/17/ Il regno di carta

Non ho mai voluto affrontare apertamente l'argomento e tu, quasi a voler sostenere la mia posizione al riguardo, non davi segno di volerne discutere. Non che fosse necessario un lungo discorso, ma credo che qualche commento, una frase di conforto o un semplice bacio al momento opportuno sarebbe stato d'aiuto per entrambi.
Parlo delle prime settimane di congedo dall'ospedale, uscito da quell'edificio avevi preso l'assurda abitudine di puntare la sveglia alle ore più mattiniere, a volte anche tra le quattro e le cinque, ed il cellulare non smetteva di vibrare sul comodino, neanche quando ti mettevi seduto sul bordo del letto. Te ne stavi lì a fissarlo finché non si zittiva, non ti curavi di non disturbarmi, forse pensavi che fossi troppo stanco per far caso al tuo comportamento. Ed io rimanevo sempre con il braccio disteso verso la tua parte del materasso, non ti chiedevo di tornare a dormire, ma ti offrivo l'invito per ridistenderti e rifugiarti in un mio abbraccio. Non l'hai mai accettato. Il mio petto si alzava e si abbassava solitario fra le lenzuola, anelando in silenzio al tuo tocco. Anche se rabbrividivi al freddo della notte, ti lasciavo consumare il tuo vizio nel silenzio della nostra camera che, in quelle occasioni, era talmente priva di calore. Se avessi avuto la forza per comprenderti senza bisogno di parole probabilmente avrei pianto per te, in un fiume eterno di brillanti stelle liquide, lo avrei fatto davvero. Dove andavi? Quale lontana meta raggiungevi prima che il sole sorgesse? Ti sentivo camminare distante restando fermo ed immobile, non ti avrei raggiunto neanche allungando le dita ed afferrando la maglia del tuo pigiama.
Non era qualcosa di troppo inaspettato, mi dicevo, che tu ti trascurassi, non era neanche qualcosa di nuovo, lo avevi già fatto in passato. Ma la tua tecnica si era affinata, lo sentivo da come il tuo respiro, anche se impossibile da percepire sulla pelle, mi trafiggeva con aghi aeriformi. Le tue occhiaie erano terrificanti, tuttavia ero avvezzo a vederti così stanco che questo passava in secondo piano e mi apparivi ammaliante come sempre. Quanta bellezza fraintesa per fragilità e quanta fragilità intesa per bellezza, magari senza neanche troppo torto. Eri un piccolo dettaglio prezioso nella mia visione, talmente prezioso da divenir vitale.
La notte ti faceva brutti scherzi che non evitavi di proposito, lo capii improvvisamente quella volta in cui ti sollevasti per l'ennesima veglia ed invece di fissare assorto le vetrate ti alzasti per andare a prendere un bicchier d'acqua che trangugiasti tutto d'un sorso mentre ti agitavi per la stanza. Tornasti al tuo posto ed il letto parve sprofondare sotto al tuo peso, ma ingoiasti la voce che ti diceva di non star ad indugiare e di riprendere il tuo cammino nervoso. Non dicesti nulla, mi afferrasti la mano e trattenesti il respiro. Ti strinsi, con forza, sollevando le palpebre come se fossero pronte da tempo a quel tuo gesto. Un moto di felice tristezza mi pervase mentre mi tiravi su fino a potermi fronteggiare. E mi fissasti con un malcelato desiderio di poter cedere e cadermi addosso al quale non ero preparato, mi lasciasti a bocca asciutta ancor prima che potessi rivolgerti qualche domanda.
<Cosa succede?> dissi riciclando una delle mie solite uscite e cercando di espirare piano a pochi centimetri dal tuo viso. Temevo che un soffio di troppo ti avrebbe fatto crollare come un castello di carte. <Non mi ricordo> non era una spiegazione lasciata a metà, non faceva presupporre un continuo, era un'affermazione pura, priva di intermezzi superflui. Necessitava che io stessi muto per poter soddisfare la mia ansiosa curiosità.
<Che cosa?> fu più forte di me, perdonami, mi lasciai sfuggire dalle labbra parole invadenti alle quali tu non desti alcuna impressione di voler rispondere. Ti accarezzai le dita, le guardai, iniziai a riflettere, presi coraggio.
<Perché non dormi? Perché ti fai del male?> iniziasti a scuotere la testa come se ti stessi rifiutando di esporti più di quanto non avessi già fatto. Sembrasti impazzire per lunghi, distruttivi secondi. Infine, con voce tirata ed in un sussurro a stento udibile, ti sentii: <Perché è l'unico modo in cui riesco a sognare!> ti aggrappasti alle mie spalle cercando di dar sfogo alla frustrazione accumulata, ma io sapevo che non saresti riuscito a versare una sola goccia di disperazione. Non ti circondai come mi ero promesso, no, ti lasciai stritolare i miei vestiti ed il mio animo, incapace di muovere un muscolo.
<Cosa..?> non continuai. Che volevo dire? Non lo so, non lo so, non lo so! Era sempre stato così difficile cercare di consolarti? Ed il mio sguardo, cosa non vedevo? Ero diventato ceco, non potevo vedere chiaramente i tuoi sentimenti e provai un senso di angoscia assurdo.
<Non ricordo nulla di quando ero in coma, Kacchan, è tutto buio!> urlavi, bisbigliavi, che differenza faceva? Qualsiasi tono poteva esprimere il dolore che tenevi legato con catene troppo resistenti. Era quindi questo ad averti sconvolto? Che sgradevole rivelazione, non ero preparato ad una schiettezza tanto inaspettata. Ad un certo punto mi desti persino un leggero pugno sul petto, dovevi aver avuto intenzione di metterci forza, ma eri finito per scatenare in me solo un sussulto.
<Non voglio più vederlo, non voglio più vederlo...> continua, la ripetevi come una cantilena contro la mia pelle mentre riprendevi a darmi colpi incostanti. Fu allora che il tuo corpo si fece di pietra, abbandonato contro di me, ma rigido al contempo. Come posso dirlo? Ogni voce che ho nella testa mi prega di non provare a spiegare a cosa assistetti. L'ho quasi cancellata, davvero, ho gettato via quella notte sul fondo dell'abisso dei ricordi.
Il tuo tentativo di pianto mi ha ucciso, non posso aggiungere altro. Sono morto in quell'arida stanza rinunciando al riposo che nessuno di noi riusciva a trovare o a meritare. Sei stato il mio tormento, tanto quanto lo sono io tutt'ora, e magari ci equivaliamo in questo gioco di ruoli. Cosa ne pensi? Torturiamo la persona amata con così eccessiva diligenza e mi piace questo modo di vivere, di trovar felicità nel sentirmi desiderato e di desiderare a mia volta. Tu questo lo sai, mi conosci troppo bene per non aver colto il brivido di piacere che la nostra precarietà mi suscita, eppure lo hai ignorato con sguardi innocenti. Se solo mi avessi messo con le spalle al muro prima, chi lo sa? Avrei potuto annegare davvero con te.

Tendo l'indice, do un colpetto deciso verso il basso, ecco che la cenere si sfalda e cade sul davanzale. Il cielo è limpido questa sera, più tardi potrò bearmi dello stesso manto di stelle che anche tu osserverai da quell'alto palazzo. Proprio laggiù, oltre il quartiere della mia agenzia, voglio credere di essere in grado di scorgerti.
Sono buffo, così credo, a far dondolare una gamba e a star rannicchiasto sul bordo della finestra con un ginocchio alzato ed il braccio, che regge la sigaretta, posatovi sopra; adagiato in questo limbo avulso da ogni tuo segno mi pare di non aver mai vissuto il contorto trascorso che mi ha reso tanto disperato. Non sono mai entrato alla UA, non ho mai sanato le nostre divergenze, non sono mai stato travolto da folli sentimenti d'affetto, non mi sono mai innamorato di te, non ho mai ereditato il One for All, né sono mai diventato il number one hero. Tutti i miei sogni sono andati distrutti, se solo potessi credere a questo probabilmente non sarei di umore migliore, ma almeno dovrei fare i conti solo con me stesso ed addossarmi la colpa per l'infelice vita che mi sono imposto. Invece sono qui a farmi piccolo e a fumare affacciandomi all'aria gelida di fine inverno con solo una felpa e dei pantaloni di tuta a darmi calore.
Stizzito, mi porto il filtro alla bocca. Uno, due, non bastano neanche tre tiri a farmi rilassare e rimpiango di non aver abbandonato quest'inutile scappatoia quando non era ancora un'abitudine. Non sono neanche riuscito a trovare la mia solita marca e non mi ricordo più su quale abbia ripiegato, né ho voglia di dare un'occhiata al pacchetto abbandonato sul tavolo.
A vederti, questa mattina, mi è venuta una gran voglia di imitarti, come se questo gesto mi potesse aiutare a sentirti più vicino. Che cosa ci facevi in stazione? Ci penso insistentemente solo adesso, ma in verità non sono interessato ad una spiegazione. Avrei dovuto darti modo di respirare molto tempo fa, chiunque ha bisogno di ritagliare un proprio spazio, di ricavare un po' di tempo per sé ed io sono stato senza vie di mezzo o soffocante o distante. Ma tu mi amavi, mi ami, mi amerai ed io non sarò diverso. È veritiero questo sentimento? Non stiamo solo portando avanti la scrittura di un libro che sfumerà in pagine bianche? Se così fosse non proverei tanta malinconia al pensiero di dovervi porre un punto.
<Oh> lo scorrere dei miei pensieri resta interdetto mentre noto che fra le mie dita è rimasto un mozzicone ormai inutilizzabile. Mi volto verso l'interno del monolocale con una voglia pari a zero di alzarmi. Sospiro.
Posso permettermelo, almeno quando sono solo. Allungo una mano, chiudo gli occhi, non voglio vedere. In pochi secondi stringo il pacchetto di sigarette nel palmo quasi a volerlo accartocciare.
Non lo faccio mai quando sono a casa con te, mi sentirei in colpa a mostrarti come mi sono abituato ad utilizzare il tuo quirk. Fra tutte le unicità, quella del quinto possessore, Daigoro Banjo, è stata quella che mi ha annoiato e dato filo da torcere più di altre.
Con che occhi mi guarderesti ora? Con nostalgia? Con rimorso? Chi può saperlo? Tu non mi parli più come un tempo e già all'epoca eri di poche parole e ti limitavi a sfogarti di tanto in tanto.
Ma adesso, cosa mi rimane da fare se non attendere una tua reazione, un tuo segno? Si può arrivare al punto di conoscere così bene qualcuno da diventare estranei?
So e non so quali potrebbero essere le tue mosse, ma non voglio pensarci e passare un'altra notte insonne.
Mi sento vuoto, con lo stomaco sotto sopra e la vista annebbiata. Più cerco di riempirmi lo stomaco ed i polmoni, più mi sento fragile, non riesco ad accumulare energie per tirarmi fuori da questa situazione. Scorre, tutto sta scorrendo ed anche se potrei fare altro che stare a rigirarmi i pollici preferisco ignorare la cosa e sfilare la terza sigaretta del giorno.
Il mio palmo è ruvido, lo tasto infilando il pacchetto in tasca e tenendo il nuovo piccolo cilindro di tabacco fra l'indice ed il pollice. Non me ne stupisco. La mia pelle è consumata, ho qualche callo, dei tagli sulle nocche, sul dorso una vena mi pare pulsare insistente e mi ritorna in mente che questa sera è solo un istante fuggevole prima di tornare a fare l'eroe.
Che facce sconfortante avevano quei tre oggi! Mi lascio andare all'indietro, metto il filtro fra le labbra, avvicino l'accendino, sono già pronto ad inspirare.
Toshinori, quello strambo uomo che, per quanto lo possa negare, ammiro più di quando era Allmight, aveva un muso lungo mentre mi illustrava la situazione e quel pollo spennecchiato non ha di certo contribuito ad alleggerire l'atmosfera. Mina se ne è stata zitta, ma inutile dire quanto si stesse trattenendo dal fare qualche considerazione inappropriata.
Che ti dovrei raccontare? I bassifondi della nostra città non sono mai stati tranquilli ed ora si sono agitati come non mai. Prima Allmight, poi te, adesso sono io a doverci fare i conti. Soffio via il bianco del mio respiro.
Qualcuno si è fatto beccare con qualche bustarella alla centrale di polizia, sono partite indagini di poco conto che nel giro di tre o quattro mesi si sono ingigantite fino a richiedere l'aiuto di qualche povero Hero. Il malcapitato sono stato io, ovviamente.
<Quelli? Sono corrotti da sempre> devo esser stato piuttosto acido nel dirlo, persino la testa rosa si era agitata guardandomi.
<Non dire così, fanno il loro dovere e purtroppo anche alcuni di noi hanno dei contatti discutibili> Keigo non li ha difesi, ma è innegabile che provi una certa simpatia per quelle divise che scorrazzano per le strade e che ci stanno trascinando nell'ennesima crisi nervosa dovuta a casi irrisolti.
<Persone scomparse, membri di bande per lo più, casse vuote in magazzini fantasma, credete che questi rapporti ci aiutino?> ho gettato sulla scrivania la cartella che mi era stata data in mano senza neanche darci un'occhiata.
<È la Yakuza> per un attimo sono rimasto muto.
<Non dire cazzate, sono passati cinque anni dalla loro ultima attività, perché farsi vivi adesso?>
<Non ne avrebbero motivo> si era portato un dito al mento con fare pensoso, potevo sentire le sue rotelle girare, girare, girare fino a che, entrambi con sguardo sbarrato, non ci siamo ritrovati a fissarci.
<Chi mancava? Chi ti è sfuggito?>
<Nessuno, almeno nessuno di cui fossimo a conoscenza. L'unione contava troppi seguaci, non è stato semplice schedarli tutti> solo dopo questa constatazione ho preso posto su una delle sedie, mani alle tempie e continui ragionamenti che finivano in vicoli cechi.
<Ripartiamo dall'inizio> Toshinori si era alzato in piedi e aveva chiesto gentilmente a Mina di lasciarle il posto alla scrivania. Si era messo a sfogliare ogni foglio posatovi sopra.
<Marzo di 6 anni fa: l'Unione viene ufficialmente dichiarata un capitolo chiuso; due mesi dopo alla Yakuza vengono requisite le ultime dosi del siero, sia quello di potenziamento che quello anti-quirk, e la loro attività si arresta quasi del tutto. È innegabile, tuttavia, che abbiano ripreso in mano le redini e non da soli>.
<A cosa pensi?> gli ho chiesto con il mento posato sulle nocche.
<Un nuovo commercio, meno raffinato però. Tutte queste sparizioni non sono un caso. Stanno raccogliendo materiale, hanno pagato la polizia per avere una qualche copertura, metodo inusuale per la loro organizzazione>.
<Sono di fretta> mi lasciai andare contro lo schienale ed iniziai a seguire il suo discorso.
<Abbiamo iniziato a notare i loro movimenti l'anno scorso, quando la voce di un nuovo stupefacente è salita dai bassi fondi fino a noi; si sono fermati ed ora hanno ripreso senza badare a coprire per bene le proprie tracce perché hanno in mano qualcosa di talmente pericoloso che non si preoccupano del nostro intervento>.
<Nove> mi limitai a dire.
<Esatto, nove> ripeté annuendo.
Non è solo il nome dell'operazione, è il numero di vittime registrate, ognuna delle quali si è lasciata dietro un scia di testimonianze contraddittorie che non ci permettono di venire a capo della situazione.
<È come l'ultima volta> constato <come con Le million, Red Riot e tutto il resto: ci prenderanno di mira>. Il silenzio ci investì in pieno, per lunghi minuti restammo ad inerpicarci fra i nostri pensieri, il mio nervosismo stava divenendo palpabile e me ne rendevo perfettamente conto.
<Keigo, tu, come me, hai più esperienza di molti che tutt'ora svettano fra le classifiche. Non ti chiedo di rimetterti in gioco, ma aiutami a venirne a capo>.
Il come il discorso sia andato avanti poco importa, possiamo fare ogni tipo di supposizione, previsione o pronostico, ma alla fine le cose correrebbero comunque il rischio di sfuggirci di mano. Non c'è da stupirsi della fredda calma che ho dimostrato, sono abituato ai risvolti più imprevedibili, chissà quando Mina e gli altri riusciranno a capire che sono divenuto un caso perso. Mi sono lasciato alle spalle i buoni propositi da tempo e ho imparato ad adattarmi alle situazioni che inevitabilmente mi si presentano davanti, questo per quanto riguarda il lavoro. Possibile che per contro la mia vita privata sia un tale casino?
Sì, è possibile, mi rispondo da solo a questo punto. Un po' per colpa mia, un po' per le impedimenta di ogni buona storia d'amore travagliato, mi sono ridotto ad essere un uomo inconsistente. Star male o star bene, esser perfetto od imperfetto, sorridente o maledettamente serio, alterno questi banali aspetti ogni giorno con destrezza in una finzione infinita. Guardo con nostalgia al passato che mi perseguita attraverso notti come questa, attraverso te, addirittura tramite il mio stesso riflesso. Non vedo altro se non un simbolo della pace che si tende come un albero e le sue foglie verso la luce o come una ragnatela troppo poco elastica per resistere al vento della primavera. I fili appiccicosi, quelli che ho tessuto, mi si stanno rivoltando contro e sono ingarbugliato nel mezzo di nodi che non si disferanno facilmente.
È il tuo saluto ai margini della foresta ombrosa, al limitare della stagione, la natura che sta per sbocciare ed i colori che stanno per mutare. Sei partito per un viaggio, hai detto che saresti andato alla ricerca dei pezzi che ho perso e saresti tornato senza lividi, ma con cosa mi hai lasciato? Ho un frammento del tuo amore che sanguina sul mio viso ed ogni goccia diviene fredda sulla pelle, sento il tuo tepore affievolirsi senza averti accanto. Non riesco più a catturare le paure che ti opprimono e la tela si spezzerà sotto il mio sguardo, mi chiuderò dentro una fortezza e getterò la chiave in un pozzo talmente profondo che, se rimpiangessi il gesto, morirei nel tentativo di recuperarla.
Non ho favori da chiederti, forse puoi vedermi tremare oltre le mura, forse queste mura sono di polvere o forse sono di pietra; potrai sgretolarle in un soffio o attendere che il tempo le disfi. Ciò che un tempo era diventato il tuo rifugio, ora è mio. Mi aggiro per corridoi vuoti e pieni di oggetti, di memorie e di quadri che, rovinosi, mostrano la malvagità del mondo. La biblioteca, in fondo alla strada di tessuto rosso, ha preso fuoco ed è stata annegata; mi è proibito attingere alla fonte del sollievo, ogni mio piccolo ricordo è fragile come cenere e non mi fido neanche a metterlo nelle mie stesse mani.
Perché è tanto importante sognare?
Fili dell'anima che si incrociano, vorrei che i nostri non avessero mai dovuto divergere dal percorso che avevamo immaginato.
Dimenati, battiti come il cuore che hai pututo salvare, spalanca le porte e presentati come una tempesta nelle sale deserte. Non sono un narciso solitario, non sono un tesoro da accudire, sii la fiamma che ho potuto scorgere e se desideri puoi darmi il bruciore delle scottature che provochi ad ogni tocco.
Sono protagonista del mio egoismo, non aver pietà per questo, esistono fin troppe persone incapaci di vedere più in là del proprio naso ed io sono stanco di elargire giudizi e sentenze di fronte ad uno specchio dove le crepe si fanno spazio come vene asciutte.
Devo urlare? Devo pregarti? Devo supplicare? Ingoio parole taglienti, persino adesso che sono quasi giunto al confine e scorgo le porte d'Ercole stagliarsi nell'oceano in cui mi sono smarrito non sono in grado di soddisfare le tue richieste. Tu, che non osi concedermi tregua, non sei mai stato debole e forte come adesso. Stringimi o abbandonami, qualsiasi tua attenzione parrebbe una benedizione nell'oscurità che aleggia attorno al trono. E se ti avessi bandito e non avessi memoria di una condanna tanto crudele?
Una volta riuscivo ad aver chiara la mente e a restare assopito nel tuo sguardo, ora quale incanto ci è concesso?
Le tue lacrime sono acido che si riversa nella mia anima, corrodono speranze e desideri, alimentano il malessere che si accresce nella nausea suscitata dal fumo della sigaretta. Posso dire di amarti anche quando mi stai uccidendo lentamente? Ho solo ordini privi di richieste, richieste prive di pretese, preghiere che non devono essere ascoltate, amore e odio senza fondo. Se un giorno estirperai i sentimenti che ho radicato in questo luogo, solo allora potrò ritenermi in salvo dal regno di carta in cui si rifugiano coloro che hanno venduto il proprio coraggio per delle misere consolazioni.

Che dire? Se Deku è stato la luce di Katsuki per lunghi anni, adesso cosa sarà diventato?

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