'indolenza simile.
Quando giro la chiave e mi dirigo con prepotenza verso il frigo per afferrare la bottiglia dell'acqua rischio di stritolarla fra le dita. Getto a terra la giacca, bevo solo un paio di sorsi e già sento risalire la nusea. Non tremo, sono solo teso. Sapere che un essere tanto schifoso l'abbia fatta franca sotto al mio naso non è la principale preoccupazione, piuttosto non oso immaginare a quali studi stesse lavorando vista l'assenza di un computer o di un qualsiasi appunto nella sua abitazione. Sembrava un semplice, derelitto alcolizzato e nel marasma di viscide memorie che mi hanno investito tu sei spuntato come una margherita in un campo di malerba e pur con i tuoi petali delicati hai saputo trafiggermi il cuore. Candore pericoloso nel mezzo di distese di intricate spine, bianco come un bucaneve e aconito nel nettare.
*(Leopardi, Zibaldone, 1817-1832)
->Kyudai Garaki (殻木球大, Garaki Kyūdai), conosciuto con gli pseudonimi di Daruma Ujiko (氏子達磨, Ujiko Daruma)o Doctor, era un villain affiliato all'Unione dei villain e successivamente al Fronte di liberazione. Era un fedele servitore di All for one e, di conseguenza, di Tomura Shigaraki ed è stato il creatore dei Nomu.
Lo so, la missione si sta facendo piuttosto complicata e c'è ancora tanto da spiegare, ma vi preannuncio che il narratore potrebbe cambiare, non si sa mai, sia Izuku che Katsuki hanno due punti di vista davvero interessanti da illustrare.
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